di Sandro Magister (10/04/2017)
Ha fatto rumore la vicenda dell'Università Cattolica di Lovanio, che ha sospeso e infine licenziato un proprio professore di filosofia, Stéphane Mercier, per aver scritto in una nota per i suoi studenti che "l’aborto è l’omicidio di una persona innocente".
La cosa non ha sorpreso, visti i precedenti di questa università pur insignita della qualifica di "cattolica", nella cui clinica si praticano da tempo alla luce del sole anche interventi di eutanasia, "dai 12 ai 15 all'anno" a detta del rettore della gemella università fiamminga di Lovanio, il canonista Rik Torfs.
Ma ciò che più colpisce è la sostanziale approvazione che i vescovi del Belgio hanno dato alla cacciata del professor Mercier.
Così come impressiona la reticenza del giornale della conferenza episcopale italiana "Avvenire", che nel dare uno stringato resoconto della vicenda – la cui documentazione più completa è apparsa finora nel blog Rossoporpora – ha evitato di prendere posizione, limitandosi a un: "Rimane da comprendere il significato di ciò che è stato dichiarato dal portavoce della conferenza episcopale belga".
Per non dire del silenzio di papa Francesco, che pure non ha mancato in altre occasioni di definire l'aborto "crimine orrendo".
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C'è in effetti un notevole stacco tra come il papato e gran parte della gerarchia cattolica intervengono oggi su aborto ed eutanasia e come invece intervenivano ieri.
Quelli che durante i precedenti pontificati erano "principi non negoziabili" oggi sono diventate realtà da "discernere" e "mediare" sia in politica che nella pratica pastorale.
La conferenza episcopale italiana e il suo giornale "Avvenire" sono esempi perfetti di questa mutazione.
Nel febbraio del 2009, quando l'Italia fu scossa dal caso di Eluana Englaro, la giovane in stato vegetativo a cui fu tolta la vita troncandole l'alimentazione e l'idratazione, l'attuale direttore di "Avvenire" Marco Tarquinio scrisse un editoriale di fuoco, definendo quell'atto una "uccisione".
Mentre oggi c'è un altro clima. Basti vedere il garbato distacco con cui "Avvenire" riferisce e commenta la legge attualmente in discussione in Italia sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, in sigla DAT, cioè le indicazioni date previamente ai medici sulle cure per essere tenuti o no in vita in caso di perdita di conoscenza.
Un esempio lampante di questo cambiamento di rotta è dato dal professor Francesco D'Agostino, docente di filosofia del diritto all'Università di Roma Tor Vergata e alla Pontificia Università Lateranense, presidente dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani, presidente onorario del comitato nazionale italiano per la bioetica, membro della pontificia accademia per la vita, editorialista di "Avvenire", insomma, storico punto di riferimento della Chiesa italiana per quanto riguarda le questioni bioetiche.
La lettera riprodotta qui sotto mette appunto in luce il contrasto tra ciò che scrive oggi il professor D'Agostino sulle dichiarazioni anticipate di trattamento e ciò che scriveva sulla stessa materia dieci anni fa.
Autore della lettera è l'avvocato Antonio Caragliu, del foro di Trieste, anche lui membro dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani.
Due notazioni per la migliore comprensione del suo scritto:
– l'onorevole Mario Marazziti, deputato dal 2013 e presidente della commissione per gli affari sociali che si occupa della legge sulle DAT, è membro di primissimo piano della Comunità di Sant'Egidio, di cui è stato per molti anni portavoce;
– monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della conferenza episcopale italiana e con un legame diretto con papa Francesco che l'ha personalmente insediato in questa carica nel 2013 e confermato fino al 2019, è di fatto l'editore unico di "Avvenire", su cui ha pieno e pressante controllo.
Ecco dunque la lettera.
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Caro Magister,
trovo interessante confrontare l'editoriale del professor Francesco D'Agostino, pubblicato su "Avvenire" del 30 marzo 2017, intitolato "Sulle DAT necessaria una buona legge. Non tutto è eutanasia. La storia chiede coraggio", con un suo altro editoriale, pubblicato dieci anni prima sempre su "Avvenire", il 6 aprile 2007, eloquentemente intitolato "Come uno scivolo mascherato verso l'eutanasia".
Nel 2007 D'Agostino sosteneva che le dichiarazioni anticipate di trattamento possono considerarsi giuste e valide a determinate condizioni, tra le quali contemplava le seguenti:
1. che il medico, destinatario delle dichiarazioni anticipate, pur avendo il dovere di tenerle in adeguata e seria considerazione, non venga mai dalla legge vincolato alla loro osservanza (esattamente come il medico di un paziente "competente" non può mai trasformarsi in un esecutore cieco e passivo delle richieste di questo);
2. che il rifiuto delle terapie non comprenda l'idratazione e l'alimentazione artificiale, dovendosi queste considerare "forme pre-mediche di sostentamento vitale, dotate di un altissimo valore etico e simbolico e la cui sospensione realizzerebbe di fatto una forma, particolarmente insidiosa, perché indiretta, di eutanasia". Nel sostenere ciò D'Agostino si richiamava al documento del comitato nazionale per la bioetica del 18 dicembre 2003 sulle "Dichiarazioni anticipate di trattamento".
Ora, l'art. 3 del disegno di legge attualmente all'esame della commissione per gli affari sociali, presieduta dall'onorevole Mario Marazziti, non rispetta né l'una né l'altra di queste due condizioni.
Ma nonostante ciò il professor D'Agostino scrive che "il disegno di legge non è in alcun modo finalizzato a introdurre in Italia una normativa che legalizzi l'eutanasia". Anzi, solo "un interprete subdolo e malevolo" potrebbe giungere a una simile conclusione, attraverso un'"interpretazione forzata".
Non c'è da stupirsi che molti giuristi cattolici siano rimasti sorpresi dalla svolta del professor D'Agostino, che presiede la loro associazione.
È una svolta che, a mio parere, può trovare spiegazione nella posizione di sostanziale apprezzamento del disegno di legge oggi in esame espressa dal segretario generale della conferenza episcopale italiana Nunzio Galantino nella conferenza stampa conclusiva del consiglio permanente della CEI del 26 gennaio 2017.
Ha detto in quell'occasione Galantino:
"Nella commissione per gli affari sociali, presieduta dall'onorevole Mario Marazziti, stanno preparando un testo al quale guardare con interesse. È venuto fuori con chiarezza che non si deve attribuire tutto il potere alla persona, perché l'autodeterminazione smonta l'alleanza tra paziente, medico e familiari e finisce per essere solo il trionfo dell'individualismo".
Insomma, per Galantino il testo in esame rappresenta un buon compromesso. Il tutto in linea con la ormai nota politica del segretario generale della CEI, attento ad evitare qualsiasi contrapposizione dei cattolici nei confronti del governo di centro-sinistra in carica. Come a dire che l'azione dei cattolici in politica deve essere dettata dagli orientamenti dell'alto ecclesiastico di turno, in questo caso lui, in una ennesima forma di clericalismo.
Ovviamente la situazione è spiacevole, sotto diversi punti di vista.
Sarebbe augurabile che il professor D'Agostino, quello del 2007, che è persona di provata intelligenza e competenza, si chiarisca con il professor D'Agostino del 2017. E poi, magari, si confronti con monsignor Galantino. Senza assecondarlo.
Un caro saluto,
Antonio Caragliu
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/04/10/da-lovanio-a-roma-leutanasia-dei-principi-non-negoziabili/
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