di Aldo Maria Valli (16/04/2017)
Sulla bocca e in ginocchio. Così i fedeli hanno ricevuto la comunione durante la messa crismale celebrata dal vescovo di Madison, Wisconsin, Robert Morlino, che in questo modo ha voluto prendere sul serio le indicazioni del cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti.
In diverse circostanze Sarah ha raccomandato di recuperare la sacralità nell’azione liturgica e di accentuarne la dimensione contemplativa. C’è una tendenza, ha denunciato Sarah, a mettere l’uomo, e non Dio, al centro della liturgia. E non si tratta soltanto di forma. La crisi della liturgia è lo specchio di una profonda crisi di fede che colpisce anche i ministri del culto, a volte incapaci di comprendere la liturgia eucaristica come sacrificio che rende di nuovo presente il sacrificio di Gesù sulla croce.
Spesso, sostiene Sarah, c’è la tendenza a ridurre la messa a un pasto conviviale, una festa profana nella quale la comunità celebra se stessa e le varie azioni sembrano pensate non tanto per rendere gloria a Dio e confrontarsi con Lui, ma per creare diversivi.
Osservazioni che il vescovo Morlino ha ripreso nella sua omelia per la messa crismale, come riferisce padre Richard Heilman nel sito onepeterfive.com.
La Chiesa cattolica, ha argomentato Morlino, per quanto attiva sul piano sociale, denuncia un’evidente crisi di fede, come si deduce dalle percentuali, in continuo calo, delle persone che vanno a messa.
Nella fede c’è una mancanza di fervore che emerge, sostiene Morlino, nel modo in cui a volte è celebrata la messa. Sembra che la cosa più importante sia restare occupati, fare qualcosa, e non contemplare il mistero di Dio che si rende presente. E forse è proprio perché siamo impegnati a fare qualcosa che non riusciamo più a provare meraviglia e stupore.
Noto per aver chiesto ai sacerdoti della sua diocesi di rimettere il tabernacolo al centro, dietro l’altare, nel posto che gli spetta, togliendolo così dalle collocazioni laterali e bizzarre pensate dai liturgisti dopo il Concilio, durante la messa crismale Morlino ha dato la comunione ai fedeli inginocchiati e sulla lingua, e ha incoraggiato i sacerdoti della diocesi a fare altrettanto. Un’altra proposta nel segno della sacralità.
Anche se gli storici della liturgia ci dicono che la più antica prassi di distribuzione della comunione è quella sul palmo della mano, molto presto nella Chiesa è subentrata la distribuzione sulla lingua, sia per evitare il rischio di dispersione dei frammenti eucaristici sia per favorire la crescita della devozione dei fedeli verso la reale presenza di Cristo nel sacramento.
San Tommaso si riferisce all’uso di ricevere la comunione sulla lingua sottolineando che in questo modo il sacramento non entra in contatto con nessuna cosa che non sia consacrata.
Segno di devozione è sempre stato considerato anche lo stare in ginocchio. Come dice Sant’Agostino, ripreso da Benedetto XVI nella «Sacramentum caritatis», è bene che «nessuno mangi quella carne, se prima non l’ha adorata. Peccheremmo se non l’adorassimo». Proprio Benedetto XVI, a partire dalla solennità del Corpus Domini del 2008, incominciò a distribuire ai fedeli il Corpo di Cristo sulla lingua e stando inginocchiati.
Nella sua opera «Introduzione allo spirito della liturgia» il cardinale Ratzinger spiegava che «la Comunione raggiunge la sua profondità solo quando è sostenuta e compresa dall’adorazione». Ecco perché «la pratica di inginocchiarsi per la santa Comunione ha a suo favore secoli di tradizione ed è un segno di adorazione particolarmente espressivo, del tutto appropriato alla luce della vera, reale e sostanziale presenza di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate».
Sulla stessa linea Giovanni Paolo II, che nella «Ecclesia de Eucharistia» scrive: «Non c’è pericolo di esagerare nella cura di questo Mistero, perché “in questo Sacramento si riassume tutto il mistero della nostra salvezza”».
L’esempio di monsignor Morlino sarà seguito da altri pastori? Staremo a vedere. Di certo si può dire che se fino a qualche anno fa raccomandazioni di questo tipo venivano spesso bollate come formaliste e «nostalgiche», ora incontrano maggiore attenzione.
In Italia un’Istruzione della Conferenza episcopale del 1989 permette ai fedeli di ricevere l’eucaristia sia sulla mano sia sulla lingua.
Scrive il cardinale Raymond Leo Burke nella prefazione alla versione francese del libro di monsignor Athanasius Schneider «Corpus Christi»: «Nulla è più importante nella vita di un cattolico della santa Eucaristia», che è «il mistero per eccellenza della fede».
«Mediante l’azione della Santa Messa – spiega Burke – Cristo, assiso in gloria alla destra del Padre, discende sugli altari delle chiese e delle cappelle di tutto il mondo per rendere nuovamente presente il suo sacrificio sul Calvario, sacrifico unico con il quale l’uomo è salvato dal peccato e perviene alla vita in Cristo grazie all’effusione dello Spirito Santo. È mediante la santa Eucaristia che la vita quotidiana di un cattolico riceve simultaneamente ispirazione e forza». Di qui «la profonda riverenza che occorre per trattare e ricevere la santa Eucaristia. Così, lungo i secoli, i fedeli hanno fatto la genuflessione arrivando davanti al Santissimo Sacramento e si sono inginocchiati in adorazione davanti alla Presenza Reale di Nostro Signore nella santa Eucaristia. Allo stesso modo, salvo circostanze straordinarie, solo il sacerdote o il diacono toccavano la santa Ostia o il calice del Preziosissimo Sangue».
«Uno dei ricordi più commoventi della mia infanzia – racconta il cardinale Burke – è la grande delicatezza verso il Santissimo Sacramento che mi hanno insegnato i miei genitori, il nostro parroco e le suore delle nostre scuole cattoliche. Mi ricordo in particolare le indicazioni minuziose circa la riverenza dovuta alla Presenza Reale, che mi sono state date prima di essere ammesso ad aiutare il sacerdote come chierichetto».
La fede eucaristica, ricorda Burke, si manifestava anche attraverso la bellezza dell’architettura e degli arredi, così come nella qualità degli ornamenti e della musica. Ecco perché «fra tutti i ricchi aspetti della Fede e della pratica eucaristiche, è certamente fondamentale il modo in cui i fedeli ricevono il Corpo di Cristo nella santa Comunione».
«Al momento della santa Comunione, il fedele, ben consapevole della sua indegnità e pentendosi di tutti i suoi peccati, si presenta davanti al Signore che, nel suo amore senza fine e senza misura, offre il suo Corpo come alimento celeste affinché noi lo riceviamo. Mi ricordo bene, nella mia infanzia, la diligenza di cui davano prova i miei genitori, così come i sacerdoti e le suore della scuola cattolica, per preparare i bambini a ricevere per la prima volta la santa Comunione. Mi sovvengono anche i frequenti richiami alla riverenza e all’amore che dovevamo dimostrare ricevendo la santa Comunione e facendo il ringraziamento subito dopo la ricezione del sacramento».
Pensando alla sua infanzia, il cardinale Burke va alla prima comunione (1956) e spiega che «la santa Ostia si riceveva alla balaustra, sulla lingua e in ginocchio, con le mani ricoperte da una tovaglia. Questo modo di ricevere la santa Comunione mi ha sempre colpito come la più alta espressione dell’infanzia spirituale insegnata da Nostro Signore (Mt 18,1-4), e di cui santa Teresa di Lisieux è una delle figure più notevoli. Proprio in quel periodo della mia vita, mio padre era gravemente malato ed era costretto a letto in casa. Morì nel mese di luglio 1956. Ricordo la grande preparazione e l’attenzione che egli manifestava ogni volta che il sacerdote veniva a portargli la santa Comunione. Si preparava una piccola tavola di fianco al suo letto, con un crocifisso, dei ceri e una tovaglia speciale. Si accoglieva il sacerdote in silenzio alla porta con un cero acceso e, anche se mio padre non poteva alzarsi, tutti restavano in ginocchio durante la cerimonia».
Si potrebbe dire circa il modo tradizionale di comunicarsi ciò che il Papa Benedetto XVI diceva a proposito dell’Adorazione eucaristica nell’Esortazione apostolica postsinodale «Sacramentum caritatis»: «L’Adorazione eucaristica non è che l’ovvio sviluppo della Celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più grande atto d’adorazione della Chiesa».
A proposito degli abusi liturgici, Burke parla di «negligenze» e anzi di «vere e proprie irriverenze», che si spingono fino al caso estremo del Corpo di Cristo trafugato per essere poi profanato nelle messe nere. Illustrando i contenuti del libro di monsignor Schneider, il cardinale elenca le conseguenze più gravi della ricezione della Comunione in mano: «1) la riduzione o la scomparsa di ogni gesto di riverenza e di adorazione; 2) l’utilizzo, per ricevere la santa Comunione, di un gesto abitualmente adibito alla consumazione degli alimenti ordinari, dal che deriva una perdita di Fede nella Presenza Reale, soprattutto tra i bambini e i giovani; 3) l’abbondante perdita di frammenti della santa Ostia e la loro conseguente profanazione, soprattutto quando nella distribuzione della santa Comunione manchi il piattello; 4) un altro fenomeno che si diffonde sempre più: il furto delle Sacre Specie».
C’è dunque l’esigenza pressante che la ricezione della Comunione nel rito romano «sia seriamente studiata in vista di una riforma il cui bisogno si fa pesantemente sentire».
Scrive ancora il cardinale Burke prendendo spunto da monsignor Schneider e mettendo a fuoco un aspetto sul quale raramente si riflette: «Ricordandoci l’umiltà totale dell’amore di Cristo che si dona a noi nella piccola Ostia, fragile per natura, monsignor Schneider richiama la nostra attenzione sul grave obbligo di proteggere ed adorare Nostro Signore. Infatti, nella santa Comunione, Egli, a motivo del Suo amore incessante e incommensurabile per l’uomo, si fa il più piccolo, il più debole, il più delicato fra noi. Gli occhi della Fede riconoscono la Presenza Reale nei frammenti, anche nei più piccoli, della santa Ostia, e ci conducono, così, all’Adorazione amorosa».
Ricevere Gesù Eucaristia «con una riverenza ed un’adorazione amorose» non è affatto una questione solo formale. Infatti, è proprio «in questa ricezione reverenziale e amorosa di Nostro Signore nella santa Comunione che dobbiamo attingere la forza di trasformare e rinnovare le nostre vite personali e la società, con la forza del Vangelo, come facevano i primi cristiani».
Nella speranza, ci permettiamo di aggiungere, di non assistere mai più a profanazioni come quelle avvenute durante la messa celebrata dal papa nelle Filippine, nel gennaio 2015, quando le ostie furono passate di mano in mano tra i fedeli, in mezzo alla folla.
Aldo Maria Valli
Sulla bocca e in ginocchio. Così i fedeli hanno ricevuto la comunione durante la messa crismale celebrata dal vescovo di Madison, Wisconsin, Robert Morlino, che in questo modo ha voluto prendere sul serio le indicazioni del cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti.
In diverse circostanze Sarah ha raccomandato di recuperare la sacralità nell’azione liturgica e di accentuarne la dimensione contemplativa. C’è una tendenza, ha denunciato Sarah, a mettere l’uomo, e non Dio, al centro della liturgia. E non si tratta soltanto di forma. La crisi della liturgia è lo specchio di una profonda crisi di fede che colpisce anche i ministri del culto, a volte incapaci di comprendere la liturgia eucaristica come sacrificio che rende di nuovo presente il sacrificio di Gesù sulla croce.
Spesso, sostiene Sarah, c’è la tendenza a ridurre la messa a un pasto conviviale, una festa profana nella quale la comunità celebra se stessa e le varie azioni sembrano pensate non tanto per rendere gloria a Dio e confrontarsi con Lui, ma per creare diversivi.
Osservazioni che il vescovo Morlino ha ripreso nella sua omelia per la messa crismale, come riferisce padre Richard Heilman nel sito onepeterfive.com.
La Chiesa cattolica, ha argomentato Morlino, per quanto attiva sul piano sociale, denuncia un’evidente crisi di fede, come si deduce dalle percentuali, in continuo calo, delle persone che vanno a messa.
Nella fede c’è una mancanza di fervore che emerge, sostiene Morlino, nel modo in cui a volte è celebrata la messa. Sembra che la cosa più importante sia restare occupati, fare qualcosa, e non contemplare il mistero di Dio che si rende presente. E forse è proprio perché siamo impegnati a fare qualcosa che non riusciamo più a provare meraviglia e stupore.
Noto per aver chiesto ai sacerdoti della sua diocesi di rimettere il tabernacolo al centro, dietro l’altare, nel posto che gli spetta, togliendolo così dalle collocazioni laterali e bizzarre pensate dai liturgisti dopo il Concilio, durante la messa crismale Morlino ha dato la comunione ai fedeli inginocchiati e sulla lingua, e ha incoraggiato i sacerdoti della diocesi a fare altrettanto. Un’altra proposta nel segno della sacralità.
Anche se gli storici della liturgia ci dicono che la più antica prassi di distribuzione della comunione è quella sul palmo della mano, molto presto nella Chiesa è subentrata la distribuzione sulla lingua, sia per evitare il rischio di dispersione dei frammenti eucaristici sia per favorire la crescita della devozione dei fedeli verso la reale presenza di Cristo nel sacramento.
San Tommaso si riferisce all’uso di ricevere la comunione sulla lingua sottolineando che in questo modo il sacramento non entra in contatto con nessuna cosa che non sia consacrata.
Segno di devozione è sempre stato considerato anche lo stare in ginocchio. Come dice Sant’Agostino, ripreso da Benedetto XVI nella «Sacramentum caritatis», è bene che «nessuno mangi quella carne, se prima non l’ha adorata. Peccheremmo se non l’adorassimo». Proprio Benedetto XVI, a partire dalla solennità del Corpus Domini del 2008, incominciò a distribuire ai fedeli il Corpo di Cristo sulla lingua e stando inginocchiati.
Nella sua opera «Introduzione allo spirito della liturgia» il cardinale Ratzinger spiegava che «la Comunione raggiunge la sua profondità solo quando è sostenuta e compresa dall’adorazione». Ecco perché «la pratica di inginocchiarsi per la santa Comunione ha a suo favore secoli di tradizione ed è un segno di adorazione particolarmente espressivo, del tutto appropriato alla luce della vera, reale e sostanziale presenza di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate».
Sulla stessa linea Giovanni Paolo II, che nella «Ecclesia de Eucharistia» scrive: «Non c’è pericolo di esagerare nella cura di questo Mistero, perché “in questo Sacramento si riassume tutto il mistero della nostra salvezza”».
L’esempio di monsignor Morlino sarà seguito da altri pastori? Staremo a vedere. Di certo si può dire che se fino a qualche anno fa raccomandazioni di questo tipo venivano spesso bollate come formaliste e «nostalgiche», ora incontrano maggiore attenzione.
In Italia un’Istruzione della Conferenza episcopale del 1989 permette ai fedeli di ricevere l’eucaristia sia sulla mano sia sulla lingua.
Scrive il cardinale Raymond Leo Burke nella prefazione alla versione francese del libro di monsignor Athanasius Schneider «Corpus Christi»: «Nulla è più importante nella vita di un cattolico della santa Eucaristia», che è «il mistero per eccellenza della fede».
«Mediante l’azione della Santa Messa – spiega Burke – Cristo, assiso in gloria alla destra del Padre, discende sugli altari delle chiese e delle cappelle di tutto il mondo per rendere nuovamente presente il suo sacrificio sul Calvario, sacrifico unico con il quale l’uomo è salvato dal peccato e perviene alla vita in Cristo grazie all’effusione dello Spirito Santo. È mediante la santa Eucaristia che la vita quotidiana di un cattolico riceve simultaneamente ispirazione e forza». Di qui «la profonda riverenza che occorre per trattare e ricevere la santa Eucaristia. Così, lungo i secoli, i fedeli hanno fatto la genuflessione arrivando davanti al Santissimo Sacramento e si sono inginocchiati in adorazione davanti alla Presenza Reale di Nostro Signore nella santa Eucaristia. Allo stesso modo, salvo circostanze straordinarie, solo il sacerdote o il diacono toccavano la santa Ostia o il calice del Preziosissimo Sangue».
«Uno dei ricordi più commoventi della mia infanzia – racconta il cardinale Burke – è la grande delicatezza verso il Santissimo Sacramento che mi hanno insegnato i miei genitori, il nostro parroco e le suore delle nostre scuole cattoliche. Mi ricordo in particolare le indicazioni minuziose circa la riverenza dovuta alla Presenza Reale, che mi sono state date prima di essere ammesso ad aiutare il sacerdote come chierichetto».
La fede eucaristica, ricorda Burke, si manifestava anche attraverso la bellezza dell’architettura e degli arredi, così come nella qualità degli ornamenti e della musica. Ecco perché «fra tutti i ricchi aspetti della Fede e della pratica eucaristiche, è certamente fondamentale il modo in cui i fedeli ricevono il Corpo di Cristo nella santa Comunione».
«Al momento della santa Comunione, il fedele, ben consapevole della sua indegnità e pentendosi di tutti i suoi peccati, si presenta davanti al Signore che, nel suo amore senza fine e senza misura, offre il suo Corpo come alimento celeste affinché noi lo riceviamo. Mi ricordo bene, nella mia infanzia, la diligenza di cui davano prova i miei genitori, così come i sacerdoti e le suore della scuola cattolica, per preparare i bambini a ricevere per la prima volta la santa Comunione. Mi sovvengono anche i frequenti richiami alla riverenza e all’amore che dovevamo dimostrare ricevendo la santa Comunione e facendo il ringraziamento subito dopo la ricezione del sacramento».
Pensando alla sua infanzia, il cardinale Burke va alla prima comunione (1956) e spiega che «la santa Ostia si riceveva alla balaustra, sulla lingua e in ginocchio, con le mani ricoperte da una tovaglia. Questo modo di ricevere la santa Comunione mi ha sempre colpito come la più alta espressione dell’infanzia spirituale insegnata da Nostro Signore (Mt 18,1-4), e di cui santa Teresa di Lisieux è una delle figure più notevoli. Proprio in quel periodo della mia vita, mio padre era gravemente malato ed era costretto a letto in casa. Morì nel mese di luglio 1956. Ricordo la grande preparazione e l’attenzione che egli manifestava ogni volta che il sacerdote veniva a portargli la santa Comunione. Si preparava una piccola tavola di fianco al suo letto, con un crocifisso, dei ceri e una tovaglia speciale. Si accoglieva il sacerdote in silenzio alla porta con un cero acceso e, anche se mio padre non poteva alzarsi, tutti restavano in ginocchio durante la cerimonia».
Si potrebbe dire circa il modo tradizionale di comunicarsi ciò che il Papa Benedetto XVI diceva a proposito dell’Adorazione eucaristica nell’Esortazione apostolica postsinodale «Sacramentum caritatis»: «L’Adorazione eucaristica non è che l’ovvio sviluppo della Celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più grande atto d’adorazione della Chiesa».
A proposito degli abusi liturgici, Burke parla di «negligenze» e anzi di «vere e proprie irriverenze», che si spingono fino al caso estremo del Corpo di Cristo trafugato per essere poi profanato nelle messe nere. Illustrando i contenuti del libro di monsignor Schneider, il cardinale elenca le conseguenze più gravi della ricezione della Comunione in mano: «1) la riduzione o la scomparsa di ogni gesto di riverenza e di adorazione; 2) l’utilizzo, per ricevere la santa Comunione, di un gesto abitualmente adibito alla consumazione degli alimenti ordinari, dal che deriva una perdita di Fede nella Presenza Reale, soprattutto tra i bambini e i giovani; 3) l’abbondante perdita di frammenti della santa Ostia e la loro conseguente profanazione, soprattutto quando nella distribuzione della santa Comunione manchi il piattello; 4) un altro fenomeno che si diffonde sempre più: il furto delle Sacre Specie».
C’è dunque l’esigenza pressante che la ricezione della Comunione nel rito romano «sia seriamente studiata in vista di una riforma il cui bisogno si fa pesantemente sentire».
Scrive ancora il cardinale Burke prendendo spunto da monsignor Schneider e mettendo a fuoco un aspetto sul quale raramente si riflette: «Ricordandoci l’umiltà totale dell’amore di Cristo che si dona a noi nella piccola Ostia, fragile per natura, monsignor Schneider richiama la nostra attenzione sul grave obbligo di proteggere ed adorare Nostro Signore. Infatti, nella santa Comunione, Egli, a motivo del Suo amore incessante e incommensurabile per l’uomo, si fa il più piccolo, il più debole, il più delicato fra noi. Gli occhi della Fede riconoscono la Presenza Reale nei frammenti, anche nei più piccoli, della santa Ostia, e ci conducono, così, all’Adorazione amorosa».
Ricevere Gesù Eucaristia «con una riverenza ed un’adorazione amorose» non è affatto una questione solo formale. Infatti, è proprio «in questa ricezione reverenziale e amorosa di Nostro Signore nella santa Comunione che dobbiamo attingere la forza di trasformare e rinnovare le nostre vite personali e la società, con la forza del Vangelo, come facevano i primi cristiani».
Nella speranza, ci permettiamo di aggiungere, di non assistere mai più a profanazioni come quelle avvenute durante la messa celebrata dal papa nelle Filippine, nel gennaio 2015, quando le ostie furono passate di mano in mano tra i fedeli, in mezzo alla folla.
Aldo Maria Valli
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