venerdì 28 aprile 2017

«Non ho mai conosciuto un malato autodeterminato a sospendere le cure»





Intervista a Alberto Zangrillo, vate della rianimazione, dopo l’approvazione delle Dat: «Tra l’esecuzione capitale in Arkansas e il suicidio assistito in Svizzera non c’è differenza»

Aprile 28, 2017 Caterina Giojelli



«In 34 anni di lavoro in terapia intensiva non ho mai conosciuto un malato autodeterminato a sospendere le cure», «un malato non può morire di sete o di fame», «tra l’esecuzione capitale stile prigione dell’Arkansas e suicidio assistito nella clinica svizzera non c’è una differenza sostanziale». Alberto Zangrillo è un’autorità scientifica di prim’ordine e in oltre trent’anni di vita in terapia intensiva e in sala operatoria non è mai entrato in conflitto con l’articolo 32 della Costituzione (diritto al rifiuto alle cure) cercando di salvare una vita.

Direttore dell’Unità operativa di Anestesia e Rianimazione Generale e dell’Unità operativa di Anestesia e Rianimazione Cardio-Toraco-Vascolare presso l’Irccs San Raffaele di Milano, direttore della Scuola di specializzazione in Anestesia e Rianimazione presso l’Università Vita-Salute San Raffaele, autore di Ri-animazione. Tecnica e sentimento (editrice San Raffaele, 2010), stimatissimo nel mondo scientifico e noto alle cronache per essere il medico di Silvio Berlusconi, Zangrillo è un gigante della competenza, l’etica professionale e la responsabilità del medico.

«Chi pensa di dover decidere in base ai codici o alle sentenze, per me, è bene che faccia un altro mestiere», «i soloni mediatici prima di mettere in scena la loro opera vengano in terapia intensiva o in pronto soccorso a parlare con la madre e il padre di un ragazzo che sta perdendo la vita», scriveva su Panorama qualche tempo prima che stampa e tv si occupassero della storia di Michi, il quattordicenne rianimato e salvato da Zangrillo dopo un annegamento durato 42-43 minuti nel Naviglio. “Miracolo della scienza”, titolarono in tanti: il fatto risale al 2015, oggi il ragazzo studia, «se avessi dovuto dar retta alla famiglia sarebbe morto. Come medico ho tutti gli strumenti per sapere quando è opportuno ed etico intervenire nel rispetto del mio mandato, che è salvaguardare la vita», ha ribadito Zangrillo al Corriere il 20 aprile scorso, mentre la Camera approvava con 326, contrari 37, 4 astenuti la legge sul biotestamento che introduce le Dat (Dichiarazioni anticipate di trattamento) con il diritto per i pazienti di rifiutare le cure.

Professore, come ha accolto la notizia? In base alla sua esperienza ritiene che le Dat siano utili?
Ho accolto la notizia con assoluto disinteresse. È come se ad una persona abituata a leggere i classici della letteratura mondiale venisse data la notizia di un articolo uscito su una rivista di gossip. Le deliberazioni in materia devono essere il frutto di un lavoro serio che tenga conto dei princìpi etici, morali, deontologici e professionali.

In base alla legge il paziente avrà il diritto di rifiutare preventivamente le terapie. Ma a fronte del divieto dell’accanimento terapeutico, il medico potrà appellarsi all’obiezione di coscienza e rifiutarsi di “staccare la spina”: il medico dunque può ignorare le Dat?
Nessun medico serio, preparato e competente mette in atto terapie afinalistiche col solo scopo di prolungare la vita senza salvaguardarne la qualità. In altre parole l’accanimento terapeutico, se sussiste, è figlio dell’incompetenza e va combattuto. Altro è lo sforzo quotidiano di migliorare la prognosi del paziente.



Chi decide, o dovrebbe decidere, sulla proporzionalità delle cure? Il medico ha completa discrezionalità o prevale l’autodeterminazione del malato?
Il medico ha studiato duramente per potersi assumere delle responsabilità di strategia terapeutica anche gravi e rischiose. Il medico ha l’obbligo di informare, ascoltare e decidere. In 34 anni di lavoro in terapia intensiva non ho mai conosciuto un malato autodeterminato a sospendere le cure. Il mio dovere è non mollare mai fino a quando si intravede una ragionevole prospettiva positiva. Nei casi in cui l’emergenza di una patologia acuta non ci consenta una previsione di prognosi il dovere del medico è quello di non lasciare nulla di intentato.


Se la legge entrerà in vigore, il paziente avrà la possibilità di sospendere o rinunciare anche all’alimentazione e idratazione artificiali, indipendentemente dalla propria condizione o dall’efficacia del trattamento. Questa disposizione può aprire a possibili richieste di eutanasia omissiva o suicidio assistito?
Questi sono argomenti molto seri e molto difficili da trattare e come tali non dovrebbero essere oggetto di dibattito da salotto. L’idratazione e l’alimentazione di un malato devono essere sempre garantiti per evitare la sofferenza inumana che deriverebbe dalla loro sospensione. Un malato non può morire di sete o di fame. I medici sono in grado di assistere con dignità la fase terminale di una patologia maligna: nessun rianimatore competente ventilerebbe artificialmente un malato terminale o tratterebbe farmacologicamente un’aritmia maligna quando il destino è segnato.



L’obbligo di adempiere alla legge, anche nelle sue disposizioni più sensibili sotto il profilo etico, rimane per tutte le strutture sanitarie accreditate presso il Ssn, comprese quelle cattoliche. Lei cosa ne pensa?
Sono certo che esista uno spazio per consentire al medico di adempiere ai suoi doveri nel rispetto della legge e negli interessi del suo paziente. Se ciò non fosse vorrebbe dire che la legge è sbagliata ed eserciterei il mio diritto all’obiezione.

Dopo Beppino Englaro, Saviano ha esortato gli italiani a chiedere scusa anche a Fabiano Antoniani: «Perdonaci per non essere riusciti a farti lasciare questa vita in una condizione per te umana, non dovendo affrontare un viaggio faticoso e assurdo per ottenere in Svizzera quello che avresti avuto diritto ad avere a casa tua». Il ddl sul biotestamento ha ricevuto infatti un’accelerazione dopo il suicidio assistito del dj. Lei cosa pensa di come si è sviluppato il dibattito attorno alla libertà di scelta sul fine-vita?
Il problema vero non è quello di andare in questo o quel paese a farsi uccidere, il problema reale è il dramma che vivono centinaia di malati che non hanno accesso alle cure: io chiedo scusa alle migliaia di persone sconosciute e povere che in Italia muoiono in modo inumano perché non hanno la possibilità di essere assistite ed aiutate nelle drammatiche fasi della loro malattia. Comunque tra l’esecuzione capitale stile prigione dell’Arkansas e suicidio assistito nella clinica svizzera non c’è una differenza sostanziale.

Foto Ansa




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