lunedì 28 ottobre 2013

Il silenzio liturgico

 



Il silenzio liturgico

Quando è l'assenza di parola ad esprimere il mistero


di Peter Kwasniewski


Un amico mi ha inviato un affascinante saggio dal titolo "Il silenzio liturgico" di Charles Harris, tratto da una collezione anglicana di studi denominati "Liturgia e Culto" (1932), edizione W. K. Lowther Clarke. Ne sono stato talmente avvinto, che ho deciso di presentarne un riassunto con numerose citazioni e con qualche applicazione alla nostra attuale vita liturgica.

Harris cita una grande quantità di fonti liturgiche dei primi tempi della cristianità, al fine di sostenere la sua tesi secondo la quale la recita silenziosa di tutta o parte dell'anafora (o canone) della liturgia eucaristica, era divenuta la norma fin dall'inizio, sia nella Chiesa d'Oriente che di Occidente. Tale realtà - e soprattutto, la teologia e spiritualità soggiacenti che la determinano - è un richiamo ammonitore per i cattolici di Rito Romano perché mantengano con zelo e diffondano il Canone silenzioso (nell'usus antiquior) oppure siano portati a rivalutarlo e recuperarlo (nel Novus Ordo). Tale antica e durevole tradizione, come pure la direzione ad orientem e l'esercizio di ruoli liturgici da parte di ministri ordinati, manifesta la grande riverenza che si deve a Nostro Signore Gesù Cristo nel Santissimo Sacramento.

Innanzitutto, Harris tratta della psicologia del silenzio, con queste parole:

"Lo scopo del silenzio (oppure della recita sommessa o sussurrata) è di acquietare i sensi esteriori per porli in una condizione di ricettività, e così indurre tranquillità, riposo, pace interiore, rilassare la tensione del sistema nervoso, inducendo gradualmente a uno stato di pacifica attesa di Dio, e aprendo allo stesso tempo il proprio 'subconscio' o 'inconscio' all'influsso della grazia e dell'ispirazione religiosa" (p. 775).

Chi partecipa a Messe feriali silenziose conosce bene la pace profonda e la sacra calma che regnano in un'anima e nella chiesa stessa, e per quanto io sia un ardente fautore della Messa solenne cantata, riconosco che vi è un prezioso valore devozionale e un potere mistico-ascetico nella 'Missa lecta' o 'Missa recitata'. Ma, da maestro di coro, mi ha sempre colpito il silenzio che ci può essere anche all'interno di una Messa cantata, sia durante il canone che durante il rito di Comunione. L'antico Rito Romano ha in genere il carattere di accesso al 'riposo' di Dio, il misterioso riposo sabbatico del settimo giorno che anticipa la gloria dell'eterno ottavo giorno della beatitudine celeste.

In secondo luogo, Harris tenta di individuare l'origine della transizione da una anafora parlata a una anafora del tutto o parzialmente silenziosa.

"A un tempo indeterminato della Chiesa dei primi secoli, fu consuetudine graduale, sia in oriente che in occidente, recitare alcune tra le più solenni preghiere eucaristiche, particolarmente la maggior parte del canone, con voce sommessa o non udibile. Tale recita fu denominata 'mistica' (mysticos), un epiteto che ne esprime bene il significato... Provocava un senso irresistibile non soltanto di umiltà, ma anche di 'abiezione' e di 'nullità' che ben si addice alla creatura introdotta alla presenza immediata del suo Creatore" (p. 775).

Quasi en passant, Harris abbozza un giudizio complessivo sul carattere o tipo del culto cattolico a confronto con il culto protestante:

"Ci sono ovvi svantaggi, sia di genere devozionale che intellettuale, nella recita silenziosa del canone o anafora. Ma d'altra parte, non si può negare che la preghiera 'mistica' del celebrante è un fattore primario per la formazione di quell'atmosfera emozionante di adorazione estasiata che è la nota distintiva del culto cattolico lungo i secoli, e che il culto di tipo più intellettuale, istruttivo ed 'edificante' dei moderni protestanti sembra incapace di evocare" (p. 776).

Mi ha amareggiato questa descrizione del culto cattolico, poiché corrisponde oggi all'usus antiquior, mentre quella del culto 'protestante' si allinea con la descrizione del Novus Ordo: intellettuale, istruttivo, e (nel migliore dei casi) edificante, secondo l'intenzione dei suoi architetti, ma non certo caratterizzato da "un'atmosfera emozionante di adorazione estasiata". Sono convinto infatti che molti cattolici che sono passati dalla forma ordinaria a quella straordinaria, non lo abbiano fatto esclusivamente o primariamente per fuggire dagli abusi dilaganti, ma soprattutto per trovare un rifugio spirituale che assicuri meditazione e adorazione. Quasi una monastica "fuga dal mondo" per trovare Dio. Se non incontriamo il Dio vivente nella preghiera e non usciamo da noi stessi per adorarlo in spirito e verità, non potremo sperare di vivere da cristiani nella società attuale. E' indispensabile alternare un ritmo di raccoglimento interiore a un ritmo di impegno esteriore, e forse è proprio l'appello insistente nel Novus Ordo all'impegno, all'attività, all'evangelistico, che ha esaurito le più intime risorse spirituali dei cattolici, necessarie per combattere il mondo, la carne e il diavolo.

In terzo luogo, Harris afferma che la recita silenziosa o 'mistica' dell'anafora è legata a una sottolineatura ancora più forte, sia nei testi liturgici che nella predicazione, della mirabile realtà dei divini misteri del corpo e sangue di Cristo affidati alla Chiesa. Benché "fin dall'inizio della cristianità un certo grado di stupore e timore accompagnasse la celebrazione dei santi misteri, come appare chiaro dal linguaggio di San Paolo (1 Cor. 11, 26-33)" (p. 776), possiamo rilevare con maggiore chiarezza tale coscienza nelle tre principali liturgie orientali: quella di San Giacomo, di San Giovanni Crisostomo e di San Basilio.

Harris sostiene che la liturgia di San Giacomo, che conteneva la primitiva liturgia di Gerusalemme, esisteva già sostanzialmente nella sua attuale forma fin dal 348, e venne composta tra il 330 e il 335 a causa delle sue allusioni alla cristologia nicena. Più della data, è interessante per il nostro scopo la descrizione fatta da Harris:

"Un'atmosfera di stupore mistico pervade l'intera liturgia. I fedeli sono descritti 'colmi di timore e stupore' nell'offrire 'questo temibile e incruento sacrificio', ulteriormente descritto come 'ministero temibile e venerabile (phriktes)'. Dopo la consacrazione, gli elementi vengono chiamati 'santificati, preziosi, ineffabili, immacolati, gloriosi, terriibili (phoberon), stupefacenti (phrikton), divini (theon)" (p. 777).

Troviamo molte frasi simili in San Cirillo di Gerusalemme, a conferma che era il linguaggio familiare dei cristiani di quel periodo, a metà del IV secolo. La liturgia di San Basilio, attribuita con buona ragione allo stesso santo (ca. 330-379), non si differenzia:

"Un senso di stupore 'numinoso' pervade questa liturgia che parla dei misteri non solo come 'divini, santi, immacolati, immortali, celesti ed emozionanti', ma anche di 'tremendi' o 'temibili' (phrikton, letteralmente 'rabbrividenti') (p. 778).

Harris ritiene che il commento di San Giovanni Crisostomo a 1 Cor. 14,16 faccia pensare che parti dell'anafora fossero recitate ad alta voce, specialmente le parole conclusive "per tutti i secoli dei secoli", che costituivano il segnale per la risposta "Amen" da parte del popolo - esattamente come il Rito Romano fa pronunciare o cantare al celebrante "per omnia saecula saeculorum", con la medesima risposta.

A livello di testimonianze della prassi universale nella Chiesa dei primi secoli, abbiamo una sorprendente omelia di fonte nestoriana, tenuta del sacerdote Narsai del tardo V secolo (Narsai morì nel 502), che ci dice nella Omelia 17 che dopo il 'Sursum corda' e prima del 'Sanctus':

"tutto il corpo ecclesiale osserva il silenzio, e tutti si dispongono a pregare con sincerità nel loro cuore. I sacerdoti sono immobili e i diaconi restano in silenzio... tutto il popolo sta immobile in silenzio, tranquillo e sottomesso... I misteri sono ben preparati, gli incensieri fumano, le lampade brillano, e i diaconi reggono e agitano ventagli a somiglianza di sentinelle (cioè angeli). Su quel luogo scende un silenzio profondo e una quiete sovrana, colmo e straripante di lucentezza e splendore, bellezza e potenza" (p. 779).

Narsai racconta inoltre che il sacerdote pronuncia l'epiclesi con voce non udibile, poiché prega "con timore e tremore, e intensa venerazione", per cui un araldo annuncia all'assemblea che è giunto il momento dell'epiclesi, in modo che tutti vi si dispongano con riverenza e adorazione. L'araldo grida: "In silenzio e timore state in piedi: la pace sia con noi. Tutto il popolo abbia timore in questo momento in cui gli adorabili misteri sono compiuti con la discesa dello Spirito".

Harris termina il discorso sulle liturgie orientali, notando che la prassi della recita silenziosa o 'mistica' dell'anafora era di uso ufficiale e comandato fin verso la fine del secolo VIII - e ciò malgrado il fatto che l'imperatore Giustiniano avesse tentato, nel 565, di proibire tale prassi per decreto imperiale, ordinando che il sacerdote pronunciasse le orazioni della liturgia ad alta voce! Attorno agli anni in cui Harris scriveva, era evidente che la medesima prassi della recita silenziosa vigeva nel Rito Romano, almeno dal secolo VIII.

Infine Harris, dopo aver riassunto l'importanza data dalla tradizione anglicana alla parola vernacolare parlata, lancia una proposta pratica alla Chiesa anglicana, della quale egli è membro, al fine di recuperare qualcosa della dimensione mistica andata perduta. La sua proposta finisce per avere un singolare rilievo anche per noi cattolici contemporanei, alla ricerca di modalità per la celebrazione del Rito Romano con riferimento alla "regola aurea", il Rito Romano tradizionale, antenato ed esemplare del Rito Romano riformato:

"Non è necessario parlare ad alta voce per rendere udibile la voce. E' possibile infatti ottenere un completo effetto 'mistico' di silenzio recitando il canone a voce molto bassa e sommessa, ben udibile in chiesa da ciascun ascoltatore attento, divenendo così espressiva e carica della più profonda venerazione religiosa. Non è auspicabile, per soddisfare una o due persone parzialmente sorde, alzare la voce impedendo in questo modo la devozione dell'assemblea, devozione tanto più intensificata e accresciuta quanto più la voce ha un tono sommesso" (p. 782).

Pur non essendo d'accordo con Harris nella tesi che si ottenga un 'completo' effetto mistico di silenzio con un canone recitato ad alta voce, sia pure con tono più basso, la portata del suo consiglio è certamente importante ed efficace. Mi ricorda l'invito fatto dal Cardinale Ratzinger a riesaminare il canone per valutare il ritorno della preghiera silenziosa per certe parti del canone stesso, al fine di una doverosa risposta di riverenza orante che, per ironia, la continua recita di testi divenuti familiari può diminuire se non addirittura escludere.

La lezione più generale che si trae dalla ricerca di Harris è che la recita silenziosa o 'mistica' del canone risale a una tradizione della metà del primo millennio della cristianità. Per chi ha grande apprezzamento per ciò che è antico, questo è veramente antico; e dal momento che le esigenze dell'uomo sono fondamentalmente le stesse in ogni epoca, la Chiesa, avendo da subito trovato nella liturgia ciò che meglio si addice per la celebrazione della realtà e per la salvezza delle persone, ha conservato gelosamente tale approccio lungo i secoli. "Il Signore sta nel suo tempio santo. Taccia, davanti a lui, tutta la terra!" (Ab. 2,20).

Per chi pensa che l'uomo moderno abbia bisogno di cose diverse dall'uomo di altre epoche, è palese che il motivo dell'antichità non abbia alcun peso. Ma per essere davvero coerente, il modernista non deve mai dare forza alle sue posizioni appellandosi alle prassi o testimonianze antiche, deve invece modellare la sua liturgia da cima a fondo di testa propria, senza riferirsi al passato. Una volta messo da parte il criterio di tradizione in quanto inappropriato per l'uomo moderno, è ovvio che qualsiasi scelta che si ispiri a un millennio o a un secolo passato, sarà puramente arbitraria o politica.

Chiunque creda che si dovrebbe rendere culto in continuità con i nostri progenitori, riceverà la liturgia da essi tramandata con gratitudine - con le sue fondamentali caratteristiche che non sono mai cambiate, quale l'orientamento di clero e popolo ad oriente, e quelle caratteristiche che ebbero la loro forma definitiva nel periodo patristico e non furono mai abbandonate fino alla sperimentazione degli anni '60.

fonte: New Liturgical Movement, 14/10/2013
http://www.newliturgicalmovement.org/2013/10/the-silent-canon-is-worship-supposed-to.html
trad. it. di d. Giorgio Rizzieri

http://www.diocesiportosantarufina.it/home/news_det.php?neid=2673

 

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