mercoledì 30 ottobre 2013

Contenuto teologico ed esemplarità metodologica del «Gesù di Nazaret» di Joseph Ratzinger. Storia e fede legate a filo doppio








Simposio. Pubblichiamo alcuni stralci della relazione tenuta dal cardinale prefetto della Congregazione delle Cause dei santi nel simposio della Fondazione Joseph Ratzinger che si è svolto alla Pontificia Università Lateranense e in Vaticano.







di Angelo Amato


Sant’Ambrogio nel suo commento al Salmo 45 scriveva: «Bussa alla porta: la porta è Cristo. Bussa alla porta del Verbo, perché ti sia aperto, e tu possa dire il mistero di Cristo e trovare i tesori nascosti in Cristo». Queste parole si adattano bene alla meditazione teologica di Benedetto XVI su Gesù. Egli ha bussato alla porta del cuore di Cristo, che lo ha introdotto e guidato alla contemplazione amorosa del suo mistero. Nei tre volumi cristologici risalta all’evidenza la sensibilità del Pontefice emerito alla presenza diffusa e prossima di nostro Signore Gesù Cristo. Se scrive di lui è perché lo cerca, lo desidera, lo ama, perché gli è grato per l’abbondanza del suo perdono, della sua misericordia, della sua grazia. Papa Benedetto potrebbe ripetere con Ambrogio: «Oggi, mentre vi sto parlando, egli è con me, qui, in questo punto, in questo momento».

In queste giornate di studio sulla relazione tra storia e cristologia si è spalancato il vasto e laborioso cantiere interdisciplinare che, in varie parti del mondo e da vari punti di vista, sta apportando singolari apporti alla moderna ricerca sui Vangeli. Questa semplice constatazione contribuisce a superare un certo fissismo nell’approccio storico-teologico a Gesù di Nazaret e a ridimensionare, se non proprio ad annullare, quell’ideologia del sospetto che, dal Settecento in poi, con le varie fasi della Leben Jesu Forschung, si è annidata nello studio dell’autenticità storica dei dati biblici.

A questo miglioramento di prospettiva contribuiscono in modo determinante discipline come l’archeologia, la papirologia, lo studio comparato delle biografie greco-romane con i Vangeli. Questi apporti hanno avuto come conseguenza la conferma dell’affidabilità storica dei Sinottici, del quarto Vangelo, dell’apporto paolino alla storia e alla figura di Cristo. È stata inoltre ribadita l’importanza della lettura patristica del Nuovo e dell’Antico Testamento, che tanta luce ha gettato, soprattutto con i concili dei primi secoli, nella comprensione sempre più penetrante del dato cristologico. Sono tutti contributi che rinnovano l’impostazione metodologica e contenutistica del fare e insegnare cristologia oggi.

I tre volumi del Gesù di Nazaret di Benedetto XVI respirano a pieni polmoni questo nuovo clima di ricerca e di valutazione, lontano da limitanti e ormai superati pregiudizi ideologici. E risiede proprio qui la loro decisiva rilevanza per l’odierna cristologia accademica e per un valido approdo, fondato e non acritico, al suo naturale traguardo non solo di conoscenza di Cristo ma soprattutto di vita in Cristo. Il legame infatti tra il fondamento storico e le sua rilevanza teologica e spirituale è indispensabile per una proposta cristologica completa e affidabile.

In questa linea Benedetto XVI dialoga con i più validi studiosi dell’antichità cristiana per una riaffermazione del valore storico-documentario dei dati biblici. Ribadendo la continuità tra il Gesù della storia e il Cristo della fede egli elabora una esemplare cristologia prepasquale, che ripercorre l’intera parabola terrena di Gesù, contemplato nei suoi atteggiamenti, nelle sue azioni, nelle sue parole. In tal modo, egli pone rimedio a tre limiti della cristologia contemporanea, denunciati nel 2003 nel volume In cammino verso Gesù Cristo (Unterwegs zu Christus): una grave decristologizzazione, che riduce Gesù a semplice modello di umanità piuttosto accomodante, che nulla esige e tutto approva; il rifiuto della presenza del soprannaturale nella storia, che conduce a una interpretazione sedicente “scientifica”, ma in realtà “ideologica”, della sua figura; infine, una malintesa attualizzazione, che diventa criterio arbitrario di individuazione dell’autenticità o meno delle parole e delle azioni di Gesù, tralasciando elementi centrali del mistero di Cristo per evidenziare solo quanto si “presuppone” sia “attuale”: «Le presupposizioni riguardo a ciò che Gesù non poteva essere (Figlio di Dio), e riguardo a ciò che doveva essere, diventano criteri d’interpretazione e fanno apparire come frutto di rigore storico ciò che in realtà è unicamente il risultato di premesse filosofiche» (In cammino verso Gesù Cristo, Cinisello Balsamoo, San Paolo, 2004).

Nel suo trittico, il Santo Padre rilegge quindi la “storia” di Gesù nella sua completezza e cioè nella sua duplice valenza di avvenimento spazio-temporale (Historie) e di evento salvifico (Geschichte). Si tratta della pienezza armonica dell’evento Cristo, così come ce lo consegna la prima predicazione apostolica postpasquale.
La storia di Gesù non è una creazione mitologica della prima comunità cristiana o una conseguenza delle condizioni socio-politiche ed economiche del tempo. Essa è un supporto ineliminabile della realtà di Gesù, sia per non farne un eroe immaginario o un semplice maestro atemporale di umanità, sia per non incorrere in un fideismo acritico, come capita per le letture fondamentaliste della Bibbia.

L’originalità del cristianesimo risiede proprio nell’affermazione che la storia umana ha ospitato l’evento Cristo, dono di amore del Padre a tutta l’umanità, il Verbo fatto carne da adorare, il Redentore da amare, il Giudice escatologico da onorare. Con ciò si afferma che la globalità del suo evento e ogni singolo suo “mistero” è storia di salvezza di Dio Trinità per l’uomo. In Cristo, la storia umana è diventata evento salvifico.
Non quindi sola fides, perché fides sine historia sarebbe infondata. Né, tanto meno, sola historia, perché historia sine fide sarebbe insufficiente per cogliere la verità del dono di Dio in Cristo. Pertanto historia et fides sono inscindibilmente unite e costituiscono i pilastri della verità del cristianesimo, che è salvezza nella storia e nella fede.

Per la fede biblica — nota il Papa emerito — è indispensabile e fondamentale il factum historicum, il riferimento, cioè, a eventi storici realmente accaduti. L’incarnatus est non è un’affermazione poetica o simbolica, ma fortemente realistica. Per questo egli opta per un’interpretazione ecclesiale (esegesi canonica), che, confidando nei risultati dell’indagine storico-critica, non ne assolutizza, però, il valore e non ne condivide l’atteggiamento di sospetto metodico.

I suoi criteri interpretativi sono quindi: fiducia nell’attendibilità storica del dato neotestamentario; affermazione dell’unità e della continuità tra Antico e Nuovo Testamento; importanza ermeneutica della tradizione viva della Chiesa; attenzione all’analogia della fede, intesa come consonanza delle corrispondenze interne del dato di fede.

Questo quadro metodologico è accompagnato da una presupposto contenutistico che presenta Gesù come il nuovo Mosè profetizzato dalle Scritture. Ciò che rendeva decisiva la figura di Mosè non era tanto la sua potenza taumaturgica o la liberazione del suo popolo dalla schiavitù egiziana, quanto invece l’aver conversato “a faccia a faccia” con Dio, come fa l’amico con l’amico. Questo accesso immediato a Dio gli permise di comunicare la parola di Dio e la sua volontà di prima mano e senza falsificazione.

Questa familiarità aveva, però, dei limiti. Mosè, pur parlando con Dio, non vide mai il suo volto, ma solo le sue spalle. La visione piena di Dio sarebbe stata appannaggio del nuovo Mosè, che avrebbe vissuto al cospetto di Dio non solo come amico, ma come Figlio. E da questa comunione filiale egli avrebbe attinto la sua autorità dottrinale, l’efficacia delle sue opere di potenza, l’originalità dei suoi atteggiamenti: «Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Giovanni, 1, 18). Benedetto XVI vede realizzata in Gesù, pienamente e senza limiti, la promessa del nuovo profeta e del mediatore della nuova alleanza. È questa la chiave per la retta comprensione di Cristo, il cui insegnamento “con autorità” non proviene da un apprendistato umano ricevuto in una scuola, quanto piuttosto dall’immediato contatto con il Padre, che egli vede faccia a faccia e del quale è “la Parola”: «La dimensione cristologica, cioè il mistero del Figlio come rivelatore del Padre, la “cristologia”, è presente in tutti i discorsi e in tutte le azioni di Gesù».

È questa la chiave di lettura dell’evento Cristo consegnatoci dai Vangeli. Nei tre volumi quindi si ha una straordinaria e inedita sintesi di “cristologia prepasquale”, che è sostanzialmente una concreta offerta da parte di Gesù, prima della Pasqua, di tutti gli indizi per una comprensione corretta del suo mistero. Una cristologia che, da parte di Gesù, è già esplicita, ma che, prima della Pasqua, rimane ancora implicita per i discepoli, che lo confesseranno con fede solo nell’incontro con Lui come Risorto.









L'Osservatore Romano, 30 ottobre 2013

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