sabato 5 gennaio 2013

PADRE SERAFINO M. LANZETTA: Il caso Ranher, una critica eccessiva o "teologicamente scorretta"? - SECONDA PARTE







Padre Serafino M. Lanzetta, OP

L’opera di Rahner è un tutto teologico – lo si vede molto bene anche in Uditori della Parola – con delle indispensabili premesse filosofico-esistenzialiste. Dunque, bisogna tener conto di tutto il suo pensiero. È metodologicamente scorretto prendere solo il suo pensiero filosofico senza quello teologico, come quello teologico senza quello filosofico.

È vero, Rahner fa principiare la conoscenza dell'uomo dai sensi come vuole la scuola aristotelico-tomista, ma a differenza di s. Tommaso, la sua conversio ad phantasmata diventa l'atto di coscienza fondamentale che ha ragione di cominciamento propriamente parlando. I sensi vengono ad essere inclusi nell'intelletto. E di questo diamo ora ragione.

In Uditori della Parola, Rahner dipende più che da S. Tommaso da Sein und Zeit di Heidegger. Vuole appurare se e in che senso l’uomo come “udito” (Gehör), in ragione del darsi della Rivelazione, potrebbe scoprirla in sé, prima che di fatto ha ascoltato qualcosa, attraverso cui sa che può ascoltare, e come deve essere interpretata nel suo costitutivo questo capacità di ascolto (Hörenkönnen).

Per s. Tommaso l'essere non è posto dall'esistenza, è invece Heidegger che postula l'esistenza come riconoscimento dell'essere e l'uomo come suo “pastore”, termine del suo svelamento. Per Heidegger l'essere è dell'essente e Rahner in Uditori della Parola si mette alla ricerca – poiché non lo si sa! –, di cosa sia l'essere dell'essente. Si domanda: «Cos’è l’essere dell’essente come tale e in generale?».

In verità, in qualche pagina precedente, aveva già tentato una risposta quando dice: «L’essenza dell’essere dell’essente è il riconoscimento e la riconoscibilità in una unità originaria, che abbiamo chiamato essere-presso di sé, trasparenza (Gelichtetheit) dell’essere per se stesso, in quanto soggettività» .

Per s. Tommaso, invece, l'essere è sempre inteso come ente in quanto ente, l'essere non si esaurisce nell'oggettività e questa non si fonda a partire dalla soggettività (dall'esistente). In una visione esistenzialista, dal momento che l'esistenza si realizza nell'uomo, l'uomo diventa la misura dell'essere, la metafisica la scienza dell'essere e dell'esistente insieme (come vuole Hegel che legge, in modo propedeutico per Heidegger, l'essere in senso assoluto). Per s. Tommaso, l'essere (o l'Essere) precede ontologicamente l'esistenza e l'uomo: l'essere fonda l'esistenza e mai il contrario.

Secondo s. Tommaso non bisogna ricercare – come invece si arrovella Rahner in Uditori della Parola –, il senso dell'essere, per il semplice fatto che mai l'Aquinate intende la reditio subiecti in seipsum come un ritorno del soggetto in sé, prodotto dagli oggetti conosciuti. Non sono gli atti che svelano all'anima la sua capacità intellettuale ma piuttosto è l'anima presente a se stessa che conosce i suoi atti, e pertanto, in una conoscenza attuale (altra da quella abituale), il soggetto è pienamente in sé in quanto è passato dalla potenza all'atto del conoscere.

L'anima è sempre presente a se stessa abitualmente. Procede dai suoi atti nei quali percepisce se stessa attualmente: questo è il modo corretto di leggere tomisticamente la reditio subiecti e non come fanno i difensori di Rahner.

Per s. Tommaso l'essere, dunque, precede la conoscenza. Invece, in una svolta trascendentale della gnoseologia, che Rahner compie leggendo s. Tommaso con Kant (attraverso Maréchal), la conoscenza, ovvero quell'a priori conoscitivo che il soggetto apporta e con il quale determina gli oggetti (le 12 categorie kantiane) pone l'oggetto, lo plasma e perciò il soggetto ritorna in sé, si costituisce, in quanto modificato dall'oggetto posto/conosciuto.

Per Rahner «conoscere è l'essere-con-sé dell'essere e questo essere con sé è l'essere dell'essente»: questo sarebbe la reditio super seipsum ed indicherebbe, la priorità dello spirito rispetto a tutto ciò che nell'uomo è inferiore ad esso. In questo senso l'uomo propriamente è spirito (Der Mensch als Geist): soggettività, coscienza. Infatti, l’essere per Rahner è conoscibilità ed essere-presso-di-sé, tesi fondamentale di Spirito nel mondo.

Così Rahner, finalmente, ha capito cosa sia l'essere dell'essente: la conoscenza che fonda il soggetto, il quale unisce in sé l'essere e l'essente, la soggettività e la realtà, l'essere e la conoscenza. Questo binomio sarà fondamentale per capire il pensiero teologico di Rahner.

Questa è la vera antropologia trascendentale, estranea però alla tradizione scolastica e principiante piuttosto dalla svolta cartesiana della modernità.

I difensori di Rahner rivendicano qui la necessità di dialogare con la modernità: non ci si può sottrarre da questo compito.
Certo, però a questi facciamo notare che altro è dialogare altro è accogliere remissivamente un pensiero che con Kant si prospetta definitivamente immanentizzato e che Rahner ha tentato invano di battezzare.
L'a priori conoscitivo di natura kantiana che certo si serve dei dati della sensibilità, ma senza il quale l'uomo non coglierebbe l'essere nella sua totalità – l'uomo in quanto spirito si pone incessantemente la domanda sull'essere nella sua totalità (sull'essere che è l'esistenza) – deve essere letto unitamente al Vorgriff, un a priori dato all’umana natura che rende capace la dinamica autocoscienza dello spirito, sull’assoluta ampiezza di tutti i possibili oggetti.

È una “conoscenza anticipata” dell'essere nella sua totalità che diventa la vera regola della conversio ad phantasmata e stabilisce fontalmente la possibilità di conoscere qualcosa e non il nulla. Siccome l'uomo afferra previamente l'essere nella sua interezza (qui siamo vicino all'ontologismo più che al realismo tomista), può conoscere l'essere, qualche cosa e non il nulla. Ora, perché il soggetto può protendersi verso l'infinità dell'essere? O, chi è il fondamento (mentale) dell'infinità dell'essere verso cui si protende l'intelligenza in modo previo ad ogni conoscenza? Dio.

L'uomo coglie previamente Dio che è «l'orizzonte della trascendenza» e attraverso di Lui coglie il finito.
Ma poiché Dio è l'a priori della conoscenza, l'uomo è piuttosto “colto” (da Dio) nel suo porsi conoscitivo: c'è unità tra essere e conoscenza, tra soggetto conoscente e cosa conosciuta. Rahner identifica l'infinità dell'essere/orizzonte della trascendenza con la nozione teologica di Dio. E sarà catastrofico per la teologia, i cui riflessi si sintetizzano in qualche modo nel cristianesimo anonimo. Questi non si capisce senza l’“esistenziale soprannaturale”.

L'infinità dell'essere mentale sarebbe Dio e Dio sarebbe nell'uomo in quanto modificante il soggetto conoscente, non nel senso però che l'uomo “afferri” Dio, bensì nel senso di un «lasciarsi afferrare da un mistero presente e sempre sottraentesi».

Nella teologia di Rahner questo essere presente della percezione esistenziale dell'infinità dell'essere si chiama “esistenziale soprannaturale”, e salda la natura con la grazia, la conoscenza con Dio, sebbene principalmente in modo atematico.

Dio è già presente nell'uomo “atematicamente”, in quanto conosciuto nella percezione infinita dell'essere che è esistenza. Dio diventa l'esistente presente nell'uomo che si scopre storicamente e solo in quanto essere storico può udire la Parola (certo “ode” la Parola, ma come la ode!). In virtù di questo nesso tra conoscente e conosciuto (teologico), nell'uomo già opera Dio. Si tratta, pertanto, di passare ad una conoscenza categoriale di Dio in virtù di una Rivelazione, ma atematicamente Dio è già nell'uomo, in ogni uomo: tutti sono cristiani anonimi.

Qui Rahner giustifica la sua tesi con il Vaticano II, ma confonde la conoscenza implicita di Dio di Lumen gentium 16 con il fatto che tutti sono già cristiani anche se non lo sanno.
Chi conosce implicitamente Dio non significa che per questo è già cristiano. C’è una conoscenza naturale di Dio, esplicita o implicita, che precede l’essere nuovo del cristiano datogli non dalla conoscenza ma dal Battesimo.

Certo questa conoscenza naturale può diventare occasione per il Battesimo, ma non è già operazione degli effetti battesimali. Può essere Battesimo di desiderio o desiderio del Battesimo, ma ancora una volta non è già operazione della grazia del sacramento del Battesimo, ma solo di una mozione transeunte, di una grazia attuale, che dispone al Battesimo. In coloro che non riescono a riceverlo, ma hanno vissuto rettamente, è lecito supporre che avrebbero desiderato esplicitamente il Battesimo, avendone previamente conosciuto la necessità (cf. CCC 1260).

In tal caso il Battesimo di desiderio provoca i medesimi effetti del sacramento, la salvezza eterna, senza imprimere però il carattere. Invece, per Rahner tutti sono in grazia (abitualmente/gnoseologicamente anche se solo anonimamente/atematicamente), che lo sappiano o meno.
Questo però non risulta da nessun catechismo, ed apre ad una salvezza “fai da te”, proprio come avviene oggi.

Ciò che è veramente fondante è la percezione dell'essere, la conoscenza.
Sembra che sia veramente lontana questa posizione dalla Redemptoris missio di Giovanni Paolo II. Papa Wojtyla nell'enciclica missionaria invitava ad evangelizzare i popoli e non a rassicurare gli atei occidentali della loro buona fede, come fa Rahner a cui propriamente si rivolge con la sua novella dottrina dell'anonimato.

Se si approfondisce un po' di più il pensiero teologico di Rahner ci si accorge che il valore morale delle singole azioni perde la sua rilevanza quanto al bene o al male.
Rahner trascina in sede morale la sua distinzione tra categoriale e trascendentale. Un'azione morale interessa non tanto il criterio oggettivo della sua bontà o della sua malizia, piuttosto bisogna giudicare il valore morale delle azioni dell'uomo in ragione della libertà del soggetto, se e fino a che punto è rafforzata la libertà dell'uomo nelle sue scelte.

Un'azione che appare tematicamente sbagliata, rimarrebbe sempre atematicamente buona, purché rappresenti lo sforzo di rafforzare la propria libertà.
Di qui consegue che solo una scelta tematica contro Dio risulterebbe un vero peccato.
Il vero peccato sarebbe l'opzione fondamentale di segno negativo. Ad essa competerebbe propriamente il bene e il male. Alle azioni singole invece solo ciò che è “giusto” e ciò che è “sbagliato”. Ci si dimentica delle circonlocuzioni di Rahner a proposito della Humane vitae? L'enciclica Veritatis splendor (nn. 65-67), in verità, elimina questa distinzione surrettizia in ambito morale tra scelta categoriale e trascendentale, giudicandola dannosa per l'intera vita etico-morale.

Il pensiero di Rahner si manifesta un tutto organico che conosce una parabola evolutiva non indifferente. Dalle opere filosofiche passa poi a quelle teologiche in un crescendo di riflessioni che porta il nostro gesuita ad integrare la sua filosofia nella teologia. Rahner è propriamente un teologo e va analizzato come teologo. È parziale attestarsi alle opere filosofiche o ad una di esse.

È vero che per uscire da Rahner bisogna prima entrarvi, ma è anche vero che bisogna entrarvi interamente ed integralmente. Con le due domande formulate precedentemente (PRIMA PARTE), possiamo ora concludere con una terza: il pensiero rahneriano, come tutti i grandi sistemi idealistici, non presenta anch’esso questo vulnus: è così perfetto idealmente che sembra manchi qualcosa della nostra umanità? (FINE)


http://www.corsiadeiservi.it/

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