Pubblichiamo, tratto da www.zenit.org, un articolo di don Enrico Finotti, parroco di S. Maria del Carmine in Rovereto (TN), che apparirà prossimamente sulla rivista formativa Liturgia “culmen et fons”.
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a. La conservazione, l’adorazione e la comunione alla santissima Eucarestia al di fuori della celebrazione del Sacrificio sono sempre state presenti nella prassi liturgica della Chiesa. Questa affermazione oggi potrebbe suscitare una immediata perplessità e reazione. Bisogna allora intendersi bene ed argomentare con precisione. Certamente la custodia pubblica e solenne, come i riti del culto eucaristico (esposizione, benedizione, processioni, ecc.) sono maturati nei secoli ed hanno uno sviluppo storico ben definito. Tuttavia il fatto che l’Eucarestia sia sempre stata conservata, intimamente adorata e frequentemente assunta anche fuori della celebrazione è inconfutabile. Conservazione, adorazione e comunione fuori della Messa, sono, quindi, elementi originali, insiti nelle radici stesse della liturgia e rilevabili nell’esperienza cultuale della Chiesa fino dalle sue prime manifestazioni.
La santissima Eucaristia, infatti, veniva consegnata ai diaconi per gli assenti e i fedeli stessi, laici ed eremiti, la portavano con sé nelle loro dimore per cibarsene frequentemente. La custodia eucaristica nasce così nelle case dei cristiani per conservare con circospezione il Sacramento. è evidente che quella cura con la quale conservavano e ricevevano il Pane santo non poteva essere altro che quell’adorazione intima e profonda che già san Paolo esigeva - ciascuno esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna (1 Cor 11, 28-29) - e che s. Agostino ribadiva - Nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo (Enarrationes in Psalmos 98, 9, CCL XXXIX, 1385). Ed ecco che i tre aspetti riserva, adorazione e comunione sono inscindibili in quanto l’uno è finalizzato agli altri: il sacramento è conservato perché con spirito adorante si possa assumere anche ogni giorno.
In analogia con le case anche le chiese dovevano avere un luogo di conservazione dell’Eucaristia, sempre più necessario nella misura in cui veniva a scomparire l’uso domestico. Il luogo veniva chiamato Pastoforio (in Oriente) o Sacrarium (in Occidente) (RIGHETTI, Storia liturgica, Ancora edizione anastatica, 1998, vol. I, p. 546), ed era attiguo al presbiterio. Conservare, adorare e comunicare alla santissima Eucaristia fuori della Messa, quindi, non sono sintomi di una corruzione intervenuta successivamente, ma, nella loro sostanza, sono aspetti connessi alla forma primitiva della celebrazione dei santi Misteri.
b. Nel secondo millennio il SS. Sacramento tende ad uscire dal segreto ed entrare progressivamente nelle chiese in modo pubblico e sempre più solenne. Ne sono testimonianza la piccola capsa, detta Propitiatorium, posta sulla mensa dell’altare o la Colomba eucaristica pendente sopra l’altare. è interessante osservare che, appena il Sacramento esce dalla sacrestia, subito individua l’altare come sua dimora, lì dove è “nato”. Ben presto le esigenze della sicurezza e lo sviluppo crescente del culto eucaristico portarono a forme monumentali, come le edicole eucaristiche, che dovettero di necessità lasciare l’altare per creare un loro spazio architettonico autonomo. Tuttavia il sacramento non rientrò più nel segreto del sacrario, ma iniziò la sua ascesa trionfale, confortata dallo sviluppo del dogma e della spiritualità eucaristica.
c. In seguito al Concilio Tridentino il tabernacolo, già monumentale, non teme di salire sull’altare stesso, quale suo luogo proprio: il tabernacolo, infatti, contiene ontologicamente quel medesimo Mistero vivo e vero che sull’altare si celebra. Se questa fu la norma più diffusa e raccomandata, tuttavia, la Chiesa, almeno nella liturgia pontificale, non volle lasciare l’antico costume, che distingueva l’altare dalla riserva eucaristica. Al contempo si doveva accettare il progresso dogmatico e le forme nuove del culto eucaristico, che imponevano ormai una custodia pubblica, visibile e solenne della SS. Eucaristia. In tal modo, nelle cattedrali e nelle collegiate, si eresse la cappella del SS. Sacramento che, pur distinta dalla navata ne era collegata e con la sua preziosità e sacralità veniva ad essere il Sancta sanctorum della chiesa stessa.
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a. La conservazione, l’adorazione e la comunione alla santissima Eucarestia al di fuori della celebrazione del Sacrificio sono sempre state presenti nella prassi liturgica della Chiesa. Questa affermazione oggi potrebbe suscitare una immediata perplessità e reazione. Bisogna allora intendersi bene ed argomentare con precisione. Certamente la custodia pubblica e solenne, come i riti del culto eucaristico (esposizione, benedizione, processioni, ecc.) sono maturati nei secoli ed hanno uno sviluppo storico ben definito. Tuttavia il fatto che l’Eucarestia sia sempre stata conservata, intimamente adorata e frequentemente assunta anche fuori della celebrazione è inconfutabile. Conservazione, adorazione e comunione fuori della Messa, sono, quindi, elementi originali, insiti nelle radici stesse della liturgia e rilevabili nell’esperienza cultuale della Chiesa fino dalle sue prime manifestazioni.
La santissima Eucaristia, infatti, veniva consegnata ai diaconi per gli assenti e i fedeli stessi, laici ed eremiti, la portavano con sé nelle loro dimore per cibarsene frequentemente. La custodia eucaristica nasce così nelle case dei cristiani per conservare con circospezione il Sacramento. è evidente che quella cura con la quale conservavano e ricevevano il Pane santo non poteva essere altro che quell’adorazione intima e profonda che già san Paolo esigeva - ciascuno esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna (1 Cor 11, 28-29) - e che s. Agostino ribadiva - Nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo (Enarrationes in Psalmos 98, 9, CCL XXXIX, 1385). Ed ecco che i tre aspetti riserva, adorazione e comunione sono inscindibili in quanto l’uno è finalizzato agli altri: il sacramento è conservato perché con spirito adorante si possa assumere anche ogni giorno.
In analogia con le case anche le chiese dovevano avere un luogo di conservazione dell’Eucaristia, sempre più necessario nella misura in cui veniva a scomparire l’uso domestico. Il luogo veniva chiamato Pastoforio (in Oriente) o Sacrarium (in Occidente) (RIGHETTI, Storia liturgica, Ancora edizione anastatica, 1998, vol. I, p. 546), ed era attiguo al presbiterio. Conservare, adorare e comunicare alla santissima Eucaristia fuori della Messa, quindi, non sono sintomi di una corruzione intervenuta successivamente, ma, nella loro sostanza, sono aspetti connessi alla forma primitiva della celebrazione dei santi Misteri.
b. Nel secondo millennio il SS. Sacramento tende ad uscire dal segreto ed entrare progressivamente nelle chiese in modo pubblico e sempre più solenne. Ne sono testimonianza la piccola capsa, detta Propitiatorium, posta sulla mensa dell’altare o la Colomba eucaristica pendente sopra l’altare. è interessante osservare che, appena il Sacramento esce dalla sacrestia, subito individua l’altare come sua dimora, lì dove è “nato”. Ben presto le esigenze della sicurezza e lo sviluppo crescente del culto eucaristico portarono a forme monumentali, come le edicole eucaristiche, che dovettero di necessità lasciare l’altare per creare un loro spazio architettonico autonomo. Tuttavia il sacramento non rientrò più nel segreto del sacrario, ma iniziò la sua ascesa trionfale, confortata dallo sviluppo del dogma e della spiritualità eucaristica.
c. In seguito al Concilio Tridentino il tabernacolo, già monumentale, non teme di salire sull’altare stesso, quale suo luogo proprio: il tabernacolo, infatti, contiene ontologicamente quel medesimo Mistero vivo e vero che sull’altare si celebra. Se questa fu la norma più diffusa e raccomandata, tuttavia, la Chiesa, almeno nella liturgia pontificale, non volle lasciare l’antico costume, che distingueva l’altare dalla riserva eucaristica. Al contempo si doveva accettare il progresso dogmatico e le forme nuove del culto eucaristico, che imponevano ormai una custodia pubblica, visibile e solenne della SS. Eucaristia. In tal modo, nelle cattedrali e nelle collegiate, si eresse la cappella del SS. Sacramento che, pur distinta dalla navata ne era collegata e con la sua preziosità e sacralità veniva ad essere il Sancta sanctorum della chiesa stessa.
fonte: http://www.zenit.org/
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