domenica 17 luglio 2011

Universae Ecclesiae: un’Istruzione che guarda al futuro della Chiesa




di Guido Pozzo e Nicola Bux



La Costituzione liturgica del concilio Vaticano II, afferma che “La Chiesa, quando non è in questione la fede o il bene comune generale, non intende imporre, neppure nella Liturgia una rigida uniformità” ( Sacrosanctum concilium, n. 37).

Non sfugge a molti che oggi sia in questione la fede, per cui è necessario che le varietà legittime di forme rituali debbano ritrovare l’unità essenziale del culto cattolico. Il papa Benedetto XVI lo ha ricordato accoratamente:


“Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr Gv. 13,1) in Gesù Cristo crocifisso e risorto” (Lettera ai Vescovi in occasione della revoca della scomunica ai quattro Presuli consacrati dall’Arcivescovo Lefebvre, 10 marzo 2009).

Giovanni Paolo II ammoniva che


“la sacra liturgia esprime e celebra l’unica fede professata da tutti ed essendo eredità di tutta la Chiesa non può essere determinata dalle Chiese locali isolate dalla Chiesa universale” (Ecclesia de Eucharistia, n. 51) e che “La liturgia non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante, né della comunità nella quale si celebrano i Misteri” (Ivi, n 52).

Nella Costituzione liturgica si afferma:


“il Sacro Concilio,in fedele ossequio alla tradizione, dichiara che la Santa Madre Chiesa considera con uguale diritto e onore tutti i riti legittimamente riconosciuti, e vuole che in avvenire essi siano conservati e in ogni modo incrementati” (Sacrosanctum concilium, n. 4).

La stima per le forme rituali è il presupposto dell’opera di revisione che di volta in volta si rendesse necessaria. Ora, le due forme ordinaria e extraordinaria della Liturgia Romana, sono un esempio di incremento. Chi agisce al contrario, intacca l’unità del rito romano che va tenacemente salvaguardata, non svolge autentica attività pastorale o corretto rinnovamento liturgico, ma priva piuttosto i fedeli del loro patrimonio e della loro eredità a cui hanno diritto. Da tali atti arbitrari derivano insicurezza dottrinale, perplessità e scandalo e, quasi inevitabilmente, reazioni aspre (cfr Istruzione Redemptionis Sacramentum, n. 11).

Dinanzi a tale situazione, tutti i Pastori della Chiesa devono promuovere la conoscenza e l’osservanza dello Ius divinum nel culto, perché è Dio che dall’Antico Testamento ha stabilito come deve essere adorato; per questo è “culto divino”.

In continuità col magistero dei suoi predecessori, Benedetto XVI ha promulgato nel 2007 il Motu Proprio Summorum Pontificum, con cui “ha reso più accessibile alla Chiesa universale la ricchezza della Liturgia Romana”(art.1), dando mandato alla Congregazione per la Dottrina della Fede, con la Pontificia Commissione Ecclesia Dei di pubblicare l’Istruzione Universae Ecclesiae per favorirne correttamente l’applicazione.

Nell’Introduzione del documento si afferma: “Con tale Motu Proprio il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha promulgato una legge universale per la Chiesa …” (art. 2). Non è un indulto, o una legge per gruppi particolari, ma una legge per tutta la Chiesa, una “legge speciale” che pertanto “deroga a quei provvedimenti legislativi,inerenti ai sacri Riti,emanati dal 1962 in poi ed incompatibili con le rubriche dei libri liturgici in vigore nel 1962”(art. 29).

Va qui ricordato l’aureo principio patristico da cui dipende la comunione cattolica: “ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede”(art.3).

Il celebre principio lex orandi-lex credendi richiamato in questo articolo, è alla base del ripristino della forma extraordinaria: non è cambiata la dottrina cattolica della Messa nel rito romano, perché liturgia e dottrina sono inscindibili.

La Liturgia è stata ed è, nella disciplina della Chiesa, materia riservata al Papa, mentre gli Ordinari e le Conferenze episcopali hanno alcune competenze delegate, specificate dal diritto canonico. I sacerdoti non possono introdurre in essa alcun cambiamento (cfr Sacrosanctum concilium, n. 22), ma ben formati in seminario allo spirito della liturgia cattolica (cfr ivi, n. 17) devono celebrare con rigore e fedeltà ai libri liturgici approvati e con l’adeguata sensibilità pastorale per aiutare e formare tutti i fedeli a vivere la liturgia della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.

Pertanto “Il Motu Proprio costituisce una rilevante espressione del Magistero del Romano Pontefice e del munus a Lui proprio di regolare e ordinare la Sacra Liturgia della Chiesa (Cfr C.I.C. can. 838,1 e 2) e manifesta la Sua sollecitudine di Vicario di Cristo e Pastore della Chiesa Universale (Cfr C.I.C. can. 331)” (art. 8). Al Papa, che ha ereditato le chiavi di Pietro, è dovuta l’obbedienza, innanzitutto in materia liturgica e sacramentale.

In secondo luogo, l’Istruzione riafferma che vi sono ora


“… due forme della Liturgia Romana, definite rispettivamente ordinaria e extraordinaria: si tratta di due usi dell’unico Rito romano … L’una e l’altra forma sono espressione della stessa lex orandi della Chiesa. Per il suo uso venerabile e antico, la forma extraordinaria deve essere conservata con il debito onore” ( art. 6).

E’ un passo fondamentale da tenere a mente da parte di Pastori e fedeli.

Infatti, l’articolo seguente, riporta un passaggio-chiave della Lettera del Santo Padre ai Vescovi, che accompagna il Motu Proprio:


“Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Messale Romano. Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso” (art. 7).

L’Istruzione, in linea col Motu Proprio, non riguarda solo quanti desiderano continuare a celebrare la fede nello stesso modo con cui la Chiesa l’ha fatto sostanzialmente da secoli; il Papa vuole aiutare i cattolici tutti a vivere la verità della liturgia affinché, conoscendo e partecipando all’antica forma romana di celebrazione, comprendano che la Costituzione Sacrosanctum Concilium voleva riformare la liturgia in continuità con la tradizione.

Questo porta a vivere pure la forma ordinaria in comunione con la Chiesa degli Apostoli, dei Padri e dei Santi, da Leone Magno a Gregorio Magno, da Tommaso d’Aquino a Pio V, da Carlo Borromeo a Pio da Pietrelcina e Giovanni XXIII. Se non si concepisse in tal modo la liturgia, il cuore e la mente dei fedeli non sarebbero modellati in modo da vivere bene la fede, la morale e la spiritualità.

Per capire le finalità del Motu Proprio, l’Istruzione ricorda ancora all’art. 8 che esso intende


“offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata tesoro prezioso da conservare” – a tutti i fedeli, non solo un gruppo particolare, particolarmente affezionato alla tradizione – e “garantire e assicurare realmente a quanti lo domandano, l’uso della forma extraordinaria, nel presupposto che l’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962 sia una facoltà elargita per il bene dei fedeli e pertanto vada interpretata in un senso favorevole ai fedeli che ne sono i principali destinatari”.

Giovanni Paolo II nel 1988 disponeva la “generosa” applicazione delle norme già emanate dalla Sede Apostolica circa il Messale del 1962; ora i Vescovi devono non solo “garantire e assicurare”, ma soprattutto favorire la riconciliazione e l’unità nella Chiesa, evitando spaccature e spinte antitetiche nella comunità cristiana, così come la marginalizzazione e l’isolamento dei fedeli che seguono la forma extraordinaria, e nello stesso tempo evitare forme di contestazione del Messale di Paolo VI.

La forma extraordinaria e la forma ordinaria del rito romano, non vanno intese l’una come eccezione e l’altra come regola, ma in analogia al rapporto che sussiste nell’anno liturgico tra il tempo per annum o ordinario e i tempi “forti” ovvero “extraordinari” per la loro pregnanza. I cristiani bizantini pure, usano tre forme di liturgia in diversi tempi dell’anno: di S.Giovanni Crisostomo, di S.Basilio e dei Presantificati.

Quindi, si tratta di “una nuova normativa all’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962”(art.7).L’Istruzione, per chiarire che il Messale Romano del 1962 non è stato abrogato, fa a questo punto una annotazione importante:


“al momento dell’introduzione del nuovo Messale(ndr di Paolo VI), non era sembrato necessario emanare disposizioni che regolassero l’uso della Liturgia vigente nel 1962”(ivi). Ora tale normativa si è imposta “…in ragione dell’aumento di quanti chiedono di poter usare la forma extraordinaria”(ivi).

A tal fine, gli art. 9-11 dell’Istruzione descrivono i compiti della Pontificia Commissione Ecclesia Dei che ha potestà vicaria per i ricorsi nei confronti di decreti e provvedimenti dell’Ordinario in decernendo e in procedendo, e per l’edizione dei libri liturgici della forma extraordinaria, dopo l’approvazione della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

L’Istruzione “a seguito dell’indagine compiuta presso i Vescovi di tutto il mondo” passa a indicare le Norme specifiche per “garantire la corretta interpretazione e la retta applicazione del Motu Proprio”(art.12). Sono quindi indicate le competenze dei Vescovi diocesani che “…devono vigilare in materia liturgica per garantire il bene comune e perché tutto si svolga degnamente, in pace e serenità nella loro Diocesi, sempre in accordo con la mente del Romano Pontefice chiaramente espressa dal Motu Proprio Summorum Pontificum” (art. 13).

Nello stesso senso, va l’art. 14: “E’ compito del Vescovo diocesano prendere le misure necessarie per garantire il rispetto della forma extraordinaria del Rito Romano, a norma del Motu Proprio Summorum Pontificum”. Il can. 838,1 del C.I.C., riprendendo la Sacrosanctum Concilium 22,1, dice che “regolare la Sacra Liturgia compete propriamente alla Sede Apostolica e, a norma di diritto, al Vescovo diocesano”, significa che questi deve comportarsi secondo la norma del can. 135,2 che dispone: “da parte del legislatore inferiore non può essere data validamente una legge contraria al diritto superiore”(cfr anche can.33,1).

I Vescovi devono cioè applicare il Motu Proprio, nel senso di facilitare e non ostacolare. Ad essi come Pastori incombe osservare, considerare, soprattutto incontrare le realtà dei fedeli che richiedono la forma extraordinaria; anche visitare i siti internet che descrivono come tale realtà sia in continua crescita. Molti giovani, sono attratti dalla Messa in forma extraordinaria perché mette particolarmente in risalto il Sacrificio eucaristico e l’adorazione della Presenza reale di Gesù Cristo sull’altare – obbediente alle parole consacratorie del sacerdote – in uno “stato di vittima immolata”, immolatitius modus(cfr Pio XII, Enciclica Mediator Dei, n 70) a causa della separazione del corpo dal sangue.

Non saremo attenti a cogliere questo segno dei tempi?


Il Motu Proprio garantisce anche i diritti dei fedeli (cfr C.I.C. cann.214-223). Infatti, accanto ai diritti e doveri dei Pastori della Chiesa, vi sono quelli dei fedeli laici.

Importante perciò è la sezione sul “cœtus fidelium” (art. 15-19). In particolare che:


“Un cœtus fidelium potrà dirsi stabiliter existens ai sensi dell’art. 5, § 1 del Motu proprio Summorum Pontificum, quando è costituito da alcune persone (ndr, il termine alcuno indica una quantità indeterminata) di una determinata parrocchia che, anche dopo la pubblicazione del Motu Proprio, si siano unite in ragione della venerazione per la Liturgia nell’Usus Antiquior, le quali chiedono che questa sia celebrata nella propria parrocchia o in una rettoria; tale cœtus può essere anche costituito da persone che provengono da diverse parrocchie o diocesi e che a tal fine si riuniscano in una determinata chiesa parrocchiale o rettoria” (art. 15).

Dunque, un cœtus può anche formarsi dopo la pubblicazione del Motu Proprio, come sono pienamente legittimi quelli costituitisi prima di esso. Poi: “Sarà il senso pastorale a determinare concretamente il numero di persone necessario per costituire tale cœtus”. Non si celebra la Messa ordinaria anche per pochi fedeli? Il Signore è presente là dove “due o tre sono riuniti” nel Suo nome.

Circa l’opportunità, deve prevalere il senso pratico. Pertanto, i parroci e rettori di Chiese sono invitati a dare ospitalità a sacerdoti e fedeli che si presentino occasionalmente per la celebrazione straordinaria – come avviene del resto per quella ordinaria – pur nel rispetto delle esigenze d’orario(cfr art.16). Si deve dedurre che, in ogni chiesa, deve esserci la suppellettile necessaria per la Messa in forma extraordinaria, che si può celebrare anche dove vi sia solo l’altare ‘verso il popolo’, ma rivolgendosi ad Dominum.

Importante anche la sezione dell’Istruzione sul “sacerdos idoneus” (art. 20-23): tra i vari requisiti v’è la lingua latina: “è necessaria una sua conoscenza basilare, che permetta di pronunciare le parole in modo corretto e di capirne il significato” (art. 20). Quindi, un sacerdote idoneo a celebrare la Messa in forma extraordinaria, non deve essere un esperto nel latino liturgico, che è di una grande ricchezza e complessità (ad es. le orazioni antiche …).

Dice sant’Agostino:


“La comprensione è la ricompensa più grande della fede. Non tentare di comprendere per arrivare a credere, ma abbi fede per arrivare a comprendere” (De Magistro,11,37).

Il latino è la lingua propria della Chiesa in quanto lingua universale, con cui il Papa si rivolge a tutti i popoli; inoltre ha l’attributo dell’immutabilità, a fronte delle lingue volgari in continua mutazione: questo garantisce l’inalterabilità della lex orandi e credendi. Il fascino esercitato dal cattolicesimo su anglicani quali Newman e Benson, su ortodossi quale Solov’ev e Florensky, è dovuto all’universalismo della liturgia esaltato dalla lingua latina, la quale fa sì che in tutte le parti del mondo si possa dire: Io sono nella stessa Chiesa cattolica.

Nell’art. 21, si chiede ai Vescovi di offrire al clero la possibilità di acquisire una preparazione adeguata alle celebrazioni nella forma extraordinaria; poi, di provvedere alla formazione dei seminaristi, in modo speculare a quanto chiede l’Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis:


“i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino, nonché a utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano …” (n. 62). I Vescovi sono esortati a promuovere tale celebrazione come pure corsi di aggiornamento liturgico servendosi della collaborazione di coloro che la conoscono e dei sacerdoti degli Istituti eretti dalla Commissione Ecclesia Dei (cfr art.22).

Quanto ai religiosi, l’art. 24 dell’Istruzione chiarisce che la Messa sine populo può essere celebrata senza il permesso del Superiore(cfr Motu Proprio n 3); per quella cum populo, si segua la propria regola, fermo restando, come detto dianzi, che non si possono emanare norme contrarie al diritto superiore.

Gli articoli 25-29 applicano la disciplina liturgica ed ecclesiastica di cui abbiamo detto all’inizio, codificata in buona parte nei libri liturgici. Pertanto:


“I libri liturgici della forma extraordinaria vanno usati come sono. Tutti quelli che desiderano celebrare secondo la forma extraordinaria del Rito Romano devono conoscere le apposite rubriche e sono tenuti ad eseguirle correttamente nelle celebrazioni” (art. 25; cfr anche art. 29).

Si tratta dei libri liturgici posteriori all’enciclica Mediator Dei di Pio XII che raccolgono le riforme di quest’ultimo sulla liturgia tridentina, che aveva già sperimentato leggeri cambiamenti, ma in distinti momenti durante i secoli; sono inoltre i libri liturgici con cui i Padri conciliari di rito Romano, ovvero la gran maggioranza, celebravano, quando preparavano ed approvavano la Costituzione liturgica.

Questi, dunque, non sono in contrasto con quelli postconciliari che “vanno usati come sono”,ossia conoscendo ed eseguendo le rubriche, senza commistione con l’Ordo Missae, il Lezionario e il Calendario della forma ordinaria.

In seguito saranno date disposizioni circa i nuovi santi e alcuni dei prefazi del Novus Ordo(cfr art.26).In particolare, per le letture sia nella messa letta, che in quella cantata e nella solenne, c’è possibilità di proclamarle solo in latino, o solo in lingua corrente, o in latino seguito dalla traduzione(cfr art.27).

Gli art. 30-32 riguardano i sacramenti della Cresima e dell’Ordine sacro. Per quest’ultimo, come è noto, il Motu Proprio non ha introdotto alcun cambiamento, al fine di evitare, per i candidati al sacerdozio nei seminari e studentati, differenze e disomogeneità nei gradi e ministeri in preparazione all’Ordine sacro. Non così, a motivo della loro specificità, per gli appartenenti agli Istituti retti dall’Ecclesia Dei. Senza escludere che questa materia possa essere rivista in rapporto alla disciplina generale attuale, basata sul Motu proprio Ministeria quædam di Paolo VI.

Gli ultimi tre articoli dell’Istruzione favoriscono la celebrazione del Triduo sacro nella forma extraordinaria (art. 34), l’uso dei libri liturgici propri degli Ordini religiosi in vigore nel 1962 (art. 35), e soprattutto l’uso del Pontificale Romanum, del Rituale Romanum (con la grande ricchezza delle benedizioni) e del Cæremoniale Episcoporum in vigore nel 1962 (art. 36).

“Nel rapporto con la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa”, è impresso sul dorso del volume XI “Teologia della liturgia” dell’Opera omnia del Santo Padre. Se la liturgia necessita della fede come presupposto, ci avvicineremo ad essa con pace e serenità, cioè con la pazienza dell’amore a cui inneggia san Paolo nell’inno alla carità.

Dunque, l’Istruzione, in linea col Motu Proprio, non è un passo indietro ma guarda al futuro della Chiesa, al cui centro sta la croce di Cristo, come sta al centro dell’altare: Lui, Sommo Sacerdote cui la Chiesa rivolge il suo sguardo oggi, come ieri e sempre.


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