Di Claudio Dalla Costa
Nato a Torino, il 22 maggio 1906, fin da giovane si sentì divorato da un fuoco interiore che lo portava a far conoscere Gesù.
Scriverà: “Confesso che molte volte mi viene una voglia matta di percorrere tutto il mondo, di avvicinare, se possibile, tutte le creature per invitarle ad amare sempre e di più Dio!...L’unico mio desiderio, che sento mi brucia la carne ed è incontenibile, è di fare totalmente la volontà di Dio, senza che le creature possano frapporvi ostacoli”.
Si era laureato in lettere all’università di Torino all’età di 21 anni. Per 13 anni insegnerà latino e greco in diversi licei. La ricerca della sua vocazione sarebbe durata a lungo, ben quattordici anni di attesa prima di realizzare che il Signore lo chiamava al sacerdozio e alla vita religiosa.
Nel 1927 scriveva: “Non attendo altro che il giorno benedetto in cui potrò correre a servire e lodare il Signore, senza restrizioni, senza limiti, ma con tutte le forze, e poiché queste sono poche, con tanto amore soprattutto”.
Nel novembre del 1939 si fidanza ma il fidanzamento dura solo circa dieci mesi. Poi, nel 1940, in modo del tutto imprevisto, l’incontro con L’Immacolata gli cambia la vita. Scriverà: “Proprio mentre da mesi dirigevo i miei passi verso la mèta che mi pareva quella buona (il matrimonio, ndr), l’Immacolata da me insistentemente invocata per una tempesta - che minacciava il mio nuovo orizzonte, mi fece improvvisamente una precisa sensazione fisica: come di una mano misteriosa che mentre attraversavo una grande piazza mi fermasse e mi obbligasse a tornare – contro voglia – sui miei passi. Sentii d’un tratto un disgusto mai provato, intollerabile, della vita comune nel mondo, e contemporaneo un desiderio irresistibile del sacerdozio, via che avevo sempre scartato”.
Fu ordinato sacerdote il 29 luglio 1945. Fu un vero artista della parola che aveva un forte impatto in chi lo ascoltava. Era molto preoccupato per i lontani, per coloro che sembrano avversi alla vita cristiana, che sono indifferenti al lato religioso della vita. Si dedicò con molto ardore alle missioni popolari, che voleva “antiche nello spirito e moderne nei mezzi”.
Vale a dire prediche nelle scuole, nei luoghi di lavoro, visite agli ammalati, conferenze nei teatri. Padre Mariano andava ovunque lo chiamassero e le folle accorrevano ad ascoltarlo. Parlava anche alla radio vaticana e alla radio italiana.
Ma fu con l’avvento della televisione che avvenne la sua definitiva consacrazione come oratore e scoprì che il Signore gli aveva accordato il carisma specifico della predicazione. Già all’avvicinarsi dell’evento della nascita della Tv, durante la quaresima del 1954, padre Mariano dalla radio inviò questo messaggio carico di significato: “Spunta l’orizzonte della televisione? Egli (l’apostolo, il sacerdote) non si ritiri in un cantuccio, sopportando quanto di male ne possa venire fuori, ma cerchi di prevenire sapendo bene il bene immenso che ne potrà scaturire. Pensate, per esempio, se tutti quelli che ascoltano questo nostro radio-quaresimale (più che centomila persone) mandassero questa sera (chi rimanda a domani non lo farà più) una lettera alla direzione generale della Televisione italiana a Roma, con la preghiera viva che per la quaresima del 1955 (quando già gli apparecchi televisivi saranno diffusi tra noi) venga offerto in televisione a tutti gli italiani un quaresimale quotidiano. Non credete che questo quaresimale potrebbe essere davvero realizzato? Voi tutti sareste apostoli, perché grazie a una semplice lettera moltiplichereste la parola di Dio, presentata nella forma suggestiva della televisione, per milioni e milioni di anime. Dobbiamo farci tutto a tutti per portare tutti a Cristo! Si deve fare qualcosa? Facciamolo!”.
E in una lettera inviata, per il Natale del 1954, ad una comunità religiosa, scriveva: “…Chiedo una preghiera fervorosa per una grande cosa: si inizia a Roma col 1954 la televisione. Per la parte religiosa i superiori hanno fatto il mio nome. Ci sono venti e più candidati. Pregate perché venga scelto il più innamorato dell’Immacolata e che faccia più bene alle anime. Se la Vergine santissima volesse fare tale onore ai cappuccini, Deo gratis! Pregate perché si faccia soltanto la volontà di Dio”.
L’apostolato della predicazione
Questa profezia si sarebbe presto avverata e sarebbe stato proprio lui a iniziare, nel gennaio 1955, le trasmissioni religiose con la rubrica quindicinale La posta di padre Mariano. Padre Mariano diceva che “dobbiamo pregare molto per i predicatori perché ci diano Gesù dal pulpito, non altro che Gesù”. Per quasi vent’anni quest’uomo tenne letteralmente attaccate alla TV milioni di persone tra cui molti atei e agnostici.
Un insegnante di filosofia che si professava ateo, diceva: “Io non credo in Dio, ma mi piace quel frate che ne parla, e ne parla, credo, perché lui lo possiede più che crederci”. Penso che siano proprio pochi gli uomini che non sono sensibili al fascino di Gesù, se la sua figura viene presentata in modo avvincente. Un suo biografo scrisse: “Il suo dire semplice e chiaro, punteggiato da aneddoti, slogans e persino da battute spiritose, rendeva piacevole l’ascolto e facilitava il ricordo. Aveva consapevolmente prese le distanze dal modo tradizionale di predicare”.
Il frate diceva: “Gli sviluppi della TV nel 1956 mi allarga il cuore ma cresce anche il peso della mia responsabilità. Sento che dovrò rispondere al Signore di tante e tante anime! Dicono che è una delle trasmissioni più attese; anche la Direzione è entusiasta. Avverto tuttavia la mia miseria, la pesante responsabilità e penso quanto dovrei essere più unito a Dio per il mio tremendo compito”.
Qui sta proprio uno dei punti fondamentali della sua predicazione vincente. Sapere che da questa attività dipende il bene di innumerevoli anime, che proprio quelle parole possono essere decisive per cambiare una vita, per convertire un cuore, per ridare una speranza. Senza questo senso della grave incombenza che deve affrontare chi sale sul pulpito, si rischia di trasformare l’omelia in una tra le tante attività di routine che il prete deve affrontare lungo la giornata.
All’apostolato della parola seguiva quello della penna. Il frate riceveva migliaia di lettere in cui chi gli scriveva gli confidava dubbi, incertezze, sofferenze, gioie, chiedeva consiglio. Lui trovava il tempo per rispondere a tutti e spesso usava aneddoti significativi per far passare il contenuto che voleva trasmettere. Achille Campanile disse di lui che è “l’unica barba della TV, ma uno dei pochi che non sia una barba”.
“Pace e bene a tutti”, il saluto dei terziari francescani, diventa anche il saluto di frate Mariano ai telespettatori. Albert Camus ha scritto: “Tutte le disgrazie degli uomini derivano dal non tenere un linguaggio chiaro”.
Anche certe disgrazie in cui incappa la Chiesa sono, a mio parere, dovute alla difficoltà di farsi capire. Per lui la parola aveva una certa sacralità e aveva paura che scivolasse via senza che la gente potesse afferrarla. Per questo motivo faceva di tutto per farsi capire. In secondo luogo, ripeteva con l’esegeta Luis Alonso Schökel: “Ricordate che chiarità è carità”. Infatti era convinto che “la fatica nel capire fa distrarre o fa dormire”. Pregava il Signore perché “mi faccia parlare come vuole Lui”.
Mi pare che oggi capiti quasi sempre il contrario, i predicatori parlano non come vuole Lui, bensì come vogliono loro e poi non lamentiamoci se i risultati sono quelli che sono. Confidava: “Abbiamo complicato tanto la faccenda dell’apostolato? Possibile che per fare un po’ di bene ci voglia davvero tanta tecnica, tanta carta stampata, tante macchine organizzative? Non lo voglio credere. Dio è così semplice! Basta farsi uomini con gli uomini, come Egli si è fatto uomo con noi. Forse la nostra parola ha poco mordente perché è fasciata di troppa seta: non è più nudamente evangelica”.
E ancora: “Qualche volta il sacerdote non ha vera del mondo che vuole avvicinare, quella conoscenza vera, intima, cordiale, dell’uomo d’oggi, che non è data dalle riviste o dalle settimane di aggiornamento, ma dalla preghiera fervorosa e dall’avvicinamento personale. Si sente in chi che avvicina di fatto poco le anime: i suoi ragionamenti sono scolastici, aerei, teorici, non aderenti al vero stato d’animo d’oggi…Si vive più di che di esperienza vissuta?”.
Qualcuno lo rimproverava di usare con troppa frequenza aneddoti e parabole per spiegare il Vangelo e rispondeva: “l’esempio oltre che a richiamare l’attenzione, viene compreso, si ricorda più facilmente ed è il mezzo migliore per approfondire e non dimenticare la predica”.
Predica senza predicare
Colpivano le sua forte carica di umanità, unita ad una grande dolcezza e ad un amore profondo per tutti gli uomini. Tanto che la televisione americana invitava i funzionari della TV italiana a studiare il fenomeno “padre Mariano”, capace di arrivare a punte di ascolto di 15 milioni di telespettatori. Il Catholic Comment on the News rilevava che era proprio padre Mariano il fattore vincente perché “conquista il suo uditorio con la sua vivacità e gentilezza senza far prediche vere e proprie. Il modo di esprimersi è così intimo che ogni spettatore ha la sensazione che parli direttamente a lui…”.
Un giornale scrisse: “La gente è affamata di spiritualità, e l’umile frate gliela distribuisce a piccole dosi settimanali”. Anche adesso la gente è affamata di Dio, e va alla disperata ricerca di surrogati che, anziché sfamarla, la rendono ancora più affamata. Se si percepisse davvero la fame di Dio che c’è in giro, e che gli uomini cercano in tutti i modi di saziare, si avrebbe molto più a cuore il carisma della predicazione. Dove si preparava per le sue trasmissioni padre Mariano? “È qui (in chiesa) che mi preparo sempre alla televisione. Gesù eucaristico è il mio maestro. Studio Lui. Ascolto Lui. Interrogo Lui. Guardo Lui.”.
Non sarà perché manca questo allenamento costante faccia a faccia del Signore che poi tante prediche non hanno l’effetto desiderato? “Guardate a Lui e sarete raggianti” (33,6) dice il salmista, e dove contemplarlo se non nel tabernacolo? Conviene sempre rifarsi all’esempio dei santi, hanno sempre qualcosa da insegnare.
Gemellaggio spirituale
C’è una donna che riveste grande importanza nella vita di padre mariano. Si tratta di Caterina Serra, primatista italiana degli 800 metri, selezionata per le olimpiadi di Berlino del 1936. Proprio in quell’anno i due si incontrarono perchè la ragazza, fino ad allora non praticante, aveva deciso improvvisamente di frequentare l’Azione Cattolica. Qualche giorno dopo Caterina decise di entrare nel monastero delle clarisse cappuccine di Torino, prendendo il nome di suor Maria Giuseppina. Passarono diversi anni e la suora riuscì ad avere l’indirizzo di padre Mariano e gli scrisse la prima lettera. Iniziò così la loro corrispondenza, che conta 107 lettere, che durò fino alla morte del frate.
Una grande comunione di anime si era creata tra i due, e tutto questo li portava ad essere collaboratori nell’apostolato delle anime. La confidenza e la fiducia reciproca conduceva padre Mariano ad aprire il suo cuore e raccontarle le gioie e le speranze, ma anche le preoccupazioni e gli insuccessi della sua attività pastorale. Alcune espressioni del Nostro frate la dicono lunga di come tenesse in gran conto delle preghiere, dei sacrifici e dell’offerta della propria vita di suor Maria Giuseppina.
Si sentiva “indegnissimo di avere una Sorella spirituale e validissima ausiliaria”, oppure: “Quando mi elogiano e ringraziano…, io rido dentro di me, pensando a chi non riceve mai un e fa il 90% del lavoro! Ah, come sarà magnifico il mettere le cose a posto nella vera vita: qui tutto è parvenza, illusione e inganno – i veri valori qui nessuno li conosce”.
Diceva di sé: “Quante belle scoperte in Paradiso! Il povero P. Mariano si vedrà che era un semplice piffero suonato da labbra invisibili”. Se padre Mariano era la punta di diamante, non bisogna sottovalutare il lavoro di chi rimaneva nelle retrovie. Per questo confidava a suor Giuseppina: “(la trasmissione) Chi è Gesù raccoglie i massimi consensi. Il Signore mi ha proprio “ispirato” quando ho pensato di fare questa rubrica – e Lei ne sa qualcosa, briccona sorella spirituale, che lavora in silenzio con il sacrificio e la preghiera, come l’ape silenziosa”.
La comunione dei santi è una realtà indiscutibile. Lui semina, altri fanno germogliare, lui predica e altri nel silenzio pregano e offrono a Dio una vita di penitenza e amore per la conversione dei fratelli.
Dirà: “È questo olocausto della clausura, ignorata per sempre dagli uomini, ma tanto cara al Signore” che ottiene le grazie dal Signore e non le parole del frate. Quindi per la riuscita della predicazione prima di tutto mettersi davanti al Signore e chiedere cosa dire e come dirlo per attirare a Lui le anime. Poi avere chi prega per la riuscita del proprio lavoro, che intercede continuamente per i fratelli ai quali va annunciata la Parola di Dio. È questa l’opera principale dei monasteri di clausura che accompagnano tutta l’attività pastorale della Chiesa.
Mai si devono disgiungere l’azione e la contemplazione nella visione cattolica dell’esistenza. Non ci può essere l’una senza l’altra. Anche nel campo specifico della predicazione è quanto mai necessario creare un solido legame tra chi ha il mandato di annunciare il Vangelo e chi ha il compito, nascosto ma non meno fecondo, di pregare per la buona riuscita dell’annuncio.
E per questo motivo che Giorgio La Pira scrisse: “Si cerca oggi con tanta passione – ed è giusto farlo – la produzione e il dominio della energia nucleare: ebbene: ecco qui un altro tipo di , di energia divina immessa nella storia degli uomini! È l’orazione connessa col mistero della Croce e diventata acqua viva – la grazia (la vita stessa di Dio) – che si riversa fecondatrice su ciascuno e su tutti”.
E ancora Giorgio La Pira a ricordarci che “la più potente forza storica, che muove i popoli e le nazioni, che finalizza la storia intera è l’orazione!”. Tanto che qualcuno afferma che la preghiera è il cuore dell’evangelizzazione. Per tornare a padre Mariano va detto che il suo impegno alla televisione gli portava via tempo ed energie e per questo motivo, all’inizio della sua attività televisiva, aveva scritto al Ministro Provinciale dei cappuccini per chiedere un collaboratore. Non gli venne dato nessun aiuto e fu costretto a continuare da solo quest’immensa opera di evangelizzazione.
Questo perché, come ci ricorda il cappuccino, anche tra i suoi confratelli pochi capivano “il valore eccezionale di questo apostolato televisivo, arma di oggi e dell’avvenire per conquistare anime a Cristo”. Una caratteristica fondamentale di questo frate era la misericordia verso tutte le persone. Per attirare gli uomini a Dio non servono la severità e la durezza ma la bontà e la pazienza. Sul suo volto era sempre stampato il sorriso di un vero e proprio giullare di Dio che esprimeva la perfetta letizia francescana.
Un brillante comunicatore
Un suo biografo ha indicato tre caratteristiche nella sua predicazione: chiarezza, brevità, incisività. Un giornalista americano scrisse che il programma di padre Mariano: “stimola l’interesse dei telespettatori; e così il tempo della trasmissione non risulta mai noioso e comunque mai troppo lungo”, due caratteristiche queste quasi sempre presenti nelle prediche che ascoltiamo nelle nostre chiese. Il cappuccino Giancarlo Fiorini scrive: “I contenuti erano ridotti all’essenziale e venivano proposti in piccole dosi, intervallandoli con riferimenti a fatti e persone, ad esperienze personali, ad aneddoti e perfino a barzellette. Era un discorso facile da capire ma pieno di contenuto esistenziale”.
E ancora: “In ogni trasmissione poi citava degli esempi o dei fatti, intercalandoli con riflessioni teoriche. Sorprende la conoscenza di tanti episodi e frasi significative, di persone di ieri e soprattutto di oggi, di iniziative valide e di movimenti che perseguono finalità positive; in questo era agevolato dalla passione per la lettura e dal suo schedario (o zibaldone, come lo chiamava), contenente oltre cento cartelle ordinate per argomenti, che aggiornava di continuo. A chi non condivideva l’alternanza nell’esposizione di idee e fatti concreti, rispondeva che l’esempio, oltre a richiamare l’attenzione, viene compreso subito, si ricorda più facilmente ed è uno stimolo per approfondire e personalizzare. Inoltre era convinto che conoscere l’esperienza spirituale di cristiani autentici, di convertiti e di uomini illustri del nostro tempo, ha una forza trascinante ben superiore ad ogni discorso: un fatto vale cento ragionamenti”.
Diceva: “La Chiesa vuole – e quanto spesso lo ripete! – che l’omelia della messa sia breve, breve: non passi i dieci minuti. Perché un discorso sia immortale – pare che la Chiesa dica, raccomando la brevità ai ministri di Dio – non è necessario che duri eternamente. Economia nelle parole: come se quello che si dice si dovesse telegrafare per esempio in America, con la tariffa – non indifferente – di a parole”.
Il suo parlare era fluido, brillante ed aderente alla vita. La capacità di sintesi, il modo avvincente con cui raccontava le cose e il calore umano che emanava dalla sua persona attaccavano il telespettatore al teleschermo. E poi la Grazia di Dio faceva il resto, toccando i cuori e le menti, provocando conversioni, cambiamenti di vita, suscitando il desiderio di una maggior intimità con Dio e un maggior amore ai fratelli.
Gli stessi indici di gradimento gli davano ragione: oscillavano tra il 77 e l’81%, indici mai più raggiunti nella storia della televisione italiana. Basti pensare che la trasmissione Lascia o raddoppia, condotta da Mike Bongiorno, raggiunse l’indice di gradimento del 74 nel 1957, del 67 nel 1958 e del 56 nel 1959. Morirà il 27 marzo del 1972 a Roma. È in corso il processo di beatificazione.
Il cardinale Ugo Poletti, nell’omelia funebre, così si espresse: “Era come vedere ancora san Francesco, con un largo sorriso sul volto, con la gioia che sprizza dagli occhi, con una disponibilità per quanti volevano chiedergli qualche cosa, con la semplicità che disarma e conquista, con quel linguaggio caldo, carico di umanità, e di fede”. (da Avete finito di farci la predica? Riflessioni laicali sulle omelie – Effatà Editrice 2011)
fonte: http://www.libertaepersona.org/dblog/
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