giovedì 3 marzo 2011

San Francesco di Sales e i veri cattolici adulti




di Massimo Introvigne

02-03-2011


Nelle sue catechesi del mercoledì sui santi, Benedetto XVI è passato il 2 marzo dal Cinquecento al Seicento presentandoci una figura vissuta a cavallo fra i due secoli, san Francesco di Sales (1567-1622). Il Papa ha riassunto la spiritualità del grande dottore della Chiesa in una sua celebre espressione: «“Dieu est le Dieu du coeur humain” [Dio è il Dio del cuore umano] (Trattato dell’Amore di Dio, I, XV)», parole - ha detto - solo «apparentemente semplici».


Nato nel 1567 in una nobile famiglia del Ducato di Savoia, compì studi accademici brillanti a Padova e a Parigi. «Nella sua armoniosa giovinezza - ha ricordato il Papa, attirando l'attenzione su un episodio particolare -, riflettendo sul pensiero di sant’Agostino [354-430] e di san Tommaso d’Aquino [1225-1274] ebbe una crisi profonda che lo indusse a interrogarsi sulla propria salvezza eterna e sulla predestinazione di Dio nei suoi riguardi, soffrendo come vero dramma spirituale le principali questioni teologiche del suo tempo. Pregava intensamente, ma il dubbio lo tormentò in modo così forte che per alcune settimane non riuscì quasi del tutto a mangiare e dormire. Al culmine della prova, si recò nella chiesa dei Domenicani a Parigi, aprì il suo cuore e pregò così: “Qualsiasi cosa accada, Signore, tu che tieni tutto nella tua mano, e le cui vie sono giustizia e verità; qualunque cosa tu abbia stabilito a mio riguardo …; tu che sei sempre giusto giudice e Padre misericordioso, io ti amerò, Signore […], ti amerò qui, o mio Dio, e spererò sempre nella tua misericordia, e sempre ripeterò la tua lode… O Signore Gesù, tu sarai sempre la mia speranza e la mia salvezza nella terra dei viventi” (I Proc. Canon., vol I, art 4). Il ventenne Francesco trovò la pace nella realtà radicale e liberante dell’amore di Dio: amarlo senza nulla chiedere in cambio e confidare nell’amore divino; non chiedere più che cosa farà Dio con me: io lo amo semplicemente, indipendentemente da quanto mi dà o non mi dà. Così trovò la pace, e la questione della predestinazione - sulla quale si discuteva in quel tempo – era risolta, perché egli non cercava più di quanto poteva avere da Dio; lo amava semplicemente, si abbandonava alla Sua bontà».


Superati i dubbi sulla grande questione della predestinazione, che divideva nell'area di lingua francese cattolici e calvinisti e seminava discordie anche all'interno della Chiesa, Francesco abbracciò con convinzione il sacerdozio e nel 1602 diventò vescovo di Ginevra, «in un periodo in cui la città era roccaforte del Calvinismo, tanto che la sede vescovile si trovava “in esilio” ad Annecy». Il Pontefice sottolinea qui il carattere non «francese» - che pure è la lingua in cui si esprime - ma savoiardo del santo, essenziale per comprenderlo. Della terra di Savoia «di cui conosceva bene tanto la durezza quanto la bellezza, egli scrive: “[Dio] l’ho incontrato pieno di dolcezza e soavità fra le nostre più alte e aspre montagne, ove molte anime semplici lo amavano e adoravano in tutta verità e sincerità; e caprioli e camosci correvano qua e là tra i ghiacci spaventosi per annunciare le sue lodi” (Lettera alla Madre [Giovanna Francesca] di Chantal [1572-1641], ottobre 1606, in Oeuvres, éd. Mackey, t. XIII, p. 223)».


Ma questo radicamento regionale non toglie che «l’influsso della sua vita e del suo insegnamento sull’Europa dell’epoca e dei secoli successivi appare immenso. È apostolo, predicatore, scrittore, uomo d’azione e di preghiera; impegnato a realizzare gli ideali del Concilio di Trento; coinvolto nella controversia e nel dialogo con i protestanti, sperimentando sempre più, al di là del necessario confronto teologico, l’efficacia della relazione personale e della carità; incaricato di missioni diplomatiche a livello europeo, e di compiti sociali di mediazione e di riconciliazione».


Questa infaticabile attività - il Papa, in fondo, lo ricorda ogni settimana, a proposito di tutti i santi - poteva soltanto trovare la sua anima nella vita spirituale. Forse solo gli specialisti ricordano le missioni diplomatiche di san Francesco, ma moltissimi fedeli lo conoscono come l'autore di «uno dei libri più letti nell’età moderna, l’“Introduzione alla vita devota”». Inoltre, «dalla sua profonda comunione spirituale con una personalità d’eccezione, santa Giovanna Francesca di Chantal, nascerà una nuova famiglia religiosa, l’Ordine della Visitazione, caratterizzato – come volle il Santo – da una consacrazione totale a Dio vissuta nella semplicità e umiltà, nel fare straordinariamente bene le cose ordinarie: “… voglio che le mie Figlie – egli scrive – non abbiano altro ideale che quello di glorificare [Nostro Signore] con la loro umiltà” (Lettera a mons. [Denis-Simon] de Marquemond [1572-1626], giugno 1615)».


Il Papa sottolinea il tratto e lo stile del santo, che - ancora una volta - trova le radici in un carattere regionale e influirà su tutta una tradizione savoiarda e sabauda. «Della parola “umanità” egli ha incarnato diverse accezioni che, oggi come ieri, questo termine può assumere: cultura e cortesia, libertà e tenerezza, nobiltà e solidarietà. Nell’aspetto aveva qualcosa della maestà del paesaggio in cui è vissuto, conservandone anche la semplicità e la naturalezza. Le antiche parole e le immagini in cui si esprimeva suonano inaspettatamente, anche all’orecchio dell’uomo d’oggi, come una lingua nativa e familiare».


Come maestro di vita spirituale, san Francesco di Sales insiste su un tema caro a Benedetto XVI, la chiamata universale alla santità di cui sono destinatari, secondo l' indole loro propria - che comprende l'animazione cristiana dell'ordine temporale - anche i laici. «A Filotea, l’ideale destinataria della sua "Introduzione alla vita devota" (1607), Francesco di Sales rivolge un invito che poté apparire, all’epoca, rivoluzionario. È l’invito a essere completamente di Dio, vivendo in pienezza la presenza nel mondo e i compiti del proprio stato. “La mia intenzione è di istruire quelli che vivono nelle città, nello stato coniugale, a corte […]” (Prefazione alla Introduzione alla vita devota). Il Documento con cui Papa Leone XIII [1810-1903], più di due secoli dopo, lo proclamerà Dottore della Chiesa insisterà su questo allargamento della chiamata alla perfezione, alla santità. Vi è scritto:“[la vera pietà] è penetrata fino al trono dei re, nella tenda dei capi degli eserciti, nel pretorio dei giudici, negli uffici, nelle botteghe e addirittura nelle capanne dei pastori […]” (Breve "Dives in misericordia", 16 novembre 1877). Nasceva così quell’appello ai laici, quella cura per la consacrazione delle cose temporali e per la santificazione del quotidiano su cui insisteranno il Concilio Vaticano II e la spiritualità del nostro tempo. Si manifestava l’ideale di un’umanità riconciliata, nella sintonia fra azione nel mondo e preghiera, fra condizione secolare e ricerca di perfezione, con l’aiuto della Grazia di Dio che permea l’umano e, senza distruggerlo, lo purifica, innalzandolo alle altezze divine».


Tornando - ne aveva già parlato in altri discorsi - sul vero significato di un'espressione che origina da san Paolo, ma che spesso è usata a torto per indicare una presunta emancipazione dal Magistero della Chiesa, il Papa afferma che il vero «cristiano adulto», cioè «spiritualmente maturo», per san Francesco di Sales è quello che è stato capace di fare sua «una precisa visione dell’essere umano, un’antropologia: la “ragione” dell’uomo, anzi l’“anima ragionevole”, vi è vista come un’architettura armonica, un tempio, articolato in più spazi, intorno ad un centro, che egli chiama, insieme con i grandi mistici, “cima”, “punta” dello spirito, o “fondo” dell’anima. E’ il punto in cui la ragione, percorsi tutti i suoi gradi, “chiude gli occhi” e la conoscenza diventa tutt’uno con l’amore ("Trattato dell'amore di Dio", libro I, cap. XII). Che l’amore, nella sua dimensione teologale, divina, sia la ragion d’essere di tutte le cose, in una scala ascendente che non sembra conoscere fratture e abissi, san Francesco di Sales lo ha riassunto in una celebre frase: “L’uomo è la perfezione dell’universo; lo spirito è la perfezione dell’uomo; l’amore è quella dello spirito, e la carità quella dell’amore” (ibid., libro X, cap. I)».


Il vero cattolico adulto è invitato da san Francesco di Sales ad «amare l'ubbidienza» alla Chiesa sulla base insieme della fede e della ragione, mentre nella sua omelia del 28 giugno 2009 a San Paolo fuori le Mura Benedetto XVI, stigmatizzando l'abuso contemporaneo dell'espressione che ne rovescia il vero significato, aveva notato che «la parola “fede adulta” negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso. Lo s’intende spesso nel senso dell’atteggiamento di chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi Pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere – una fede “fai da te”, quindi. E lo si presenta come “coraggio” di esprimersi contro il Magistero della Chiesa. In realtà, tuttavia , non ci vuole per questo del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico applauso. Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice lo “schema” del mondo contemporaneo. È questo non-conformismo della fede che Paolo chiama una “fede adulta”. Qualifica invece come infantile il correre dietro ai venti e alle correnti del tempo».


L'opera del santo di Sales da cui sono tratte le precedenti citazioni, il «Trattato dell’amore di Dio» è definita dal Papa «una vera e propria summa, e insieme un’affascinante opera letteraria. La sua descrizione dell’itinerario verso Dio parte dal riconoscimento della “naturale inclinazione” (ibid., libro I, cap. XVI), iscritta nel cuore dell’uomo pur peccatore, ad amare Dio sopra ogni cosa. Secondo il modello della Sacra Scrittura, san Francesco di Sales parla dell’unione fra Dio e l’uomo sviluppando tutta una serie di immagini di relazione interpersonale. Il suo Dio è padre e signore, sposo e amico, ha caratteristiche materne e di nutrice, è il sole di cui persino la notte è misteriosa rivelazione. Un tale Dio trae a sé l’uomo con vincoli di amore, cioè di vera libertà: “poiché l’amore non ha forzati né schiavi, ma riduce ogni cosa sotto la propria obbedienza con una forza così deliziosa che, se nulla è forte come l’amore, nulla è amabile come la sua forza” (ibid., libro I, cap. VI). Troviamo nel trattato del nostro Santo una meditazione profonda sulla volontà umana e la descrizione del suo fluire, passare, morire, per vivere (cfr ibid., libro IX, cap. XIII) nel completo abbandono non solo alla volontà di Dio, ma a ciò che a Lui piace, al suo “bon plaisir”, al suo beneplacito (cfr ibid., libro IX, cap. I). All’apice dell’unione con Dio, oltre i rapimenti dell’estasi contemplativa, si colloca quel rifluire di carità concreta, che si fa attenta a tutti i bisogni degli altri e che egli chiama “estasi della vita e delle opere” (ibid., libro VII, cap. VI)», con evidente riferimento alla polemica protestante contro le «opere», che non sarebbero necessarie a chi vive e si salva per sola fede.


Da san Francesco di Sales parte tutta una scuola che fa della cortesia e della buona educazione il tratto di partenza di un ethos, proposto in particolare ai laici, che si radica nell'obbedienza alla volontà di Dio e alla Chiesa, e la cerca anche nelle cure della vita temporale, sociale, politica. Il Papa ha citato esplicitamente san Giovanni Bosco (1815-1888), che da san Francesco di Sales trasse il nome della sua congregazione, i Salesiani, a riprova di come questo ethos savoiardo - a proposito del quale si potrebbe ricordare anche un altro grande figlio della Savoia, Joseph de Maistre (1753-1821), influenzato in modo decisivo dal nostro santo - è fiorito soprattutto in Italia, animando generazioni di veri «cristiani adulti», da non confondere con coloro che utilizzano abusivamente e polemicamente questa etichetta.


Fonte: La Bussola Quotidiana

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