Un’immagine dei funerali del giovane seminarista Michael Nnadi
Caterina Giojelli 10 maggio 2020 Tempi
L’uomo arrestato per l’omicidio del seminarista Michael Nnadi racconta di averlo giustiziato perché la sua fede «non mi dava pace»
Devono far riflettere le parole del Vescovo di Sokoto monsignor Matthew Hassan Kukah pronunciate durante i funerali del suo seminarista diciottenne rapito e ucciso dai terroristi islamici : "Dobbiamo negare il fatto che i rapitori separano i musulmani dagli infedeli o costringono i cristiani a convertirsi o morire?"
Michel non gli ha dato pace un solo giorno di prigionia, continuava a pregare e annunciare il Vangelo con «coraggio eccezionale». Per questo uno dei suoi aguzzini ha deciso di giustiziarlo. Ha fatto il giro del mondo l’intervista rilasciata dal ventiseienne Mustapha Mohammed, arrestato con l’accusa di essere l’assassinio di Michael Nnadi, il più giovane dei quattro seminaristi del Buon Pastore rapiti l’8 gennaio nello Stato di Kaduna, nel nord-ovest della Nigeria.
IL «CORAGGIO ECCEZIONALE» DEL SEMINARISTA
Parlando al Daily Sun da un carcere di Abuja, Mohammed ha detto di averlo ammazzato perché non sopportava la forza e la speranza del ragazzo, che guardandolo dritto negli occhi lo invitava a smettere di essere un uomo malvagio ricordandogli che le sue azioni lo avrebbero condannato. «Un coraggio eccezionale», ripete l’aguzzino, che al telefono con i cronisti ha spiegato di fare parte di una banda composta da 45 membri dedita a seminare il terrore sulla temutissima superstrada Kaduna-Abuja, la stessa dove fu ritrovato vivo ma con le ossa fracassate un altro dei seminaristi rapiti, il «più testardo e resistente». A fine gennaio erano tornati in libertà anche gli altri due, mancava solo Nnadi: monsignor Matthew Hassan Kukah, vescovo di Sokoto, aveva annunciato con dolore il suo assassinio il 1° febbraio, quando venne ritrovato e identificato il corpo del giovane insieme a quello di una donna, moglie di un medico, una delle tante persone sequestrate dagli islamisti insieme ai ragazzi del Buon Pastore.
«NON MI DAVA PACE»
«Non mi dava pace, sapeva che non condividevamo la stessa fede», così Mustapha ha deciso di spedirlo nella tomba. Il bandito ha spiegato che attaccare il seminario sarebbe stata una ghiotta occasione per fare soldi, l’irruzione è stata preparata con cura e grazie alle informazioni di un affiliato che viveva accanto al seminario. Dopo cinque giorni di sorveglianza, indossando i panni dei militari, i banditi avevano sequestrato i quattro ragazzi e usato il cellulare di Nnadi per presentare le loro richieste alle autorità scolastiche: 100 milioni di naira, in seguito ridotti a 10 (da 250 mila a 25 dollari), per il rilascio degli studenti.
CARNE DA MACELLO PER ISLAMISTI
L’intervista ha avuto ampia risonanza in un paese in cui i cristiani sono ormai carne da macello per islamisti: sono circa 120 i fedeli che si trovano ancora nelle mani di Boko Haram, tra i quali giovani donne che non hanno voluto abiurare la fede cristiana, come Leah Sharibu e Grace Taku, impossibili da contare invece le vittime della persecuzione anticristana come il reverendo Lawan Andimi, guida locale della Christian Association of Nigeria (Can) decapitato il 20 gennaio, o quelle degli attacchi dei saccheggiatori fulani.
L’ULTIMA SCORRIBANDA DEI FULANI
Francis Clement, contadino trentenne nello stato di Plateau ha perso il conto degli amici e dei parenti ammazzati dai pastori islamisti, «ogni volta che proviamo a risollevarci da un attacco ci colpiscono ancora con furia ancora più mortale. Uccidono persone, bruciano case e distruggono fattorie» ha spiegato a The Punch raccontando l’assalto più recente, avvenuto due settimane fa nella sua comunità, quando trovò a terra coperti di sangue due dei suoi fratelli. Gli assalitori hanno sparato anche a suo padre, «penso sia stato Dio a salvargli la vita perché nello stesso istante in cui venne colpito alla gamba l’attenzione del suo sicario venne catturata dalla figura del nostro pastore che aveva raggiunto il luogo della sparatoria. Il sicario uccise il chierico ma mio padre ebbe tempo per nascondersi». Quando Clement arrivò al villaggio trovò a terra tra gli altri cadaveri i corpi stesi immobili di due suoi fratelli e quello ancora vivo del fratellino più piccolo, ferito dai banditi. Il piccolo è stato dimesso ma la famiglia di Clememt non ha le 200 mila niara richieste dal medico che si è preso cura della gamba del capofamiglia.
«SOLO DIO PUÒ AIUTARCI»
«Siamo nelle mani di Dio. Solo lui può aiutarci, nessun altro ci difende, nessuno fermerà l’uccisione della nostra gente», ha spiegato raccontando l’inanità del governo che lascia il suo popolo in balia dei carnefici. La stessa denunciata a gran voce da monsignor Matthew Hassan Kukah: «Nessuno avrebbe potuto immaginare che dopo aver conquistato la presidenza, il generale Buhari avrebbe portato il nepotismo e la clanicità nell’esercito e nelle agenzie di sicurezza; che il suo governo sarebbe stato contrassegnato da politiche suprematiste e di divisione, che avrebbero portato il nostro Paese sull’orlo del baratro. Questo presidente ha mostrato il massimo grado di insensibilità nella gestione della ricca diversità del nostro Paese». Queste le parole del vescovo di Sokoto durante l’omelia dei funerali di Michael Nnadi.
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