sabato 24 marzo 2018

La gloriosa morte della Beata Imelda Lambertini




don Alfredo Morselli

Conosciamo la storia commovente di questa Beata [1], religiosa domenicana tredicenne: le era stata negata la possibilità di accedere all’Eucarestia, perché a quei tempi si richiedeva un’età maggiore. Gesù Eucaristico diede al prete, che aveva opposto il suo no, e a noi tutti, una grande lezione di amore: “…proprio davanti a lei, a un tratto, apparve a mezz'aria una luminosissima particola. Il sacerdote capì che non si sarebbe potuto rifiutare: così prese l'ostia e comunicò la ragazzina. La Lambertini entrò immediatamente in estasi e così rimase. Morì con un'espressione di gioia sul viso che rimase impressa negli astanti” [2].

La Beata Imelda morì dunque di una morte di amore, di amore per la SS. Eucaristia: ma cosa vuol dire esattamente morire di amore? Perché la beata Imelda ha ultimato la sua vita terrena in questo modo, subito dopo aver ottenuto miracolosamente ciò che aveva tanto desiderato?

I presupposti per la risposta a questa domanda ci sono data da colui che, per dichiarazione del Cielo stesso, dell’Eucarestia disse bene [3], il solito S. Tommaso d’Aquino; precisamente in Summa Theologiae, IIIª q. 80 a. 2 co. (Se l'uomo soltanto, oppure anche gli angeli, possano ricevere spiritualmente questo sacramento):

“Nell'Eucarestia è presente Cristo stesso, non già nel suo stato naturale, ma sotto le specie sacramentali. Perciò ci si può cibare spiritualmente di lui in due modi. Primo, fruendo di Cristo nel suo stato naturale. Ed è così che si nutrono spiritualmente di Cristo gli angeli, unendosi a lui con il godimento della carità perfetta e con la visione manifesta (ed è questo il pane che ci attende nella patria): non già con la fede che ci unisce a lui qui sulla terra.
Secondo, ci si può cibare spiritualmente di Cristo in quanto è presente sotto le specie di questo sacramento: cioè credendo in Cristo e desiderando di ricevere questo sacramento. E ciò non è soltanto nutrirsi spiritualmente di Cristo, ma è anche nutrirsi spiritualmente del sacramento dell'Eucarestia. E questo va escluso per gli angeli. Agli angeli quindi, sebbene si cibino spiritualmente di Cristo, non spetta ricevere spiritualmente questo sacramento”[4].

Vediamo di spiegare questo testo: in Paradiso gli Angeli e i beati non si nutrono di Cristo sotto le specie Eucaristiche, ma sono in perfetta comunione con lui (la realtà significata analogicamente dal cibarsi) mediante il godimento della carità perfetta e la visione manifesta. Non è necessario il segno di cosa sacra, possedendo i beati realmente ciò che il segno significa.

Evidentemente il desiderio di Imelda di ricevere Gesù era in lei così perfetto, che non poteva ulteriormente crescere nella carità se non comunicandosi come gli angeli, cioè fruendo di Cristo nel suo stato naturale ("prout in sua specie consistit"), e non più soltanto con la fede che ci unisce a lui qui sulla terra ("non per fidem, sicut nos hic ei unimur").
Comprendiamo così che il desiderio di comunicarsi comprende in qualche modo il santo desiderio di morire, desiderando chi si comunica la Comunione perfetta simpliciter.

Sono così ancora più chiari i versi dell’Aquinate, nell’inno Adoro Te devote:

Iesu, quem velatum nunc aspicio,
oro fiat illud quod tam sitio;
ut te revelata cernens facie,
visu sim beatus tuae gloriae.
La gloriosa morte della Beata Imelda sta dunque nel fatto che ella ha gustato le delizie di una Comunione sacramentale perfetta, ed è passata direttamente da una perfetta Comunione come si può fare su questa terra alla Comunione assolutamente perfetta del Cielo.

Ella ha patito anche il dolore di vedersi negata la possibilità di comunicarsi sacramentalmente, lei che invece ne era particolarmente degna; oggi succede tristemente l’esatto opposto: si vuole dare la S. Comunione a chi non è oggettivamente in condizione di riceverla.

Possa ella intercedere perché si dissolva come il fumo che si disperde [5] questa prassi eretica: possa essere non solo la patrona dei bambini che si accostano per la prima volta a Gesù Eucaristico, ma anche di coloro che, trovatisi a navigare nel mare in tempesta di questa epoca scristianizzata, non riescono ancora a mettersi nelle condizioni di potersi lecitamente e fruttuosamente comunicare. La Beata ottenga loro che arrivino ai sacramenti non compatiti da una falsa misericordia, ma vittoriosi per l’abnegazione.

La piccola grande Imelda, non di meno, possa aiutare anche chi accede lecitamente ai sacramenti, perché non si impantani nella vomitevole tiepidezza (cf. Ap 3,16) di S. Comunioni poco fervorose.





NOTE


[1] Per chi volesse approfondire la storia della vita della Beata Imelda, segnaliamo le seguenti opere: P. TIMOTEO CENTI, O.P. La Beata Imelda Lambertini, Vergine domenicana. Con studio critico e documenti inediti, Firenze: Il Rosario 1955, pp.133; P. TOMMASO ALFONSI, O.P., La B. Imelda Lambertini - Domenicana, Bologna: LTP, 1927, pp. 267. Entrambe le opere sono scaricabili gratuitamente in formato pdf qui: http://www.arpato.org/studi.htm.


[2] RINO CAMMILLERI, Santi dimenticati, Piemme, 1996, cit. in «Imelda Lambertini», http://it.wikipedia.org/wiki/Imelda_Lambertini.


[3] Mi riferisco al fatto miracoloso avvenuto della Basilica di San Domenico Maggiore, a Napoli, quando, mentre l’Aquinate era in preghiera nel Cappellone del Crocifisso, fu udita la voce di Gesù, rivolta allo stesso dottore angelico: “Bene de me dixisti Thoma”.


[4] “Respondeo dicendum quod in hoc sacramento continetur ipse Christus, non quidem in specie propria, sed in specie sacramenti. Dupliciter ergo contingit manducare spiritualiter. Uno modo, ipsum Christum prout in sua specie consistit. Et hoc modo Angeli spiritualiter manducant ipsum Christum, inquantum ei uniuntur fruitione caritatis perfectae et visione manifesta (quem panem expectamus in patria), non per fidem, sicut nos hic ei unimur. Alio modo contingit spiritualiter manducare Christum prout est sub speciebus huius sacramenti, inquantum scilicet aliquis credit in Christum cum desiderio sumendi hoc sacramentum. Et hoc non solum est manducare Christum spiritualiter, sed etiam spiritualiter manducare hoc sacramentum. Quod non competit Angelis. Et ideo Angeli, etsi spiritualiter manducent Christum, non convenit tamen eis spiritualiter manducare hoc sacramentum”.


[5] Sal 68,3: "Come si dissolve il fumo, tu li dissolvi; come si scioglie la cera di fronte al fuoco, periscono i malvagi davanti a Dio".






Chi è la Beata Imelda Lambertini



Novizia domenicana (1322–1333) 12 maggio


Bellissime le figure di questi santi bambini, che riescono a raggiungere vette di spiritualità impensate. Ed è proprio in questa purezza di cuore che Dio trova fertile terreno per dare a tutti noi un grande esempio di umiltà e di abbandono.

Il culto di Imelda, santa bambina, fu confermato dalla Santa Sede nel 1826, quasi cinquecento anni dopo la sua morte. Imelda nacque a Bologna in una delle famiglie più illustre della città, quella dei Lambertini. Il padre Egano fu capo del casato e cavaliere, aumentò notevolmente il censo della famiglia agli inizi del Trecento avendo ricevuto il titolo di conte. Soprattutto “con l’integrità della vita, con la gravità del senno e con la prudente e onesta destrezza nel maneggio degli affari pubblici” Egano esercitò una grande influenza morale sui cittadini tanto che, in quei tempi molto difficili, fu chiamato a ricoprire cariche delicate anche in altre città.

Quando nel 1321, un periodo burrascoso per la vita civile della città e per la Famiglia Galluzzi, Imelda venne alla luce, Egano era Podestà a Città di Castello ed era già passato a seconde nozze (infatti nel 1315 aveva perduto la prima moglie Misina Guastavillani da cui aveva avuto un figlio) con Castora dei Galluzzi, anche lei di famiglia nobile e famosa per molti suoi membri illustri per santità e dottrina. Castora, oltre ai beni materiali, aveva portato in casa Lambertini il corredo inestimabile delle più elette virtù cristiane, e diventò presto un modello di sposa e di madre cristiana.

Fin dal suo primo apparire alla vita Imelda respirò una fede cristiana viva e profonda e, sicuramente, rimase contagiata dalla pietà della madre poiché fin da piccola incominciò a manifestare grande interesse per le cose di Dio. Si narra che ascoltava attentamente tutto ciò che aveva attinenza con la religione, in particolare la recita dei salmi, e che preferiva le storie sacre e i racconti delle vite dei santi a qualunque fiaba. Si dilettava ad adornare un angolo tranquillo della casa con fiori e pitture sacre.

Così Imelda imparò a nutrire il gusto di “piacere al Signore” e a tenersi lontana dalle vanità, infatti, da bambina, avvertì il desiderio di offrire tutta se stessa al Signore e, poi, all’età di nove anni, giovanissima, come era consuetudine in quel tempo, scelse di entrare nel Monastero domenicano di S.Maria Maddalena in Valdipietra. Il Monastero, scelto anche grazie alla vicinanza della sua famiglia all’Ordine dei Frati Predicatori, era costituito da poche monache, ma di fervida osservanza, secondo lo Spirito di San Domenico, qui Imelda si mise alla scuola dei grandi maestri della spiritualità domenicana.

Della sua vita interiore non si sa nulla purtuttavia si può dire che sicuramente Imelda fu fedele alla celebrazione della divina Liturgia diurna e notturna, culto gradito a Dio, da cui si lasciò educare per penetrare sempre più nel mistero dell’amore di Dio per l’uomo e per corrispondervi. È indubbio che al centro della sua solida pietà ci fu l’amore a Gesù Eucaristia, nutrito già nell’ambito della sua famiglia e della sua città. A Bologna, infatti, il culto eucaristico, pur non manifestandosi in esposizioni solenni, processioni, celebrazioni di Messe e Comunioni frequenti, cose apparse solo inseguito nella tradizione della Chiesa, era molto vivo e sentito.

I fedeli non solo versavano considerevoli somme per illuminare il Corpus Christi, ma per le provviste per le Sacre Specie destinavano anche campi a speciali coltivazioni di grano e di viti. Ricevere la Comunione Eucaristica, non era permesso in quei tempi prima di aver compiuto i 12 anni, ma l’educanda Imelda aveva un solo desiderio, che era quello di ricevere l’Ostia consacrata e ne faceva continua richiesta, sempre rifiutata.

In Imelda però il desiderio di ricevere Gesù era così grande che Gesù stesso le venne finalmente incontro e Imelda al suo primo e miracoloso incontro con l’Ostia santa, come in un’estasi d’amore, fu resa perfetta nella sua intima unione con Dio. Nel giorno della solennità dell’Ascensione il 12 maggio 1333 accadde che, dopo la S. Messa e la recita dei Salmi le Suore si ritirarono dal Coro, il Sacerdote rimase in Sacrestia come di consueto e Imelda rimase in preghiera davanti all’altare, sola. Ad un tratto apparve dall’alto un’ostia circonfusa di luce, visibile a tutti, un odore fragrante di pane si diffuse per tutto il monastero.

Accorsero le suore e il sacerdote, il quale, raccolta l’ostia in una patena, comunicò Imelda che, mentre era raccolta in fervente preghiera, passò alla vita di gloria nella comunione eterna con il suo Signore insieme al Padre, allo Spirito Santo e all’immensa schiera degli Angeli e dei Santi. Subito dopo raggiante di gioia e ancora inginocchiata, Imelda Lambertini spirò in un’estasi d’amore, non ancora dodicenne. Le sue spoglie furono racchiuse in un artistico sepolcro di marmo con un’iscrizione e si cominciò a recitare in suo onore un’antifona.

Un così grande miracolo circondò subito Imelda dell’aureola dei Santi. Le monache di Valdipietra nel 1335 posero nel martirologio del Monastero al 12 maggio la “Memoria di Imelda Lambertini. Il culto si estese subito e lo si riferì al culto eucaristico della città. Le reliquie del corpo furono custodite, inizialmente dalle monache e dalla famiglia, la quale però, dopo il pontificato di Benedetto XIV, Prospero Lambertini, poiché si andava estinguendo, ne affidò la custodia ai marchesi Malvezzi.

Verso il 1798, con il beneplacito dell’arcivescovo, le reliquie vennero trasferite e venerate nella chiesa di San Sigismondo che allora godeva del patronato dei Malvezzi stessi. Leone XII ne approvò il culto nel 1825 e, nel 1908 Pio X la indicò come protettrice dei fanciulli che per la prima volta si accostano alla Prima Comunione. Questa doveva essere la sua prima e ultima comunione poiché spirò immediatamente.


La Chiesa pone sulle nostre labbra un’invocazione:


“O beata Imelda, segno d’amore per Gesù eucaristico, ottieni anche a me di desiderare sempre ardentemente, come tu desiderasti, l’incontro gioioso con Gesù nell’Eucaristia. Quando Egli viene in me, fa che si trasfiguri la mia vita: sia essa azione di grazie e di amore, sia ogni giorno serena e luminosa testimonianza della mia amorosa ricerca della verità nella comunione permanente con Lui. Amen”


Ancora oggi le sue reliquie si trovano nella chiesa di San Sigismondo in Bologna, nel cuore della Città universitaria, quasi come un segno, come un invito particolare ai giovani a nutrirsi del “ vero pane disceso dal cielo“, a non aver paura di accogliere Cristo l’unico Salvatore del mondo, a spalancare le porte a lui, vera e unica risposta alle richieste del cuore dell’uomo .


È PATRONA: – dei bambini che si accostano alla prima comunione




http://biscobreak.altervista.org/2013/05/beata-imelda-lambertini/







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