Sotto Benedetto XVI (2005-2013) era divenuto frequente – nella Chiesa– parlare di dittatura del relativismo. L’espressione, come si capisce subito, è fortemente critica verso un pensiero che, mentre pone se stesso come aperto, libero, senza pregiudizi e dialogico su tutto, all’atto pratico rischia di trasformarsi nell’opposto di questa sua rosea presentazione. E questo è del tutto logico. Mettendo infatti l’uomo al centro di tutto (antropocentrismo assoluto ed esclusivista) è facile poi decentrare e lasciare ai margini della società e del pensiero tutto ciò che pare incompatibile con la propria arbitraria definizione di uomo, fossero pure valori, principi, certezze, evidenze di chiaro rilievo antropologico.
È altresì accertato che oggi – nell’ultimo lustro di storia ecclesiale – parlare di relativismo è divenuto più raro. E denunciare il relativismo come un male da combattere, è ormai un emblema e quasi il segno di riconoscimento dell’appartenenza ad una parte ben precisa, e marginale, della Chiesa…
Il relativismo etico: da paradigma di ciò che si contrappone, irriducibilmente, al pensiero razionale (e cristiano) in tutte le sue possibili dimensioni (si vedano le parole calibrate e taglienti di Veritatis splendor), ad una filosofia tutto sommato interessante e stimolante, con cui dialogare senza pregiudizi, cercando una via mediana di incontro… Come è stato possibile questo radicale cambiamento? E quali ne sono le ragioni profonde?
In ogni caso, l’errore resta tale anche se non viene più confutato come lo fu in un tempo pregresso. E se la “Congregazione per la dottrina della fede” ha sentito il bisogno, in questo 2018, di censurare nuovamente delle attitudini spirituali tipiche dello gnosticismo e del pelagianesimo (cf. Placuit Deo), combattute ai tempi di Ambrogio ed Agostino, tanto più giova oggi reimmergersi – fino a un certo punto però – nelle acque opache del relativismo, dello scetticismo e del soggettivismo moderno.
In tal senso è apprezzabile e da lodare lo sforzo di Francesco Coralluzzo, che ha mostrato la coerenza interna e il vuoto dottrinale del pensiero dominante, contemporaneamente nichilista, debole e totalitario (cf. F. Coralluzzo, Oltre il relativismo. Comprendere e superare le ragioni di Nietzsche, Heidegger e Vattimo, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2013, euro 20).
Nella Presentazione del libro (pp. 7-14), mons. Antonio Livi mostra bene la fluidità del relativismo, riducibile non ad una o più tesi filosofiche, “ma a una posizione mentale che nasce dal volontario rifiuto della ragioneragionante” (p. 11). Questo rifiuto a priori, si inserisce in un contesto che senza dubbio lo favorisce e lo alimenta. Infatti, “le diverse agenzie culturali operanti nel nostro tempo (dai mass media alle formazioni politiche, dalle istituzioni culturali e scientifiche alle comunità religiose e alle scuole filosofiche indipendenti) diffondono messaggi contraddittori e sconcertanti” (p. 8). Probabilmente ad un livello e con una intensità mai raggiunta in passato. I sofisti sono arrivati al potere?
Questo caos del pensiero tende a sabotare il pensiero stesso, poiché l’uomo medio, colui che dà vita alla pubblica opinione, può dirsi, fra sé e sé: Come fare a conoscere la verità, tra tante istanze contrastanti e contradditorie? Chi può dirci come è bene vivere? I concetti di bene e male sono di fatto evoluti nel tempo, e non potrebbero cambiare ancora una volta domani?
E così finirà, presto o tardi, per scegliere di non scegliere (tra le tante parti in causa), illudendosi di non aver scelto nulla… Ma si tratta di una illusione mortale, poiché astenersi è comunque una scelta (non solo in politica), e non è la meno pericolosa. Cosa dirà poi tale uomo medio, reso scettico dalle circostanze, alla figlia sedicenne che vuole abortire poiché non se la sente? La incoraggerà all’aborto, o la scoraggerà, o non dirà nulla. Ma in ogni caso, avrà fatto una scelta colui che non voleva scegliere! Vivere si deve per forza (se non si opta per il suicidio), e quindi anche pensare. Il relativismo è una tendenziale abolizione del pensiero, “è la ricorrente tentazione di abbandonare l’impegno della ricerca, è un’ideologia (in altre epoche chiaramente marginale, ma oggi apparentemente maggioritaria” (p. 9).
Livi, conclude la sua introduzione stabilendo una sorta di genealogia dei relativisti (e degli anti-relativisti) davvero gustosa e piccante. Il relativismo come impostazione mentale scettica e anti-metafisica nasce coi sofisti (combattuti da Socrate, Platone e Aristotele), va avanti con lo gnosticismo ereticale (avversato da Agostino e Tommaso), assurge a sistema con Cartesio (combattuto da Pascal e Buffier), prende nuova lena con Hume (contrastato da Thomas Reid), sembra divenire invincibile con Kant (sezionato da Jacobi e Balmes) ed infine è riproposto tant bien que mal dal semi-cristiano Bergson (sterilizzato da Garrigou-Lagrange e dal neo-tomismo successivo).
Proprio da qui prende le mosse il saggio analitico del Coralluzzo, trattando la nuova enfatica progenie del relativismo, la quale si ammanta nei nomi altisonanti di Nietzsche, Heidegger e Gianni Vattimo, capofila quest’ultimo di un pensiero debolissimo, fragilissimo e tendenzialmente vuoto come il nulla.
L’Autore, parte anch’egli dal contesto contemporaneo in cui, “la ricerca seria e impegnata delle verità fondamentali non è più apprezzata” (p. 15), specie dalle élite dirigenti, e così “il valore morale e le norme che ne derivano sono affidate esclusivamente all’arbitrio dell’individuo” (p. 16), senza alcun criterio stabile e definitivo. Questo terreno (in)fertile ha prodotto la mala pianta del relativismo, inteso dall’Autore come “rifiuto sistematico della verità come possibilità del pensiero” (p. 17).
Il fatto che il rifiuto della verità o l’impossibilità di conoscerla si ponga comunque come affermazione veritativa (e indubitabile) per chi la pone, non spaventa più i neo-sofisti scettici. Anzi oggi, spaventa la coerenza e a volte questa primula introvabile della post-modernità è perseguitata dalla legge; la liquidità dell’incoerente invece è apprezzatissima, come sale della democrazia e profilattico alle svolte autoritarie… D’altra parte, nichilismo viene da nihil e ha come missione universale di annientare “il carattere assoluto di ogni valore, soprattutto quello della verità e del bene” (p. 25, n. 1).
Il Vae victis classico si trasforma a poco a poco in guai ai giusti, guai ai retti, guai ai puri, guai ai forti (specie nel pensiero…), guai ai santi!
In effetti, se la democrazia e lo Stato di diritto sono allergici e impermeabili ad ogni evidenza valoriale pre-politica (come da decenni sostengono gli infallibili Flores d’Arcais, Zagrebelsky e MicroMega), allora è chiaro che vi sarà una alleanza oggettiva tra le democrazie senza assiomi e un pensiero scettico senza criteri.
Impossibile per un recensore, nello spazio di una recensione, lumeggiare tutti i contenuti illustrati dall’Autore. Ci teniamo però a sottolineare ciò: Francesco Coralluzzo si mostra ottimo conoscitore sia della filosofia perenne, la quale parte dalla realtà, dall’essere, dalle cose e alla luce di esse fonda il pensiero critico, dandogli sostanza e contenuti. Sia del pensiero-che-non-pensa, confutando in modo pacato e preciso le contraddizioni del relativismo e dello scetticismo, e aiutando l’umanità a liberarsi dai condizionamenti della filosofia tedesca degli ultimi 2 secoli.
Tra i 3 autori trattati nel libro, quello più tipico del vuoto di pensiero oggi dominante, è proprio l’ineffabile Gianni Vattimo (Torino, 1936). Il quale “arriva a sostenere la tesi secondo cui l’incertezza e il disagio spirituale in cui ci troviamo non derivano dal nichilismo attualmente predominante nella cultura occidentale, bensì dal fatto che siamo ancora troppo poco nichilisti” (p. 166). “Il nichilista compiuto, scrive Vattimo, è colui che ha capito che il nichilismo è la sua (unica) chance” (p. 88). “Si tratta appunto di realizzare […] una presa di congedo dalla pretesa di verità assolute” (p. 93). In pratica il bene e il male non esistono, però il fascismo è un male… Non esiste nessuna certezza, però l’eutanasia va legalizzata… Non esiste alcuna verità, però lui nel 2015 (!!) si è iscritto ad un neonato Partito Comunista…
Infondo qui si sta proponendo, dolcemente, l’eutanasia dell’uomo, del pensiero e delle assisi su cui poggia ogni società composta da essere razionali.
Tutti coloro che tengono all’uomo come tale, al bene comune dei popoli, alla scienza come via veritatis, alla felicità e al trionfo dell’armonia e della pace devono badare bene a non confondere mai la medicina e il virus, il vizio e la virtù, la saggezza come stile di vita e l’istinto di dominio e di auto-annientamento.
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