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Crocifissione” (Matthias Grünewald, 1514)

Le ultime stime della datazione, l’ipotesi giudicata più probabile sulla produzione dell’immagine (che resta tuttora tecnicamente irriproducibile) e le analisi dei patologi forensi


Il 9 giugno scorso ho avuto il privilegio di partecipare come uditore ad un Workshop presso l’università di Padova sulla Sindone di Torino (ST). La giornata è stata occupata dalle relazioni di una quindicina di ricercatori (ingegneri, fisici, chimici, biologi, geologi, statistici e medici) di diversi atenei italiani ed esteri, che hanno descritto gli ultimi risultati multi- e inter-disciplinari degli studi sulla ST. A differenza degli studi avvenuti nel 1978 e nel 1988 (e di altri minori precedenti), eseguiti su diretto incarico della Curia di Torino che autorizzò i prelievi, questi studi sono stati fatti dagli scienziati in completa autonomia, con finanziamenti degli atenei ed usando una dozzina dei campioni prelevati dalla ST nel 1978. Questo è il riassunto di quanto ho raccolto, mentre per gli approfondimenti rinvio direttamente alle relazioni che saranno rese pubbliche entro settembre nel sito dell’SHS Web of Conferences.

La ST è un lenzuolo di lino di 4,4 m di lunghezza e 1,1 m di larghezza, che avvolse il cadavere di un uomo flagellato (nell’immagine dorsale sono state contate 300 staffilate), coronato di spine, ferito al costato con un taglio profondo e crocifisso. Ciò si rileva dalla posizione e dai tipi delle macchie di sangue, nonché dall’immagine corporea ad alta definizione. Inoltre ci sono sul lenzuolo molti altri segni causati da fuoco, acqua, oltre che dalle pieghe del tessuto, che parzialmente oscurano la doppia immagine indelebile, frontale e dorsale. Le due fotografie sottostanti sono state prese da me su due riproduzioni esposte al Workshop: nelle riproduzioni era stato invertito il bianco/nero (perché la nostra mente è abituata ad associare il bianco alle superficie in rilievo, che invece risultano più intaccate dalla vicinanza col lino e appaiono più scure sulla ST) ed era stato accentuato il contrasto per agevolare l’interpretazione.

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Le due immagini (principali) presenti nella Sindone: frontale e dorsale. Sul lato opposto dell’immagine frontale (qui non riprodotto) si ripetono tratti del volto e forse delle mani


In base alla documentazione storica disponibile, la ST compare per la prima volta a Lirey in Francia negli anni 50 del XIV secolo e di qui passa ai duchi di Savoia a Chamberry. In seguito è portata a Torino nel 1578, nella cui cattedrale è custodita in un apposito scrigno dal 1694. Secondo la tradizione religiosa, confortata per alcuni aspetti da evidenze scientifiche presentate al Workshop, la peregrinazione della ST è rappresentabile come nella figura seguente.

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La peregrinazione della Sindone (in nero, le tappe storicamente documentate)


Tra gli altri, c’è un indizio della presenza della ST a Bisanzio già nei secoli VII-VIII: è dato da una moneta di Giustiniano II, che vi regnò in quell’epoca. In una faccia della moneta è ritratto un volto tumefatto di Cristo, niente affatto bello secondo l’iconografia ufficiale, con molte asimmetrie, con la barba strappata, ecc., esibente una forte somiglianza con le fattezze dell’uomo della ST. In un identikit presentato al Workshop, dal confronto di 12 parametri è stato calcolato che ci sono 7 probabilità su un miliardo di miliardi che le due immagini siano indipendenti, ovvero che l’incisore bizantino non avesse visto la ST di persona.

La ST è ritenuta da molti il lenzuolo funerario in cui Gesù fu avvolto dopo la morte, per essere infine depositato in un sepolcro vicino a Gerusalemme circa 2.000 anni fa. In quanto creduta tale, la ST è forse la più importante reliquia cristiana, certamente quella che più è stata in passato e tuttora è sottoposta ad esami scientifici di ogni genere. Il Workshop di Padova ha tralasciato gli aspetti religiosi e ha fatto il punto sullo stato delle evidenze scientifiche acclarate ad oggi. Volendo sintetizzare i risultati raggiunti in un numero, potremmo considerarli “risolutivi per il 5% dei problemi posti alla scienza” (G. Fanti, capo del CRIS, Comitato di Ricerca Ingegneristica sulla Sindone, costituito presso il dipartimento d’Ingegneria Industriale a Padova).
Sotto l’aspetto scientifico i problemi più importanti sono 2: la datazione del lino e la riproduzione dell’immagine. A quando risale il lino? Come si è prodotta (ed è possibile replicare) l’immagine?
Su incarico della Curia di Torino, la prima (ed unica ufficiale) datazione fu eseguita nel 1988 da 3 laboratori (siti rispettivamente a Tucson in Arizona, ad Oxford e a Zurigo), che usarono il metodo del radiocarbonio su campioni ricavati da una striscia di tessuto di 81 x 21 mm, ritagliata da un angolo della ST. Arizona si assunse di esaminare i campioni indicati nella figura sottostante con A1 e A2, Oxford il campione O e Zurigo il campione Z. Contemporaneamente, come controlli, i siti effettuarono anche la datazione al carbonio di referti d’altra origine e di età nota: il lino di una tomba nubiana, il lino di una mummia tebana e fili di un mantello medievale francese. La relazione finale congiunta fu pubblicata su Nature nel febbraio 1989 ed è consultabile online. Essa dichiarò che “con un livello di confidenza del 95% il lino della Sindone di Torino risale al periodo 1260-1390 […] I risultati forniscono un’evidenza conclusiva che il lino della Sindone di Torino è medievale”.

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Campioni e risultati delle analisi al carbonio 14: Arizona A1 + A2, Oxford O, Zurigo Z (1988)


Questo verdetto suscitò subito alcune perplessità in ambito scientifico, specificatamente statistico, ma anche in termini di trasparenza e di replicabilità, che sarebbero accresciute con gli anni. I dubbi sorsero dal fatto che mentre i 3 laboratori mostravano le stesse varianze (uguali margini probabili d’errore), davano invece medie di età sostanzialmente differenti. Questa discrepanza appariva tanto più strana in quanto riguardava solo la ST, non i reperti di controllo, dove i 3 siti davano varianze e medie simili. Qual era la sorgente dell’eterogeneità delle medie di età della ST dei 3 laboratori? Inoltre Arizona si rifiutava di spiegare su quali specifici campioni avesse eseguito le sue misure: aveva usato solo A1? o solo A2? o aveva misurato entrambi e, in tal caso, quali erano i risultati separati? Gli statistici ipotizzarono che una qualche causa ignota (un incendio, o una contaminazione batterica, o un’azione di consunzione lungo gli orli, ecc.) avesse provocato un effetto sistematico, fondamentale per la densità relativa del carbonio radioattivo rispetto agli altri isotopi lungo l’asse longitudinale (x), così falsando le conclusioni sperimentali. Per spiegare la diversità delle medie, s’ipotizzò insomma che Arizona avesse pubblicato solo le misure di A1 e che la differenza delle età misurate dai siti derivasse dalle diverse ascisse dei loro campioni, cioè da una crescente riduzione di carbonio 14 lungo l’asse longitudinale.

Rinvio i lettori che si dilettano in statistica alla lettura dell’articolo “Regression analysis with partially labelled regressors: carbon dating of the Shroud of Turin” (2012) di M. Riani et al., reperibile online e che con alcuni update è stato presentato al Workshop di Padova, non senza aggiungere che il laboratorio dell’Arizona finì col riconoscere, sotto l’incalzare delle critiche, di aver datato solo A1, così corroborando l’ipotesi di errore sistematico provocato dall’effetto longitudinale.
Di fronte alla ritrosia della Curia torinese – che prima di tutto ha il dovere di conservare un reperto d’importanza religiosa, storica e scientifica uniche al mondo – a tagliuzzare altri pezzi di lino, stavolta necessariamente secondo una campionatura estratta in lungo e in largo per la Sindone e quindi suscettibile di danneggiarne l’immagine, nell’attesa che le tecnologie di datazione facciano progressi in termini di miniaturizzazione, divenne urgente trovare metodi alternativi di datazione sui campioni già prelevati e non alterati dalle precedenti osservazioni. Il primo a farlo fu il chimico americano Ray Rogers – uno degli scienziati dello STURP del ’78 e detentore di diversi referti – con un’analisi spettroscopica dalla quale la ST risultò più antica del Medioevo. Vengo ora ai risultati sulla datazione illustrati a Padova.
Sono stati presentati altri 3 metodi indipendenti che, applicati su fibre di materiale sindonico prelevato nel 1978 e ben conservato hanno dato risultati coerenti tra loro: tutti collocano, con un livello di confidenza del 95%, il lino della Sindone a molto tempo prima del Medioevo, addirittura avanti l’era cristiana.
Più specificatamente, questi risultati di datazione sono sintetizzati nella tabella seguente.

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Datazioni recenti del lino della Sindone


Non sto a descrivere le tecnologie impiegate nei 3 metodi. Accenno solo al metodo Meccanico Multi-Parametrico, presentato a Padova da P. Malfi del CRIS, perché mi ha impressionato, per l’altissima tecnologia sviluppata e gli usi applicativi che ne sono derivati. Occorre sapere che ogni filo di lino (che ha lo spessore di circa un capello, qualche decimo di mm) è composto di 1-2 centinaia di fibrille che aderiscono longitudinalmente come i fili di un cavo d’antenna Tv. Per gli ingegneri si è trattato di misurare 5 parametri meccanici (modulo di Young, carico di rottura, ecc.) su campioni di queste microfibre (dello spessore del centesimo di mm e lunghe da 1 a 3 mm), che erano state raccolte nella parte dorsale della ST. Allo scopo gli ingegneri hanno dovuto inventarsi una macchina capace di tendere queste fibrille (visibili solo al microscopio), di tirarle con microforze crescenti misurandone il corrispettivo allungamento (microscopico) fino alla forza di rottura, ecc., ecc. Costruita la macchina, per risalire dai parametri meccanici del lino sindonico alla sua età, hanno costruito una curva di taratura misurando i 5 parametri meccanici di altre fibre di lino antico aventi età nota. Questa macchina può avere ora usi molteplici ed è ricercata in tutto il mondo. Questo è tutto per quanto riguarda la datazione ad oggi della ST.

Per le altre relazioni del Workshop che hanno riguardato il DNA, o l’analisi colorimetrica o quella delle microparticelle, o la stupefacente doppia superficialità di alcuni tratti dell’immagine corporea, ecc., rinvio gli interessati all’SHS Web of Conferences. Voglio infatti concentrarmi su due ultimi degli studi presentati a Padova, ovvero
  • un’analisi comparata delle ipotesi sulla formazione dell’immagine e
  • un’analisi anatomo-patologica sulle cause di morte dell’uomo della Sindone.
Quanto alla riproduzione dell’immagine, la prima analisi scientifica approfondita della ST fu eseguita nel 1978 dallo STURP e si concluse negativamente perché il team di scienziati non fu in grado di fornire spiegazioni sui meccanismi d’impressione dell’immagine. In 40 anni la situazione non è granché migliorata, anche se si sono moltiplicate le ipotesi: infatti le caratteristiche dell’immagine sono uniche al mondo e, allo stato delle conoscenze, non possono essere riprodotte tutte insieme. A Padova è stata presentata una lista di 24 caratteristiche chimico-fisiche dell’immagine, tra cui:
  1. La stretta intimità del contatto corpo-telo non appare necessaria.
  2. L’immagine è estremamente superficiale, la profondità non superando gli 0,03 mm in un tessuto dello spessore di 0,34 mm. Essa risulta dalla colorazione solo delle primissime fibrille componenti i fili di lino.
  3. Anche se l’immagine corporea è superficiale, in alcune aree dell’immagine anteriore, come quelle del volto e forse anche delle mani, lo è su entrambi i lati. Ciò significa che il tessuto presenta un’immagine superficiale da un lato, nessuna immagine nel mezzo e (per alcune aree) un’immagine superficiale uguale sul lato opposto.
  4. La colorazione di queste fibrille è derivata da un processo d’invecchiamento accelerato, provocato da ossidazione e conseguente disidratazione della cellulosa.
  5. Al livello microscopico l’immagine si compone d’una distribuzione superficiale di marchi puntiformi monocromatici variamente addensati.
  6. L’immagine nei due lati di (quasi) contatto si presenta alla percezione macroscopica come indeformabile e tridimensionale.
Tutte le principali congetture sui meccanismi d’impressione sono state messe a confronto con la suddetta lista: ne è risultato che nessuna congettura, nemmeno tra le più ardite (come l’emissione di protoni o di neutroni, o l’uso di laser ad altissima potenza, ecc.) è capace di riprodurre la totalità delle caratteristiche. L’ipotesi di laser ad eccimeri, per es., di un gruppo di scienziati guidati da G. Baldacchini, incontra problemi nel riprodurre sui due lati opposti gli stessi tratti; i capelli non sono morbidi, ma impaccati; ecc., ecc. Tra tutte le ipotesi, F. Lattarulo del Politecnico di Bari ha presentato come più probabile che l’impressione sia stata il risultato di un’esplosione di energia sprigionatasi dall’interno del corpo avvolto e irradiatasi sul lino. Questa energia di tipo elettromagnetico avrebbe sviluppato un noto fenomeno, chiamato “effetto corona”, consistente in una miriade di scariche microlocalizzate legate ad emissione di elettroni ad altissimo potenziale. Qui si tratterebbe di tensioni dell’ordine di 80 milioni di volt (un fulmine sviluppa tensioni di 1 milione di volt) e a questi livelli gli elettroni avrebbero prodotto sul lino i marchi puntiformi monocromatici squisitamente superficiali e dalle apparenze macroscopiche 3D.

Vengo allo studio che mi ha più colpito, l’analisi anatomo-patologica intitolata “Novità mediche dall’analisi scientifica della Sindone”, a cura di M. Bevilacqua, R. De Caro, A. Porzionato e V. Macchi, medici presso l’Ospedale e patologi all’Istituto di Anatomia, dell’università di Padova. La loro relazione, resa possibile sia con l’elaborazione di immagini ad alta risoluzione della ST sia con sperimentazioni su cadaveri, mi ha ricordato quelle dei Collegi medici forensi utilizzate nei tribunali per conoscere le cause cliniche di morti delittuose.

L’Uomo della ST mostra sul lato destro lussazione dell’omero, abbassamento della spalla, mano piatta ed enoftalmo, significativi di violento trauma contusivo, da dietro, a collo, torace e spalla, con lesione dell’intero plesso brachiale e danno muscolare alla base del collo, con il capo sulla croce piegato in avanti e ruotato verso sinistra”. Queste evidenze provano secondo i relatori che l’uomo della ST aveva sopportato sulle spalle per lungo tempo e trasportato l’intero patibolo su cui fu infine crocifisso e che ne era caduto con violenza sotto il peso, con una trauma toracico che causò “contusione cardiaca e polmonare con emotorace”. La caduta sotto il peso della croce avrebbe causato la rapidità della morte dell’uomo crocifisso. “I polsi, con più probabilità, sono stati inchiodati nello spazio di Destot con taglio dell’arteria ulnare e lesione parziale del nervo ulnare”: queste ferite, provocando la retrazione del pollice, spiegano secondo i patologi l’assenza d’impronta sulla ST. “Il chiodo del piede destro è stato infisso fra le ossa tarsali. Il piede destro è stato probabilmente lussato alla caviglia. La lancia è penetrata nel VI spazio intercostale, non nel V”.
La relazione dei patologi di Padova si conclude: “Gli Autori ritengono che l’uomo della Sindone sia Gesù di Nazareth e che la contusione cardiaca, caratterizzata da aree di necrosi cerea muscolare, abbia accelerato il decorso della Passione concludendosi con l’infarto miocardico, la rottura di cuore, l’emopericardio con tamponamento cardiaco, che sono stati la causa della morte immediata in perfetta lucidità, come è riportato nei Vangeli, mentre torture e altre condizioni morbose, quali shock traumatico-emorragico-ipovolemico, insufficienza ventilatoria e causalgia, l’abbiano solo affrettata”.
Ecco, questa expertise medica mi ha impressionato più dello studio di ogni altra disciplina scientifica presentato al Workshop. I medici hanno ricavato dalla corrispondenza tra i racconti dei vangeli e le proprie diagnosi sulla ST una tale coincidenza da asserire nell’aula di tribunale della comunità scientifica internazionale che “l’uomo della Sindone sia Gesù di Nazareth”. I Romani hanno crocifisso decine di migliaia di persone, e dunque, a priori, potrebbe essere una qualsiasi di queste l’uomo della Sindone: invece no, perché questa crocifissione è stata molto particolare, ed è estremamente improbabile che altre abbiano avuto le stesse caratteristiche: c’è la corona di spine, la flagellazione, la caduta sotto il peso della croce, ecc., ecc., come descritto nei vangeli e tramandato dalla tradizione. Allo stato delle attuali tecnologie, le diverse datazioni e il mistero perdurante della produzione dell’immagine sono, almeno per me che sono di norma scettico sulla “conclusività” veritativa delle evidenze scientifiche, secondari rispetto alle analisi anatomo-patologiche.














http://www.enzopennetta.it/2015/06/la-sindone-di-torino-e-la-scienza-oggi/