sabato 24 agosto 2013

Il Nuovo contro il Vecchio

di Pietro C.



Festa dell'Essere supremo instaurata durante la Rivoluzione francese




Continuiamo il nostro discorso con il quale cerchiamo di stabilire dei modi corretti di vivere e pensare la liturgia.

Uno dei più grossi limiti che ho sempre riscontrato nel mondo cattolico odierno è stato l'aver introdotto, all'interno del suo pensiero, un criterio totalmente estraneo alla storia del Cristianesimo: la contrapposizione del nuovo contro il vecchio. In questa contrapposizione, inutile a dirsi, è il nuovo che ha la meglio mentre il vecchio è visto come qualcosa d'inutile, se non dannoso (1). Qualsiasi novità risulta essere, dunque, buona per il solo fatto di essere “nuova” e di contribuire all'oblio del "vecchio".

Come dicevo, questo criterio è totalmente estraneo alla storia del Cristianesimo.
Nei suoi primi due secoli di vita, mano a mano che il Cristianesimo si faceva conoscere, riceveva le critiche del mondo pagano. “Cosa pretendete di essere – gli veniva rimproverato – voi non siete che l'ultima religione apparsa nel mondo romano!”. A questa puntuale e ricorrente critica gli Apologeti, i primi scrittori cristiani, rispondevano pressapoco così: “Sì, apparentemente noi siamo l'ultima religione ma, a ben vedere, siamo sempre esistiti poiché siamo stati annunciati già dall'Antica Alleanza fatta tra Dio e il popolo ebraico”.
Notiamo due particolari:

Sul versante dei pagani una religione poteva essere attendibile solo se aveva maturato un lungo percorso: non è la novità ad essere importante ma quant'è temprato dal tempo.
Sul versante dei cristiani veniva predicato che la novità introdotta da Cristo, in realtà, non era se non il compimento di una promessa antica.
Quest'atteggiamento rimane costante in tutta la storia cristiana. Quello che ha valore non è il “nuovo” in quanto tale ma l'antico. Vincenzo di Lerino in una sua opera, il Commonitorio, spiega che la fede autentica è quella “da sempre” creduta e che ha, dunque, un notevole radicamento nella storia. Le novità, per Vincenzo, sono perniciose.

Questo è così vero che, durante i secoli, tutte le riforme lanciate nel mondo cattolico si appellavano all'antichità, ad uno spirito più puro ravvisato in essa. Anche i movimenti ereticali, che a loro modo volevano riformare il Cattolicesimo, la pesavano ugualmente. Martin Lutero, il noto riformatore tedesco, si appellò ad un'autenticità cristiana andata poi smarrita nei secoli. La sua contemporaneità, per lui, non forniva alcuna visione autentica che, viceversa, si ritrovava nei primordi cristiani. Per potervi attingere suggeriva un ritorno alle Sacre Scritture interpretate senza alcun filtro o autorità. Il paradosso di Martin Lutero fu che introdusse delle autentiche novità formalmente in nome di uno spirito antico al quale si appellava.

Se quest'atteggiamento lo troviamo costantemente nei secoli (2) e perfino nei movimenti ereticali, dove iniziamo a trovare la contrapposizione tra il nuovo e il vecchio, tipica di moltissimi ambienti cattolici attuali?

A mio avviso questa contrapposizione inizia a riscontrarsi con i rivolgimenti sociali della fine del XVIII secolo. Non va ricercata nella Chiesa e nei suoi ambienti ma al di fuori di essa. Quel che è certo è che la vediamo platealmente nella rivoluzione francese, momento di autentica rottura sia in campo sociale e politico sia in quello religioso. La rivoluzione riassume in sé molte tendenze e spiriti accomunati, però, dall'idea che si sta facendo qualcosa di nuovo contrapposto, più o meno radicalmente, al passato.

Non è questa la sede per esaminare la complessità di questo fenomeno ma per cogliere da esso quello spirito di contraddizione che, da allora, si agita negli animi occidentali: il nuovo è comunque meglio del vecchio perché, in un modo o in un altro, ne prescinde.
Sta esattamente qui la differenza ideologica sottesa ai termini “riforma” e “rivoluzione”. La riforma cerca di riportare una determinata realtà ad uno spirito antico, ad un'osservanza antica. La rivoluzione, invece, è tutta protesa in avanti nell'illusione che si possa fare una “tabula rasa” cartesiana del passato.

Non pochi autori cristiano-ortodossi ritengono, tuttavia, che se è certa la provenienza profana del secondo termine (rivoluzione), lo è, in un certo senso, anche quella del primo (riforma). Se, infatti, si applica il termine “riforma” alla Chiesa, si finisce per ritenere possibile che la Chiesa, in quanto tale, non possa rimanere identica a se stessa in terra e abbia dunque bisogno di continui restauri, come fosse opera unicamente umana. Al contrario, tali autori sostengono che la Chiesa è una realtà voluta da Dio stesso il quale le ha dato, nei suoi elementi essenziali, l'irreformabilità: essa rimane per sempre quello che è, santa, nonostante le miserie umane. La sua costituzione e i suoi ordinamenti basilari non possono cambiare: sono dati una volta per tutte. Non può dunque essere soggetta a “riforme” e, tanto meno, a “rivoluzioni”. Ne consegue che una Chiesa che ha bisogno di essere riformata o rivoluzionata, in quanto Chiesa, ha cessato da tempo di essere Chiesa, essendo divenuta un'istituzione religiosa assorbita totalmene nella dimensione temporale e secolare, soggetta ad ogni genere di fluttuazione e scadimento. Come i tempi fluttuano così questo genere di Chiesa fluttua poiché ha perso il suo aggancio con l'Eternità dove vige una perenne stabilità.

Ma anche prescindendo da questa visione orientale, tutt'altro che peregrina, è evidente la differenza sostanziale tra “riforma” e “rivoluzione”. Tale differenza oramai sfugge alla maggioranza della gente poiché la Chiesa non è affatto considerata in senso tradizionale, dunque in un'ottica veramente di fede, ma in senso molto mondano. La mentalità sottesa al termine “rivoluzione” si è dunque imposta in ogni luogo. Questa spiccata percezione mondana, nell'osservare la Chiesa, è oramai penetrata da tempo all'interno dello stesso clero e tocca i suoi massimi vertici i quali si comportano di conseguenza.
Spiegare la Chiesa come una novità contro qualcosa di vecchio è divenuta vulgata corrente. La stessa riforma liturgica si è imposta come qualcosa di “nuovo” contrapposto a qualcosa di “vecchio”.

Siamo agli antipodi rispetto alla mentalità dei primordi riscontrabile negli Apologeti.
All'inizio del Cristianesimo c'era una sola contrapposizione: quella tra la Chiesa (latrice della nuova rivelazione per tutti gli uomini che abolisce l'antica) e la Sinagoga (testimone storica dell'antica rivelazione), tra Cristianità ed Ebraismo. Ma anche in questo caso, pur essendoci contrapposizione, non c'è mai stata negazione: pur essendo considerato alla luce del nuovo, l'antico non era mai negato!

Oggi nella Cristianità occidentale si nota lo strano fenomeno di un livellamento: non esiste più reale perfezionamento nella storia della rivelazione divina poiché l'antico può benissimo essere letto solamente alla luce dell'antico. È quanto si fa, di fatto, nelle scuole bibliche e si nota diffusamente nella predicazione. La rivelazione di Cristo finisce per essere una tra molte vie religiose, tutte ugualmente valide.
In compenso, per una strana contraddizione, la storia della Chiesa che ha determinato un certo sentire di fede, viene rinnegata alla luce di una progressiva novità.

Se dovessimo riprendere l'opinione degli autori ortodossi, diremo che un fenomeno del genere ci indica l'esistenza di qualcosa che ha cessato di essere Chiesa da molto tempo (almeno in molti suoi ambienti). Per qualcuno questa conclusione è affrettata e presuntuosa. Ma si tratta veramente di fretta e presunzione?


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1) Ho notato questo curioso fenomeno da quando, nell'adolescenza, ho ricominciato a frequentare le chiese. Innanzitutto il primo danno che fa è quello di contrapporre le generazioni tra loro. In una comunità religiosa i giovani tendono a ritenere i vecchi dei poveri bacucchi contrariamene a 70 anni fa in cui l'anziano era ritenuto un "serbatoio" di sapienza di vita. La comunità, quindi, si spacca e la formazione ne risente sostanzialmente!
Inoltre, nelle scuole di teologia cattolica, quest'ideologia si sparge a larghe mani. Un giorno, discutendo con uno studente che faceva l'apologia del progresso, gli chiesi d'essere onesto e conseguente lasciando la Chiesa che ha una visione ben differente. Non seppe cosa rispondere.
Alcuni movimenti cattolici, tuttavia, sono i peggiori dispensatori di quest'ideologia. Se infatti dovessero ritenere attendibile la Chiesa, tradizionalmente intesa, si accorgerebbero di esserne decisamente fuori!

2) Nella polemica intercorsa tra Gregorio Palamas e Gregorio Akyndinos, nel XIV secolo bizantino, il secondo rimproverava al primo di non essersi attenuto alla teologia tradizionale degli antichi padri e di aver costruito un sistema differente. Il primo, sempre appellandosi agli antichi padri, dimostrava il contrario mostrando come il suo sitema teologico altro non fosse che l'esplicitazione di quanto i padri stessi avevano da sempre sostenuto. In entrambi la novità non è il criterio fondamentale bensì l'antichità. Questo esempio che concerne il mondo bizantino riguarda, almeno fino ad una certa epoca, anche il mondo cristiano occidentale.


Tratto da "Traditio Liturgica"

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