domenica 11 agosto 2013

COSA DIVIDE LA CHIESA. La riforma liturgica postconciliare tra abusi e teoremi, resistenze e indulti

di don Nicola Bux



1. Premessa

Da non pochi ecclesiastici non si vuol vedere la realtà in costante crescita, di gruppidi fedeli, soprattutto giovani, che promuovono l'attuazione del Motu ProprioSummorum Pontificum, per la corretta celebrazione della Messa sia in formaextraordinaria, sia in forma ordinaria. Ma poi si finisce per ammettere tale realtà, inquanto da taluni vescovi si sostiene che “la Messa in latino divide la Chiesa”. Pronti ainvocare “i segni dei tempi”, non ci si chiede come mai tanti giovani ne siano attrattie quale sia la causa.

Il pensatore ebreo Heschel osserva: “E' consueto incolpare la scienza secolare e lafilosofia antireligiosa dell'eclissi della religione nella società odierna, ma sarebbe piùonesto incolpare la religione delle sue stesse sconfitte. La religione è declinata nonperché è stata contestata, ma perché è divenuta priva di rilevanza,monotona,oppressiva e insipida”1. Un tale giudizio non può essere assolutizzato, ma deve farriflettere noi cristiani; per esempio, se dando priorità al sociale, abbiamo sanato ladivisione prodottasi all'interno dell'io tra la sua fede e la realtà in cui vive; se abbiamoprima vagliato la cultura che ci circonda e poi trattenuto ciò che vale. Infatti, lareligione è quello che l'uomo fa nella sua solitudine ma anche ciò in cui scopre la suaessenziale compagnia, l'esigenza di dire tu a Dio: “O Dio tu sei il mio Dio...così nelsantuario ti ho cercato per contemplare la tua potenza e la tua gloria”(Sal 63, 2-9).

2. L'io e il culto

La liturgia oggi non stimola la nostalgia del Tu divino, non aiuta a far emergere un iocosì, perché è privata della Sua presenza che riempie di silenzio – i tabernacolivengono tolti dal centro e messi all'angolo o addirittura fuori della chiesa – e quindi, achi poter dire: “Al tuo nome e al tuo ricordo si volge tutto il nostro desiderio” (Is26,8)? Il Desiderato delle genti non può essere trovato, perché non è più in chiesa.Poi, l'insistenza eccessiva sul “comunitario”, specialmente nelle celebrazioni deisacramenti, ha oscurato il “personale”: così, il desiderio che spinge ogni uomo allaricerca di Dio, non può sopravvivere, non si trasforma in domanda, cioè in preghiera.

“Se non vuoi avere paura, – dice sant'Agostino – metti alla prova il tuo io profondo.Non toccarne solo la superficie ma va in fondo al tuo essere e raggiungi gli angoli piùreconditi del tuo cuore”2. Ma una gran parte di ciò che è più profondo nell'uomorimane sepolto a causa dell'allontanamento da Dio: solo Cristo incarnato e risorto puòsvegliarlo, perché è permanentemente alla sua ricerca. Benedetto XVI spiega laragione per cui Dio si è messo alla ricerca dell'uomo: “Egli viene incontro

1 Crescere in saggezza, Gribaudi, Milano 2001, p. 157.2 Sermoni,348,2;PL 38,1,1527.

page1image12284all'inquietudine del nostro cuore,all'inquietudine del nostro domandare e cercare”3.Per questo la liturgia deve mostrare la sua capacità di risvegliare l'io: se riesce a farlo,proverà la sua verità ed efficacia. Infatti, solo il divino, il sacro presente, Colui che èil senso ultimo delle cose, può salvare l'uomo, cioè preservarne e difenderne ledimensioni essenziali e il suo destino.

Non si può comprendere che cos'è l'io, al di fuori del cristianesimo. Perché Cristocorrisponde a ciò che io sono e quando lo incontro, specie nel mistero della liturgiacomprendo ciò che manca: il Mistero, Uno che mi dice: “Io sono il Mistero chemanca a ogni cosa che tu gusti, a ogni promessa che tu vivi. Qualunque cosa tudesideri,cerchi di raggiungere,io sono il Destino di tutto ciò che fai. Tu cerchi me inqualsiasi cosa”4.

3. Nuovo movimento liturgico

L'io rinasce da un incontro così, e genera un'affinità con la persona incontrata e unacompagnia con altri che l'hanno incontrata5: ecco come sta nascendo il nuovomovimento liturgico. Nessun potere può impedire totalmente il destarsi dell'incontro,ma cerca tuttavia di impedire che diventi storia6; non si vuole vedere la libertà: è laprova della mancanza di un'esperienza reale della fede, secondo ciò che dicesant'Ambrogio: “Ubi fides,ibi libertas”. Se c'è la libertà, che è il segno più prezioso epotente della fede, si può verificare che stiamo facendo un'esperienza di fede in gradodi resistere a tutto. Ma la libertà è Dio stesso, quindi la libertà dell'uomo per esserevera e sana è dipendenza da Dio. Nel clima di “religione civiledell'autodeterminazione” da cui siamo circondati, bisogna annunciare la libertà comeresponsabilità e limite.

Accade anche oggi che il potere laico e talvolta anche ecclesiastico, non tolleri lareligiosità vera, la vera devozione secondo san Francesco di Sales, perché la vedecome un limite al suo possesso. La fede resta il gesto di libertà fondamentale e lapreghiera è l'educazione costante alla libertà. Ecco l'importanza del tabernacolo,perché l'uomo impari ad aderire al Mistero da cui dipende. Così il Mistero diventasperimentabile e noi lo visitiamo, perché con Gesù il Mistero è diventato “presenzaaffettivamente attraente”7.Il Mistero presente si scopre in un incontro, come lapersona amata. Egli è il Verbo Incarnato e il cardine della nostra salvezza(Carosalutis cardo)8.Il fatto che permane è il segno della Sua verità: senza il continuoriaccadere dell'Avvenimento cristiano non c'è possibilità di una libertà e di unacomunione reale.

4. I teoremi erronei

3 Cristiani non per vanto ma per aprire il mondo a Dio”: Omelia della Messa Crismale, L'Osservatore Romano, 22Aprile 2011, p. 8.
4 Cfr. L. GIUSSANI, Avvenimento di libertà, Marietti, Genova 2002, p. 149.
5 Cfr. Idem, L'io rinasce da un incontro(1986-1987), BUR, Milano 2010, p. 364.

6 Ibidem, p. 247.
7 Idem, L'autocoscienza del cosmo, Bur, Milano 2000, p. 247.8TERTULLIANO, De resurrectione carnis, VIII, 10; PL 2,806.

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2

Se questa è la cosa più importante, è incredibile assistere all'indignazione di taluniliturgisti per il “parallelismo rituale”, instaurato dal Motu Proprio SummorumPontificum e regolato dall'Istruzione Universae Ecclesiae, tra le due forme dell'unicorito romano, perché pericoloso per la comunione ecclesiale. Loro così ecumenici, nonsanno che il rito bizantino nella chiesa ortodossa ha ben tre forme? Così altri ritiorientali?A Toledo non si celebra, e non da ora, la forma ordinaria latina e quellaextraordinaria del rito mozarabico? Alcuni ordini religiosi non avevano le lorospecificità rituali, come i bizantini slavi hanno le proprie rispetto ai greci? E poi, nonsi sostiene a ogni pie' sospinto nella “chiesa postconciliare” che la varietà opluriformità non nuoce all'unità? Perché, dunque, temere che i vescovi “perdano ilcontrollo delle diocesi”? Se sono vescovi cattolici, basta che si mantengano uniti alPapa. La liturgia è celebrazione di Cristo e della Chiesa, non di una assembleaparticolare. Nella Chiesa la “discontinuità” deriva non dalle due forme del ritoromano, ma dalla creatività del tal prete o tal gruppo per cui si può assistere a liturgiefrutto di tale impostazione.

Ma vanno in giro altre dottrine erronee:

a. il soggetto che celebra è l'assemblea.
In verità solo Cristo è il protagonista e il soggetto della Messa nella quale è presente;è lui ad associare a sé “il popolo di Dio gerarchicamente ordinato”, cioè la Chiesacattolica, che vive anche nel raduno locale di due o tre persone che, dal termine latinoceleber (che vuol dire 'frequentato')si chiama celebrazione; si usano anche i terminirito (dal greco αριθμός e dal sanscrito rtám 'ordine') per indicare l'azione sacra che sisvolge secondo un ordine conforme a ciò che richiede la religione e cerimonia, chedal latino vuol dire 'culto'. Nella Messa il sacerdote agisce nella persona di Cristocapo del corpo che è la Chiesa. Il fatto che la Messa possa essere celebrata dal solosacerdote corrisponde proprio a tale personificazione che culmina nell'offerta di sè:pochi o tanti che siamo, se non c'è l'offerta del mio corpo in sacrificio non v'è cultospirituale(cfr Rm 12,1). Sul Golgotha non erano rimasti solo Maria e Giovanni? E aEmmaus, non v'erano solo due discepoli? Si è arrivati a dire che la Messa senzapopolo è un monstrum: ma, se ci trovassimo sotto persecuzione non dovrebbe ilsacerdote celebrare da solo per non essere scoperto?E così i singoli fedeli? Sebbene lapersecuzione sia lo stato ordinario della Chiesa, l'eccezione conferma la regola. Si èassolutizzata la Messa col popolo: ma, se popolo vuol dire una “massa di persone”, sisalverebbero solo le messe domenicali, laddove fosse ancora alta la frequenza. Colpresupposto del popolo, la messa si dovrebbe celebrare raramente, visto che allemesse feriali vi sono poche persone. Non si salverebbero nemmeno le comunitàmonastiche. Se la Chiesa è corpo mistico, vive anche in un solo fedele e in un solosacerdote. Non è che per contrastare l'individualismo nella liturgia, si finisce perdimenticare il primato della persona sulla comunità? Quindi la Messa col popolo, nonla si deve ritenere superiore a quella dove il popolo non c'è o vi fossero pochepersone. La Costituzione liturgica stabilisce che qualsiasi messa ha una natura pubblica e sociale.9 Paolo VI afferma che non si può “esaltare la messa cosiddetta«comunitaria» in modo da togliere importanza alla messa privata”.10

Infine, la verità e validità della celebrazione – termine che taluni vogliono applicareai fedeli, secondo il pensiero protestante per il quale la mediazione sacerdotale èesercitata anche dal popolo – non dipende dall'accostarsi di tutti alla Comunione:anche oggi, come in antico,la Messa vede presenti “scomunicati”, penitenti ecatecumeni che non possono fare la Comunione.

Dunque, il soggetto celebrante non è l'assemblea, ma il Signore.

b. la Chiesa prende forma nel rito celebrato.
Si vuol sostenere che fuori della liturgia la Chiesa non abbia forma e quasi non esista.Invece la Chiesa è unita al mistero di Cristo sempre presente con noi fino alla fine delmondo. La Chiesa si edifica nella celebrazione eucaristica, nel senso che crescecontinuamente; questa “però, non è il punto d'avvio della comunione, che presupponecome esistente, per consolidarla e portarla a perfezione”;11 perché “la liturgia nonesaurisce tutta l'azione della Chiesa”.12

Dunque, la Chiesa non prende forma nel rito ma viene prima del medesimo.

c. la presenza di Cristo è mediata dall'assemblea riunita, dal sacerdote celebrante,dalla parola proclamata.
La presenza del Signore non è solo mediata, come spiega la Costituzione liturgica delVaticano II: “Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelleazioni liturgiche”: quindi, precede i mezzi dai quali è mediata seppure “in modospeciale” e attraverso cui si rende visibile “soprattutto sotto le specie eucaristiche”13del pane e del vino; questa presenza è definita come reale da Paolo VI, che sirichiama al concilio di Trento, “non per esclusione,quasi che le altre non siano “reali”,ma per antonomasia,perché è anche corporale e sostanziale, e in forza di essaCristo,Uomo-Dio,tutto intero si fa presente”.14 Non è tale nemmeno la Parola divinaproclamata nella Chiesa.15 E ricorda pure che “Non è lecito...insistere sulla ragionedel segno sacramentale,come se il simbolismo...esprimesse esaurientemente il mododella presenza di Cristo in questo sacramento”.16

Dunque, la presenza di Gesù Cristo precede e non è solo mediata dai segni visibili.

d. l'altare è la stessa cosa della mensa.
L'Institutio Generalis Missalis Romani prescrive: “L'altare, sul quale si rendepresente nei segni sacramentali il sacrificio della Croce, è anche la mensa delSignore...”.17 L'altare si chiama così perché, in continuità col culto giudaico, è alta res,

9Sacrosanctum concilium, n 27.
10 PAOLO VI, Enciclica Mysterium fidei, Città del Vaticano 1965, Enchiridion delle Encicliche 7,876-877.

11 GIOVANNI PAOLO II, Enciclica Ecclesia de Eucharistia, Città del Vaticano 2003, n. 35.12Sacrosanctum concilium, n. 9.
13Ivi, n. 7.
14 PAOLO VI, Enciclica Mysterium fidei, Enchiridion delle Encicliche 7,883.

15 Cfr asterisco in nota al § 21 della Costituzione Dei Verbum.

16 PAOLO VI, Enciclica Mysterium fidei, Enchiridion delle Encicliche 7,855.17Ed. typica 2000; ed. it. 2004: n. 296.

ossia “luogo alto” per offrire (da offerre, levare in alto)il pane e il vino scelti econsacrati per rendere presente il sacrificio del Calvario, 'luogo alto' ove Cristo èstato innalzato. Nella riforma liturgica ha molto nociuto aver ignorato che il cultocristiano è in continuità col culto del Tempio; così c'è stata una corsa ad “adeguare”l'altare ad una tavola, staccandolo dalla parete e abbassandolo in piano.

Ma, dopo il Motu Proprio Summorum Pontificum, non è più necessario “adeguare”altari e chiese: semmai dobbiamo “adeguare” noi stessi alla sacra liturgia. E poi,dobbiamo chiederci: il cosiddetto adeguamento liturgico ha avvicinato la gente allafede?

Dunque,l'altare non è la stessa cosa della mensa, ma è “anche mensa”, cioè lainclude in se stesso.

e. le norme e rubriche sono state abolite.
Il fatto che esse siano più numerose e minuziose nei Messali precedenti, fino a quellodel 1962, ha garantito la Messa cattolica, sia che la celebrasse un prete dotto, sia uncurato di campagna. Esse sono come il riporto di un fiume, che certo va sempreripulito per farlo scorrere; sono come gli argini che frenano gli abusi e reati,come daPaolo VI ad oggi i papi hanno richiamato. Si sostiene che il ritorno all'uso del ritodovrebbe prevalere sul timore dell'abuso: precisiamo: purché sia il
ritus servandus,senza del quale non sussiste l'ordo celebrandi: è l'osservanza obbediente che porta adevitare gli abusi della celebrazione. A questo servono i libri liturgici con le loroprescrizioni e norme, che traducono e garantiscono l'osservanza dello ius divinum edello ius liturgicum.

Dunque, non è vero che norme e rubriche siano abolite, ma vanno osservate neinuovi come negli antichi libri liturgici, come segno di obbedienza a Dio che ha ildiritto, solo lui, di stabilire come essere adorato dalla Chiesa.

f. la tradizione antica è stata conservata nel Novus Ordo.
Il Messale pubblicato nel 1965 proponeva l'antico rito romano ritoccato in alcuneparti, senza ricorrere a cambiamenti non necessari per la Chiesa18 e i padri del sinododel 1966 lo approvarono in maggioranza. Ma qualcuno tirò fuori nel 1969 la messa“normativa” che venne così imposta a tutti. Che poi il Novus Ordo sia più antico delMessale tridentino, è discutibile in quanto mancano elementi antichi comel'orientamento del sacerdote ad Dominum e la lingua latina, che la Costituzioneliturgica non aveva aboliti. Pensino anche a tali fatti taluni vescovi quando affermanoche la Messa in latino divide la Chiesa.

Dunque, in realtà nel Novus Ordo sono stati ripristinati alcuni elementi antichi eeliminati altri del Vetus Ordo, secondo criteri non sempre chiari.

g. la lingua latina non è più lingua d'uso e riduce i fedeli a muti spettatori.
Giovanni XXIII, la riteneva lingua liturgica oggettiva e universale,immutabile esacra.
19 Col latino, la Chiesa ha simbolicamente sconfitto Babele mediante la

18Sacrosanctum concilium, n 4.
19Cfr Costituzione Apostolica Veterum Sapientia, 22.II.1962, Premessa.

Pentecoste dell'unico linguaggio universale. Infatti, la Costituzione liturgica delconcilio Vaticano II incastonava l'uso della lingua parlata nella Messa, in proporzionidi un terzo (letture e preghiera dei fedeli) in rapporto alla latina (ordinario, orazioni,preghiera eucaristica, riti di comunione); tali proporzioni sono state squilibrate, sìche la lingua parlata o vernacola ha corroso i termini e i significati dei testi liturgici.Poi, sostenendo la tesi che le traduzioni della liturgia sono inadeguate e che ognicultura avrebbe dovuto comporre le sue preghiere,20 si è incentivato il relativismonelle traduzioni: è accaduto che tutto ciò che nei testi era rivolto essenzialmente versoDio, lo si è piegato in direzione dell'amicizia comunitaria.

Dunque, il latino è stato lasciato in uso dal concilio Vaticano II nella liturgia e ifedeli possono parlarlo o ascoltarlo, senza per questo essere spettatori.

h. Esiste una tradizione rinnovata e una tradizione vecchia.
La tradizione si sviluppa organicamente come il corpo umano o il paesaggio, nondestrutturandosi.

La riforma postconciliare si presenta come una storia di resistenza e indulti. Neglianni '50, prima del concilio, c'erano liturgisti che parlavano di necessità della“restaurazione” liturgica; poi cambiarono termine e usarono “riforma”, fino adopporsi al papa supremo legislatore: a Giovanni Paolo II, che nel 1988 tolse laproibizione al Messale del 1962 consentendo la celebrazione del Vetus Ordo, e ora aBenedetto XVI. L'indulto non vuol dire che un rito sia stato abolito e sostituito dalnuovo, ma che accanto al primo è permesso il secondo (v. la Comunione in mano osulla lingua). Quindi, il Messale “tridentino” non era stato abrogato, né quel ponteficeconsentì a una finzione giuridica. Nemmeno si deve sostenere che il Messale diGiovanni XXIII del 1962 fosse “di passaggio”: nessun libro liturgico di per sé èdefinitivo e nemmeno provvisorio, a meno che non se ne dichiari l'uso adexperimentum. Pertanto, ciò che è proibito non necessariamente è abrogato: proibirevuol dire vietare l'uso, che poi può tornare in vigore; mentre abrogare vuol direannullare del tutto. Ciò è inconsistente sul piano giuridico? Tanto meno, comechiariremo più avanti, la riforma liturgica ha voluto e dovuto superare quel rito cheora le viene riaffiancato. Si dimentica che vi sono state deformazioni della riforma“al limite del sopportabile”? Paolo VI nella Costituzione apostolica MissaleRomanum ha parlato di “renovatio”. Pertanto ci si chieda: si è voluta la revisione o lademolizione del Messale? Ora, l'Istruzione Universae Ecclesiae interviene a sanareciò che ha portato alla rottura invece che alla continuità.

Dunque, non esiste nella Chiesa e nella liturgia una tradizione rinnovata e unavecchia: la vera tradizione, innova in modo sano, cioè dall'interno, non cambiandocontinuamente: non sarebbe tradizione né riforma, ma rivoluzione.

i. prima del concilio la liturgia versava in grave crisi.
Se è così, non vi è stata continuità della riforma liturgica dal 1948 al 1988,contrariamente a quanto sostiene Bugnini nel suo libro e come sta a dimostrare ilfatto della repentina rimozione di lui da parte di Paolo VI. Invece, una riforma della

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20 Cfr A. BUGNINI, La riforma della liturgia, 1948-1975, Roma 1980, p. 238.

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liturgia non sostituisce la vecchia forma a causa di carenze, ma la rimette in forma –ri-forma – dalle deformazioni subite inevitabilmente. I progressisti hanno volutocreare una liturgia “del concilio” attraverso una loro lettura dei “bisogni pastorali” deicontemporanei; ciò ha portato alla liturgia da intrattenimento o happening; i“regressisti” invece hanno reagito all'opposto, sviluppando un conservatorismo delleforme rituali.

Dunque, se si vuole sostenere che il vecchio rito era deformato, si deve ammettereche ciò è avvenuto anche per il nuovo.

l. la riforma liturgica doveva generare nel corpo ecclesiale una forma diversa dipartecipazione,corporea e simbolica,comunitaria e dialogica.
Ciò contraddice la continuità. Invece, il rito romano è la condensazione dellatradizione viva ed è linguaggio comune nella misura in cui le singole persone entranoin rapporto con la presenza divina; proprio questa esigenza induce non pochi fedeli apreferire la forma extraordinaria del rito romano. In genere, oggi si intende lapartecipazione come comprensione dei riti: questo è giusto; tuttavia la comprensionedei riti non coincide con quella del mistero nella liturgia, che non sarà mai piena: inquesto ci aiuta sant'Agostino: “La comprensione è la ricompensa della fede. Nontentare di comprendere per arrivare a credere, ma abbi fede per arrivare acomprendere”.21

Dunque, la riforma liturgica non doveva generare una forma diversa dipartecipazione, ma incentivare quella di sempre che consiste nell'aiutare l'uomo adentrare nel Mistero.

m. la riforma liturgica era una scelta irrevocabile.
Credo che ci sia alla base un equivoco su cosa sia una riforma: si dimentica che essadeve cominciare da sé, dalla propria conversione. Se la riforma rimane nell'ambitosociologico, genera da un lato rottura e dall'altro resistenza.

Se invece andiamo allo scopo della liturgia,la santificazione dell'uomo e laglorificazione di Dio, allora si comprende che essa, come spesso ricorda BenedettoXVI, sia soggetto da vivere più che da riformare. La liturgia, è parlare di Dio eoperare con lui: per questo san Benedetto ammoniva:Operi Dei nihil praeponatur!

Paolo VI aveva la preoccupazione della continuità ecclesiologica nella liturgia,quindi dell'unità. Infatti il papa non è padrone della liturgia, ma solo custode,né puòlimitarsi ad appoggiare una riforma o contraddirla, in quanto è il supremo legislatore.

Si deve convenire con quanto ha detto il cardinale Koch: “proprio i teologi che sierano impegnati nel movimento liturgico o che avevano partecipato ai lavori delconcilio sono presto divenuti seri critici degli sviluppi liturgici postconciliari”22. Sipensi a Klaus Gamber, Andreas Jungman, Louis Bouyer e lo stesso Josef Ratzinger.Nel mio piccolo, posso confermare che è così.

Dunque, solo la riforma in capite et in membris è una “scelta” irrevocabile della21De Magistro, 11,37; PL 32,1216.

22Relazione al III Convegno sul Motu Proprio Summorum Pontificum, Roma, 13-15 Maggio 2011:“Dalla Liturgiaantica un ponte ecumenico”, L'Osservatore Romano, 15 maggio 2011, p. 7.

Chiesa, non una riforma liturgica.
5. La continuità della sacra liturgia

La riforma deve servire a riaffermare i valori preesistenti all'oggi: la tradizione dellaChiesa è anche una interpretazione teologica della storia, uno sviluppo organico, cheimplica il passato. La domanda da porsi, afferma il liturgista Enrico Mazza, è: conquale criterio si sia fatta la riforma liturgica postconciliare.23E nel dibattito seguitoalla tavola rotonda, ha riferito di averla posta a Neunheiser, uno degli esperti, cherispose: “ci sembrava che fosse giusto così”. Si deduce che la riforma non ha indicatoquali fossero i criteri di scelta dell'antico da conservare o da tralasciare.

Certamente la crisi ecclesiale manifestatasi nel post-concilio dipende dal crollodella liturgia: non lo pensano solo ambienti del tutto minoritari o “lefebvriani”; seanche fosse così, ci si dovrebbe ricordare che la verità non risiede nella maggioranza.E' ora di rispettare il confronto tra posizioni, maggioritarie o minoritarie che siano,mettendo da parte le letture e i conteggi. Non serve fare “dietrologia” da parteprogressista e regressista, come ai tempi di Paolo VI, circa la solitudine del papa afronte dei collaboratori che sarebbero disorientati sulla liturgia; o circa le componentidella Curia Romana pro e contra la riforma liturgica. Questo nuoce alla valutazioneobbiettiva della riforma. Si accetti invece il dibattito ampio e rispettoso; vi sonovescovi e teologi che hanno le idee abbastanza chiare e vogliono stare col papa e nonsenza di lui, procedendo a piccoli passi. La dottrina cattolica insegna che lo Spiritonon passa nella Chiesa solo durante un concilio, ma l'accompagna ordinariamente colmagistero del papa e dei vescovi uniti con lui. Affermare dunque, che la Messa inlatino divida la Chiesa significa innanzitutto andare contro l'impulso dello Spirito.

Su qualche sito è riportato un intervento di Paolo VI al concistoro del 24 maggio1976 che stigmatizzava quanti dividevano la Chiesa, perché rifiutavano l'ossequioalle norme liturgiche. Bisogna dirla tutta: egli, in nome della Tradizione, chiedeva dicelebrare con dignità la liturgia rinnovata, ricordando che “l'adozione del nuovo OrdoMissae non è lasciata certo all'arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli”, riferendosi a quantivolevano continuare nell'antica forma e ai quali l'aveva concesso, solo se sacerdotianziani o infermi, ma sine populo. Il punto è che poi, proprio il Novus Ordo che egliaveva promulgato è stato oggetto di arbitri, abusi e reati; quindi l'auspicio che ilNovus Ordo fosse stato promulgato per sostituirsi all'antico, - in nome dellaTradizione - non è stato centrato, in quanto è venuto meno il presupposto: il ritusservandus, l'osservanza, ossia il principio dello ius divinum da cui deriva lo iusliturgicum. Sull'argomento Paolo VI è intervenuto altre volte. Così accade che molticristiani che partecipano alla liturgia si trovano costretti non dalla legge della Chiesauniversale, ma dalle pretese arbitrarie di una determinata diocesi, parrocchia o gruppoche vanno contro la liturgia “normativa”. Ora, come ha ricordato con franchezzaBenedetto XVI: “Riscoprire e apprezzare l’ubbidienza alle norme liturgiche da partedei Vescovi, come "moderatori della vita liturgica della Chiesa'', significa rendere

23Cfr. Riflessioni sulle riforme liturgiche nella Chiesa, in N. BUX-E. MAZZA-E. GARZILLO, Liturgia e arte sacra frainnovazione e tradizione, Reggio Emilia 2011.

testimonianza della Chiesa stessa, una ed universale, che presiede nella carità.” .24Pertanto il Papa, prendendo atto della situazione, ha ripristinato il Messale del1962. Si sa, che ogni pontefice perfeziona o rivede la legislazione precedente. Perchédunque rimanere un papa indietro? Se Paolo VI “rivede” Pio V, non può BenedettoXVI “rivedere” Paolo VI? Sono prevalentemente giovani i promotori della formaextraordinaria, non anziani nostalgici. Non ha scritto san Benedetto nella Regola che

lo Spirito può parlare attraverso il più giovane?La Chiesa è giovane e viva.6. I sentimenti del timore di Dio e del sacro

Si deve constatare che oggi nella liturgia nuova è venuta meno la riverenza e ilsacro,in una parola l'adorazione, perché non si è più consapevoli di stare alla presenzadivina. Non si glorifica primariamente Dio, di conseguenza l'uomo non è santificato eil mondo non è “consacrato”. Basilio ricorda: “Tutto ciò che ha un carattere sacro èda lui che lo deriva”25. Ecco che la riforma deve cominciare dalla rinascita del sacronei cuori e parallelamente del timore di Dio: quel senso di grande rispetto alla Suainfinita maestà che pervade la Sacra Scrittura: da Abramo che consapevole della Suaonnipotenza e onnipresenza si prostrava col viso a terra (Gen 17,3-17), a Mosèdinanzi al roveto ardente(Es 3,6)ed Elia (cfr 1 Re 19,13): si coprirono il volto quandopercepirono la presenza del Signore, pervasi di sacro timore, perché “Il timore di Dioè una scuola di sapienza”(Pr 15,33). Non si dica che questo sia venuto meno nelNuovo Testamento: da Maria che esulta: “di generazione in generazione la suamisericordia stende su quelli che lo temono”(Lc 1,49), riconoscendo la grandezza diColui che per amore si è piegato sulla creatura; a Pietro, Giacomo e Giovanni chenella Trasfigurazione “caddero con la faccia a terra e furono presi da grandetimore”(Mt 17,6); e Pietro che cadde in ginocchio ai piedi di Gesù al lago diTiberiade, chiedendogli di allontanarsi da sé peccatore(cfr Lc 5,8); non eraschiacciato ma partecipe della bellezza e potenza divina. Dinanzi all'immensità di Dio,la gioia di averlo vicino deve tradursi nella massima riverenza; Egli è l'onnipotenteFiglio di Dio che si è fatto vicino a noi.

Perciò, sono incomprensibili le proteste di chi afferma che dinanzi a Cristo risortobisogno stare in piedi,non più in ginocchio! Dice il Catechismo: “Il senso del sacro faparte della virtù della religione”- quindi riporta un pensiero del beato J.H.Newman:«Il sentimento di timore e il sentimento del sacro sono sentimenti cristiani ono?[...]Nessuno può ragionevolmente dubitarne. Sono i sentimenti che palpiterebberoin noi,con una forte intensità,se avessimo la visione della Maestà di Dio. Sono isentimenti che proveremmo se ci rendessimo conto della sua presenza. Nella misurain cui crediamo che Dio è presente,dobbiamo avvertirli. Se non li avvertiamo,èperché non percepiamo, non crediamo che egli è presente”.26

Di tali sentimenti e dei conseguenti atteggiamenti ha urgente bisogno la liturgiaromana per parlare di Dio all'uomo contemporaneo.

24 Discorso in occasione dell'incontro e celebrazione dei vespri con i vescovi del Brasile, Catedral da Sé, Sao Paulo,L'Osservatore Romano, 12 maggio 2007, p. 8.

25De Spiritu Sancto, c 9, 22; PG 32,107.26Catechismo della Chiesa Cattolica, n 2144.

7. Conclusione

Cosa fare in concreto? Sono ancora valide le indicazioni che l'allora cardinal JosephRatzinger ha tracciato: 1. promuovere la corretta celebrazione del Novus Ordo,secondo le prescrizioni dei libri liturgici, ragion per cui Giovanni Paolo II promulgòl'enciclica Ecclesia de Eucharistia e l'Istruzione Redemptionis Sacramentum. 2.promuovere la corretta celebrazione secondo il Vetus Ordo, come ora prescrivel'Istruzione Universae Ecclesiae. 3. compiere la revisione dei nuovi libri liturgicifacendo in modo da reintrodurre alcuni dei tesori che furono a suo tempo scartati. LaCongregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, insieme allaPontificia Commissione Ecclesia Dei sono gli strumenti ordinari per promuoverle.

Non si attribuisce allo Spirito Santo sia la varietà dei carismi sia la lorounità?Dunque, ebbe ad osservare l'allora cardinale: “noi possiamo persuadere ivescovi che la presenza dell'antica liturgia non turba l'armonia dell'unità delle lorodiocesi, ma è piuttosto un dono destinato a edificare il corpo di Cristo di cui noisiamo i ministri”.27

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