mercoledì 14 agosto 2013

Enfasi su una nuova concezione del “Mistero pasquale”

 

Molti novatori affermano che la “teologia del mistero pasquale” è l’anima della riforma liturgica postconciliare.

Ebbene, la “teologia del mistero pasquale” è l'anima della fede cattolica, non della riforma postconciliare. Infatti, il mistero Pasquale è la Passione-Morte-Risurrezione del Signore. La riforma post-conciliare in parte, la teologia neocatecumenale in maniera ancor più luterana, ha posto l'accento solo sulla Risurrezione, con il pretesto che la visione di Trento era troppo “doloristica” e si metteva troppo l'accento sulla Croce. Questo è un inganno: la Croce è una Realtà ineludibile, vera Pasqua=‘passaggio’ verso la Risurrezione, perché rappresenta il fiat di Cristo Signore alla volontà del Padre, quell'obbedienza piena e libera, che ha cancellato un primigenio terribile non serviam e la tragica disobbedienza del primo Adamo e ha permesso il ricongiungimento al Padre dell’umanità redenta.

E la S. Messa è la ri-presentazione incruenta al Padre del Sacrificio del Figlio, che si trasforma, alla comunione, in banchetto escatologico.

Quindi la liturgia non è né la festa della comunità né azione dell'assemblea, ma Azione teandrica(divino umana) di Cristo Signore che il sacerdote compie in persona Christi così come Lui ce l'ha consegnata nell'ultima Cena fino alla fine dei tempi. Certo che c'è anche la partecipazione del credente col suo “sacerdozio battesimale”, ben distinto tuttavia sia in grado che in essenza, da quello ordinato (Lumen Gentium, 10).

La Chiesa non ha mai messo l'accento solo sulla Croce, come sostengono i falsi profeti. Semmai possono averlo fatto alcune spiritualità che si sono soffermate su singoli momenti della Passione del Signore; ma è solo una accentuazione di qualche congregazione religiosa che ne rappresenta il carìsma, che per alcuni e in alcuni casi può essere diventata una devozione non equilibrata col rischio di scadere nel devozionismo, da cui tuttavia la Chiesa ha sempre insegnato a rifuggire.

Parlare di mistero pasquale, quindi, non è prerogativa del concilio, perché è il nucleo portante della nostra Fede. Prerogativa di un improprio e sviato e sviante “spirito del concilio”, invece, è parlare di mistero pasquale mettendo l’accento solo sulla Risurrezione e trasformando il Sacrificio-convivio in convivio-e-basta, tant'è che si sono aboliti gli Altari per sostituirli con delle ‘mense’.

L’offertorio, completamente abolito, è diventato - come già sottolineato - una berakàh ebraica (vedi di seguito) e manca il totale dono di noi stessi, l’Offerta, tutto consegnato al Signore che si consegna per la nostra Redenzione. Nell’antico Canone si offre l’Hostia pura santa e anche l’assemblea si riallaccia alla sorgente. Già è così nel VI secolo, anzi fin dal tempo Apostolico il Culto si attua nel contesto di un pasto, ma è una celebrazione a parte che nei secoli si è affinata per divenire la meraviglia che ancora abbiamo.

Il culto cattolico deriva dal culto ebraico del Tempio di Gerusalemme che nel 70 d.C. fu distrutto. La Liturgia della Parola viene dalla liturgia sinagogale. Lo stesso Gregoriano ha conservato dei suoni più fedeli alle antiche salmodie degli attuali canti sinagogali. L’Eucaristia è il Novum introdotto dal Signore.

L'ebraismo talmudico nato a Yavne dal giudaismo farisaico, dopo la distruzione di Gerusalemme (e del Tempio) nel ’70 c.C., è quello spurio. Non c'è più né tempio, né vittima né sacrificio: il nuovo Tempio è Cristo e la Sua Chiesa, l'unica Nuova ed Eterna Alleanza è quella nel Sangue prezioso di Cristo Signore!

Solo il Sacerdote poteva offrire la “vittima” solo lui poteva sacrificarla, solo lui poteva immolarla, solo lui poteva toccarla... solo lui poteva “mangiarla”.

Ora, in virtù del nostro battesimo, del sacerdozio “comune” noi ora possiamo partecipare della “vittima”, ma non possiamo sacrificare perché solo il un Sacerdote poteva.

Il boccone che il sacerdote offre è quindi un privilegio tutto cristiano, istituito dal Signore stesso, e il fedele ben si guardava dal toccare con le sue mani “non monde” (non sante, non consacrate) la vittima!

Era un abominio solo il pensiero di poter toccare l'oblata!

Le stesse preghiere dell'“Introibo ad Altare Dei” sono come i salmi delle ascensioni. Come già sottolineato, i gradini su cui è posto l'Altare rappresentano il calvario... quando il sacerdote lascia cadere la ‘vittima’ sul corporale lo fa sotto il crocifisso posto sull'altare, come se fosse una “deposizione” dalla croce... lo svolgersi della celebrazione è tutto un crescendo, ma il sacrificio eucaristico inizia già nell'Offertorio, che non è un retaggio pagano, come insegnano falsi profeti recentemente inopinatamente approvati, ma il culmine dell'obbedienza del Nuovo Adamo, cioè del Signore Gesù ed è per questa obbedienza che Egli è stato Risuscitato per la Vita eterna e noi con Lui, se in Lui “rimaniamo”.

 

Trasformazione dell’Offertorio in berakah ebraica


Alle dislocazioni dal dettato conciliare della Sacrosanctum Concilium, che definisce le “cinque piaghe del Corpo Mistico”, Mons. Athanasius Schneider, Segretario della Conferenza Episcopale del Kazakhstan, aggiunge la nuova formulazione dell’Offertorio trasformato in berakàh ebraica.


Colpisce che questo sia detto esplicitamente in un documento come la Esortazione Apostolica Post-Sinodale Sacramentum Caritatis (22 febbraio 2007), al n.10 :

«... È in questo contesto che Gesù introduce la novità del suo dono. Nella preghiera di lode, la Berakah, Egli ringrazia il Padre non solo per i grandi eventi della storia passata, ma anche per la propria « esaltazione ». Istituendo il sacramento dell'Eucaristia, Gesù anticipa ed implica il Sacrificio della croce e la vittoria della risurrezione ».

È tutto molto bello e vero, anche nelle esplicitazioni successive. Ma è stato espunto qualcosa di non secondario, perché prima che un dono a noi, l'Eucaristia è l'unico Sacrificio di espiazione e propiziatorio di Cristo da Lui presentato, offerto al Padre.

E nessun documento conciliare autorizzava a operare tagli selvaggi all'Offertorio, sostituendo all'Hostia (vittima) pura santa e immacolata il “frutto della terra e del nostro lavoro”, trasformando così l'Offerta di Cristo alla quale uniamo la nostra offerta al Padre, in una berakah (preghiera di lode e benedizione) ebraica, che il Signore ha certamente pronunciato, ma che non è il punto focale della sua Azione, del Novum che egli ha introdotto nell'Ultima Cena.

Come dice Romano Amerio:

«Poiché la parola consegue all'idea, la loro scomparsa (delle parole, nel nostro caso intere formule -ndA) arguisce scomparsa o quanto meno eclissazione di quei concetti un tempo salienti nel sistema cattolico».

È successo, quindi, che nella S. Messa cattolica, nel Nuovo Rito, la benedizione ebraica sostituisce quella che nel Rito secondo l'usus antiquior è l'Offerta cristiana.

Se durante la Santa Messa, che è il Sacrificio della Croce, l’offerta del Corpo e del Sangue di Gesù e la loro mistica immolazione, avvengono insieme al momento della Consacrazione, è tuttavia necessario che il Sacerdote e i fedeli uniscano l’offerta di se stessi all’unica offerta gradita a Dio, quella di Gesù. Perciò nel rito della Messa esistono momenti precedenti e successivi alla consacrazione nei quali si esprime l’offerta di Gesù al Padre e quella dei cristiani con lui. L’Offertorio è sacrificale: quello che viene offerto è il Corpo e Sangue di Gesù, non il Pane e il Vino; è un’anticipazione per dare modo a tutti di unirsi all’Offerta di Gesù, è una preparazione che anticipa un crescendo. L'Offertorio, nella sua primitiva accezione, aveva ben presente il Sacrificio come prolessi, cioè come anticipazione del Sacrificio a venire. Le oblate sono intimamente legate al Sacrificio. L'offertorio fa parte integrante dell'Actio del Canone, nel cuore della Santa Messa. È innegabile, tuttavia, che la ‘forma’ ordinaria di fatto ha cambiato i connotati alle oblate ed estromesso il loro aspetto sacrificale .


tratto da "La questione liturgica", di Maria Guarini, ed. Parva Itinera

 

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