I vescovi che hanno approvato gravi errori dottrinali, inclusa la benedizione per le coppie omosessuali e i divorziati-risposati, devono subire sanzioni, se non si ravvedono. È quanto chiedono, sulla base del Diritto canonico, i cardinali Müller e Burke. Ma Roma propende per una linea molto diversa.
GLI INTERVENTI
Luisella Scrosati, 21-03-2023
Cosa bisognerebbe fare con i vescovi tedeschi che hanno approvato, tra le altre cose, anche la benedizione delle coppie omosessuali e dei divorziati-risposati? Il cardinale Gerhard Müller, ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, intervistato da Raymond Arroyo, durante la trasmissione The World Over (qui dal minuto 33:36), non sembra conoscere particolari esitazioni: «Quanti vanno direttamente contro la dottrina cattolica […] devono subire un processo, e devono essere condannati e rimossi dai loro uffici, se non si ravvedono e accettano la dottrina cattolica». È infatti chiaro, ribadisce Müller, che «la maggioranza dei vescovi ha votato esplicitamente contro la dottrina rivelata». Il cardinale tedesco ha infatti spiegato che, in principio, Dio ha benedetto l’uomo e la donna, perché fossero fecondi (cf. Gen 1, 27-28).
Questo «in principio» non ha una valenza meramente cronologica, ma indica il principio, l’archè primordiale che dà senso a tutte le derivazioni successive. La Chiesa non fa altro che proseguire questa benedizione divina. Chi si arroga il diritto di benedire situazioni che sono oggettivamente peccaminose, non solo si distanzia dall’ordine voluto da Dio, ma, dice il cardinale, commette un atto «blasfemo».
Le sanzioni ricordate da Müller sono previste chiaramente dal Codice di Diritto Canonico di fronte ad atti o pronunciamenti eretici o comunque contrari a quanto la Chiesa insegna come dottrina definitive tenenda, come aveva spiegato qualche giorno fa anche il vescovo di Springfield (in Illinois), monsignor Thomas Paprocki (vedi qui).
Il cardinale Raymond Burke (qui dal minuto 14:33), ex prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, a sua volta conferma: «Nel caso delle benedizioni di coppie dello stesso sesso, siamo di fronte ad un insegnamento immutabile della Chiesa» che viene direttamente contraddetto, ricadendo così nei canoni del Diritto canonico che colpiscono chi insegna eresie e nega l’insegnamento della Chiesa. «Questi sono crimini, sono peccati contro Cristo e della natura più grave […]. La Legge canonica prevede sanzioni appropriate». Burke ha espresso preoccupazione per la proiezione del Sinodo tedesco sulla Chiesa universale: «Quanto avviene nel Sinodo in Germania è un’anticipazione di quanto avverrà durante il Sinodo sulla sinodalità». Questo veleno minaccia di diffondersi in tutta la Chiesa e, per questo, «dev’essere fermato».
Ben diversa appare la linea che Roma intende prendere. La replica del Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, alle decisioni del Cammino sinodale tedesco non è certamente di quelle rassicuranti. Parolin infatti si è limitato ad annunciare la prosecuzione del dialogo e a fare un rilievo non proprio di sostanza: «Una singola Chiesa non può prendere una decisione del genere che riguarda la Chiesa universale. Ci vuole tempo per il dialogo». Ed ha aggiunto: «Nella Chiesa ci sono sempre state posizioni diverse, a volte contrastanti. Ora tutto questo confluirà nel cammino sinodale». Come a dire che la “Chiesa universale”, durante l’Assemblea generale ordinaria del prossimo ottobre, potrebbe invece legittimamente sdoganare pratiche e posizioni contrarie all’insegnamento costante della Chiesa.
La posizione di Parolin sembra peraltro ricalcare quella del Papa, che aveva messo in questione non i contenuti, ma il modello troppo “elitario” e periferico del Sinodo tedesco, richiamandolo ad integrarsi nella Chiesa. Tutto il problema sembrerebbe dunque quello di non fare disastri da soli, ma tutti insieme. Per questo il cardinale italiano ha salutato come un segno positivo la decisione della Chiesa tedesca di attendere fino al 2026 prima di offrire alle coppie irregolari la benedizione della Chiesa. Peccato però che le cose non stiano esattamente così. Infatti, il 10 marzo scorso, intervistato da ZDF, il presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, mons. Georg Bätzing, aveva già fatto presente che «la pratica di questa benedizione esiste già. La vogliamo portare alla luce. Questo significa che noi vescovi prendiamo posizione al riguardo e diciamo: è un bene che lo facciamo. Qualcosa che nella relazione di una coppia è buono, può anche ricevere la benedizione di Dio. È solo una conseguenza logica». In sostanza, fino al 2026 le benedizioni alle coppie irregolari possono continuare indisturbate, ma ancora senza alcuna ufficialità; perché si benedice ciò che c’è di buono in una relazione, facendo finta che non ci siano alla base di questa relazione dei peccati gravi.
Di fronte all’obiezione che forse il Papa potrebbe non essere d’accordo, Bätzing non accenna a ripensamenti: «Bisogna dire che abbiamo molte cose che possiamo mettere in atto qui nel nostro Paese, e lo faremo, perché è conforme al diritto […]. Abbiamo deciso oggi che benediremo ecclesialmente coppie che non sono sposate in Chiesa: coppie omosessuali, coppie che sono divorziate e risposate, coppie che chiedono la benedizione. Questo è qualcosa che qui facciamo». Punto. Dopo aver nuovamente ribadito che, a prescindere da quello che dirà Roma o deciderà il prossimo Sinodo, «noi qui lo metteremo in pratica», per la teologica motivazione che è stato deciso da oltre i due terzi degli aventi diritto al voto al Sinodo tedesco (inclusi i due terzi dei vescovi), Bätzing si fa forte della prassi già rodata dalla Chiesa belga e di una presunta autorizzazione informale di papa Francesco: «Abbiamo sentito oggi [durante la quinta Assemblea sinodale, n.d.a.] dalla Chiesa belga che anche lì lo stanno già mettendo in pratica e che questo con Roma è già concordato».
Non sia mai che adesso il Papa si metta a discriminare i vescovi, in base alla nazionalità.
Questo «in principio» non ha una valenza meramente cronologica, ma indica il principio, l’archè primordiale che dà senso a tutte le derivazioni successive. La Chiesa non fa altro che proseguire questa benedizione divina. Chi si arroga il diritto di benedire situazioni che sono oggettivamente peccaminose, non solo si distanzia dall’ordine voluto da Dio, ma, dice il cardinale, commette un atto «blasfemo».
Le sanzioni ricordate da Müller sono previste chiaramente dal Codice di Diritto Canonico di fronte ad atti o pronunciamenti eretici o comunque contrari a quanto la Chiesa insegna come dottrina definitive tenenda, come aveva spiegato qualche giorno fa anche il vescovo di Springfield (in Illinois), monsignor Thomas Paprocki (vedi qui).
Il cardinale Raymond Burke (qui dal minuto 14:33), ex prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, a sua volta conferma: «Nel caso delle benedizioni di coppie dello stesso sesso, siamo di fronte ad un insegnamento immutabile della Chiesa» che viene direttamente contraddetto, ricadendo così nei canoni del Diritto canonico che colpiscono chi insegna eresie e nega l’insegnamento della Chiesa. «Questi sono crimini, sono peccati contro Cristo e della natura più grave […]. La Legge canonica prevede sanzioni appropriate». Burke ha espresso preoccupazione per la proiezione del Sinodo tedesco sulla Chiesa universale: «Quanto avviene nel Sinodo in Germania è un’anticipazione di quanto avverrà durante il Sinodo sulla sinodalità». Questo veleno minaccia di diffondersi in tutta la Chiesa e, per questo, «dev’essere fermato».
Ben diversa appare la linea che Roma intende prendere. La replica del Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, alle decisioni del Cammino sinodale tedesco non è certamente di quelle rassicuranti. Parolin infatti si è limitato ad annunciare la prosecuzione del dialogo e a fare un rilievo non proprio di sostanza: «Una singola Chiesa non può prendere una decisione del genere che riguarda la Chiesa universale. Ci vuole tempo per il dialogo». Ed ha aggiunto: «Nella Chiesa ci sono sempre state posizioni diverse, a volte contrastanti. Ora tutto questo confluirà nel cammino sinodale». Come a dire che la “Chiesa universale”, durante l’Assemblea generale ordinaria del prossimo ottobre, potrebbe invece legittimamente sdoganare pratiche e posizioni contrarie all’insegnamento costante della Chiesa.
La posizione di Parolin sembra peraltro ricalcare quella del Papa, che aveva messo in questione non i contenuti, ma il modello troppo “elitario” e periferico del Sinodo tedesco, richiamandolo ad integrarsi nella Chiesa. Tutto il problema sembrerebbe dunque quello di non fare disastri da soli, ma tutti insieme. Per questo il cardinale italiano ha salutato come un segno positivo la decisione della Chiesa tedesca di attendere fino al 2026 prima di offrire alle coppie irregolari la benedizione della Chiesa. Peccato però che le cose non stiano esattamente così. Infatti, il 10 marzo scorso, intervistato da ZDF, il presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, mons. Georg Bätzing, aveva già fatto presente che «la pratica di questa benedizione esiste già. La vogliamo portare alla luce. Questo significa che noi vescovi prendiamo posizione al riguardo e diciamo: è un bene che lo facciamo. Qualcosa che nella relazione di una coppia è buono, può anche ricevere la benedizione di Dio. È solo una conseguenza logica». In sostanza, fino al 2026 le benedizioni alle coppie irregolari possono continuare indisturbate, ma ancora senza alcuna ufficialità; perché si benedice ciò che c’è di buono in una relazione, facendo finta che non ci siano alla base di questa relazione dei peccati gravi.
Di fronte all’obiezione che forse il Papa potrebbe non essere d’accordo, Bätzing non accenna a ripensamenti: «Bisogna dire che abbiamo molte cose che possiamo mettere in atto qui nel nostro Paese, e lo faremo, perché è conforme al diritto […]. Abbiamo deciso oggi che benediremo ecclesialmente coppie che non sono sposate in Chiesa: coppie omosessuali, coppie che sono divorziate e risposate, coppie che chiedono la benedizione. Questo è qualcosa che qui facciamo». Punto. Dopo aver nuovamente ribadito che, a prescindere da quello che dirà Roma o deciderà il prossimo Sinodo, «noi qui lo metteremo in pratica», per la teologica motivazione che è stato deciso da oltre i due terzi degli aventi diritto al voto al Sinodo tedesco (inclusi i due terzi dei vescovi), Bätzing si fa forte della prassi già rodata dalla Chiesa belga e di una presunta autorizzazione informale di papa Francesco: «Abbiamo sentito oggi [durante la quinta Assemblea sinodale, n.d.a.] dalla Chiesa belga che anche lì lo stanno già mettendo in pratica e che questo con Roma è già concordato».
Non sia mai che adesso il Papa si metta a discriminare i vescovi, in base alla nazionalità.
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