19 gennaio 2023
L'arcivescovo Charles Chaput, OFM Cap., è l'arcivescovo emerito di Filadelfia e da lungo tempo un leader tra i vescovi americani.
L'arcivescovo, 78 anni, è diventato nel 1988 il secondo sacerdote di discendenza nativa americana a diventare vescovo diocesano. Dopo aver prestato servizio per nove anni come vescovo di Rapid City, South Dakota, Chaput è diventato nel 1997 arcivescovo di Denver e nel luglio 2011 è stato nominato alla guida dell'arcidiocesi di Filadelfia.
Chaput e l'arcidiocesi di Filadelfia hanno ospitato nel 2015 l'Incontro mondiale delle famiglie. Nello stesso anno, Chaput è stato delegato al Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia, ed è stato eletto per un mandato nel Consiglio Permanente del Sinodo dei Vescovi in Vaticano.
L'arcivescovo, autore di quattro libri, ha parlato con The Pillar questa settimana della morte di papa Benedetto XVI e del cardinale George Pell, del sinodo sulla sinodalità e del Concilio Vaticano II.
* * *
Arcivescovo, con la morte di Papa Benedetto XVI e del cardinale George Pell questo mese, sembra che due stelle polari per molte persone nella Chiesa siano andate perse.
Quale sarà l’impatto della loro morte sulla Chiesa?
La Chiesa continuerà la sua opera e la sua testimonianza perché non dipende da nessun altro se non da Gesù Cristo. Ma la loro assenza è una perdita molto pesante perché entrambi incarnavano in modo straordinario un’intelligenza cristiana di chiara e fedele espressione. Nessuno, nel novero delle attuali gerarchie autorevoli della Chiesa, ha la capacità di sostituirli. Ciò avverrà col tempo, ma al momento lo scranno dei talenti sembra piuttosto scarso.
Che sia giusto o meno, Papa Benedetto XVI e il Cardinale Pell sono stati rappresentati come figure polarizzanti. Forse la polarizzazione nella Chiesa non è una realtà nuova, ma sembra che negli ultimi anni le varie “correnti” all’interno della Chiesa siano diventate più ostili l’una all’altra. Perché?
Dire la verità è polarizzante. Gesù è stato ucciso. Le persone cattive con idee cattive non amano le persone buone che cercano di fare cose buone. E questo spiega il disprezzo, il risentimento e le vere e proprie menzogne rivolte a entrambi gli uomini nel corso degli anni, anche da parte di persone che si definiscono cristiane; persone all’interno della stessa Chiesa.
Arcivescovo, l’interpretazione e la comprensione del Vaticano II sembrano essere al centro di molte attuali controversie nella Chiesa. A sessant’anni dalla conclusione del Concilio, perché è ancora in questione una lettura autorevole del Vaticano II?
Il Vaticano II è stato uno sviluppo e una riforma organica della vita della Chiesa, oppure una rottura con il passato e un nuovo inizio? Questa è la domanda centrale, le cui risposte conducono su strade molto diverse. La rottura con il passato sembra ignorare qualsiasi nozione di autentico sviluppo della dottrina. Sia Ratzinger che Pell hanno visto il Concilio come un’esperienza di continuità e di riforma. Avevano ragione. Ma le divisioni e i conflitti sono stati comuni all’indomani di molti concili. Devono solo essere affrontati e superati.
Con 60 anni di senno di poi, valuta il Vaticano II come qualcosa di positivo per la Chiesa?
Sì, senza dubbio. Ma il valore di ogni concilio ha dei limiti imposti dai tempi e dalle questioni che deve affrontare. Ecco perché ce ne sono più di uno. Il Vaticano II non ripudia Trento o il Vaticano I, per esempio, ma la Chiesa aveva bisogno di adattare il suo approccio al mondo e di parlare alle nuove condizioni che inquadravano la sua missione. Questo era l’intento di Giovanni XXIII nel convocarlo, di Paolo VI nel concluderlo e di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI nell’applicare i suoi insegnamenti.
Mentre la Chiesa parla di interpretare il Vaticano II, oggi sta riemergendo anche un dibattito su alcune questioni fondamentali di teologia morale. Ad esempio, la Pontificia Accademia per la Vita, sotto la guida dell’arcivescovo Vincenzo Paglia, sta mettendo in discussione i principi morali articolati in Humanae vitae, Veritatis splendor e nel Catechismo della Chiesa Cattolica.
Ora si riaprono questioni apparentemente risolte. Che cosa ne devono fare i fedeli?
Credo che dipenda da come si definisce la parola “fedele”. Penso che alcuni dei cambiamenti avvenuti negli ultimi anni alla Pontificia Accademia per la Vita e all’Istituto Giovanni Paolo II siano stati imprudenti e distruttivi. In effetti, l’intero scopo dell’istituto fondato da San Giovanni Paolo è stato stravolto; un chiaro insulto al suo magistero e alla sua eredità. Non c’è fedeltà nell’annacquare o rompere con la sostanza dei documenti che lei cita.
Per alcuni cattolici, questa rilettura degli insegnamenti morali cattolici è stata vista come un aspetto determinante del pontificato di Francesco. Pensa che questo sia ciò che i cardinali elettori di Papa Francesco si aspettavano quando lo hanno eletto?
Questo pontificato è stato una sorpresa per molte persone.
Che tipo di riforma si aspettavano i cardinali elettori dall’allora cardinale Bergoglio?
Divrebbero dirlo i cardinali elettori. Ma ricordo che il cardinale Francis George, che era un amico, mi disse poco prima di morire che i cardinali al conclave chiedevano al Papa di riformare la Curia romana, non di “riformare” la Chiesa.
Per quanto riguarda il resto di noi, i cattolici seri nella fede rispettano e sostengono istintivamente il Papa – qualsiasi Papa. Ma si aspettano una continuità di fondo nel governare e sono confusi quando c’è ambiguità al vertice.
Pur non essendo un funzionario vaticano, che idea si è fatto della situazione a Roma? C’è sostegno per le riforme del Santo Padre?
Non sono in grado di saperlo. Penso che i discorsi annuali del Santo Padre alla curia, che sono di dominio pubblico, siano stati eccessivamente cupi. Non sono certo che ispirino o motivino qualcuno.
Ma era così anche sotto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI? Se no, cosa c’è di diverso?
Intenzionalmente o meno, Papa Francesco sembra adottare un approccio più duro nei suoi commenti rispetto ai due papi precedenti. A seconda della posizione nel campo teologico, si può essere timorosi in qualsiasi pontificato. I liberali hanno scritto spesso degli indici di paura durante i pontificati del Beato Pio IX e di San Pio X. La teologia fa un’enorme differenza. La posta in gioco è alta.
Quale pensa sarà l’eredità di Papa Francesco?
Le eredità sono chiare solo a posteriori. Penso che sarà ricordato, almeno in parte, per la sua preoccupazione per gli immigrati e i poveri; per la sua enfasi sulla semplicità, l’ascolto e l’accompagnamento, e per aver raggiunto i margini della Chiesa e del mondo. Queste sono tutte cose buone, correttamente intese. Altri ricordi possono essere più problematici.
Arcivescovo, il concetto di sinodalità sembra essere uno dei temi principali del pontificato del Santo Padre. Quale sarà il risultato del triennale “sinodo sulla sinodalità”?
Non ho idea del risultato. Per quanto riguarda il processo, penso che sia imprudente e incline alla manipolazione, e la manipolazione implica sempre disonestà. L’affermazione che il Vaticano II abbia in qualche modo implicato la necessità della sinodalità come caratteristica permanente della vita della Chiesa è semplicemente falsa. Il Concilio non è mai arrivato a suggerire questo. Inoltre, ero un delegato al sinodo del 2018 e il modo in cui la “sinodalità” è stata introdotta nell’ordine del giorno è stato manipolativo e offensivo. Non aveva nulla a che fare con il tema del sinodo, i giovani e la fede. La sinodalità rischia di diventare una sorta di Vaticano III annacquato; un concilio mobile su una scala molto più controllabile e malleabile. Questo non servirebbe ai bisogni della Chiesa e del suo popolo.
Ho fatto parte del Consiglio permanente del Sinodo dei vescovi a partire dal 2015. Ricordo alcune brevi discussioni sulla difficoltà di tenere un altro concilio ecumenico a causa del gran numero di vescovi di oggi. Ma diffiderei molto dall’idea che la sinodalità possa in qualche modo prendere il posto di un concilio ecumenico nella vita della Chiesa. Non esiste una tradizione di vescovi che delegano la loro responsabilità personale per la Chiesa universale a un numero più piccolo di vescovi, quindi qualsiasi sviluppo di questo tipo dovrebbe essere esaminato e discusso molto attentamente prima di qualsiasi tentativo di attuazione. Questo non è lo spirito o la realtà attuale di ciò che sta accadendo.
Un altro aspetto del pontificato di Francesco è il protagonismo dei gesuiti nelle posizioni di leadership della Chiesa. Cosa si può capire del rapporto di Papa Francesco con la Compagnia di Gesù?
Beh, io sono un francescano cappuccino e questo ha plasmato la mia vita in modo profondo. La formazione gesuitica ricevuta da Francesco naturalmente deve aver avuto lo stesso effetto. Ma quando un religioso diventa vescovo, appartiene alla sua diocesi, al suo presbiterio e alla sua gente. Amo i miei fratelli cappuccini, ma sono un sacerdote dell’arcidiocesi di Filadelfia. Questa è la mia fedeltà principale. Francesco è il vescovo di Roma; quel ruolo e i suoi obblighi, sia verso la sua diocesi locale che verso la Chiesa universale, sono la sua lealtà principale – non la Compagnia di Gesù. Fare eccessivo affidamento sulla propria comunità religiosa e sui suoi membri, a meno che non si tratti di un vescovo in servizio nelle missioni, non è una buona idea. E penso che sia chiaro che Francesco governa come un superiore generale gesuita, dall’alto verso il basso, con pochi contributi collaborativi. Sembra anche che ponga molta più enfasi sul suo discernimento personale che sul discernimento dei papi passati e sul discernimento generale della Chiesa attraverso i secoli.
Molti dei vescovi che Papa Francesco ha elevato al Collegio cardinalizio non provengono dall’ordinario “percorso cardinalizio” della Chiesa. Cosa ne pensa? Cosa pensa che significhi per il futuro della Chiesa?
Penso che sia una cosa molto buona, a patto che gli uomini abbiano la sostanza spirituale e intellettuale per svolgere fedelmente e bene i loro compiti.
Un tempo era consuetudine che l’arcivescovo di Filadelfia fosse nominato cardinale. Lei non lo è stato. È deluso di non essere un cardinale?
No, e dormo molto meglio per questo.
In questo momento c’è una voce che riguarda la Conferenza episcopale degli Stati Uniti, secondo cui alcuni vescovi, tra cui il presidente della Conferenza, sono in qualche modo anti-Francesco, o contrari alla leadership di Papa Francesco. Mi sembra che questo comporti il pericolo di trasformare la personalità del Santo Padre in una sorta di “cartina di tornasole” cattolica, invece di concentrarsi sulla continuità e sulla fedeltà alla dottrina cattolica. Perché questa narrazione persiste?
Il rispetto per il Santo Padre è un’esigenza di carità cristiana e di lealtà filiale. Ma non richiede mai servilismo o adulazione. E non posso immaginare che il Santo Padre, in quanto pastore esperto, voglia l’una o l’altra cosa. I vescovi americani sono sempre stati leali – e francamente molto generosi – nei confronti di Roma, e questo è un fatto. Trasformare le serie preoccupazioni dottrinali in un dibattito sulla personalità è solo un modo conveniente per eludere le questioni sostanziali che devono essere affrontate. Inoltre, dimostra una totale ignoranza della storia della Chiesa. I papi vanno e vengono, anche quelli grandi, proprio come i vescovi e i cristiani di tutti i giorni. Ciò che conta, a prescindere dal costo, è la fedeltà all’insegnamento cattolico, e non bisogna trovare scuse nel perseguire questo obiettivo.
Arcivescovo, alcuni dei suoi commenti saranno considerati critici nei confronti di Papa Francesco. Pensa di essere sleale nei suoi confronti esprimendo pubblicamente questi commenti?
Amo il Santo Padre. Sono rimasto molto colpito da lui quando ci siamo incontrati come giovani vescovi all’Assemblea speciale sull’America del 1997 a Roma. La Chiesa ha bisogno che abbia successo nel suo ministero. Vorrei solo fare un’osservazione rispettosa. Ho molti amici con buoni matrimoni che durano da molto tempo. C’è da trarre una lezione da questo. Non si ottiene un matrimonio sano – e certamente non uno durevole – se non si è disposti a dire la verità e ad ascoltarla, onestamente, in cambio. Lo stesso vale per la Chiesa. Chiunque, in qualsiasi tipo di responsabilità di governo, non sia disposto ad ascoltare verità spiacevoli, deve cambiare il suo atteggiamento nei confronti della realtà.
Arcivescovo, con la morte di Papa Benedetto XVI e del cardinale George Pell questo mese, sembra che due stelle polari per molte persone nella Chiesa siano andate perse.
Quale sarà l’impatto della loro morte sulla Chiesa?
La Chiesa continuerà la sua opera e la sua testimonianza perché non dipende da nessun altro se non da Gesù Cristo. Ma la loro assenza è una perdita molto pesante perché entrambi incarnavano in modo straordinario un’intelligenza cristiana di chiara e fedele espressione. Nessuno, nel novero delle attuali gerarchie autorevoli della Chiesa, ha la capacità di sostituirli. Ciò avverrà col tempo, ma al momento lo scranno dei talenti sembra piuttosto scarso.
Che sia giusto o meno, Papa Benedetto XVI e il Cardinale Pell sono stati rappresentati come figure polarizzanti. Forse la polarizzazione nella Chiesa non è una realtà nuova, ma sembra che negli ultimi anni le varie “correnti” all’interno della Chiesa siano diventate più ostili l’una all’altra. Perché?
Dire la verità è polarizzante. Gesù è stato ucciso. Le persone cattive con idee cattive non amano le persone buone che cercano di fare cose buone. E questo spiega il disprezzo, il risentimento e le vere e proprie menzogne rivolte a entrambi gli uomini nel corso degli anni, anche da parte di persone che si definiscono cristiane; persone all’interno della stessa Chiesa.
Arcivescovo, l’interpretazione e la comprensione del Vaticano II sembrano essere al centro di molte attuali controversie nella Chiesa. A sessant’anni dalla conclusione del Concilio, perché è ancora in questione una lettura autorevole del Vaticano II?
Il Vaticano II è stato uno sviluppo e una riforma organica della vita della Chiesa, oppure una rottura con il passato e un nuovo inizio? Questa è la domanda centrale, le cui risposte conducono su strade molto diverse. La rottura con il passato sembra ignorare qualsiasi nozione di autentico sviluppo della dottrina. Sia Ratzinger che Pell hanno visto il Concilio come un’esperienza di continuità e di riforma. Avevano ragione. Ma le divisioni e i conflitti sono stati comuni all’indomani di molti concili. Devono solo essere affrontati e superati.
Con 60 anni di senno di poi, valuta il Vaticano II come qualcosa di positivo per la Chiesa?
Sì, senza dubbio. Ma il valore di ogni concilio ha dei limiti imposti dai tempi e dalle questioni che deve affrontare. Ecco perché ce ne sono più di uno. Il Vaticano II non ripudia Trento o il Vaticano I, per esempio, ma la Chiesa aveva bisogno di adattare il suo approccio al mondo e di parlare alle nuove condizioni che inquadravano la sua missione. Questo era l’intento di Giovanni XXIII nel convocarlo, di Paolo VI nel concluderlo e di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI nell’applicare i suoi insegnamenti.
Mentre la Chiesa parla di interpretare il Vaticano II, oggi sta riemergendo anche un dibattito su alcune questioni fondamentali di teologia morale. Ad esempio, la Pontificia Accademia per la Vita, sotto la guida dell’arcivescovo Vincenzo Paglia, sta mettendo in discussione i principi morali articolati in Humanae vitae, Veritatis splendor e nel Catechismo della Chiesa Cattolica.
Ora si riaprono questioni apparentemente risolte. Che cosa ne devono fare i fedeli?
Credo che dipenda da come si definisce la parola “fedele”. Penso che alcuni dei cambiamenti avvenuti negli ultimi anni alla Pontificia Accademia per la Vita e all’Istituto Giovanni Paolo II siano stati imprudenti e distruttivi. In effetti, l’intero scopo dell’istituto fondato da San Giovanni Paolo è stato stravolto; un chiaro insulto al suo magistero e alla sua eredità. Non c’è fedeltà nell’annacquare o rompere con la sostanza dei documenti che lei cita.
Per alcuni cattolici, questa rilettura degli insegnamenti morali cattolici è stata vista come un aspetto determinante del pontificato di Francesco. Pensa che questo sia ciò che i cardinali elettori di Papa Francesco si aspettavano quando lo hanno eletto?
Questo pontificato è stato una sorpresa per molte persone.
Che tipo di riforma si aspettavano i cardinali elettori dall’allora cardinale Bergoglio?
Divrebbero dirlo i cardinali elettori. Ma ricordo che il cardinale Francis George, che era un amico, mi disse poco prima di morire che i cardinali al conclave chiedevano al Papa di riformare la Curia romana, non di “riformare” la Chiesa.
Per quanto riguarda il resto di noi, i cattolici seri nella fede rispettano e sostengono istintivamente il Papa – qualsiasi Papa. Ma si aspettano una continuità di fondo nel governare e sono confusi quando c’è ambiguità al vertice.
Pur non essendo un funzionario vaticano, che idea si è fatto della situazione a Roma? C’è sostegno per le riforme del Santo Padre?
Non sono in grado di saperlo. Penso che i discorsi annuali del Santo Padre alla curia, che sono di dominio pubblico, siano stati eccessivamente cupi. Non sono certo che ispirino o motivino qualcuno.
Ma era così anche sotto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI? Se no, cosa c’è di diverso?
Intenzionalmente o meno, Papa Francesco sembra adottare un approccio più duro nei suoi commenti rispetto ai due papi precedenti. A seconda della posizione nel campo teologico, si può essere timorosi in qualsiasi pontificato. I liberali hanno scritto spesso degli indici di paura durante i pontificati del Beato Pio IX e di San Pio X. La teologia fa un’enorme differenza. La posta in gioco è alta.
Quale pensa sarà l’eredità di Papa Francesco?
Le eredità sono chiare solo a posteriori. Penso che sarà ricordato, almeno in parte, per la sua preoccupazione per gli immigrati e i poveri; per la sua enfasi sulla semplicità, l’ascolto e l’accompagnamento, e per aver raggiunto i margini della Chiesa e del mondo. Queste sono tutte cose buone, correttamente intese. Altri ricordi possono essere più problematici.
Arcivescovo, il concetto di sinodalità sembra essere uno dei temi principali del pontificato del Santo Padre. Quale sarà il risultato del triennale “sinodo sulla sinodalità”?
Non ho idea del risultato. Per quanto riguarda il processo, penso che sia imprudente e incline alla manipolazione, e la manipolazione implica sempre disonestà. L’affermazione che il Vaticano II abbia in qualche modo implicato la necessità della sinodalità come caratteristica permanente della vita della Chiesa è semplicemente falsa. Il Concilio non è mai arrivato a suggerire questo. Inoltre, ero un delegato al sinodo del 2018 e il modo in cui la “sinodalità” è stata introdotta nell’ordine del giorno è stato manipolativo e offensivo. Non aveva nulla a che fare con il tema del sinodo, i giovani e la fede. La sinodalità rischia di diventare una sorta di Vaticano III annacquato; un concilio mobile su una scala molto più controllabile e malleabile. Questo non servirebbe ai bisogni della Chiesa e del suo popolo.
Ho fatto parte del Consiglio permanente del Sinodo dei vescovi a partire dal 2015. Ricordo alcune brevi discussioni sulla difficoltà di tenere un altro concilio ecumenico a causa del gran numero di vescovi di oggi. Ma diffiderei molto dall’idea che la sinodalità possa in qualche modo prendere il posto di un concilio ecumenico nella vita della Chiesa. Non esiste una tradizione di vescovi che delegano la loro responsabilità personale per la Chiesa universale a un numero più piccolo di vescovi, quindi qualsiasi sviluppo di questo tipo dovrebbe essere esaminato e discusso molto attentamente prima di qualsiasi tentativo di attuazione. Questo non è lo spirito o la realtà attuale di ciò che sta accadendo.
Un altro aspetto del pontificato di Francesco è il protagonismo dei gesuiti nelle posizioni di leadership della Chiesa. Cosa si può capire del rapporto di Papa Francesco con la Compagnia di Gesù?
Beh, io sono un francescano cappuccino e questo ha plasmato la mia vita in modo profondo. La formazione gesuitica ricevuta da Francesco naturalmente deve aver avuto lo stesso effetto. Ma quando un religioso diventa vescovo, appartiene alla sua diocesi, al suo presbiterio e alla sua gente. Amo i miei fratelli cappuccini, ma sono un sacerdote dell’arcidiocesi di Filadelfia. Questa è la mia fedeltà principale. Francesco è il vescovo di Roma; quel ruolo e i suoi obblighi, sia verso la sua diocesi locale che verso la Chiesa universale, sono la sua lealtà principale – non la Compagnia di Gesù. Fare eccessivo affidamento sulla propria comunità religiosa e sui suoi membri, a meno che non si tratti di un vescovo in servizio nelle missioni, non è una buona idea. E penso che sia chiaro che Francesco governa come un superiore generale gesuita, dall’alto verso il basso, con pochi contributi collaborativi. Sembra anche che ponga molta più enfasi sul suo discernimento personale che sul discernimento dei papi passati e sul discernimento generale della Chiesa attraverso i secoli.
Molti dei vescovi che Papa Francesco ha elevato al Collegio cardinalizio non provengono dall’ordinario “percorso cardinalizio” della Chiesa. Cosa ne pensa? Cosa pensa che significhi per il futuro della Chiesa?
Penso che sia una cosa molto buona, a patto che gli uomini abbiano la sostanza spirituale e intellettuale per svolgere fedelmente e bene i loro compiti.
Un tempo era consuetudine che l’arcivescovo di Filadelfia fosse nominato cardinale. Lei non lo è stato. È deluso di non essere un cardinale?
No, e dormo molto meglio per questo.
In questo momento c’è una voce che riguarda la Conferenza episcopale degli Stati Uniti, secondo cui alcuni vescovi, tra cui il presidente della Conferenza, sono in qualche modo anti-Francesco, o contrari alla leadership di Papa Francesco. Mi sembra che questo comporti il pericolo di trasformare la personalità del Santo Padre in una sorta di “cartina di tornasole” cattolica, invece di concentrarsi sulla continuità e sulla fedeltà alla dottrina cattolica. Perché questa narrazione persiste?
Il rispetto per il Santo Padre è un’esigenza di carità cristiana e di lealtà filiale. Ma non richiede mai servilismo o adulazione. E non posso immaginare che il Santo Padre, in quanto pastore esperto, voglia l’una o l’altra cosa. I vescovi americani sono sempre stati leali – e francamente molto generosi – nei confronti di Roma, e questo è un fatto. Trasformare le serie preoccupazioni dottrinali in un dibattito sulla personalità è solo un modo conveniente per eludere le questioni sostanziali che devono essere affrontate. Inoltre, dimostra una totale ignoranza della storia della Chiesa. I papi vanno e vengono, anche quelli grandi, proprio come i vescovi e i cristiani di tutti i giorni. Ciò che conta, a prescindere dal costo, è la fedeltà all’insegnamento cattolico, e non bisogna trovare scuse nel perseguire questo obiettivo.
Arcivescovo, alcuni dei suoi commenti saranno considerati critici nei confronti di Papa Francesco. Pensa di essere sleale nei suoi confronti esprimendo pubblicamente questi commenti?
Amo il Santo Padre. Sono rimasto molto colpito da lui quando ci siamo incontrati come giovani vescovi all’Assemblea speciale sull’America del 1997 a Roma. La Chiesa ha bisogno che abbia successo nel suo ministero. Vorrei solo fare un’osservazione rispettosa. Ho molti amici con buoni matrimoni che durano da molto tempo. C’è da trarre una lezione da questo. Non si ottiene un matrimonio sano – e certamente non uno durevole – se non si è disposti a dire la verità e ad ascoltarla, onestamente, in cambio. Lo stesso vale per la Chiesa. Chiunque, in qualsiasi tipo di responsabilità di governo, non sia disposto ad ascoltare verità spiacevoli, deve cambiare il suo atteggiamento nei confronti della realtà.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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