di Corrado Gnerre
Don Bosco viene ricordato anche per la sua pedagogia. Essa è stata definita “preventiva”, ovvero una pedagogia che mirava ad evitare gli errori comportamentali piuttosto che a curarli dopo che questi si fossero manifestati. In realtà il famoso sacerdote piemontese era convinto che la pedagogia vera non avesse bisogno di metodi precostituiti, ma decise lo stesso di dare un nome alla sua pedagogia perché doveva pur dare una definizione da presentare al ministro Rattazzi.
La pedagogia preventiva presuppone l’esistenza della verità
La pedagogia di Don Bosco era ovviamente una pedagogia che si basava sulla convinzione dell’esistenza della verità. Sulla convinzione cioè che il soggetto che la pedagogia doveva servire (il fanciullo), pur nelle diversità contestuali, familiari e sociali, fosse sempre lo stesso, ovvero un dato perenne. A dimostrazione di ciò, egli affermava che il primo bisogno del fanciullo fosse quello di essere amato. Sperimentò che quando un giovane o un fanciullo vive nella strada o una vita animalesca nei tuguri, diventa diffidente e scontroso. Invece, quando gli si dimostra affetto e lo si circonda di calore e simpatia, le cose cambiano. Insomma, va fatto capire ai fanciulli che la loro vita non è senza senso, ma sempre frutto di un progetto di amore, che non si è “gettati” nel mondo, ma che invece si ha la possibilità di essere accompagnati dall’Assoluto.
Come mai don Bosco era convinto che il fanciullo, una volta amato, tendesse sempre a rispondere positivamente? La risposta sta nel fatto che egli era convinto che nessun fanciullo fosse veramente cattivo. Attenzione però: questa convinzione non si poneva all’interno di una prospettiva di tipo roussoniana (l’uomo in natura è sempre buono, ciò che lo corrompe è il progresso e la società), quanto nella concezione autenticamente cattolica del peccato originale. Il Santo credeva che il fanciullo, più facilmente dell’adulto, tendesse a rispondere alla pedagogia dell’amore, perché questi (il fanciullo) ancora conserva in sé le gemme preziose della grazia santificante ricevuta dal Battesimo e di una vita senza malizia.
Dunque, “prevenzione” del suo metodo vuol dire appunto prendere i fanciulli quanto prima: evitare che si possano guastare e quindi rendere più difficile il loro recupero e l’efficacia della pedagogia dell’amore.
Per far questo don Bosco dette grande importanza all’oratorio. Volle che i ragazzi non fossero nella strada, bensì sempre controllati non solo nello studio ma anche nel giocare e nel trascorrere il tempo libero. Attenzione: il gioco e lo sport vennero valorizzati da don Bosco non solo come riempimento, ma anche come realizzazione e contributo importante alla crescita. Il gioco, come possibilità di scaricare le proprie energie per evitare, quindi, qualsiasi tipo di “corto circuito” sul piano fisico e mentale; e per evitare che il fanciullo trascorresse nell’ozio i suoi momenti di libertà dallo studio. Ma anche lo sport, come capacità di giocare nell’accettazione delle regole, vere metafore dell’oggettività della vita; ovvero il fatto che l’uomo non può gestire la sua esistenza a proprio piacimento, ma sempre in conformità alle leggi che non può darsi da sé, ma che invece deve oggettivamente riconoscere e rispettare.
La pedagogia preventiva come ‘risposta’ alla morale autoritaria postkantiana
La pedagogia preventiva di don Bosco muove non solo dalla convinzione dell’esistenza della verità, ma anche dalla convinzione secondo cui tale verità è conoscibile. Essa presuppone che alla base dell’educazione vi sia la possibilità di motivare le regole imposte. Insomma, non si tratta della cosiddetta “morale del pugno sbattuto sul tavolo”, devi far questo perché lo devi fare, bensì della morale che, imponendo regole, dà anche la spiegazione delle motivazioni che ne sono alla base.
In questo senso si capisce molto bene come la spiritualità e il pensiero pedagogico di don Bosco costituiscano valide ed evidenti risposte alla mentalità dominante nel XIX secolo. La morale di quel secolo era infatti di tipo autoritario, proprio perché “figlia” della filosofia kantiana. Tale pensiero aveva demolito la metafisica, affermando l’impossibilità di dimostrare l’esistenza di Dio; accorgendosi poi dell’incapacità, in tal modo, di costruire una morale universale. Kant, dunque, dovette recuperare queste verità non più nella prospettiva razionale, bensì in quella volontaristica: anche se Dio non è conoscibile, deve essere ammesso per esigenze morali. Da qui una morale che non poggiasse sull’evidenza della verità, ma solo sull’impulso della volontà; una morale non più basata sulla persuasione, ma solo sull’imperativo categorico.
L’allegria
L’esito di questa prospettiva pedagogica fondata sul riconoscimento della verità e di una morale basata sulla persuasione era inevitabilmente un rapportarsi positivo e gioioso nei confronti della vita, atteggiamento questo molto lontano dalla cultura del tempo o da spiritualità seriose e protestantiche. Scrive un famoso biografo di don Bosco, Bonaventura Zarbà D’Assoro: Ecco perché don Bosco vuol bandito ogni sussiego e ogni accigliamento del volto degli educatori salesiani, e ogni piega amara sul labbro dei loro educandi. Egli ispira la sua pedagogia al motto di San Filippo Neri: ‘Scrupoli e malinconia, via da casa mia!’ che non è altro poi che la traduzione libera del detto paolino: ‘Guadete, iterum dico, gaudete!’ (…). Dell’allegria don Bosco fece come un precetto del vivere fin dai primi anni, e com’egli aveva vissuta la giovinezza a cielo aperto, così volle che i fanciulli avessero ‘ampia libertà di saltare, correre, schiamazzar a piacimento.’ La disposizione de’ suoi istituti conserva l’impronta di quello stile; niente chiostre e cortili chiusi: aria e luce, nell’anima e fuori.
L’amore alla Chiesa e al Papa
La pedagogia di don Bosco, partendo da questi presupposti, si mosse anche nella trasmissione ai fanciulli dell’affidamento alla Chiesa e al suo Capo visibile, nell’amore verso queste realtà. Il Governo Piemontese, infatti, non sopportava le scuole di don Bosco proprio perché in esse gli allievi s’innamoravano della Chiesa e di Pio IX.
La pedagogia preventiva non prescinde dal senso della giustizia
La prospettiva di don Bosco, proprio perché basata sul riconoscimento della verità e pur fondandosi sull’amore, non si traduceva in una sorta di relativismo mieloso. Egli era convinto della necessità della missione. Racconta Zarbà D’Assoro: “Una delle ultime volte che don Bosco comparve in mezzo ai suoi, il 7 dicembre 1887, fu per trascinarsi incontro a monsignor Cagliero che tornava a rivederlo ancora e gli conduceva con alcune suore una piccola india battezzata. ‘Eccole –gli dissero- o Padre, una primizia che i suoi figli le offrono dagli ultimi confini della terra’. E subito la giovinetta, con accento filiale disse: ‘Vi ringrazio, carissimo Padre, di aver mandato i vostri missionari a salvar me ed i miei fratelli! Essi ci hanno resi cristiani e ci hanno aperto le porte del cielo.’ Don Bosco pianse. Nella piccola india redenta egli vedeva non solo il primo fiore cristiano delle Pampas, ma anche il pegno delle future conquiste destinate ai suoi figli.”
Fonte: I tre sentieri
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