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Aldo Maria Valli
Da diverse settimane circolano voci secondo cui papa Francesco starebbe per firmare un documento che restringerebbe ulteriormente la celebrazione della Messa tradizionale. Un sito tedesco ha spiegato in dettaglio quali sarebbero le nuove restrizioni, e altri, come Infovaticana, Rorate Coeli e Messainlatino, hanno fatto eco.
Stando a quanto si vocifera, il nuovo documento sarebbe quasi pronto e dovrebbe uscire nel prossimo aprile, o maggio, in forma di esortazione o costituzione apostolica. Visto lo scarso effetto avuto da Traditionis custodes, lo scopo del papa sarebbe di limitare ulteriormente le possibilità di celebrare con il rito tradizionale. Le nuove restrizioni sottrarrebbero ogni potere decisionale ai vescovi rimettendolo nelle mani di Roma, la quale stabilirebbe che nessun tipo di celebrazione liturgica tradizionale potrà aver luogo nelle chiese diocesane o, al più, potrà essere celebrata solo da sacerdoti appartenenti a istituti religiosi nati attorno a questo rito (Fraternità sacerdotale san Pio X, Cristo Re, Buon Pastore, eccetera), comunità che dunque avranno l’esclusiva della celebrazione della Messa e dell’amministrazione dei sacramenti secondo i libri precedenti la riforma di Paolo VI.
In proposito ci siamo consultati con due fonti romane che frequentano i sacri palazzi e abbiamo avuto due risposte diverse.
La prima risposta dice che non è in preparazione nessun documento del genere. Le indiscrezioni trapelate sarebbero solo voci di corridoio diffuse per rendere ancora più teso un clima già di fibrillazione.
Solo pettegolezzi, dunque, messi in giro al fine di destabilizzare un panorama già precario. Facendo riferimento alla contorta psicologia di Francesco, chi avalla questa tesi sostiene che un documento con tali caratteristiche non arriverà mai perché ammetterebbe il fallimento di Traditionis custodes, che ha solo due anni di vita. Sarebbe come dire che il re non ha potere e servirebbe a confermare l’idea di quei vescovi, sacerdoti e laici secondo cui papa Francesco è un’anatra zoppa. E la similitudine è la cosa peggiore che possa capitare a un sovrano.
Un tale documento dichiarerebbe che i vescovi hanno disobbedito al papa, perché era compito loro applicare Traditionis custodes. Ma se hanno già disobbedito una volta, perché non dovrebbero rifarlo?
E poi il papa avrebbe l’audacia di misericordiare diverse dozzine di vescovi? Firmando un documento del genere, Bergoglio correrebbe molti più rischi che lasciando le cose come stanno. Nessuno vuole rendere manifesta la propria incapacità e la perdita di potere.
D’altra parte, nei giorni scorsi gli oppositori di papa Francesco, che erano rimasti in attesa e in prudente silenzio, sono entrati in scena con le baionette in pugno. È il caso del cardinale Pell, di venerata memoria, del vescovo Gänswein e, di recente, del cardinale Müller, il cui nuovo libro dice autorevolmente, con giusti e puntuali attacchi a Bergoglio, ciò che da questo blog e da altri diciamo ormai da molti anni. In questo quadro, un documento con ulteriori e dure restrizioni alla liturgia tradizionale aprirebbe un nuovo fronte di battaglia, ma Francesco, a causa della debolezza del suo pontificato, non può permettersi il lusso di prestare un altro fianco su cui essere attaccato. Appena uno dei mastini inizierà a mordergli i garretti, molti altri lo attaccheranno. Il bambino ha già gridato che “il re è nudo”, e la folla inizia a vociferare.
Un’altra versione secondo cui il documento sarebbe solo un mero mormorio senza fondamento dice che la decisione di limitare in questo modo crudele la celebrazione di un antico rito della Chiesa dovrebbe essere sostenuto da solide argomentazioni teologiche in grado di scardinare le argomentazioni che papa Benedetto XVI ha inserito nel Summorum Pontificum, ma questa non è una cosa facile da fare. Inoltre, non sembra proprio che le persone che lavorano per il cardinale Roche, nel Dicastero per il culto divino, abbiano la capacità di procedere in tal senso. Proprio questa fatale mancanza di argomentazione teologica farà in modo che ogni vescovo, e pure ogni sacerdote, discernerà – verbo tanto caro alla politica pontificia – di proseguire con le celebrazioni della Messa tradizionale. E poi sarà il prossimo papa a mettere in ordine le cose.
La seconda fonte consultata, invece, ci ha confermato che esiste effettivamente una bozza di documento con queste caratteristiche. Potrebbe darsi che sia stato elaborato nelle fucine del Dicastero per il culto divino su iniziativa di Roche e dei suoi, ma si tratta ora di capire che cosa deciderà di farne Francesco quando glielo presenteranno. Potranno anche rilegarlo in pelle di vitello con bordi dorati, ma il papa di certo non ci penserà due volte a buttarlo nel cestino se penserà che il documento non sia una buona idea sul piano politico.
Tuttavia, come detto, la psicologia di Bergoglio è contorta. Può anche darsi che sia stato lui stesso a incoraggiare quel documento e che lo firmerà.
Proviamo a ipotizzare questo scenario. Ci ritroveremmo nella stessa situazione che abbiamo vissuto sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, quando solo pronunciare le parole “Messa tridentina” era tabù.
Circa questo scenario giovanpaolista-franceschista, la prima cosa da dire, per stare a noi, è che in Argentina e nella maggior parte dell’America Latina le cose non cambierebbero più di tanto. Da queste parti le cappelle della Fraternità san Pio X continuerebbero a crescere inarrestabilmente, così come è successo in gran parte del mondo, e altre regioni, soprattutto Europa e Stati Uniti, ne sarebbero fortemente colpite. Si pensi, ad esempio, che in tutta la città di Parigi non esiste una chiesa in cui venga celebrata la messa tradizionale da parte degli istituti ex Ecclesia Dei; e in tutta la Spagna ce n’è una sola. L’entrata in vigore della nuova norma comporterebbe che tutti i vescovi dovrebbero decretare immediatamente che il culto tradizionale non può essere celebrato nelle chiese delle loro diocesi e, di conseguenza, che le decine di migliaia di fedeli, di tutto il mondo, che da molti anni frequentano queste celebrazioni si troverebbero da un giorno all’altro senza luogo di culto.
Analizzando questa eventualità, ricordiamo quanto accaduto quando entrò in vigore il messale di Paolo VI: nessuna ribellione. Ma le circostanze erano diverse: c’erano la novità, l’enorme forza d’inerzia del Concilio e l’atteggiamento remissivo di tutti i fedeli – clero e laici – agli ordini di Roma. Nessuna di queste circostanze è presente oggi: la novità ha cessato di essere tale, perché noi ormai sappiamo bene in cosa consiste il famoso novus ordo. Inoltre il Concilio è apertamente messo in discussione e i fedeli non sono più mansueti come una volta. D’altra parte, il Summorum Pontificum è penetrato in profondità in un ristretto ma convinto numero di cattolici. Coloro che frequentano da quindici anni la liturgia tradizionale, e soprattutto i giovani che vi sono cresciuti, saranno disposti a farsela portare via docilmente da un paio di insignificanti officiali romani e dal capriccio di un pontefice caduto in disgrazia? Chi metterà le firme necessarie dovrà tener conto di questa situazione: il nuovo documento potrebbe generare ribellioni di fedeli in molte diocesi, soprattutto americane. E i molti sacerdoti – soprattutto giovani – che celebrano il vetus ordo permetteranno che gli venga sottratto? Nel modo di protestare saranno certamente più cauti, come si conviene, ma dai vescovi esigeranno ciò che è loro dovuto.
E cosa faranno i vescovi? Sopporteranno di vivere anni nelle diocesi avendo la gran parte del clero – i preti migliori e più giovani – insoddisfatto e i laici infuriati? O applicheranno il discernimento franceschista evitando di obbedire all’ordine romano? Sarà interessante stare a vedere.
Postilla 1. Vista l’età avanzata di Francesco, non sembrerebbe opportuno, prima di consegnare l’anima al Creatore, decidere di firmare un documento che, facile prevederlo, potrebbe portare a disordini in tutte le diocesi. In tal caso, l’argomento sarebbe certamente oggetto di più di una conversazione tra i cardinali in conclave, e non è plausibile pensare che il nuovo papa vorrà iniziare la sua amministrazione gettando benzina sul fuoco. Più logico immaginare che cercherà, in qualche modo, di calmare le acque.
Postilla 2. È chiaro che, in caso di pubblicazione del documento, sarebbe essenziale la forte protesta e l’inarrestabile ribellione dei fedeli. Che non vengano ora i soliti genietti a cercare di imporre strategie inutili o a proporre ermeneutiche contorte. Se un simile documento dovese uscire, l’unica possibilità di sopravvivenza del rito tradizionale, al di là della FSSPX e della sua piena cittadinanza con pieni diritti all’interno della Chiesa, sarebbe la protesta dei fedeli, quanto e come possibile. Nessuno può portarci via ciò che ci appartiene. Forse è arrivato il momento di tornare in trincea.
Fonte: caminante-wanderer.blogspot.com
Titolo originale: Rumores sobre nuevas restricciones a la liturgia tradicional
Traduzione di Valentina Lazzari.
Aldo Maria Valli
Da diverse settimane circolano voci secondo cui papa Francesco starebbe per firmare un documento che restringerebbe ulteriormente la celebrazione della Messa tradizionale. Un sito tedesco ha spiegato in dettaglio quali sarebbero le nuove restrizioni, e altri, come Infovaticana, Rorate Coeli e Messainlatino, hanno fatto eco.
Stando a quanto si vocifera, il nuovo documento sarebbe quasi pronto e dovrebbe uscire nel prossimo aprile, o maggio, in forma di esortazione o costituzione apostolica. Visto lo scarso effetto avuto da Traditionis custodes, lo scopo del papa sarebbe di limitare ulteriormente le possibilità di celebrare con il rito tradizionale. Le nuove restrizioni sottrarrebbero ogni potere decisionale ai vescovi rimettendolo nelle mani di Roma, la quale stabilirebbe che nessun tipo di celebrazione liturgica tradizionale potrà aver luogo nelle chiese diocesane o, al più, potrà essere celebrata solo da sacerdoti appartenenti a istituti religiosi nati attorno a questo rito (Fraternità sacerdotale san Pio X, Cristo Re, Buon Pastore, eccetera), comunità che dunque avranno l’esclusiva della celebrazione della Messa e dell’amministrazione dei sacramenti secondo i libri precedenti la riforma di Paolo VI.
In proposito ci siamo consultati con due fonti romane che frequentano i sacri palazzi e abbiamo avuto due risposte diverse.
La prima risposta dice che non è in preparazione nessun documento del genere. Le indiscrezioni trapelate sarebbero solo voci di corridoio diffuse per rendere ancora più teso un clima già di fibrillazione.
Solo pettegolezzi, dunque, messi in giro al fine di destabilizzare un panorama già precario. Facendo riferimento alla contorta psicologia di Francesco, chi avalla questa tesi sostiene che un documento con tali caratteristiche non arriverà mai perché ammetterebbe il fallimento di Traditionis custodes, che ha solo due anni di vita. Sarebbe come dire che il re non ha potere e servirebbe a confermare l’idea di quei vescovi, sacerdoti e laici secondo cui papa Francesco è un’anatra zoppa. E la similitudine è la cosa peggiore che possa capitare a un sovrano.
Un tale documento dichiarerebbe che i vescovi hanno disobbedito al papa, perché era compito loro applicare Traditionis custodes. Ma se hanno già disobbedito una volta, perché non dovrebbero rifarlo?
E poi il papa avrebbe l’audacia di misericordiare diverse dozzine di vescovi? Firmando un documento del genere, Bergoglio correrebbe molti più rischi che lasciando le cose come stanno. Nessuno vuole rendere manifesta la propria incapacità e la perdita di potere.
D’altra parte, nei giorni scorsi gli oppositori di papa Francesco, che erano rimasti in attesa e in prudente silenzio, sono entrati in scena con le baionette in pugno. È il caso del cardinale Pell, di venerata memoria, del vescovo Gänswein e, di recente, del cardinale Müller, il cui nuovo libro dice autorevolmente, con giusti e puntuali attacchi a Bergoglio, ciò che da questo blog e da altri diciamo ormai da molti anni. In questo quadro, un documento con ulteriori e dure restrizioni alla liturgia tradizionale aprirebbe un nuovo fronte di battaglia, ma Francesco, a causa della debolezza del suo pontificato, non può permettersi il lusso di prestare un altro fianco su cui essere attaccato. Appena uno dei mastini inizierà a mordergli i garretti, molti altri lo attaccheranno. Il bambino ha già gridato che “il re è nudo”, e la folla inizia a vociferare.
Un’altra versione secondo cui il documento sarebbe solo un mero mormorio senza fondamento dice che la decisione di limitare in questo modo crudele la celebrazione di un antico rito della Chiesa dovrebbe essere sostenuto da solide argomentazioni teologiche in grado di scardinare le argomentazioni che papa Benedetto XVI ha inserito nel Summorum Pontificum, ma questa non è una cosa facile da fare. Inoltre, non sembra proprio che le persone che lavorano per il cardinale Roche, nel Dicastero per il culto divino, abbiano la capacità di procedere in tal senso. Proprio questa fatale mancanza di argomentazione teologica farà in modo che ogni vescovo, e pure ogni sacerdote, discernerà – verbo tanto caro alla politica pontificia – di proseguire con le celebrazioni della Messa tradizionale. E poi sarà il prossimo papa a mettere in ordine le cose.
La seconda fonte consultata, invece, ci ha confermato che esiste effettivamente una bozza di documento con queste caratteristiche. Potrebbe darsi che sia stato elaborato nelle fucine del Dicastero per il culto divino su iniziativa di Roche e dei suoi, ma si tratta ora di capire che cosa deciderà di farne Francesco quando glielo presenteranno. Potranno anche rilegarlo in pelle di vitello con bordi dorati, ma il papa di certo non ci penserà due volte a buttarlo nel cestino se penserà che il documento non sia una buona idea sul piano politico.
Tuttavia, come detto, la psicologia di Bergoglio è contorta. Può anche darsi che sia stato lui stesso a incoraggiare quel documento e che lo firmerà.
Proviamo a ipotizzare questo scenario. Ci ritroveremmo nella stessa situazione che abbiamo vissuto sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, quando solo pronunciare le parole “Messa tridentina” era tabù.
Circa questo scenario giovanpaolista-franceschista, la prima cosa da dire, per stare a noi, è che in Argentina e nella maggior parte dell’America Latina le cose non cambierebbero più di tanto. Da queste parti le cappelle della Fraternità san Pio X continuerebbero a crescere inarrestabilmente, così come è successo in gran parte del mondo, e altre regioni, soprattutto Europa e Stati Uniti, ne sarebbero fortemente colpite. Si pensi, ad esempio, che in tutta la città di Parigi non esiste una chiesa in cui venga celebrata la messa tradizionale da parte degli istituti ex Ecclesia Dei; e in tutta la Spagna ce n’è una sola. L’entrata in vigore della nuova norma comporterebbe che tutti i vescovi dovrebbero decretare immediatamente che il culto tradizionale non può essere celebrato nelle chiese delle loro diocesi e, di conseguenza, che le decine di migliaia di fedeli, di tutto il mondo, che da molti anni frequentano queste celebrazioni si troverebbero da un giorno all’altro senza luogo di culto.
Analizzando questa eventualità, ricordiamo quanto accaduto quando entrò in vigore il messale di Paolo VI: nessuna ribellione. Ma le circostanze erano diverse: c’erano la novità, l’enorme forza d’inerzia del Concilio e l’atteggiamento remissivo di tutti i fedeli – clero e laici – agli ordini di Roma. Nessuna di queste circostanze è presente oggi: la novità ha cessato di essere tale, perché noi ormai sappiamo bene in cosa consiste il famoso novus ordo. Inoltre il Concilio è apertamente messo in discussione e i fedeli non sono più mansueti come una volta. D’altra parte, il Summorum Pontificum è penetrato in profondità in un ristretto ma convinto numero di cattolici. Coloro che frequentano da quindici anni la liturgia tradizionale, e soprattutto i giovani che vi sono cresciuti, saranno disposti a farsela portare via docilmente da un paio di insignificanti officiali romani e dal capriccio di un pontefice caduto in disgrazia? Chi metterà le firme necessarie dovrà tener conto di questa situazione: il nuovo documento potrebbe generare ribellioni di fedeli in molte diocesi, soprattutto americane. E i molti sacerdoti – soprattutto giovani – che celebrano il vetus ordo permetteranno che gli venga sottratto? Nel modo di protestare saranno certamente più cauti, come si conviene, ma dai vescovi esigeranno ciò che è loro dovuto.
E cosa faranno i vescovi? Sopporteranno di vivere anni nelle diocesi avendo la gran parte del clero – i preti migliori e più giovani – insoddisfatto e i laici infuriati? O applicheranno il discernimento franceschista evitando di obbedire all’ordine romano? Sarà interessante stare a vedere.
Postilla 1. Vista l’età avanzata di Francesco, non sembrerebbe opportuno, prima di consegnare l’anima al Creatore, decidere di firmare un documento che, facile prevederlo, potrebbe portare a disordini in tutte le diocesi. In tal caso, l’argomento sarebbe certamente oggetto di più di una conversazione tra i cardinali in conclave, e non è plausibile pensare che il nuovo papa vorrà iniziare la sua amministrazione gettando benzina sul fuoco. Più logico immaginare che cercherà, in qualche modo, di calmare le acque.
Postilla 2. È chiaro che, in caso di pubblicazione del documento, sarebbe essenziale la forte protesta e l’inarrestabile ribellione dei fedeli. Che non vengano ora i soliti genietti a cercare di imporre strategie inutili o a proporre ermeneutiche contorte. Se un simile documento dovese uscire, l’unica possibilità di sopravvivenza del rito tradizionale, al di là della FSSPX e della sua piena cittadinanza con pieni diritti all’interno della Chiesa, sarebbe la protesta dei fedeli, quanto e come possibile. Nessuno può portarci via ciò che ci appartiene. Forse è arrivato il momento di tornare in trincea.
Fonte: caminante-wanderer.blogspot.com
Titolo originale: Rumores sobre nuevas restricciones a la liturgia tradicional
Traduzione di Valentina Lazzari.
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