Secondo Avvenire l’archiviazione dello Zan «non è un bel giorno per la società italiana» e se la prende con gli «odiatori e menatori seriali»; e monsignor Paglia si rammarica del dialogo mancato. Ci sono situazioni in cui bene e male si contrappongono frontalmente. Purtroppo la Chiesa del dialogo non riesce più a vederle.
“Abbiamo vinto!”: il sollievo di associazioni e singoli cattolici impegnati a bloccare il disegno di legge Zan sull’omofobia, che avrebbe introdotto ulteriormente – dopo la legge Cirinnà - l’ideologia gender nel sistema giuridico italiano, è comprensibile. Il disegno di legge, però, non è stato affossato perché ritenuto ingiusto secondo le motivazioni di chi ora esulta. Motivazioni, in buona sostanza, di diritto naturale, ma per una serie di convergenze di atteggiamenti politici che hanno fatto girare la ruota in questo senso.
La vittoria non è stata culturale, mentre alla lunga contano veramente solo le vittorie culturali, quelle ottenute perché alcune idee sono diventate patrimonio comune. Se così fosse stato, potremmo dormire sonni tranquilli per il futuro dopo l’affossamento dello Zan, mentre invece sappiamo che lo scontro è solo rimandato, che c’è stata una battaglia vinta, ma la guerra è tuttora in corso. Da qui a quando essa riprenderà, sarà sempre sulla cultura politica che si dovrà insistere.
Da questo punto di vista, la lunga battaglia contro il disegno di legge Zan è stata condotta da una piccola avanguardia, decisa e agguerrita ma comunque piccola e comunque avanguardia. La cultura prevalente nell’Italia di oggi, quella dominante più o meno in tutti i partiti, ed anche quella presente nell’apparato ecclesiale hanno ben altre idee, molto lontane dalle concezioni di famiglia e di doveri e diritti di chi ha animato e condotto la lotta allo Zan. I cattolici che hanno lottato lo hanno fatto nella solitudine e perfino nel disprezzo dell’apparato ecclesiale ad ogni livello, ma soprattutto ai livelli superiori.
Disprezzo che si nota benissimo, per esempio, nell’editoriale di ieri del direttore di Avvenire Marco Tarquinio. I cattolici che hanno lottato contro l’approvazione del disegno di legge Zan, sono chiamati da Tarquinio “odiatori e menatori seriali”, “seminatori di slogan a buon mercato”, autori di “violenza verbale”. L’archiviazione dello Zan “non è un bel giorno per la società italiana”: così sostiene Tarquinio secondo cui c’è stata come una scatola spaccata a metà, da una parte gli “ideologi dell’indifferenza”, ossia i sostenitori dell’equivalenza delle relazioni sessuate, e dall’altra, appunto, gli “odiatori e menatori seriali”.
Questo quadro, però, è solo nella testa di Tarquinio, il quale, anteponendo dogmaticamente il dialogo ai contenuti, non riesce ormai più a concepire che una legge possa essere irrimediabilmente ingiusta e che su di essa l’unico dialogo possibile con chi invece la sostiene sia la competizione culturale e politica. Lamentare che in questa occasione è mancato il dialogo, come fa appunto Tarquinio, significa negare l’esistenza di leggi talmente ingiuste da interdire moralmente lo stesso dialogo, se non nella versione della disputa, dato che il dialogo non può mai farsi a proposito del male, ma solo nel bene. Il disegno di legge Zan era una di queste leggi, la piccola avanguardia l’aveva capito, i media dell’apparato ecclesiale no.
Anche monsignor Paglia, in un suo commento alla vicenda, dimentica che ci sono situazioni in cui bene e male si contrappongono frontalmente. Purtroppo la Chiesa del dialogo non riesce più a vederle e infatti Paglia dice che quel disegno di legge bastava correggerlo, si augura che venga ripresentato e che, sbolliti gli animi, si possa ancora dialogare su di esso. Paglia sottolinea la gravità dell’omofobia – che in realtà è pressoché inesistente nel nostro Paese – ma non sottolinea per niente la ben più rilevante gravità del riconoscimento politico della relazione omosessuale, che disarticola e corrode i legami matrimoniali, familiari, la figliazione, l’educazione e così via. Paglia parla di sovranità del popolo in democrazia e del bisogno di tener conto dei “diritti di tutti”: ma dove trova simili concezioni? Non certo nella Dottrina sociale della Chiesa. Anche lui si dissocia dalla piccola avanguardia e si lamenta per l’occasione perduta.
Quando si lotta in pochi, il merito aumenta. E quindi onore al merito a quanti, specialmente tra i cattolici, si sono impegnati. Però bisogna essere consapevoli che non si avrà l’appoggio della Chiesa organizzata, delle strutture diocesane e pastorali quando si intraprendono simili battaglie. Bisogna farle sulla propria pelle e questo è stato ampiamente dimostrato dalle vicende che si sono concluse con l’affossamento di un testo di legge intrinsecamente iniquo che l’apparato ecclesiastico voleva limitarsi a modificare qua e là.
Il giorno precedente la votazione in Senato che ha condannato a morte il disegno di legge Zan, la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva inviato una lettera a Pro Vita & Famiglia, precisando una cosa che purtroppo non precisa nulla, ossia che sulla questione gender i cattolici devono rifarsi al Magistero. La cosa era ovvia già prima della precisazione. I problemi stanno altrove. Spesso su queste cose il magistero stesso non si rifà al magistero precedente.
Spesso succede che davanti alle scelte concrete il magistero viene dimenticato e chi lo vuole ricordare e applicare viene chiamato “odiatore e menatore seriale” dai nemici interni, fedeli al magistero. Spesso, adducendo motivi pastorali di apertura, il magistero loda e si relaziona con personaggi e gruppi che fanno l’esatto opposto di quanto esso aveva insegnato. Sulla questione omosessualità tutto questo si è verificato in molte occasioni e possiamo realisticamente ritenere che – a meno di cambi repentini stabiliti dalla provvidenza – avverrà anche nel prossimo futuro.
La vittoria non è stata culturale, mentre alla lunga contano veramente solo le vittorie culturali, quelle ottenute perché alcune idee sono diventate patrimonio comune. Se così fosse stato, potremmo dormire sonni tranquilli per il futuro dopo l’affossamento dello Zan, mentre invece sappiamo che lo scontro è solo rimandato, che c’è stata una battaglia vinta, ma la guerra è tuttora in corso. Da qui a quando essa riprenderà, sarà sempre sulla cultura politica che si dovrà insistere.
Da questo punto di vista, la lunga battaglia contro il disegno di legge Zan è stata condotta da una piccola avanguardia, decisa e agguerrita ma comunque piccola e comunque avanguardia. La cultura prevalente nell’Italia di oggi, quella dominante più o meno in tutti i partiti, ed anche quella presente nell’apparato ecclesiale hanno ben altre idee, molto lontane dalle concezioni di famiglia e di doveri e diritti di chi ha animato e condotto la lotta allo Zan. I cattolici che hanno lottato lo hanno fatto nella solitudine e perfino nel disprezzo dell’apparato ecclesiale ad ogni livello, ma soprattutto ai livelli superiori.
Disprezzo che si nota benissimo, per esempio, nell’editoriale di ieri del direttore di Avvenire Marco Tarquinio. I cattolici che hanno lottato contro l’approvazione del disegno di legge Zan, sono chiamati da Tarquinio “odiatori e menatori seriali”, “seminatori di slogan a buon mercato”, autori di “violenza verbale”. L’archiviazione dello Zan “non è un bel giorno per la società italiana”: così sostiene Tarquinio secondo cui c’è stata come una scatola spaccata a metà, da una parte gli “ideologi dell’indifferenza”, ossia i sostenitori dell’equivalenza delle relazioni sessuate, e dall’altra, appunto, gli “odiatori e menatori seriali”.
Questo quadro, però, è solo nella testa di Tarquinio, il quale, anteponendo dogmaticamente il dialogo ai contenuti, non riesce ormai più a concepire che una legge possa essere irrimediabilmente ingiusta e che su di essa l’unico dialogo possibile con chi invece la sostiene sia la competizione culturale e politica. Lamentare che in questa occasione è mancato il dialogo, come fa appunto Tarquinio, significa negare l’esistenza di leggi talmente ingiuste da interdire moralmente lo stesso dialogo, se non nella versione della disputa, dato che il dialogo non può mai farsi a proposito del male, ma solo nel bene. Il disegno di legge Zan era una di queste leggi, la piccola avanguardia l’aveva capito, i media dell’apparato ecclesiale no.
Anche monsignor Paglia, in un suo commento alla vicenda, dimentica che ci sono situazioni in cui bene e male si contrappongono frontalmente. Purtroppo la Chiesa del dialogo non riesce più a vederle e infatti Paglia dice che quel disegno di legge bastava correggerlo, si augura che venga ripresentato e che, sbolliti gli animi, si possa ancora dialogare su di esso. Paglia sottolinea la gravità dell’omofobia – che in realtà è pressoché inesistente nel nostro Paese – ma non sottolinea per niente la ben più rilevante gravità del riconoscimento politico della relazione omosessuale, che disarticola e corrode i legami matrimoniali, familiari, la figliazione, l’educazione e così via. Paglia parla di sovranità del popolo in democrazia e del bisogno di tener conto dei “diritti di tutti”: ma dove trova simili concezioni? Non certo nella Dottrina sociale della Chiesa. Anche lui si dissocia dalla piccola avanguardia e si lamenta per l’occasione perduta.
Quando si lotta in pochi, il merito aumenta. E quindi onore al merito a quanti, specialmente tra i cattolici, si sono impegnati. Però bisogna essere consapevoli che non si avrà l’appoggio della Chiesa organizzata, delle strutture diocesane e pastorali quando si intraprendono simili battaglie. Bisogna farle sulla propria pelle e questo è stato ampiamente dimostrato dalle vicende che si sono concluse con l’affossamento di un testo di legge intrinsecamente iniquo che l’apparato ecclesiastico voleva limitarsi a modificare qua e là.
Il giorno precedente la votazione in Senato che ha condannato a morte il disegno di legge Zan, la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva inviato una lettera a Pro Vita & Famiglia, precisando una cosa che purtroppo non precisa nulla, ossia che sulla questione gender i cattolici devono rifarsi al Magistero. La cosa era ovvia già prima della precisazione. I problemi stanno altrove. Spesso su queste cose il magistero stesso non si rifà al magistero precedente.
Spesso succede che davanti alle scelte concrete il magistero viene dimenticato e chi lo vuole ricordare e applicare viene chiamato “odiatore e menatore seriale” dai nemici interni, fedeli al magistero. Spesso, adducendo motivi pastorali di apertura, il magistero loda e si relaziona con personaggi e gruppi che fanno l’esatto opposto di quanto esso aveva insegnato. Sulla questione omosessualità tutto questo si è verificato in molte occasioni e possiamo realisticamente ritenere che – a meno di cambi repentini stabiliti dalla provvidenza – avverrà anche nel prossimo futuro.
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