La
scrittrice Paola Mastrocola ha pubblicato, con il marito Ricolfi, un saggio sul
declino dell’istruzione: «La
sinistra, da don Milani a Berlinguer, l’ha squalificata..».
di Alessandro Rico
Professoressa Mastrocola, Il libro
parte dalla sua intuizione di questo paradosso: quando ha capito che la «scuola
progressista» danneggiava proprio i ceti bassi?
«Quando
insegnavo. Una decina d'anni fa mi è apparso in modo lampante che l'elemento
fondamentale per riuscire negli studi è la preparazione, non le origini
familiari».
Si?
«Constatavo
che anche i figli di famiglie di ceto alto faticavano, in primo liceo, perché
evidentemente avevano frequentato scuole ... diversamente efficienti».
Lei individua due tappe cruciali del
declino: la riforma della scuola media nel 1963, e la ri-forma Berlinguer, nel
2000.
«Aggiungo:
fino al 1969, alla maturità si portavano tutte le materie degli ultimi tre anni
di liceo».
E ciò che cosa indica?
«Che,
a un certo punto. non abbiamo più creduto che lo studio in dose così massiccia
fosse utile. E oggi, che siamo una società tesa al piaceri e al divertimento,
lo studio è l'ultima cosa che cerchiamo. In fondo, a cosa serve conoscere le
guerre puniche?».
Se il criterio è «come usare un
argomento nel mondo del lavoro», il 90% di ciò che si studia a scuola è
destinato a essere cassato?
«Esattamente».
L'abolizione del latino alle medie
però, più che dall’utilitarismo, fu ispirata dal progressismo: come lamentava
don Lorenzo Milani, che lei critica nel libro, quelle materia umiliava i figli
dei contadini.
«Questo
è il cardine del pensiero progressista. L'idea era che una scuola
"alta", che fa cose difficili, come il latino o la letteratura
antica, implicasse uno studio duro, cui i figli dei contadini, che erano gli
alunni di don Milani, non arrivavano. Quindi, era meglio parlar loro degli alberi
da frutta...».
La sua tesi, al contrario, è che
siano insegnamenti elevati a spingere l’ascensore sociale. «Lasciamo da parte don
Milani. Dopo 60 anni ci sono ancore classi deboli, ahimè. A questi ragazzi
svantaggiati dobbiamo assolutamente garantire una scuola alta perché loro non
hanno altre risorse come i ceti elevati».
A che risorse si riferisce?
«Le
famiglie di ceto elevato mandano forsennatamente i loro pargoli a lezione
private. Poi, in belle università all’estero. E quando ne escono, li aiutano con
le loro conoscenze. Invece, i ceti bassi hanno bisogno di una scuola di qualità
che li prepari non che li faccia giocare e divertire».
Quali sono le colpe della riforma
Berlinguer?
«Aver
introdotto il Piano per l'offerta formativa»
Che male c'è?
«Intanto,
nel mondo della scuola è entrata la parola "offerta", che vedevamo
solo nei supermercati».
Dunque, è stata la sinistra a
inoculare nell'istruzione la logica del mercato?
«Certo,
anche se ciò viene sempre negato. un demerito che viene attribuito alla riforma
Gelmini. Ma sa che vuol dire pensare che la scuola debba "offrire"
qualcosa?».
Che vuol dire?
«Che
la scuola ha svalutato le discipline "normali”. Una scuola "si
offre” non per quanto si occupa di Dante, di grammatica o di algebra. Si offre
per il corso di educazione alimentare, la gita nelle Langhe, l’educazione alla
cittadinanza. La scuola ha abbandonato la sua sostanza culturale per diventare
un'agenzia delle educazioni».
In questo discorso, rientra anche
l'alternanza scuola-lavoro, introdotta dal governo Renzi?
«Questo
fa parte dell'idea per cui la scuola deve essere “utile” E invece bisognerebbe
rivendicare la sublime inutilità, immediata e non verificabile dello studio.»
Si spieghi.
Quando
studio filosofia, algebra, letteratura o arte, non so quanto e a cosa tutto
ciò mi servirà. Sono d'accordo che la scuola debba prepararmi lavoro, perché
gli imprenditori non trovano gente che sappia far qualcosa. Ma non voglio che
si sopprimano quelle parti di studio apparentemente non spendibili. La parola
"spendibile" è une delle più atroci tra quelle che sono state
introdotte a scuola.»
Lo ripete da anni
«Dal
2004, quando pubblicai La
scuola raccontata al mio cane.»
E quando criticava la riforma
Berlinguer, veniva osteggiata?
«Eeeeeeh...
(Sorriso amaro).
A scuola, entrando in sala insegnanti, trovavo sul tavolo, appiccicate con il
nastro adesivo, le lettere dei colleghi contro di me.»
Altro paradosso: se quella riforma
fosse stata ideata da un governo di destra, l’avrebbero bloccata?
«Ma
certo. Allora non si poteva parlar male di quella riforma. Io non capivo: era
evidente che stavamo andando verso il disastro, ma quasi tutti mi davano
contro».
I genitori come si comportano?
«Sono
strenui paladini dei figli. Se l'insegnante dà un 4, si presenta la madre:
"Non capisco questo voto. mio figlio ha studiato". L'imputato è
l’insegnante mai l’allievo..»
Quindi?
«L'insegnante
è molto solo: il preside dà ragione quasi sempre ai genitori».
Come si fa a essere buoni
insegnanti?
«Con
la passione per le cose che s'insegnano. Poi ci vogliono empatia e un profondo
desiderio di andare in classe a trasmettere l’amore con coi uno
"sa"».
In che misura un buon insegnante può
tamponare i difetti della scuola?
In
una buona misura, secondo me. Ciò che ha salvato la scuola italiana è state
proprio la scollatura tra le riforme e quel che l’insegnante fa davvero in
classe».
Cioè?
«Io,
delle riforme, me ne sono sempre infischiata».
Ad esempio?
«La
riforma Berlinguer abolì il tema sostituendolo con articoli e saggi brevi,
basati su pagine e pagine di fotocopie. lo ho continuato imperterrita a dare
temi liberi».
Perché?
«Perché
che i miei ragazzi imparassero a scrivere la consideravo una priorità. E se lei
vuole insegnare a qualcuno a scrivere, gli deve mettere un foglio bianco
davanti. Fine».
Il ministro Patrizio Bianchi
sostiene che si debba «andare oltre la lezione frontale», per «sperimentare
forme alternative di didattica laboratoriale, condivisa, esperienziale,
emotiva».
«Mi
viene da piangere »
Ecco...
«Fra
tutti i ministri che potevamo avare, perché proprio un “invasato" di
pedagogia?».
Che ha di male la pedagogia?
«I
pedagogisti insegnano come s'insegna. Ma noi abbiamo bisogno di potenziare
l’oggetto dell'insegnamento, non il metodo. E come se lei volesse preparare una
torta di mele e io continuassi a inviarle ricette. Dammi gli ingredienti, fammi
fare questa torta!..»
Nel libro ricorda che quando
proponeva la traduzione di Vincenzo Montt («Cantami, o Diva, del Pelide Achille
l’ira funesta ...), gli alunni erano estasiati.
«Restavano
a bocca aperta».
Ancora un paradosso: gli studenti
vogliono la didattica alta?
«Si,
perché non sono stupidi coma pensiamo! E capiscono la bellezza! La versione in
prosa sarà pure più semplice, ma è di una tristezza infinita. Vogliamo dare
qualcosa di più ai ragazzi?».
Non glielo stiamo dando?
«La
scuola progressista elimina la difficoltà: una poesia del Trecento è troppo
difficile, non te la insegno. Nella scuola che vorrei io, siccome la poesia del
Trecento è bellissima, io te la insegno. Magari ci metto un anno, ma alla fine
di quell'anno, se mi segui, 1a saprai capire. Non è straordinario?».
Perché il centrodestra non ha
invertito la tendenza?
«Me
lo dica lei. Il perché me lo chiedo da anni. La destra poteva veramente
cavalcare gli sbagli della sinistra sulla scuola, proponendo un modello
diverso. Era nelle sue corde. Perché diavolo non l'ha fatto? Ha continuato
tale e quale la riforma Berlinguer. Non ha mai preso sulle sue spalle il tema
della cultura. E così alimenta il luogo comune che, con la cultura, essa non
c'entri niente. Peccato».
Non si può tornare al passato; lo
riconoscete anche lei e professor Ricolfi. E allora? Che si fa?
«Niente».
Niente?
Io e
Luca abbiamo scritto questo libro per disperazione, ma anche per dovere:
volevamo lasciare una testimonianza. Abbiamo raccontato 60 anni di scuola. Volutamente
non abbiamo indicato una via, perché la via è stata già intrapresa: è la via
europea. occidentale. E la via dello sfascio culturale».
Ci lasciamo con questo finale
pessimista?
«Le
parole del ministro Bianchi, che lei ha citato, rappresentano esattamente il
futuro che attende la scuola. Anzi, sta rispondendo alla sua domanda di prima».
Cioè?
«Hanno
nominato Bianchi perché è un esponente di questa visione pedagogistica,
europeista e politicamente corretta».
Arriverà la cancel culture?
«E
già arrivata. Viviamo sotto una cappa linguistica».
Una rivoluzione dovrebbe partire dal
genitori?
«Be',
io credo nella ribellione individuale. Possibile che un genitore,che si accorge
che il figlio non sta imparando niente, non insorga?»
Tratto
da «La Verità»
25 ottobre 2021
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