sabato 30 ottobre 2021

Scuola progressista: un fallimento

 



 

La scrittrice Paola Mastrocola ha pubblicato, con il marito Ricolfi, un saggio sul declino dell’istruzione: «La sinistra, da don Milani a Berlinguer, l’ha squalificata..». 

 

di Alessandro Rico

 Il titolo dell'ultimo saggio dei coniugi Luca Ricolfi e Paola Mastrocola parla da sé. Due professori -lui all'università, lei al liceo- raccontano 60 anni di decadenza dell'istruzione in Ita­lia. Dimostrando, numeri alla mano, che le idee «illuminate» della sinistra, la crociata contro la scuola «classista» e per il «diritto al successo formativo», hanno finito per penalizzare proprio i figli delle famiglie svantaggiate.

 

Professoressa Mastrocola, Il libro parte dalla sua intuizione di questo paradosso: quando ha capito che la «scuola progressista» danneggiava proprio i ceti bassi?

 

«Quando insegnavo. Una decina d'anni fa mi è apparso in modo lam­pante che l'elemento fondamenta­le per riuscire negli studi è la preparazione, non le origini familiari».

 

Si?

 

«Constatavo che anche i figli di famiglie di ceto alto faticavano, in primo liceo, perché evidentemente avevano frequentato scuole ... diversamente efficienti».

 

Lei individua due tappe cruciali del declino: la riforma della scuola me­dia nel 1963, e la ri-forma Berlinguer, nel 2000.

 

«Aggiungo: fino al 1969, alla maturità si portavano tutte le materie degli ultimi tre anni di liceo».

 

E ciò che cosa indica?

 

«Che, a un certo punto. non abbiamo più creduto che lo studio in dose così massiccia fosse uti­le. E oggi, che siamo una società tesa al piaceri e al divertimento, lo studio è l'ultima cosa che cerchiamo. In fondo, a cosa serve conoscere le guerre puniche?».

 

Se il criterio è «come usare un argomento nel mondo del lavoro», il 90% di ciò che si studia a scuola è destinato a essere cassato?

 

«Esattamente».

 

L'abolizione del latino alle medie però, più che dall’utilitarismo, fu ispirata dal progressismo: come lamentava don Lorenzo Milani, che lei critica nel libro, quelle materia umiliava i figli dei contadini.

 

«Questo è il cardine del pensiero progressista. L'idea era che una scuola "alta", che fa cose difficili, come il latino o la letteratura antica, implicasse uno studio duro, cui i figli dei contadini, che erano gli alunni di don Milani, non arrivavano. Quindi, era meglio parlar loro degli alberi da frutta...».

 

La sua tesi, al contrario, è che siano insegnamenti elevati a spingere l’ascensore sociale. «Lasciamo da parte don Milani. Dopo 60 anni ci sono ancore classi deboli, ahimè. A questi ragazzi svantaggiati dobbiamo assolutamente garantire una scuola alta perché loro non hanno altre risorse come i ceti elevati».

 

A che risorse si riferisce?

 

«Le famiglie di ceto elevato mandano forsennatamente i loro pargoli a lezione private. Poi, in belle università all’estero. E quando ne escono, li aiutano con le loro conoscenze. Invece, i ceti bassi hanno bisogno di una scuola di qualità che li prepari non che li faccia giocare e divertire».

 

Quali sono le colpe della riforma Berlinguer?

 

«Aver introdotto il Piano per l'offerta formativa»

 

Che male c'è?

 

«Intanto, nel mondo della scuola è entrata la parola "offerta", che vedevamo solo nei supermercati».

 

Dunque, è stata la sinistra a inoculare nell'istruzione la logica del mercato?

 

«Certo, anche se ciò viene sempre negato. un demerito che viene attribuito alla riforma Gelmini. Ma sa che vuol dire pensare che la scuola debba "offrire" qualcosa?».

 

Che vuol dire?

 

«Che la scuola ha svalutato le di­scipline "normali”. Una scuola "si offre” non per quanto si occupa di Dante, di grammatica o di algebra. Si offre per il corso di educazione alimentare, la gita nelle Langhe, l’educazione alla cittadinanza. La scuola ha abbandonato la sua sostanza culturale per diventare un'agenzia delle educazioni».

 

In questo discorso, rientra an­che l'alternanza scuola-lavoro, introdotta dal governo Renzi?

 

«Questo fa parte dell'idea per cui la scuola deve essere “utile” E invece bisognerebbe rivendicare la su­blime inutilità, immediata e non verificabile dello studio.»

 

Si spieghi.

 

Quando studio filosofia, algebra, letteratura o arte, non so quan­to e a cosa tutto ciò mi servirà. Sono d'accordo che la scuola debba prepararmi lavoro, perché gli imprenditori non trovano gente che sappia far qualcosa. Ma non voglio che si sopprimano quelle parti di studio apparentemente non spendibili. La parola "spendibile" è une delle più atroci tra quelle che sono state introdotte a scuola.»

 

Lo ripete da anni

 

«Dal 2004, quando pubblicai La scuola raccontata al mio cane

 

E quando criticava la riforma Berlinguer, veniva osteggiata?

 

«Eeeeeeh... (Sorriso amaro). A scuola, entrando in sala insegnanti, trovavo sul tavolo, appiccicate con il nastro adesivo, le lettere dei colleghi contro di me.»

 

Altro paradosso: se quella riforma fosse stata ideata da un governo di destra, l’avrebbero bloccata?

 

«Ma certo. Allora non si poteva parlar male di quella riforma. Io non capivo: era evidente che stavamo andando verso il disastro, ma quasi tutti mi davano contro».

 

I genitori come si comportano?

 

«Sono strenui paladini dei figli. Se l'insegnante dà un 4, si presenta la madre: "Non capisco questo voto. mio figlio ha studiato". L'imputato è l’insegnante mai l’allievo..»

 

Quindi?

 

«L'insegnante è molto solo: il preside dà ragione quasi sempre ai genitori».

 

Come si fa a essere buoni insegnanti?

 

«Con la passione per le cose che s'insegnano. Poi ci vogliono empatia e un profondo desiderio di andare in classe a trasmettere l’amore con coi uno "sa"».

 

In che misura un buon insegnante può tamponare i difetti della scuola?

 

In una buona misura, secondo me. Ciò che ha salvato la scuola ita­liana è state proprio la scollatura tra le riforme e quel che l’insegnante fa davvero in classe».

 

Cioè?

 

«Io, delle riforme, me ne sono sempre infischiata».

 

Ad esempio?

 

«La riforma Berlinguer abolì il tema sostituendolo con articoli e saggi brevi, basati su pagine e pagi­ne di fotocopie. lo ho continuato imperterrita a dare temi liberi».

 

Perché?

 

«Perché che i miei ragazzi imparassero a scrivere la consideravo una priorità. E se lei vuole insegnare a qualcuno a scrivere, gli deve mettere un foglio bianco davanti. Fine».

 

Il ministro Patrizio Bianchi sostiene che si debba «andare oltre la lezione frontale», per «sperimentare forme alternative di didattica laboratoriale, condivisa, esperienziale, emotiva».

 

«Mi viene da piangere »

 

Ecco...

 

«Fra tutti i ministri che potevamo avare, perché proprio un “invasato" di pedagogia?».

 

Che ha di male la pedagogia?

 

«I pedagogisti insegnano come s'insegna. Ma noi abbiamo bisogno di potenziare l’oggetto dell'insegnamento, non il metodo. E come se lei volesse preparare una torta di mele e io continuassi a inviarle ricette. Dammi gli ingredienti, fammi fare questa torta!..»

 

Nel libro ricorda che quando proponeva la traduzione di Vincenzo Montt («Cantami, o Diva, del Pelide Achille l’ira fune­sta ...), gli alunni erano estasiati.

 

«Restavano a bocca aperta».

 

Ancora un paradosso: gli studenti vogliono la didattica alta?

 

«Si, perché non sono stupidi co­ma pensiamo! E capiscono la bellezza! La versione in prosa sarà pu­re più semplice, ma è di una tristezza infinita. Vogliamo dare qualcosa di più ai ragazzi?».

 

Non glielo stiamo dando?

 

«La scuola progressista elimina la difficoltà: una poesia del Trecento è troppo difficile, non te la insegno. Nella scuola che vorrei io, siccome la poesia del Trecento è bellissima, io te la insegno. Magari ci metto un anno, ma alla fine di quell'anno, se mi segui, 1a saprai capire. Non è straordinario?».

 

Perché il centrodestra non ha invertito la tendenza?

 

«Me lo dica lei. Il perché me lo chiedo da anni. La destra poteva veramente cavalcare gli sbagli della sinistra sulla scuola, proponendo un modello diverso. Era nelle sue cor­de. Perché diavolo non l'ha fatto? Ha continuato tale e quale la riforma Berlinguer. Non ha mai preso sulle sue spalle il tema della cultura. E così alimenta il luogo comune che, con la cultura, essa non c'entri niente. Peccato».

 

Non si può tornare al passato; lo riconoscete anche lei e professor Ricolfi. E allora? Che si fa?

 

«Niente».

 

Niente?

 

Io e Luca abbiamo scritto questo libro per disperazione, ma an­che per dovere: volevamo lasciare una testimonianza. Abbiamo raccontato 60 anni di scuola. Volutamente non abbiamo indicato una via, perché la via è stata già intrapresa: è la via europea. occidentale. E la via dello sfascio culturale».

 

Ci lasciamo con questo finale pessimista?

 

«Le parole del ministro Bianchi, che lei ha citato, rappresentano esattamente il futuro che attende la scuola. Anzi, sta rispondendo alla sua domanda di prima».

 

Cioè?

 

«Hanno nominato Bianchi per­ché è un esponente di questa visione pedagogistica, europeista e politicamente corretta».

 

Arriverà la cancel culture?

 

«E già arrivata. Viviamo sotto una cappa linguistica».

 

Una rivoluzione dovrebbe partire dal genitori?

 

«Be', io credo nella ribellione individuale. Possibile che un genitore,che si accorge che il figlio non sta imparando niente, non insorga?»

 

Tratto da «La Verità» 25 ottobre 2021





 

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