Cari amici di Duc in altum, la situazione che si è venuta a creare all’Istituto Giovanni Paolo II per il matrimonio e la famiglia, come abbiamo già osservato in un articolo di qualche giorno fa, è di una gravità senza precedenti. Ormai si tratta di una vera e propria epurazione, che ha fatto vittime illustri come il noto filosofo Stanislaw Grygiel, la bioeticista Maria Luisa Di Pietro, la mariologa suor Vittorina Marini. Di forte portata simbolica è il licenziamento del professor Grygiel, docente emerito di antropologia filosofica e amico di Giovanni Paolo II fin dai tempi di Cracovia, chiamato a Roma alla fine degli anni Settanta proprio da papa Wojtyła.
Stando così le cose, e visto che l’intento non è semplicemente quello di aggiornare gli insegnamenti ma di rompere totalmente con il passato, ci si chiede, come ha scritto Riccardo Cascioli, che senso abbia mantenere nella “ragione sociale” dell’istituto il nome del santo papa polacco.
Una situazione, quella dell’istituto, sulla quale interviene il professor Furio Pesci, dell’Università la Sapienza di Roma, con un appello che volentieri vi propongo.
A.M.V.
Una situazione, quella dell’istituto, sulla quale interviene il professor Furio Pesci, dell’Università la Sapienza di Roma, con un appello che volentieri vi propongo.
A.M.V.
Aldo Maria Valli, 29-07-2019
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Il Pontificio istituto Giovanni Paolo II per gli sudi su matrimonio e famiglia è stato soppresso nel 2017 con il motu proprio Summa familiae cura di papa Francesco con la motivazione che fosse necessario un adeguamento alla crescente complessità delle problematiche oggetto dell’attività scientifica e didattica dell’Istituto. Al suo posto, con lo stesso provvedimento che ne dichiarava la cessazione, è stato dunue eretto un nuovo istituto teologico pontificio, formalmente intitolato anch’esso a san Giovanni Paolo II, ma con una denominazione diversa, nella quale agli “studi” sul matrimonio e la famiglia sono subentrate le “scienze del matrimonio e della famiglia”.
L’istituto originario era stato fondato nel 1982 da Giovanni Paolo II e per quasi quarant’anni ha svolto un’eccellente attività scientifica e di formazione, caratterizzata da una forte collaborazione tra specialisti di discipline diverse (teologia, filosofia, scienze umane e biomediche) e coinvolgendo da tutto il mondo studiosi provenienti anche da altre università e centri di ricerca.
Dopo due anni di proroga delle attività, in attesa degli ulteriori atti necessari all’attivazione concreta del nuovo istituto, il 13 luglio scorso sono stati promulgati i nuovi statuti, con annesso l’ordinamento degli studi, e la notizia è stata resa pubblica cinque giorni dopo.
Il nuovo testo assegna al gran cancelliere nominato da papa Francesco, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, prerogative e poteri molto forti, superiori a quelli di qualsiasi altro omologo nel sistema universitario pontificio.
Per effetto di questi cambiamenti, appena dieci giorni dopo l’approvazione degli statuti, il 23 luglio, sono stati allontanati due docenti, i professori Livio Melina e José Noriega Bastos, che hanno insegnato per molti anni nell’Istituto Giovanni Paolo II (il primo ne è stato anche il preside per dieci anni) e che hanno sempre svolto un’attività scientifica di primo piano nelle loro rispettive discipline. Poi, nei giorni successivi, a molti docenti, e addirittura al personale amministrativo, è stata inviata una comunicazione con la quale li si è informati della cessazione dalle loro funzioni.
La lista degli estromessi si è, di conseguenza, allungata, includendo altri nomi di spicco, da Stanislaw Grygiel, filosofo amico fin dalla giovinezza di Karol Wojtyla e suo consigliere (emerito, ma tuttora titolare della Cattedra Wojtyla) a Maria Luisa Di Pietro, studiosa di bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, già estromessa ad opera da monsignor Paglia dalla Pontificia accademia per la vita, ed ora anche dall’Istituto Giovanni Paolo II. L’elenco dei docenti estromessi, dei non confermati e di quelli a cui sono state sostanzialmente ridotte le funzioni è lungo e conta altri studiosi di vaglia, tra cui Przemislaw Kwiatkowski e Vittorina Marini.
La situazione è molto grave: licenziare i propri docenti non è un buon inizio per un istituto universitario, specialmente se innovativo e ambizioso come quello voluto da papa Francesco. Sono convinto che le motivazioni esposte dal preside, monsignor Pierangelo Sequeri, ed anche da don Giovanni Cesare Pagazzi, appena assunto tra i docenti del nuovo istituto, per giustificarne la fondazione e l’assetto, siano serviti solo a spostare l’attenzione da quello che è l’aspetto centrale e più inquietante: la soppressione di un intero istituto di ricerca e l’estromissione dei suoi più significativi studiosi, un fatto unico nella storia recente dell’università, che ha precedenti solo nel contesto di regimi assolutistici e totalitari.
Come semplice credente, ritengo che non sia possibile utilizzare la teologia e l’ecclesiologia nuove di papa Francesco per giustificare una serie di licenziamenti ed estromissioni.
Sorprende davvero e sconcerta che tutto ciò avvenga oggi all’interno del sistema universitario pontificio, sotto un pontificato come quello attuale, così dichiaratamente attento all’apertura e al confronto tra posizioni e opinioni diverse; è stata commessa una grave violazione della dignità della ricerca scientifica e del lavoro intellettuale. Sorprende e sconcerta anche la posizione dell’attuale preside, studioso di fama, il quale non avrebbe dovuto permettere che docenti dell’istituto da lui presieduto fossero così repentinamente privati delle funzioni e anche della dignità accademica.
Se per due anni si è sperato che dalla soppressione dell’istituto originario, prorogato nelle sue funzioni ed attività, potesse sorgere comunque qualcosa di positivo, e che, sulla base di una tradizione consolidata, il nuovo continuasse a confrontarsi efficacemente con le problematiche del mondo contemporaneo, i provvedimenti di queste ultime settimane hanno deluso ogni speranza e sollevato grande preoccupazione in tutti coloro che conoscono l’identità e l’opera dell’Istituto Giovanni Paolo II e dei docenti estromessi.
Pur avendo formalmente portato avanti sui nuovi statuti un dibattito interno all’istituto (che, oltre alla sede centrale conta – ma ormai occorre dire contava – undici sezioni in tutto il mondo), quelli presentati alla Congregazione per l’educazione cattolica e da essa approvati non hanno tenuto minimamente conto dei risultati di quel dibattito, che pur aveva condotto all’elaborazione di un testo valido e condiviso.
I nuovi statuti non sono affatto il risultato di tre anni di riflessione interna al Giovanni Paolo II, come si è sostenuto ultimamente, in occasione della loro presentazione; al contrario, si tratta d’un provvedimento che è stato imposto a tutto il personale e che in questi giorni ha trovato la sua prima applicazione per consentire l’estromissione di alcuni docenti.
La gravità della situazione è data anche dal fatto che non vi sono motivi oggettivi che giustifichino questi provvedimenti; tutti di alto prestigio scientifico, i docenti licenziati e allontanati hanno sempre svolto la loro attività pubblica nella piena osservanza delle forme e delle regole delle istituzioni pontificie, incluso il debito rispetto delle autorità e dei ranghi ecclesiali. E questi provvedimenti possono diventare, oltretutto, un pericoloso precedente, applicabile in futuro ad altri docenti e ad altre istituzioni universitarie ecclesiali.
Quanto è avvenuto al Giovanni Paolo II allontana, di fatto, le università pontificie dalle prassi vigenti ovunque nella comunità accademica e scientifica internazionale. Non è tollerabile una precarietà delle forme istituzionali così radicale da consentire ai superiori gerarchici un potere di vita o di morte sull’attività scientifica di intere istituzioni e dei singoli studiosi, persino dei più accreditati, come è il caso dei colleghi che ho citato, ai quali va tutta la mia solidarietà umana, intellettuale e professionale.
Per questi motivi, chiedo (senza acredine polemica, ma con tutto il vigore che mi è possibile), a quanti ne hanno la competenza, che si revochino i provvedimenti assunti nei confronti dei colleghi menzionati e si salvaguardi in ogni modo lo spazio necessario per la continuazione della loro apprezzata attività, unico punto di partenza positivo per un istituto universitario che intenda essere veramente tale.
Professor Furio Pesci
La Sapienza Università di Roma
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Il Pontificio istituto Giovanni Paolo II per gli sudi su matrimonio e famiglia è stato soppresso nel 2017 con il motu proprio Summa familiae cura di papa Francesco con la motivazione che fosse necessario un adeguamento alla crescente complessità delle problematiche oggetto dell’attività scientifica e didattica dell’Istituto. Al suo posto, con lo stesso provvedimento che ne dichiarava la cessazione, è stato dunue eretto un nuovo istituto teologico pontificio, formalmente intitolato anch’esso a san Giovanni Paolo II, ma con una denominazione diversa, nella quale agli “studi” sul matrimonio e la famiglia sono subentrate le “scienze del matrimonio e della famiglia”.
L’istituto originario era stato fondato nel 1982 da Giovanni Paolo II e per quasi quarant’anni ha svolto un’eccellente attività scientifica e di formazione, caratterizzata da una forte collaborazione tra specialisti di discipline diverse (teologia, filosofia, scienze umane e biomediche) e coinvolgendo da tutto il mondo studiosi provenienti anche da altre università e centri di ricerca.
Dopo due anni di proroga delle attività, in attesa degli ulteriori atti necessari all’attivazione concreta del nuovo istituto, il 13 luglio scorso sono stati promulgati i nuovi statuti, con annesso l’ordinamento degli studi, e la notizia è stata resa pubblica cinque giorni dopo.
Il nuovo testo assegna al gran cancelliere nominato da papa Francesco, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, prerogative e poteri molto forti, superiori a quelli di qualsiasi altro omologo nel sistema universitario pontificio.
Per effetto di questi cambiamenti, appena dieci giorni dopo l’approvazione degli statuti, il 23 luglio, sono stati allontanati due docenti, i professori Livio Melina e José Noriega Bastos, che hanno insegnato per molti anni nell’Istituto Giovanni Paolo II (il primo ne è stato anche il preside per dieci anni) e che hanno sempre svolto un’attività scientifica di primo piano nelle loro rispettive discipline. Poi, nei giorni successivi, a molti docenti, e addirittura al personale amministrativo, è stata inviata una comunicazione con la quale li si è informati della cessazione dalle loro funzioni.
La lista degli estromessi si è, di conseguenza, allungata, includendo altri nomi di spicco, da Stanislaw Grygiel, filosofo amico fin dalla giovinezza di Karol Wojtyla e suo consigliere (emerito, ma tuttora titolare della Cattedra Wojtyla) a Maria Luisa Di Pietro, studiosa di bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, già estromessa ad opera da monsignor Paglia dalla Pontificia accademia per la vita, ed ora anche dall’Istituto Giovanni Paolo II. L’elenco dei docenti estromessi, dei non confermati e di quelli a cui sono state sostanzialmente ridotte le funzioni è lungo e conta altri studiosi di vaglia, tra cui Przemislaw Kwiatkowski e Vittorina Marini.
La situazione è molto grave: licenziare i propri docenti non è un buon inizio per un istituto universitario, specialmente se innovativo e ambizioso come quello voluto da papa Francesco. Sono convinto che le motivazioni esposte dal preside, monsignor Pierangelo Sequeri, ed anche da don Giovanni Cesare Pagazzi, appena assunto tra i docenti del nuovo istituto, per giustificarne la fondazione e l’assetto, siano serviti solo a spostare l’attenzione da quello che è l’aspetto centrale e più inquietante: la soppressione di un intero istituto di ricerca e l’estromissione dei suoi più significativi studiosi, un fatto unico nella storia recente dell’università, che ha precedenti solo nel contesto di regimi assolutistici e totalitari.
Come semplice credente, ritengo che non sia possibile utilizzare la teologia e l’ecclesiologia nuove di papa Francesco per giustificare una serie di licenziamenti ed estromissioni.
Sorprende davvero e sconcerta che tutto ciò avvenga oggi all’interno del sistema universitario pontificio, sotto un pontificato come quello attuale, così dichiaratamente attento all’apertura e al confronto tra posizioni e opinioni diverse; è stata commessa una grave violazione della dignità della ricerca scientifica e del lavoro intellettuale. Sorprende e sconcerta anche la posizione dell’attuale preside, studioso di fama, il quale non avrebbe dovuto permettere che docenti dell’istituto da lui presieduto fossero così repentinamente privati delle funzioni e anche della dignità accademica.
Se per due anni si è sperato che dalla soppressione dell’istituto originario, prorogato nelle sue funzioni ed attività, potesse sorgere comunque qualcosa di positivo, e che, sulla base di una tradizione consolidata, il nuovo continuasse a confrontarsi efficacemente con le problematiche del mondo contemporaneo, i provvedimenti di queste ultime settimane hanno deluso ogni speranza e sollevato grande preoccupazione in tutti coloro che conoscono l’identità e l’opera dell’Istituto Giovanni Paolo II e dei docenti estromessi.
Pur avendo formalmente portato avanti sui nuovi statuti un dibattito interno all’istituto (che, oltre alla sede centrale conta – ma ormai occorre dire contava – undici sezioni in tutto il mondo), quelli presentati alla Congregazione per l’educazione cattolica e da essa approvati non hanno tenuto minimamente conto dei risultati di quel dibattito, che pur aveva condotto all’elaborazione di un testo valido e condiviso.
I nuovi statuti non sono affatto il risultato di tre anni di riflessione interna al Giovanni Paolo II, come si è sostenuto ultimamente, in occasione della loro presentazione; al contrario, si tratta d’un provvedimento che è stato imposto a tutto il personale e che in questi giorni ha trovato la sua prima applicazione per consentire l’estromissione di alcuni docenti.
La gravità della situazione è data anche dal fatto che non vi sono motivi oggettivi che giustifichino questi provvedimenti; tutti di alto prestigio scientifico, i docenti licenziati e allontanati hanno sempre svolto la loro attività pubblica nella piena osservanza delle forme e delle regole delle istituzioni pontificie, incluso il debito rispetto delle autorità e dei ranghi ecclesiali. E questi provvedimenti possono diventare, oltretutto, un pericoloso precedente, applicabile in futuro ad altri docenti e ad altre istituzioni universitarie ecclesiali.
Quanto è avvenuto al Giovanni Paolo II allontana, di fatto, le università pontificie dalle prassi vigenti ovunque nella comunità accademica e scientifica internazionale. Non è tollerabile una precarietà delle forme istituzionali così radicale da consentire ai superiori gerarchici un potere di vita o di morte sull’attività scientifica di intere istituzioni e dei singoli studiosi, persino dei più accreditati, come è il caso dei colleghi che ho citato, ai quali va tutta la mia solidarietà umana, intellettuale e professionale.
Per questi motivi, chiedo (senza acredine polemica, ma con tutto il vigore che mi è possibile), a quanti ne hanno la competenza, che si revochino i provvedimenti assunti nei confronti dei colleghi menzionati e si salvaguardi in ogni modo lo spazio necessario per la continuazione della loro apprezzata attività, unico punto di partenza positivo per un istituto universitario che intenda essere veramente tale.
Professor Furio Pesci
La Sapienza Università di Roma
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