lunedì 8 luglio 2019

Ecco l’insidia eucaristica che serpeggia nei seminari

 




Aldo Maria Valli, 08-07-2019

Cari amici di Duc in altum, mi ha scritto di nuovo il giovane prete che avete già conosciuto attraverso il suo precedente intervento dedicato alla formazione, o non-formazione, che si riceve nei seminari. Questa volta il tema è specifico, ed è anche centralissimo: la teologia eucaristica.


Per chi desidera mandare testimonianze sui seminari la mail (leggermente cambiata rispetto alla precedente, che aveva problemi tecnici) è la seguente: inchiestaseminari@yahoo.it

Alberto, che ha studiato per cinque anni scienze religiose, ha già accolto il nostro invito, e qui trovate la sua testimonianza.

Ora la parola al giovane prete. Buona lettura.

A.M.V.

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Ma la Santa Messa è ancora un sacrificio?


Caro Aldo Maria, oggi vorrei soffermarmi su un tema specifico, forse il più importante: la teologia eucaristica.

L’affronterò con un approccio non solo teologico-dottrinale, ma anche pastorale. Personalmente mi considero molto fortunato, perché nei miei studi il sacerdote che l’ha insegnata era provvisto delle due caratteristiche richieste dalla Chiesa: scienza e pietà. Tuttavia le testimonianze che mi sono arrivate sulle eresie che vengono insegnate sono davvero preoccupanti.

Vorrei approfondire la più insidiosa, quella che riguarda l’aspetto sacrificale dell’Eucaristia.

Ci sono Studi teologici in cui si insegna che la verità stabilita nel Concilio di Trento, dell’Eucaristia come sacrificio, è un errore dovuto alla perdita nel tempo del concetto ebraico di «memoriale», che comportò da parte dei cristiani la ripresa di una concezione «pagana» del sacrificio, estranea alla vera spiritualità biblica.

Il rapporto tra memoriale e sacrificio non è una cosa da poco, dato che è nel cuore della riforma liturgica nel biennio 1969-1970. Non molti ricordano che nell’edizione nel 1969 si ritrova all’art. 7 dell’Ordo Missae questa affermazione: «La Cena del Signore, o Messa, è la santa assemblea o riunione del popolo di Dio, che si raduna insieme, sotto la presidenza del sacerdote, per celebrare il memoriale del Signore».

La mancata presenza del termine «sacrificio» scatenò già allora le reazioni di molti, tra cui quella del cardinal Seper che così commentò: «Se fosse una definizione della Messa, non sarebbe esatta, perciò deve essere completata». La Provvidenza volle che queste osservazioni vennero ascoltate e così nell’Istitutio generalis, pubblicata il 26 marzo 1970, troviamo la nuova formulazione «nella Messa o Cena del Signore, il popolo di Dio è chiamato a riunirsi insieme sotto la presidenza del sacerdote, che agisce nella persona di Cristo per celebrare il memoriale del Signore, cioè il sacrificio eucaristico».

Il magistero della Chiesa postconciliare ha ribadito costantemente come queste due dimensioni, convito che perpetua il memoriale della Pasqua e sacrificio, convivono dentro l’unico mistero eucaristico, senza che uno escluda l’altro (cfr Paolo VI, Mysterium fidei; Giovanni Paolo II, Dominicae Cenae, Ecclesia de Eucharistia, Mane nobiscum Domine; Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis).

Nella prassi liturgica però, nonostante queste precisazioni magisteriali, l’indebolimento della parte sacrificale è sotto gli occhi di tutti i fedeli che partecipano alla liturgia domenicale.

Mi è così venuta in mente una frase che sentii da un importante liturgista, che fu perito esterno del Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia. Era un periodo in cui stavo documentandomi sulla riforma liturgica e mi erano sorte delle perplessità su alcune determinate scelte che vennero prese in quel tempo, così decisi di affiancare alla carta anche la testimonianza viva e la scienza di chi aveva vissuto da vicino quei momenti. Il professore, davanti ad alcune mie critiche, se ne uscì con queste parole: «Lo sai perché la riforma liturgica è fallita?» (io non avevo mai parlato di fallimento… ma se lo diceva lui, un professore, c’era forse da credergli?). Proseguì: «Perché abbiamo cambiato la forma, ma non abbiamo avuto il coraggio di cambiare la sostanza».

Lì per lì non capii il senso di questa affermazione; credo di averla compresa oggi grazie alle testimonianze di tanti. Allora io replicai: «In che senso?». Ma lui scosse il capo e non disse più nulla.

Vediamo allora di entrare nel merito di quelle parole: «Abbiamo cambiato la forma, ma non la sostanza”».

In effetti la riforma liturgica ha cambiato l’aspetto, la forma, della celebrazione, in particolare del momento centrale, quello della consacrazione. In che senso? Cos’è che noi vediamo con gli occhi? L’Ultima Cena. Ecco il cambiamento della forma indicato dal professore: non più il Golgota, ma l’Ultima Cena. Noi cioè non «“vediamo»” più il dogma, ma dobbiamo fare uno sforzo d’astrazione per vedere che in quel momento, per mezzo del sacerdote, partecipiamo a quello stesso sacrificio che Gesù compì una volta per tutte sul Golgota. Nell’aspetto formale, ossia nell’aver fatto del convito la struttura-figura dell’Eucaristia, non credo si favorisca il fedele a vivere il contenuto della fede, ossia il sacrificio sacramentale, che pur resta intatto nella sostanza.

Ecco qui: cambiata la forma, immutata la sostanza.

Concludo queste osservazioni, condividendo una domanda che mi sono fatto moltissime volte: se io non «“sapessi»” il dogma eucaristico, ma partecipassi ad una Messa in parrocchia, potrei mai avere la percezione di trovarmi davanti a qualcosa che va oltre un semplice ricordo dell’Ultima Cena e di un pasto comunitario? A quante Messe ho partecipato notando il grande squilibrio tra la prima parte (liturgia della Parola), preparata, curata, e una seconda parte (liturgia eucaristica) sciatta e pronunciata quasi con indolenza, con il sacerdote che accelera le parole o le ripete senza la minima solennità? Eppure durante la consacrazione le mani del sacerdote dovrebbero tremare di fronte a ciò che sta avvenendo. Credo sia esperienza comune a tutti voi che leggete questa testimonianza. Se noi intervistassimo fuori dalle nostre chiese i fedeli e porgessimo loro la domanda: «Che cos’è la Santa Messa?», il risultato sarebbe veramente imbarazzante e, dato che liturgia è «fonte e culmine» della vita della Chiesa, potremmo forse avere un’idea dello stato disastroso in cui versa il cattolicesimo contemporaneo.

Un giovane prete






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