di Costanza Miriano
Ho letto la sconcertante posizione del presidente della Pontificia Accademia per la Vita sull’uccisione di Vincent Lambert: innanzitutto Dio non viene neanche nominato, il senso religioso è assente, e si parla di un generico “amore che sconfigge la morte”, ma a me risulta che non sia un sentimento a vincere il dramma che incombe su di noi: è invece una persona, Gesù Cristo in croce, con il mistero della passione che ha sconfitto la morte.
Per il resto, l’articolo uscito su Famiglia Cristiana è tutta un distinguo, un invito alla cautela, un richiamo al dialogo, mi raccomando non litighiamo mentre ammazzano un uomo. Ma per invitare al dialogo bisogna sottilizzare, confondere le acque, è necessario non chiamare le cose con il loro nome (c’era uno che diceva il vostro parlare sia sì, sì, no, no, tutto il resto viene dal maligno). Allora diciamolo chiaramente, a Vincent Lambert non sono state sospese le cure, non si è “lasciato che morisse”: è stato ucciso attivamente, fatto morire di fame e di sete. Non sono state sospese le cure. Non era un malato terminale. E non è stata eutanasia, parola evocata da Paglia. Intanto perché non è eu (buona) per niente, ma una tortura crudele durata dieci giorni (una fibra piuttosto resistente per un malato terminale, che infatti non era terminale per niente, lo ripeto). E poi perché appunto è stata una morte inflitta con le deprivazioni atroci che non augurerei a nessuno di sperimentare. C’era una famiglia, c’erano tanti amici che erano pronti a farsi carico di lui a proprie spese, invece sono stati cacciati dalla stanza, e per salutare il proprio figlio torturato hanno dovuto esibire i documenti. Che dialogo vuoi fare in questi casi. Già non imbracciare un bazooka vuol dire avere dialogato, già avere opposto una resistenza per vie legali vuol dire avere dialogato. se succede a un mio figlio mi do fuoco dentro all’ospedale.
Vorrei però soprattutto dire a monsignor Paglia che il dialogo non è un valore assoluto: il dialogo è uno strumento, è un metodo, e avviene necessariamente così: la mia posizione è questa, la tua è quella, io posso arrivare fino a qui, ma c’è un punto oltre al quale non si va. Cibo e acqua non sono cure. E in un mondo che va compatto, inarrestabile, come un caterpillar con tutti i suoi soldi e i canali di comunicazione, il dialogo può arrivare solo fino a un limite invalicabile. Cerco di spiegarti con calma e non ti aggredisco, ma se stai uccidendo mio figlio prima lo salvo, poi parliamo.
È rimasta solo la Chiesa ad affermare che ogni vita è sacra dall’inizio alla fine naturale, perché pensata e voluta da Dio prima che il mondo esistesse. Dio ce la può togliere in qualsiasi momento, in un soffio, quando vuole. Non accanirsi a curare va bene, ma far morire di fame e di sete è un’altra cosa. Il mondo, i radicali, l’amico di monsignor Paglia, Marco Pannella, pensano che sulla vita si possa esercitare un giudizio. A volte vale la pena, a volte no, se non rispetta certi standard, o se la volontà del malato va in un altro senso. La Chiesa non dice questo. Il dialogo possibile non è: veniamoci incontro a metà strada, perché se apriamo il capitolo “Giudizio sulla qualità della vita”, o sul mio volerla vivere o meno, è il caos. Si cominciano a eliminare i malati rompiscatole, i depressi, quelli che non hanno speranza di guarire, i disabili gravi. E si va su un piano inclinato pericolosissimo (già oggi ci sono persone che hanno paura a portare in ospedale i propri figli disabili).
Mi chiedo: è leggerezza o dolo? Perché nel momento in cui un malato non terminale viene ucciso semplicemente togliendogli la flebo che lo nutriva e lo idratava, quindi viene ucciso attivamente, Paglia ricorda che “Papa Francesco ci ha peraltro ricordato che occorre evitare un indiscriminato prolungamento delle funzioni biologiche, perdendo di vista il bene integrale della persona”? Qui il Papa si riferiva all’accanimento terapeutico, ma l’acqua non è una terapia. Perché citarlo ora? E comunque, qual è il bene integrale della persona, se non essere amato, e accudito fino alla fine della vita? Vincent era importante per la sua famiglia, e già questo dava un senso alla sua vita. Ma anche quelli che non sono importanti per nessuno lo sono per Dio, e se questo non lo ricorda la Chiesa, chi lo ricorda?
Il popolo di Dio, già circondato da un mondo che va aggressivamente in un’altra direzione, trema di fronte a pastori che, in nome del dialogo, in nome dei maestri spirituali (così Paglia ha definito il padre della legge che ha ucciso sei milioni di bambini in Italia, Pannella) smettono di tenere accesa la speranza che ci viene solo da Cristo e non dalle “ forze che la cultura ha sempre mobilitato nella storia dell’umanità, in tutte le sue espressioni simboliche, da quelle artistiche a quelle religiose, offrendo ragioni per vivere”. A me non me ne frega niente (licenza poetica) delle forze simboliche e tanto meno di quelle religiose: io voglio essere amata, e da uno pronto a morire per me, uno che non è stato geloso della sua natura divina, ma venuto a farsi uomo e a morire crocifisso per me, una cosa che non c’entra niente coi simboli e la religione. Una persona viva qui, oggi e presente adesso vicino a me. Questo solo dà senso alla vita, e che non lo sappia Pannella passi, mi dispiace per lui (adesso però lo avrà capito). Che una parte della Chiesa – una parte minoritaria ma purtroppo con un incarico molto significativo – smetta di annunciarlo è davvero un dramma. Spetta a noi, soldati semplici di questo scalcagnato popolo, ricordarlo. E affiancare i tanti consacrati che in nome di Cristo assistono i malati eroicamente, nel silenzio.
Ho letto la sconcertante posizione del presidente della Pontificia Accademia per la Vita sull’uccisione di Vincent Lambert: innanzitutto Dio non viene neanche nominato, il senso religioso è assente, e si parla di un generico “amore che sconfigge la morte”, ma a me risulta che non sia un sentimento a vincere il dramma che incombe su di noi: è invece una persona, Gesù Cristo in croce, con il mistero della passione che ha sconfitto la morte.
Per il resto, l’articolo uscito su Famiglia Cristiana è tutta un distinguo, un invito alla cautela, un richiamo al dialogo, mi raccomando non litighiamo mentre ammazzano un uomo. Ma per invitare al dialogo bisogna sottilizzare, confondere le acque, è necessario non chiamare le cose con il loro nome (c’era uno che diceva il vostro parlare sia sì, sì, no, no, tutto il resto viene dal maligno). Allora diciamolo chiaramente, a Vincent Lambert non sono state sospese le cure, non si è “lasciato che morisse”: è stato ucciso attivamente, fatto morire di fame e di sete. Non sono state sospese le cure. Non era un malato terminale. E non è stata eutanasia, parola evocata da Paglia. Intanto perché non è eu (buona) per niente, ma una tortura crudele durata dieci giorni (una fibra piuttosto resistente per un malato terminale, che infatti non era terminale per niente, lo ripeto). E poi perché appunto è stata una morte inflitta con le deprivazioni atroci che non augurerei a nessuno di sperimentare. C’era una famiglia, c’erano tanti amici che erano pronti a farsi carico di lui a proprie spese, invece sono stati cacciati dalla stanza, e per salutare il proprio figlio torturato hanno dovuto esibire i documenti. Che dialogo vuoi fare in questi casi. Già non imbracciare un bazooka vuol dire avere dialogato, già avere opposto una resistenza per vie legali vuol dire avere dialogato. se succede a un mio figlio mi do fuoco dentro all’ospedale.
Vorrei però soprattutto dire a monsignor Paglia che il dialogo non è un valore assoluto: il dialogo è uno strumento, è un metodo, e avviene necessariamente così: la mia posizione è questa, la tua è quella, io posso arrivare fino a qui, ma c’è un punto oltre al quale non si va. Cibo e acqua non sono cure. E in un mondo che va compatto, inarrestabile, come un caterpillar con tutti i suoi soldi e i canali di comunicazione, il dialogo può arrivare solo fino a un limite invalicabile. Cerco di spiegarti con calma e non ti aggredisco, ma se stai uccidendo mio figlio prima lo salvo, poi parliamo.
È rimasta solo la Chiesa ad affermare che ogni vita è sacra dall’inizio alla fine naturale, perché pensata e voluta da Dio prima che il mondo esistesse. Dio ce la può togliere in qualsiasi momento, in un soffio, quando vuole. Non accanirsi a curare va bene, ma far morire di fame e di sete è un’altra cosa. Il mondo, i radicali, l’amico di monsignor Paglia, Marco Pannella, pensano che sulla vita si possa esercitare un giudizio. A volte vale la pena, a volte no, se non rispetta certi standard, o se la volontà del malato va in un altro senso. La Chiesa non dice questo. Il dialogo possibile non è: veniamoci incontro a metà strada, perché se apriamo il capitolo “Giudizio sulla qualità della vita”, o sul mio volerla vivere o meno, è il caos. Si cominciano a eliminare i malati rompiscatole, i depressi, quelli che non hanno speranza di guarire, i disabili gravi. E si va su un piano inclinato pericolosissimo (già oggi ci sono persone che hanno paura a portare in ospedale i propri figli disabili).
Mi chiedo: è leggerezza o dolo? Perché nel momento in cui un malato non terminale viene ucciso semplicemente togliendogli la flebo che lo nutriva e lo idratava, quindi viene ucciso attivamente, Paglia ricorda che “Papa Francesco ci ha peraltro ricordato che occorre evitare un indiscriminato prolungamento delle funzioni biologiche, perdendo di vista il bene integrale della persona”? Qui il Papa si riferiva all’accanimento terapeutico, ma l’acqua non è una terapia. Perché citarlo ora? E comunque, qual è il bene integrale della persona, se non essere amato, e accudito fino alla fine della vita? Vincent era importante per la sua famiglia, e già questo dava un senso alla sua vita. Ma anche quelli che non sono importanti per nessuno lo sono per Dio, e se questo non lo ricorda la Chiesa, chi lo ricorda?
Il popolo di Dio, già circondato da un mondo che va aggressivamente in un’altra direzione, trema di fronte a pastori che, in nome del dialogo, in nome dei maestri spirituali (così Paglia ha definito il padre della legge che ha ucciso sei milioni di bambini in Italia, Pannella) smettono di tenere accesa la speranza che ci viene solo da Cristo e non dalle “ forze che la cultura ha sempre mobilitato nella storia dell’umanità, in tutte le sue espressioni simboliche, da quelle artistiche a quelle religiose, offrendo ragioni per vivere”. A me non me ne frega niente (licenza poetica) delle forze simboliche e tanto meno di quelle religiose: io voglio essere amata, e da uno pronto a morire per me, uno che non è stato geloso della sua natura divina, ma venuto a farsi uomo e a morire crocifisso per me, una cosa che non c’entra niente coi simboli e la religione. Una persona viva qui, oggi e presente adesso vicino a me. Questo solo dà senso alla vita, e che non lo sappia Pannella passi, mi dispiace per lui (adesso però lo avrà capito). Che una parte della Chiesa – una parte minoritaria ma purtroppo con un incarico molto significativo – smetta di annunciarlo è davvero un dramma. Spetta a noi, soldati semplici di questo scalcagnato popolo, ricordarlo. E affiancare i tanti consacrati che in nome di Cristo assistono i malati eroicamente, nel silenzio.
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