domenica 2 dicembre 2018

Se la Chiesa diventa un ricovero - Marcello Veneziani






di Marcello Veneziani, 

Fa una certa impressione sentir dire dal Papa: “Molte chiese, fino a pochi anni fa necessarie, ora non lo sono più, per mancanza di fedeli e di clero”. È un segno dei tempi, ha aggiunto, la Chiesa deve adattarsi alla situazione. Fa una certa impressione sentire pure il Cardinal Ravasi che i cattolici sono ormai una minoranza in occidente. Nell’occidente cristiano; figuriamoci nel mondo.


Tutto questo non è accaduto con Papa Bergoglio. È una storia lunga, secolare, viene da lontano. Col suo papato il processo si sta però accelerando.

Papa Francesco ha auspicato di dismettere le chiese per aiutare i poveri, aggiungendo che “non ha valore assoluto il dovere di tutelare e conservare i beni culturali della Chiesa, perché in caso di necessità devono servire al maggior bene dell’essere umano e specialmente al servizio dei poveri”. Dunque, dismettiamo le Chiese e usiamole per ospitare poveri, in particolare migranti.


Cosa vuol dire in pratica? Che le Chiese diventano ricovero per i bisognosi o patrimonio immobiliare da vendere, affittare e il ricavato da destinare all’accoglienza dei migranti? Le ipotesi in campo sono di quattro tipi: a) che diventino luoghi di culto di altre religioni, per esempio islamica, come stava accadendo per la Chiesa dei Cappuccini di Bergamo. b) che diventino musei o luoghi di cultura, come auspica Ravasi. c) che vengano cedute o locate per le più svariate attività: ristorazione, alberghi, beauty farm. d) che vengano trasformate in ostelli e ricoveri per i migranti e i barboni.


Nel primo caso c’è un vago sapore di nemesi storico-religiosa. Molte chiese sorsero in luoghi sacri di religioni precristiane, nella convinzione che l’aura del sacro perdurasse. Ma suscita preoccupazione religiosa e civile pensare che oggi potrebbero diventare moschee e centri di raccolta islamica.


Nel secondo caso, sicuramente la destinazione è più sobria e neutrale, da luogo di culto a cultura, ma riduce la religione a museo. E poi se la fede cristiana lascia la sua eredità alla cultura, ha vinto l’illuminismo? E il cinema, ad esempio, è compatibile oppure no, e la musica fino a che punto? Insomma un grappolo di perplessità per un uso comunque secondario.


La terza ipotesi è la vendita o locazione commerciale per usare poi i ricavati in opere di carità. Già succede di vedere chiese sconsacrate diventate alberghi, trattorie, beauty farm. Dal Risorto al Resort. Soluzione più redditizia, ma simbolicamente la più sconfortante in assoluto.


Infine la trasformazione delle chiese in ricoveri per i poveri ha una motivazione umanitaria nobile. Ma si può liquidare un luogo di culto, un patrimonio di generazioni per soccorrere una quota di poveri del nostro presente? Se i papi avessero distribuito i soldi ai poveri del loro tempo, oggi non avremmo magnifiche cattedrali, capolavori d’arte, luoghi di preghiera per le generazioni in cui viene consacrata e affidata la vita, il matrimonio, la morte. In ogni chiesa c’è il respiro e l’affanno di generazioni, il sacrificio e la fede di chi l’ha edificata, frequentata, vissuta; c’è il ricordo dei santi e dei martiri, il legame sacro di una comunità, la sua anima, la sua storia, la sua identità. Capisco la desolazione di chiese vuote ma si può liquidare una fede cambiandole la destinazione d’uso, riducendola a pura assistenza sociale?


Per aiutare i poveri si potrebbe cominciare a cedere o usare il vasto patrimonio immobiliare della Chiesa, di cui l’Unione europea ha sollevato la questione dell’Ici non pagata. Non i luoghi di culto, ma le proprietà, i palazzi, le case. Non sarebbe più francescana una Chiesa povera, piuttosto che una Chiesa dei poveri? Cominciate dalle proprietà e dagli affitti, piuttosto che dalle Chiese e i luoghi sacri. E poi confidate nella Divina Provvidenza…



Marcello Veneziani, Il Tempo 1 dicembre 2018






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