sabato 19 maggio 2018

Così l’Inghilterra perde la battaglia per la vita




di Aldo Maria Valli



Il Servizio sanitario nazionale britannico (NHS) sostiene che l’eutanasia è illegale, ma di fatto la gestione del caso Alfie Evans dimostra che la proibizione dell’eutanasia in Gran Bretagna è solo sulla carta.

Questa la terribile denuncia di Matthew Cullinan Hoffman su Life Site News

https://www.lifesitenews.com/blogs/alfie-evans-not-alone-hundreds-of-patients-starved-to-death-in-uk-every-yea

secondo il quale è ormai un fatto documentato che «centinaia di pazienti muoiono ogni anno di fame e di sete negli ospedali gestiti dal National Health Service», fenomeno facilitato da linee guida quanto meno ambigue. Così medici e infermieri, senza alcun pericolo di essere puniti, possono classificare arbitrariamente una persona come morente e negare alimentazione, idratazione e altre forme basilari di supporto vitale.

«La pratica di lasciar morire di fame e disidratazione i pazienti classificati come morenti ha reso la politica di “cure palliative” del National Health Service niente di meno che un programma di eutanasia, in cui la diagnosi di condizione “fatale” diventa auto-avverante. Il risultato, attraverso metodi e ragionamenti che ricordano in modo agghiacciante gli ospedali del Terzo Reich negli anni Quaranta, è un sistema finalizzato all’eliminazione dei pazienti per i quali si sostiene che la morte sia “nel loro migliore interesse”».

I maltrattamenti dei quali è rimasto vittima Alfie Evans all’Alder Hey Hospital, spiega l’autore, sono l’esempio di un approccio ormai sistematico e diffuso che ha trovato origine proprio nell’ospedale di Liverpool. Si parla di “cure palliative”, ma in realtà si facilita l’uccisione dei pazienti con uno dei metodi più crudeli: la fame e la sete.

«Sebbene non sia chiaro che cosa abbia provocato la morte di Alfie Evans, ciò che sembra incontestabile è che l’Alder Hey ha deciso non solo di mettere fine ai trattamenti straordinari, ma anche di interrompere bruscamente la ventilazione assistita, un atto medicalmente irresponsabile che può facilmente provocare la morte del paziente. Interventi come la tracheotomia, che avrebbero potuto permettere ad Alfie di respirare da solo, sono stati negati. Inoltre, il piano di cure palliative ha incluso la somministrazione di farmaci come il Fentanyl (un potente analgesico, ndr) che tendono a rendere impossibile la respirazione».

Quando Alfie, nonostante l’improvvisa eliminazione della ventilazione assistita, riuscì a respirare da solo, continua Matthew Cullinan Hoffman, l’ospedale disse no alle richieste di garantirgli ossigeno supplementare. Fu l’avvocato del bambino a convincere la sicurezza a portare una maschera di ossigeno, che poi però l’ospedale cercò ripetutamente di rimuovere. Nel frattempo Alfie moriva letteralmente di fame, visto che l’alimentazione gli fu negata per quasi ventotto ore, fino a quando il personale ospedaliero finalmente acconsentì alla nutrizione, sia pure in misura minima.

«Alla fine, dopo che Alfie era sopravvissuto per quattro giorni senza ventilazione e senza tracheotomia, un’infermiera, a tarda notte, gli avrebbe somministrato, con quattro iniezioni, farmaci sconosciuti, e a quel punto nel giro di due ore il bambino morì. Poi Alfie è stato seppellito senza un’indagine del coroner o un rapporto tossicologico, dopo che una richiesta in tal senso è stata respinta dai tribunali del Regno Unito».

Agli occhi di un lettore occasionale, commenta Cullinan Hoffman, lo sconvolgente trattamento riservato ad Alfie Evans potrebbe apparire soltanto una strana e inquietante eccezione, ma non è così. «La terribile verità è che numerosi rapporti molto credibili, basati su certificati di morte di pazienti del National Health Service, hanno dimostrato che a partire dal 2000 decine di migliaia di persone sono morte letteralmente di fame e di sete negli ospedali del Regno Unito. Peggio ancora, le politiche dello stesso NHS sostengono espressamente la pratica di negare la nutrizione e l’idratazione a pazienti classificati come “morenti”».

Nel gennaio del 2017, il quotidiano britannico Sun ha pubblicato gli ultimi dati disponibili. Sulla base di uno studio dei certificati di morte di tutte le persone decedute negli ospedali e nelle case di cura nel 2015, risulta che la disidratazione ha contribuito alla morte di 505 pazienti e che in altri 351 casi il fattore è stato la mancata alimentazione.

La BBC ha risposto alle critiche cercando di minimizzare e citando medici secondo i quali alcuni dei casi elencati riguardavano pazienti malati di cancro allo stomaco, ma l’affermazione, scrive Cullinan Hoffman, è discutibile visto che i malati di cancro allo stomaco possono facilmente essere nutriti per via endovenosa o mediante un tubo per l’alimentazione. «Anche il primo ministro britannico Theresa May ha negato che per il Servizio sanitario nazionale si possa parlare di “crisi umanitaria”, espressione usata dalla Croce Rossa britannica per descrivere i massicci fallimenti nell’assistenza causati dalla grave scarsità di personale e da un budget insufficiente».

Le linee guida del Sistema sanitario, in vigore da decenni, hanno incoraggiato il personale medico a classificare i pazienti nella categoria “morenti”, il che consente di negare idratazione e nutrizione, se ciò è ritenuto nel “miglior interesse” del malato, e di somministrargli pesanti dosi di farmaci antidolorifici che possono contribuire a causare la morte.

Il trattamento ha anche un nome, Liverpool Care Pathway (LCP), e un medico, il professor Patrick Pullicino, ha dichiarato ai media britannici di aver personalmente salvato la vita di pazienti sottoposti all’LCP, ormai conosciuto come «la strada verso la morte».

Un’infermiera pediatrica, Bernadette Lloyd, è rimasta inorridita dall’aver visto bambini affamati e disidratati fino alla morte mentre venivano devastati dal cancro e da altre malattie. «I genitori si sentono costretti, in un momento molto traumatico, ad accettare che tutto questo sia giusto per il loro bambino, che secondo i medici ha solo pochi giorni di vita. Ma prevedere la morte – ha dichiarato la Lloyd al Daily Mail nel 2012 – è molto difficile, ed ho visto un numero considerevole di bambini recuperare dopo essere stati sottratti all’LCP».

Molti altri i casi citati e descritti, tutti sconvolgenti. Di fronte alle proteste, nel 2015 sono state elaborate nuove linee guida, così da evitare il ricorso a veri e propri «piani di morte» standardizzati, ma a giudizio di molti si è trattato soltanto di un semplice cambiamento di immagine, mentre nella sostanza i pazienti continuerebbero a essere sottoposti a maltrattamenti. Le nuove linee guida per i pazienti adulti prevedono che ogni caso sia valutato a sé, ma se il paziente è incosciente, non è in grado di indicare quanto abbia sete o è considerato incapace di riprendersi ecco di nuovo che l’idratazione può essere negata. E altre misure di sostegno non sono neppure menzionate.

Quanto ai bambini, le linee guida loro riservate, del 2016, sostengono che l’idratazione può non essere nel loro «migliore interesse». Idem per la nutrizione.

Un «disastro di disinformazione, distorsione e ambiguità»: così il professor Patrick Pullicino, docente di Neuroscienze all’Università del Kent, ha definito le nuove linee guida in un articolo, scritto per il Daily Telegraph, nel quale afferma che, «nonostante la rimozione dell’LCP, frequento spesso pazienti anziani gravemente disidratati nei reparti ospedalieri».

Come dimostra la vicenda di Alfie Evans, «la morte intenzionale dei pazienti e il rifiuto di forme di assistenza molto elementari sembrano continuare a essere una pratica standard negli ospedali del National Health Service. Il fatto che l’Alder Hey Hospital sia stato in grado di negare la nutrizione da Alfie Evans per quasi ventotto ore, sebbene il caso del bambino fosse seguito intensamente dai media, indica in modo agghiacciante quanto profondamente sia radicata la morte per fame nelle partiche dell’NHS».

Il giudice Hayden, a sostegno della sua decisione di lasciar morire Alfie Evans di fame e di sete, ha citato una guida pubblicata dal Royal College of Paediatrics and Child Health della Gran Bretagna (Making Decisions to Limit Treatment in Life-limiting and Life- threatening Conditions in Children: A Framework for Practice) che consente espressamente che i trattamenti per il mantenimento in vita siano negati ai bambini se la loro «qualità di vita» è ritenuta insufficiente per giustificare la loro sopravvivenza. E tra questi trattamenti di mantenimento in ci sono la nutrizione e l’idratazione assistite clinicamente.

Conclude Matthew Cullinan Hoffman: «Il governo e gli operatori sanitari britannici sono così abituati a questa forma crudele e barbara di maltrattamenti che sembrano incapaci di riconoscere l’eutanasia nazifascista quando è davanti ai loro occhi. Sembra che per quanto riguarda l’etica medica la battaglia d’Inghilterra sia stata vinta dal Terzo Reich, sebbene sia scomparso da lungo tempo».

Aldo Maria Valli






Nessun commento:

Posta un commento