venerdì 30 settembre 2016

LA REALTA' E' DI DIO: L'OBBLIGATORIETA' DELLA MESSA.






 
 
Editoriale di "Radicati nella fede" - Anno IX n°10 - Ottobre 2016


 Hanno umanizzato la Messa e poi l'hanno resa facoltativa: potremmo sintetizzare così la tragica parabola discendente del cattolicesimo ammodernato.

 Intanto urge ricordare che la Messa cattolica, quella vera, poggia tutta sulla realtà e non su moti spirituali soggettivi.

 È reale il mondo che non si è fatto da sé; è reale Dio, Creatore e Signore di tutto ciò che esiste. È reale, realissimo, che il mondo, dopo la caduta del Peccato Originale, è salvato da Gesù Cristo. Attenti però: il mondo è salvato da Cristo in modo reale, non retorico cioè per modo di dire; è salvato con una azione storica redentiva: la sua Incarnazione Passione e Morte al Calvario.
 L'azione salvifica di Gesù Cristo poi risponde al realismo della riparazione: Dio è stato offeso in modo inaudito dagli uomini, e solo il Dio fatto uomo può riparare una simile offesa, sostituendosi a noi sulla Croce. La Messa cattolica è la perpetuazione di questa riparazione che salva: Gesù Cristo continua ad offrirsi al Padre in sacrificio propiziatorio affinché per noi ci sia il perdono del Padre; e la propiziazione continua, lungo la storia, su tutti gli altari cattolici del mondo.

  Il cristiano di duemila anni ha vissuto dentro questo realismo che riconosce che tutto è fatto e dipende da Dio; e che tutto può rinascere dopo il peccato solo nel sangue di Cristo offerto.

 È per questo realismo che al centro di tutto il Cristianesimo mise la Messa, e non si sognò mai di renderla facoltativa.
 E il Cristianesimo diffuse la celebrazione della Messa in tutto il mondo facendola diventare il centro della vita degli uomini, delle loro giornate e del loro tempo; la fece il centro della Civiltà umana e non solo della Chiesa. Anche la struttura delle città e dei villaggi fu intorno alle Chiese, perché dentro vi si celebrava quotidianamente la Messa.
 E ogni atto della vita degli uomini fu segnato dalla Messa cattolica.

 Sì, perché la Messa vive di questi due riconoscimenti: Dio Creatore  e Cristo Redentore.

 E il cristiano, ragionevolmente realista, non si è mai sognato che qualcuno, normale di mente, potesse mettere in dubbio che tutta la realtà dipenda da Dio. A tal proposito San Paolo scrive: “Essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa” (Rm 1,21). Il Concilio Vaticano I cita proprio questo brano di San Paolo per ricordare che l'esistenza di Dio può essere riconosciuta con la ragione e che l'uomo è quindi inescusabile quando professa una laicità atea o agnostica.

 Ma qualcosa di strano è accaduto nel mondo cattolico: hanno voluto umanizzare la Messa, e questo realismo è naufragato nel soggettivismo.

 Hanno, ed è evidente nella riforma liturgica di fine anni '60, incentrato la Messa sull'uomo che prega e non su Dio che salva. Hanno così trasformato l'azione di Cristo, che salva dall'abisso, in un incontro personale dell'uomo che cerca Dio. È il grande inganno: la nuova messa diventa un'azione puramente religiosa che nasce da una fede individuale; e non è più principalmente l'azione di Dio che fa esistere il mondo.
 Padre Pio diceva: “Il mondo può stare anche senza il sole, ma non senza la santa Messa”.

 Una messa ridotta a preghiera dell'uomo può benissimo diventare facoltativa, anzi lo è già ampiamente diventata. Una messa così mutilata può essere una delle tante preghiere inventate dall'uomo che cerca Dio, e diventa spaventosamente facoltativa, destinata solo a chi ne sente il bisogno.

 Ma la Messa di Cristo, che sostiene e salva il mondo, facoltativa non lo sarà mai, anche se preti e fedeli moderni inneggeranno alla libertà di coscienza. Non sarà mai facoltativa per l'uomo e per la Chiesa che riconoscono la realtà.

 Le recenti polemiche sulle mancate messe d'inizio anno [scolastico ndr] nelle scuole di stato, in nome della laicità italiana, rivelano pienamente questa crisi.

 È una crisi che nasce tutta in casa cattolica: il cristianesimo ammodernato ha reso tutto spiritualista e soggettivo, per cui gli alunni che riconoscono ancora Dio devono andare a Messa fuori dall'orario scolastico. E magari uno stuolo di ecclesiastici sosterrà che questo è giusto per rispettare le libertà individuali.
 Però questo non sarà mai il cattolicesimo.

 Il cattolicesimo di sempre dice invece che la virtù di religione nasce dalla giustizia: l'uomo che non si è fatto da sé, e che non si può salvare con le sue forze dalla morte, deve pubblicamente compiere il suo omaggio a Dio, rendendogli un culto pubblico. E la ragione deve riconoscere la fondatezza della Rivelazione cristiana, storicamente verificabile, e quindi riconoscere pubblicamente il Dio di Gesù Cristo. Solo così l'uomo sarà giusto.

 Uno stato che rende invece privato tutto questo, non può essere uno stato giusto. Mina al fondamento la possibilità della civiltà; e rende impossibile la cultura, che nasce dall'intelligenza dell'uomo.

  Il mondo può stare anche senza il sole, ma non senza la santa Messa: e la nostra civiltà e cultura sono già finite perché si sono private di questo sole.

 Come ci piacerebbe poter discutere di questo con tanti, che hanno ormai ceduto al fideismo dei nuovi dogmi laici. Ci piacerebbe poterne parlare con i preti, con i genitori cattolici, con i politici, con tutte le persone di buona volontà che stanno rassegnandosi a questa tragica deriva.

 Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli: è chiaro che Nostro Signore Gesù Cristo posa tutto sul riconoscimento della realtà e della Sua presenza, contro tutte le fantasie delle mode ideologiche del momento.

 La Chiesa è posta nel mondo per riportare gli uomini alla realtà che è Dio, non per osannare le libertà individuali.
 La Chiesa è posta nel mondo per porre la centralità e l'obbligatorietà della Messa.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Il papa, l’annuncio, la verità. Due chiacchiere con Chesterton

   

Domenica 25 settembre, mentre il papa in piazza San Pietro pronuncia l’omelia nella messa per il giubileo dei catechisti, a un certo punto mi sento tirare per la giacca.

Mi volto di qua, mi volto di là, ma non vedo nessuno. Mistero. Poi di nuovo quella tirata. Ed ecco lì, accanto a me, l’anima di Gilbert Keith Chesterton!

Non c’è dubbio. È proprio lui: il buon vecchio Gilbert, con tanto di baffoni spioventi e occhialetti in bilico sul naso!

«Scusa Gilbert – gli dico – non vedi che sono in diretta tv? Che vuoi?».

L’anima di Chesterton mi guarda e poi indica il testo del papa. Mi invita a dare un’occhiata ai primi paragrafi, ma io proprio non posso: sto lavorando, che diamine!

Dico a Chesterton di portare pazienza. Gli risponderò quando avrò un minuto di calma, cosa assai difficile, per la verità, per un povero cronista.

Oggi comunque un minuto ce l’ho, e dunque vediamo: cos’è che voleva farmi notare l’amico Gilbert?

Ah, ecco, sì, questa frase del papa: «È amando che si annuncia Dio-Amore: non a forza di convincere, mai imponendo la verità, nemmeno irrigidendosi attorno a qualche obbligo religioso o morale. Dio si annuncia incontrando le persone, con attenzione alla loro storia e al loro cammino. Perché il Signore non è un’idea, ma una Persona viva: il suo messaggio passa con la testimonianza semplice e vera, con l’ascolto e l’accoglienza, con la gioia che si irradia. Non si parla bene di Gesù quando si è tristi; nemmeno si trasmette la bellezza di Dio solo facendo belle prediche. Il Dio della speranza si annuncia vivendo nell’oggi il Vangelo della carità, senza paura di testimoniarlo anche con forme nuove di annuncio».

Beh, mi sembra un passo molto bello, molto condivisibile, molto…

Ma, che succede? Di nuovo mi sento tirare per la giacchetta.

«Oh, eccoti qua! Bentornato mister Chesterton! Dunque, perché mi chiedevi di rileggere questo
passo?».

«Ma come – bofonchia Gilbert succhiando un sigaro puzzolente – non noti qualcosa che non va?».

«Veramente no. Mi sembrano pensieri pieni di fede in Dio e amore per le persone».

«Sei proprio un giornalista, superficiale come tutti quelli della tua specie! Leggi e rifletti. Il papa dice che Dio, che è Amore, si annuncia amando. Ma che significa amare? Qui sta il punto».

«E il papa mi sembra chiaro nella risposta: significa non cercare di convincere, non imporre la verità, non irrigidirsi su qualche obbligo religioso o morale, bensì incontrare le persone, prestare attenzione alle loro storie, ai loro cammini. E farlo con gioia, non con la faccia corrucciata. Non è bellissimo?».

Nuvoletta di fumo dal sigaro.

«Amare – dice Gilbert – significherebbe dunque incontrare le persone, e sorridere…».

«Esatto».

«Ma che significa incontrare le persone?».

«Beh, credo che significhi cercare di capirle, consolarle, dire loro qualche parola buona, mettersi nei loro panni, senza giudicare, senza provocare disagio…».

Altro fumo dal sigaro, sempre più puzzolente.

«Ma non ti sembra, amico mio, che questo lo facciano già in tanti? Voglio dire: ovunque puoi trovare qualche forma di consolazione sotto forma di incontro, accompagnamento e compagnia bella. Io, francamente, dalla Chiesa mi aspetterei qualcos’altro. Qualcosa di più. Mi aspetterei l’annuncio della Verità. E poi, a dirla tutta, se c’è qualcuno che ogni giorno viene messo a disagio, in questo mondo scristianizzato e ormai pagano, è proprio il credente cattolico. Il problema non è che noi possiamo mettere a disagio gli altri: il problema è che gli altri mettono continuamente a disagio noi!».

«Senti Gilbert, tu sai che al papa sta molto a cuore la misericordia. Inoltre non credo proprio che lui suggerisca di rinunciare all’annuncio della Verità».

«Ah, la misericordia! Anche in questo caso, tutto considerato, penso che dovrebbe essere il mondo a dimostrare un po’ di misericordia verso noi cattolici!».

«Vedo che ti piace rivoltare la frittata…» .

«Non rivolto un bel niente. Sono realista».

«D’accordo, ma non puoi dire che non ci sia bisogno di incontro, di accompagnamento…».

«Bah! Che cosa significa incontrare? E accompagnare? Incontrare le persone, da quel che intuisco, vorrebbe dire fare i conti con le loro singole situazioni. Vorrebbe dire comprenderle. Giusto? Ma qui siamo, se mi si passa il termine, in pieno situazionismo spirituale. E come la mettiamo con la verità? Anzi, con la Verità?».

«Gilbert, vedo che non vuoi capire. La verità, anzi la Verità, la si testimonia proprio nell’incontro, nell’accompagnare l’altro con amicizia e spirito di comprensione. Immagino che il papa intenda questo. È un impegno che richiede molta passione, molta fatica. Ben più facile è limitarsi a enunciare qualche precetto facendolo cadere dall’alto, senza coinvolgersi».

«Uhm! Non mi convinci. Gesù incontrava tutti, e va bene, ma certamente non rinunciava ad annunciare la Verità, anche in modi bruschi, e a ribadire la validità dei comandamenti, con tutte le conseguenze morali che ne derivano. “Non sono venuto a portare la pace, ma una spada…”».

«Ma, scusa, come non essere d’accordo con il papa quando raccomanda di non irrigidirsi attorno agli obblighi religiosi e morali?…».

«Io non so che cosa intenda con il verbo “irrigidirsi”. Quello che so è che senza obblighi religiosi, e dunque morali, l’idea di verità resta vuota, senza sostanza, come un sacco pieno d’aria».

«Scusa tanto, caro il mio Gilbert, ma il papa ricorda, e secondo me fa bene, che il Signore non è un’idea, ma una Persona. Nessuno si innamora di un’idea, per quanto alta e nobile possa essere, né tanto meno di un precetto o di un obbligo religioso o morale. L’amore per una persona è qualcosa di caldo, di vitale. Bisogna fare i conti con tutto: gli errori, le cadute, le contraddizioni…».

Fumo di sigaro a tutto spiano.

«Certo, certo. Ma Gesù è il Maestro. E il maestro insegna. E gli insegnamenti di un maestro sono fatti di contenuti. E nei contenuti il discepolo trova le indicazioni per la vita di quaggiù e soprattutto per guadagnarsi quella di quassù. Trova oggettivamente la differenza tra bene e male, tra virtù e peccato. Incontrare, ascoltare, accogliere e accompagnare sono verbi che suonano bene alle orecchie della modernità, ma che significano? Bisogna riempirli di contenuti!».

«Senti, Gilbert. Tu sei nato nel 1874 e passato a miglior vita nel 1936. Ti rendi conto? Da allora tutto è cambiato, non siamo più nello stesso mondo! Adesso abbiamo la società liquida, il pensiero debole, tutte queste cose, e tu mi vieni a parlare di contenuti oggettivi. L’uomo di oggi ha bisogno di altre parole, di altri metodi. Cerca di capire…».

L’anima di Chesterton, piuttosto corpulenta a dire il vero, incomincia ad agitarsi.

«Capisco fin troppo bene, vecchio mio. E vedo che anche nella Chiesa è entrata la filosofia della situazione, del singolo caso. Per cui non c’è più una verità oggettiva, ma c’è soltanto una verità soggettiva: tante verità quanti sono i soggetti, quante sono le condizioni di vita dei soggetti. Ne prendo atto. Ma sai come si chiama questo?».

Pausa con fumo.

«Dimmelo tu, Gilbert».

«Si chiama relativismo, vecchio mio».

«Senti Gilbert, adesso esageri. Restiamo alle parole del papa. Poco prima della frase che mi hai chiesto di rileggere, Francesco dice che non bisogna stancarsi di mettere al primo posto l’annuncio della risurrezione del Signore, e aggiunge che “non ci sono contenuti più importanti” e che “nulla è più solido e attuale”. Eccola qua la verità oggettiva, che ti sta tanto a cuore. Nero su bianco».
«È vero, e trovo che il papa abbia fatto molto bene a ricordarla. Ma mi sarei aspettato che, subito dopo, dicesse: ecco la verità che siamo chiamati a proclamare a tutti, specie in un mondo che va nella direzione della melassa situazionista, ecco l’annuncio da proporre incessantemente e che inevitabilmente deve sostanziarsi in precisi obblighi religiosi e morali, perché altrimenti si resta nel vago e si sfocia nella falsità. E la menzogna, come sai, non è mai tanto falsa come quando si avvicina molto alla verità».

«Oh Gilbert, ti prego! Non è il caso che citi le tue famose parole. Resta il fatto che secondo me sei davvero troppo critico».

Altro sigaro, altro fumo.

«Certo che sono critico, nel senso etimologico della parola. Criticare viene da krino, cioè giudicare, nel senso di distinguere. L’uomo dotato di ragione è un uomo che distingue. Ma voi avete perso questa buona abitudine: mettete tutto insieme, e così avete perso anche il desiderio di cercare la verità. La maggior parte delle filosofie moderne non sono filosofia, ma dubbio filosofico».
«Gilbert, ti prego, ho detto basta con le autocitazioni. Non è elegante».

«D’accordo, ancora una e poi basta: tutto il mondo moderno è in guerra con la ragione, e la torre già vacilla. Ecco il problema. Siete saturi di sentimentalismo. Niente più ragione, solo sentimentalismo centrato sulle singole situazioni. Di qui tutta la retorica dell’incontro, dell’accompagnare. Ma l’incontro va riempito di contenuti oggettivi: altrimenti, perché incontrarsi?».

«Senti, Gilbert, io non credo proprio che il papa, quando dice di non irrigidirsi attorno ai principi morali, voglia rinunciare ai contenuti. Propone solo un metodo che lui ritiene giusto per l’uomo di oggi».

Fumo, molto fumo di sigaro.

«Ah! Però dice che la bellezza di Dio non si trasmette solo  facendo belle prediche. E, dicendo questo, lascia intendere che chi è attento ai contenuti alla fine è un formalista, anche un po’ musone. Ma se c’è qualcosa di peggio dell’odierno indebolirsi dei grandi principi morali, è l’odierno irrigidirsi dei piccoli principi morali».

«Gilbert! L’avevi promesso: niente più citazioni tratte da te stesso! Guarda, io credo che questa nostra conversazione non abbia molti sbocchi. E poi adesso ho da fare».

«D’accordo. Ma a voi cattolici contemporanei, che siete tanto presi dall’aggiornamento e non avete più riguardo per la filosofia cristiana, vorrei dire ancora una cosa: una nuova filosofia in generale significa in pratica l’espressione di qualche vecchio vizio».

«Gilbert! Sei incorreggibile! Lasciatelo dire,  vecchio scorbutico! La prossima volta non ti lascerò tanto spazio! Capito? Ehi, Gilbert? Gilbert!?».

Niente, se n’è andato.

E guarda qui quanti mozziconi di sigaro. Ora mi tocca anche pulire.



http://www.aldomariavalli.it/2016/09/30





giovedì 29 settembre 2016

Svezia igienico obitorio d'Europa

 


 
 
Roberto Pecchioli

Chi voglia conoscere il probabile futuro di quel che resta della nostra civiltà, cerchi nelle sale cinematografiche marginali, o in rete, il film documentario di Erik Gandini La teoria svedese dell’amore. L’autore è un italo svedese, che osserva il paese in cui vive con l’occhio disincantato del reporter, ma anche con lo spirito dell’ospite proveniente da una diversa cultura. La Svezia è stata per una generazione di italiani una specie di paese dei sogni: donne bellissime, bionde e disinibite pronte a concedersi ed un sistema di sicurezza sociale pressoché perfetto, in grado di assistere i cittadini, come si diceva, dalla culla alla tomba. La verità è molto lontana, anzi si può affermare che la nazione guida del mondo nordico è un igienico, sterilizzato, lindo inferno, popolato da spettri. La sonata degli spettri è il titolo di una delle più famose opere di August Strindberg, il maggior scrittore e drammaturgo svedese, autore anche di Danza di morte, oltreché dei famosi ed angoscianti Il pellicano e La signorina Giulia.

La chiave per comprendere la Svezia contemporanea è la socialdemocrazia, che domina da circa un secolo, anche se negli ultimi venticinque anni ha spesso dovuto cedere il governo a forze liberali, le quali non hanno saputo, o voluto, intaccarne il sistema sociale, né contestarne i principi ispiratori. La socialdemocrazia nordica regna sulle macerie del luteranesimo boreale, chiuso e introverso come solo al Nord poteva diventare l’ansiogena teoria della predestinazione e della salvezza per sola fede dell’ex monaco agostiniano. Un protestantesimo ottusamente moralistico ha improntato la Scandinavia per diversi secoli ed ha poi ceduto di schianto all’alba del Novecento. La terra di duri contadini e coraggiosi uomini di mare si è convertita ad un socialismo materno, fatto di tasse altissime e di un efficiente sistema di protezione sociale che ha avvolto corpo ed anima degli svedesi. Uguaglianza dogmatica, Stato mamma che pensa a tutto: istruzione, tempo libero, asilo, pensione, assistenza.

Esentato dalle preoccupazioni pratiche, lo svedese medio ha via via rinunciato a pensare, forse ad “essere”. Poi arrivò Olof Palme, socialdemocratico fautore di un marxismo individualista, ucciso misteriosamente nel 1986, che lanciò una parola d’ordine: indipendenza individuale. Nel manifesto La famiglia del futuro, programmò una nazione di figli che non dovevano dipendere dai genitori e viceversa, di coniugi distaccati l’uno dall’altro, di malati che non dovevano aspettarsi nulla dai parenti. Un paradiso per solitari, eremiti e misantropi, come misogino fu Strindberg.

Il risultato: oltre la metà degli svedesi vive da sola; oltre una donna su quattro concepisce i figli senza un compagno fisso (non si dica un marito…) attraverso l’inseminazione artificiale, per evitare relazioni sentimentali definite inutili o fastidiose. Morire nella più completa solitudine è comunissimo, tanto che non pochi svedesi versano denaro sui conti dell’ente preposto per saldare in anticipo il debito delle spese funerarie. Si è anche verificato il caso di un suicida che ha pagato per tempo, da bravo cittadino, il costo del disturbo che avrebbe arrecato alle pubbliche istituzioni con il suo gesto. Si vive da soli, si muore nell’indifferenza di tutti, si esce di casa adolescenti (non ci sono bamboccioni, per la gioia di madama Fornero), si lavora in silenzio.

Un conoscente di chi scrive, ex informatico della multinazionale Ericsson, non riusciva ad adattarsi, nelle sue trasferte a Stoccolma, all’atteggiamento dei colleghi locali: chiusi in se stessi sino all’ostilità, poco inclini al dialogo, infastiditi dalla vicinanza fisica di un intruso pieno di domande, a debita distanza l’uno dall’altro anche in mensa, tra tavolini ad un posto. Chi ha letto Orwell non fa fatica a riconoscere la triste vita degli impiegati del Partito nel grande palazzone da cui si dirigeva la distopica Oceania. Purtroppo, lassù è realtà, e viene il magone ad immaginare le tante bionde Ingrid ed Ulla sognate dai giovani italiani di qualche decennio fa, vecchie e sole spegnersi in un lindo trilocale, magari con la TV accesa, senza il conforto di un figlio, o almeno di un pastore luterano, e neppure di un assistente sociale, ma con la busta per le spese in bella vista nel salotto.

Con la compilazione di appositi moduli burocratici, in Svezia si può ottenere tutto, tranne la vicinanza, l’affetto, in fin dei conti la vita. Spinoza parlò di passioni tristi: quella, ossessiva, per l’indipendenza è ben più che triste: è la trasformazione di una comunità in un igienico, sterilizzato, lucidato obitorio. Non c’è da stupirsi, ma da rimanere atterriti, se pensiamo alle lunghe notti nordiche, al buio, al freddo persistente, vissute in una solitudine immaginata come liberazione. Un piccolo aneddoto, narrato dalle radio: l’arbitro di una partita di calcio svedese ha espulso un calciatore (è la verità) per… peti rumorosi. Osiamo immaginare che se il giocatore vichingo avesse bestemmiato, l’arbitro non avrebbe battuto ciglio: del resto, la Svezia ex protestante è in coda alle classifiche della pratica religiosa (esclusi, beninteso, gli immigrati islamici e la piccola comunità cattolica) ed il primate della chiesa locale è una donna vescovo, coniugata con rito religioso ad un pastore luterano donna.

E’ dinanzi a questi campioni di vita cristiana che Jorge Mario Bergoglio andrà presto ad omaggiare Lutero, eretico sino a ieri, nelle commemorazioni per il prossimo V centenario della riforma.

L’organizzazione nordica resta efficiente anche tra le scartoffie dello Stato sociale: in Scandinavia esiste la più grande banca dello sperma del mondo, in cui sono conservati, alla giusta temperatura (i ghiacci aiutano) ben 170 litri di sperma umano, prodotti dalle, diciamo, prestazioni gratuite o a pagamento dei giovani nordici. Interrogati per una coscienziosa e scientifica statistica, la maggior parte di loro si è detta convinta di svolgere un servizio sociale a favore delle connazionali. Assoluta è l’indifferenza per i bambini che nasceranno senza un padre, e che magari incontreranno un giorno per la strada, senza degnarli di uno sguardo, esattamente come gli altri esseri umani che incrociano tutti i giorni. Quanto alle aspiranti madri, ricevono in confezione sigillata e sterilizzata la siringa ed il contenitore di sperma, da iniettarsi in una certa posizione del corpo, da mantenere mezz’ora per il buon esito dell’impresa (zootecnica).

Sensibilissimi alle tematiche di genere, i governi del Regno consigliano i genitori a non imporre nomi maschili o femminili, ma neutri, affinché i piccoli svedesi possano scegliere il loro genere (sesso è parola sospetta, e non per moralismo bacchettone) in piena libertà. La Reale Accademia della Lingua ha introdotto il pronome neutro “hen”, per riferirsi a tutti i bambini senza discriminazioni. Nella vicina Norvegia, peraltro, analoghe pazzie pedagogiche sono state abbandonate in quanto non hanno funzionato sui fanciulli ai quali era stato imposto un mese di educazione al maschile ed uno al femminile.

Fortunatamente in Svezia l’immigrazione è molto elevata, favorita dal pregiudizio internazionalista dei socialdemocratici. Diciamo fortunatamente perché i “nuovi svedesi” sfuggono largamente alla follie descritte. Una premurosa mediatrice culturale di Stato, nel documentario di Gandini, chiede ai profughi siriani che segue, non solo di essere puntuali nei loro impegni, ma di parlare poco con gli svedesi, poiché essi “non amano perdersi in chiacchiere”.

Non risulta così strano che il contributo all’arte di un popolo che accetta modi di vita tanto inumani sia piuttosto modesto. Un gruppo pop molto amato furono gli Abba, i cui brani, invero, erano ritmati, orecchiabili ed allegri, come il celebre Fernando. Né si ricordano pittori o scultori eccelsi. Norvegese era Edvard Munch, l’autore dell’Urlo, metafora di una angosciosa condizione umana, terrorizzata dal nulla, in cui la vicina Svezia è precipitata. Bellissimo, peraltro, è un quadro di Carl Larsson, vissuto tra il 1853 e il 1919, che descrive l’anima profonda della Svezia del suo tempo, ancora contadina e un po’ paganeggiante, Il sacrificio del Solstizio d’Inverno.

Al contrario, nel cinema, lo spirito di quel popolo si è espresso a livelli eccelsi, ma sempre nell’ambito di una visione della vita cupa, tragica, negativa.

La prima grandissima stella del cinema fu Greta Garbo, la divina, le cui interpretazioni, algide ed insieme straordinarie, ne hanno fatto un mito della Settima Arte. Anche lei, tuttavia, da vera svedese moderna, finita l’epoca d’oro del suo successo, si rinchiuse in una vita di solitudine ostinata, rifiutando interviste, fotografie e pubbliche apparizioni. Un genio assoluto fu Ingmar Bergman, registra e drammaturgo, figlio di un rigido pastore luterano – nacque nel 1919 – autore di capolavori sul filo dell’angoscia e della profondità interiore, con pochi dialoghi (era pur sempre uno svedese) ed immagini stranianti esaltate dal bianco e nero. Nel Posto delle Fragole, il tema è una meditazione sulla vita e la morte. Quanto al celeberrimo Settimo Sigillo, si tratta dell’opera drammaticamente problematica di un ateo che, nondimeno, aveva un forte rapporto con l’infinito ed il Dio cristiano. I dialoghi tra il Cavaliere e la Morte sono insieme letteratura ed arte figurativa. Crediamo che oggi, tuttavia, pochi europei, e quasi nessuno svedese riuscirebbero a vibrare dinanzi alla domanda fatale, posta dal Cavaliere: “Io voglio sapere. Non credere. Non supporre. Voglio sapere. Voglio che Dio mi tenda la mano, mi sveli il suo piano, mi parli”. La risposta della Morte fu “Il suo silenzio non ti parla? “.

No, l’apparente silenzio di Dio non parla più agli europei, tanto meno agli svedesi, che accettano di nascere senza padri, avere figli dei quali poco si interessano e morire come animali del bosco, ma dopo aver compilato gli appositi moduli e pagato il relativo ticket. Quanto agli svedesi maschi, è del tutto sconcertante la propensione ad essere donatori o venditori di sperma e non padri; forse gli strilli dei piccoli turbano il funereo silenzio nazionale, forse l’autismo che li ha pervasi è tanto grande da far loro preferire il sesso solitario. Non ci sono commenti. La loro multinazionale del mobile, l’IKEA, cerca di esportare una parte del triste modello della madre patria: mobili squadrati, prevalentemente geometrici, tutti simili o uguali – è l’economia di scala – di legno chiaro, che vengono consegnati smontati. Al montaggio deve pensare l’acquirente: molto nordico essere indipendenti anche nell’arredamento.

Nonostante le premure socialdemocratiche, non pare che la felicità abiti a Stoccolma: tutte le rilevazioni sull’alcolismo, la violenza sulle donne, l’abuso di droghe pongono la Svezia ai vertici mondiali, così come la nera contabilità dei suicidi. I connazionali di Bjorn Borg e di Niels Liedholm si scatenano nei fine settimana e possiamo capirli, ma gli eccessi cui si abbandonano in date stabilite non equilibrano la diffusa inquietudine, l’ incomunicabilità tetra ed il vuoto spirituale non colmati da alcool, sesso estremo o stupefacenti.

Lo slogan dalla culla alla tomba non dice il vero. Le culle sono troppo spesso senza padri, e la tomba sembra un’alternativa migliore che trascinare la vecchiaia e la malattia soli, senza l’affetto di figli o nipoti, anche se in case pulite e ben riscaldate o in ospizi perfettamente organizzati. Nel documentario di Gandini, l’ultima parola spetta a Zygmunt Bauman che scopre l’acqua calda: meglio l’interdipendenza dell’indipendenza. Ma fu lui a teorizzare la società liquida, priva di idee, sentimenti e legami forti. Il rischio che corriamo è diventare, a breve, una Svezia in grande, senza neppure l’efficienza e la correttezza nordica. Ci sono tutti i presupposti: un individualismo diffuso e sospettoso, l’orrore per gli impegni definitivi (figli, matrimonio), la passione triste, rivendicativa, per un’uguaglianza astratta, l’ateismo pratico, il desiderio di scambiare vera libertà con false sicurezze.
 
Dio non voglia che l’alternativa dell’Europa sia di diventare una enorme Svezia o di finire musulmana. Tra la nuova sindrome di Stoccolma ed il Ramadan, la scelta sarebbe così tragica, penosa ed umiliante che forse, davvero, sarebbe meglio la morte. Da vichinghi, però, a testa alta, e non alimentando in solitaria mestizia la squallida, igienizzata, batteriologicamente pura banca del seme della Scandinavia.







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ROBERTO PECCHIOLI

mercoledì 28 settembre 2016

PER I VESCOVI TEDESCHI MARIA ERA UN PO’ VERGINE. FORSE. UNA NUOVA EDIZIONE DELLA BIBBIA, OBBLIGATORIA.


Marco Tosatti


Per la nuova Bibbia dei vescovi tedeschi Maria era un po’ vergine, forse. Lifesitenews ha un articolo di cui mi sembra interessante dare conto, per capire come sensibilità e modo di presentare dogmi e questioni di fede stiano cambiando.



La Conferenza episcopale tedesca ha presentata una nuova “traduzione unificata” (Einheitsübersetzung) della Bibbia che rappresenta una modernizzazione significativa, e diventerà il testo di riferimento dal 2017 per tutta l’area germanofona: Germania, Austria, una parte del Belgio, Svizzera, Lussemburgo e Sud Tirolo. Si chiama unificata perché dalla prima pubblicazione, nel 1962, si pensava potesse essere una versione ecumenica, che unificasse cattolici e protestanti in Germania. Ma nel 2005 i protestanti tornarono alla traduzione di Lutero.
Il responsabile del progetto di ricerca, il vescovo emerito Joachim Wanke, ha detto che si tratta di una “revisione moderata” del testo vecchio. La nuova edizione si offre come più coraggiosa nel presentare il linguaggio biblico, ha dichiarato a kath.net.

Così, dal momento che secondo la tradizione ebraica il nome di Dio non può essere pronunciato Yahweh è sostituito con Signore. Secondo il presidente della German Bible Association, Michael Theobald, ogni paragrafo presenta qualche novità.

Quando l’apostolo Papa nomina due nuovi seguaci, non sono più uomini, Andronico e Junias; sembra, in base a nuove ricerche che fossero un uomo e una donna. Il che ha portato a discutere se il termine “apostolo” possa essere applicato indifferentemente alle donne come agli uomini.

L’articolista di Lifesitenews si sofferma in particolare su un passaggio molto importante di Isaia (7:14), in cui si legge una profezia della venuta del Messia: “Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele”. Il nuovo testo legge: “la vergine ha concepito e partorisce un figlio”. “Il cambiamento sembra suggerire che la vergine non è affatto più una vergine, dopo aver concepito, e nello stesso tempo si rimuove l’impeto profetico, cambiando i tempi dal futuro al passato”, scrive il commentatore.

Questa tendenza continua, con una nota in cui si spiega che la parola ebraica “halmah” significa giovane donna, più che vergine. Questa interpretazione è oggetto di una controversia secolare fra studiosi ebraici e cristiani. Senza entrare nel dettaglio, si ricorda che la traduzione in greco della Bibbia, denominata dei Settanta, usa il termine greco parthenos, che ha solo il significato, non ambiguo, di vergine. E nell’annunciazione, come riportata da Luca 81:31) si dice “resterà incinta”, e non più che “partorirà un figlio”.

Il nuovo testo sostituirà l’edizione del 1979. Fra l’altro, si fa notare che a differenza dell’inglese, o dell’italiano, lingue in cui esistono diverse traduzioni della Bibbia, in tedesco il testo unico è quasi sempre l’unico punto di riferimento per i fedeli.










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L’eutanasia dei minori in Belgio

L’eutanasia dei minori in Belgio
 
 
Pubblichiamo in esclusiva lo studio del prof. Mauro Ronco, presidente del Centro studi Livatino, sulla vicenda dell’eutanasia dei minori in Belgio. Si tratta di una riflessione articolata, che va in profondità, ben oltre i commenti che hanno seguito nell’immediatezza.
 
Set 23, 2016
 
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1.L’eutanasia di un minore in Belgio. – Nei giorni scorsi è apparsa sui giornali la notizia che ha trovato attuazione per la prima volta in Belgio l’eutanasia su un minore. Secondo le notizie apparse successivamente il destinatario dell’eutanasia sarebbe un ragazzo di 17 anni che, secondo i medici, “soffriva di dolori fisici insopportabili”.
 
Numerose sono state le reazioni in Italia. Il Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale italiana, ha manifestato il dolore e la preoccupazione come cristiano e come persona: “La vita è sacra e deve essere accolta, sempre, anche quando questo richiede un grande impegno”.  Il prof. Alberto Gambino, Presidente di Scienza e Vita ha detto che: “Il diritto alla eutanasia del bambino altro non significa che attribuire a un adulto il potere di vita e di morte su un minorenne”, soggiungendo che: “è solo la maschera di una vera decisione, personale, libera e consapevole”. Il prof. Gianluigi Gigli, Presidente del Movimento per la vita italiano, ha detto: “La deriva belga dovrebbe costituire un campanello d’allarme per quanti, forse troppo superficialmente si apprestano a promuovere la legislazione eutanasica nel Parlamento italiano”. L’on. Eugenia Roccella, condannando l’episodio, ha dichiarato: “Cosa giustifica l’eutanasia ad un bambino?”, rispondendo, “Il dolore, si sa, oramai si può controllare efficacemente; e neppure si può invocare l’autodeterminazione, per un minore, e trincerarsi dietro la sua libertà di scelta: sono i genitori a chiedere l’eutanasia, ed è bene non nascondersi ipocritamente dietro il consenso del minore, che la legge belga richiede. Si tratta di una questione culturale; dilaga ormai la cultura dello scarto, quella che Papa Francesco non si stanca mai di denunciare. Chi è gravemente malato, chi non è più autosufficiente, è già stato scartato: per la nostra società un malato terminale non è più vivo”.
 
Sul fronte opposto vanno rilevate le dichiarazioni di alcuni esponenti che stanno alla testa del processo mediatico eutanasico. Marco Cappato, dei Radicali Italiani, ha detto: “In Italia leggi condannano alla clandestinità. Il Belgio è il primo Paese al mondo a non girare la testa dall’altra parte di fronte alle condizioni di sofferenza insopportabile che possono colpire anche persone minori”. Mina Welby ha detto in modo conciso: “Anche i minori sono in grado di decidere”. Beppino Englaro ha affermato: “Se rispettata la legge non c’è da discutere”.
 
2. L’estensione dell’eutanasia ai minori con legge 28.02.2014. – In Belgio l’eutanasia dei minori è stata introdotta con la legge del 28.02.2014, che ha modificato la legge del 28.05.2002, che aveva ammesso l’eutanasia nei confronti delle persone maggiori di età[1].
 
L’atto eutanasico va distinto dal suicidio medicalmente assistito, dalle cure palliative, dalla sedazione palliativa, dalla sedazione in fine di vita o terminale e infine dalla limitazione e dalla interruzione dei trattamenti. L’atto eutanasico è definito come «l’atto praticato da un terzo che pone intenzionalmente fine alla vita di una persona su domanda di questa».

La pratica belga dell’atto eutanasico, sviluppatasi a partire dalla legge del 2002, si svolge mediante la somministrazione di una overdose anestetizzante di un barbiturico. La legge non precisa la modalità concreta della somministrazione. Essa è praticata, nella maggior parte dei casi, per via venosa. L’incoscienza sopravviene in una decina di secondi, seguita dall’arresto della respirazione. Il cuore continua a battere per alcuni minuti prima di arrestarsi a sua volta. Non vi è alcun movimento del morente, eccetto spesso un ultimo sospiro. La via orale è molto più lenta. Il soggetto si addormenta lentamente in alcuni minuti dopo aver ingerito rapidamente la sostanza. Il seguito è aleatorio. L’arresto della respirazione avviene dopo qualche minuto; talora però occorre attendere più a lungo[2].
 
Il legislatore belga ha introdotto alcune precisazioni e limitazioni all’eutanasia dei minori rispetto a quella praticata nei confronti delle persone maggiori di età.
 
Il minore deve essere dotato della capacità di discernimento e cosciente al momento della domanda[3]. La domanda deve essere formulata “in maniera volontaria, e ripetuta”, deve essere altresì frutto di riflessione. Non deve “risultare da una pressione esterna”. Il soggetto trattato deve trovarsi “in una situazione medica senza uscita di sofferenza fisica costante e insopportabile, sofferenza che non può essere mitigata, che implica il decesso a breve scadenza, e che risulta da una affezione accidentale o patologica grave e incurabile”[4].
 
Due sono i punti che differenziano l’eutanasia dei minori rispetto a quella comune: i) non può essere praticata in caso di mera sofferenza psichica, ma soltanto di sofferenza fisica; ii) la morte del minore deve essere prevista a breve scadenza.
 
La Commissione Federale di controllo e di valutazione della legge (CFCEE) ha statuito che il decesso si considera a breve scadenza quando sia previsto come sopravveniente in giorni, settimane o mesi. E’ stimato a non breve scadenza quando sia previsto in tempi successivi. Quanto al concetto di «sofferenze insopportabili e non mitigabili», la Commissione Federale ne ha riconosciuto la difficoltà di interpretazione. Tale nozione, infatti, pur essendo riferibile ad alcuni fattori oggettivi, è in gran parte di ordine soggettivo, variando la sopportazione della sofferenza in ragione della personalità, delle concezioni e dei valori del richiedente. In considerazione di ciò la Commissione suggerisce l’interpretazione larga del carattere di insopportabilità delle sofferenze, dovendosi comunque riconoscere che il soggetto ha il diritto di rifiutare il trattamento medico volto a mitigare la sofferenza o le cure palliative.
 
Nel caso dei minori il medico deve «relazionarsi con i suoi rappresentanti legali», informandoli in ordine alle possibilità terapeutiche ancora ravvisabili, nonché sulle possibilità che offrono le cure palliative e sulle loro conseguenze. Il medico deve «assicurarsi che i rappresentanti legali manifestino il loro accordo sulla domanda del minore»[5].
 
Oltre alla consultazione, prevista per il caso comune,  circa il carattere grave e incurabile della affezione, di un altro medico «indipendente» e «competente quanto alla patologia»[6], la legge del 2014 ha previsto nel caso del minore  anche la consultazione di uno psichiatra infantile o di uno psicologo, il quale deve «assicurarsi in ordine alla capacità di discernimento» e di «attestarlo per iscritto»[7]. La domanda di eutanasia del minore non può essere oggetto di dichiarazione anticipata.
Infine, come per i maggiorenni, il medico che ha proceduto a compiere l’atto eutanasico consegna, nei quattro giorni lavorativi seguenti al suo compimento, i moduli debitamente compilati circa l’intera vicenda alla Commissione Federale di controllo e valutazione[8].
 
Va ricordato infine che l’art. 14 della legge del 2002 prevede che nessuno può essere obbligato a praticare l’eutanasia. Il medico obiettore, tuttavia, deve informare in tempo utile il malato del suo rifiuto e precisargli le ragioni di esso. Nel caso di rifiuto per ragioni mediche, egli deve inserire l’atto nel fascicolo del malato. Se è per altre ragioni, è obbligato a trasmettere il fascicolo al medico designato dal paziente.
 
3. Alcune informazioni statistiche. – Come si è detto in apertura, il caso del giovane di 17 anni è il primo dopo che la riforma è entrata in vigore il 28.02.2014.
E’ interessante prendere in esame i dati numerici circa l’applicazione dell’eutanasia in Belgio per i maggiorenni dal 2002 a oggi.  L’ultimo rapporto della Commissione Federale risale al 2014. Fa riferimento agli atti eutanasici praticati dal 01.01.2012 al 31.12.2013. Si tratta complessivamente di 3.239 casi, dei quali 3.061 riferivano sofferenze fisiche; 2.339 sofferenze psichiche[9]. E’ riscontrabile una crescita regolare degli atti eutanasici a partire dalla data dell’entrata in vigore della legge. Nel biennio precedente a quello sopra considerato (2010-2011) il numero complessivo di eutanasie era stato di 2.086, con un aumento nell’ultimo biennio di ben 1.153 casi.
La proporzione dei decessi nel biennio 2012-2013  rispetto all’insieme dei decessi in Belgio nel medesimo periodo è del 1,3% nel 2012 e del 1,7% nel 2013. E’ ravvisabile un aumento regolare di eutanasie dal 2011 in avanti, in particolare per  pazienti di età superiore a 79 anni.
 
4. Uno sguardo di diritto comparato. – Il Belgio è, insieme con i Paesi Bassi, il solo paese al mondo ad avere legalizzato l’eutanasia per i minori. L’eutanasia per le persone maggiori di età è autorizzata, oltre che in Belgio e nei Paesi Bassi, anche in Lussemburgo. Il suicidio assistito, molto vicino all’eutanasia cosiddetta attiva, è autorizzato anche in Colombia, in Svizzera e nei tre Stati americani dell’Oregon, di Washington e del Vermont.
La domanda dell’eutanasia o del suicidio assistito deve essere in tutti i paesi volontaria, frutto di riflessione, informata e persistente nel tempo. Soltanto i Paesi Bassi e il Belgio ammettono richieste anticipate di eutanasia.
 
5. Le tappe dell’approvazione della legge. – La legge che ha esteso l’eutanasia ai minori è stata approvata il 12.12.2013 dal Senato con 50 voti a favore e 17 contrari. La Camera dei Deputati ha approvato la legge il 13.02.2014 con 86 voti a favore, 44 contrari e 12 astenuti.
 
6. Rilievi e reazioni prima e durante il processo di approvazione della legge. – Prima dell’approvazione del Senato il 5.11.2013, sedici pediatri hanno sollecitato l’approvazione della legge con un appello, sostenendo che in caso di malattia grave e di morte imminente, i minori sviluppano molto rapidamente una grandissima maturità, a tal punto da essere capaci di riflettere e di esprimersi meglio sul tema della vita di persone maggiorenni in buona salute[10].
 
Il 6 novembre, in un comunicato congiunto, i rappresentanti del cristianesimo, del giudaismo e dell’islam in Belgio hanno manifestato la loro preoccupazione di fronte al rischio di banalizzazione dell’eutanasia, opponendosi alla sua estensione ai minori. In particolare hanno sostenuto che: “proporre che dei minori possano decidere della loro propria eutanasia è un modo di falsare la loro facoltà di giudizio e conseguentemente la loro libertà”. Essi hanno altresì denunciato la pressione esercitata sul corpo medico e sul personale curativo affinché pratichino un atto che non è di tipo medico. Il comunicato terminava con le considerazioni seguenti: «Le consentement prévu par la loi tend à devenir de plus en plus une réalité sans consistance. La liberté de conscience des personnes concernées risque de ne pas être sauvegardée. L’euthanasie des personnes fragiles, enfants ou personnes démentes, est une contradiction radicale de leur condition d’êtres humains. Nous ne pouvons dès lors entrer dans une logique qui conduit à détruire les fondements de la société»[11].
 
Qualche settimana più tardi le Conseil Central Laique ha manifestato la sua gioia perché il Senato aveva compiuto una prima tappa importante per l’estensione della legge sull’eutanasia. Naturalmente si trattava soltanto di una prima tappa perché il Centro laico sollecitava almeno due passaggi ulteriori. Anzitutto si lamentava che la legge escludesse la rilevanza della sofferenza psicologica e introducesse una sorta di diritto di veto da parte dei genitori. Invitava inoltre il legislatore ad affrontare il problema dell’eutanasia nei riguardi delle persone colpite da demenza avanzata che abbiano redatto una dichiarazione di eutanasia, nonché i problemi della limitata validità della dichiarazione anticipata, del dovere del medico di trasferire a un collega il malato nel caso di rifiuto di praticare l’eutanasia, e del divieto di ostacolare l’applicazione dell’eutanasia alle case di cura refrattarie[12].
 
Alla fine dicembre 2013, dopo l’approvazione del Senato, l’Accademia Pontificia per la Vita ha rappresentato la sua inquietudine di fronte alle “Nuove derive etiche in Belgio”[13], sostenendo, tra l’altro, che il processo di legge belga pervertiva l’idea di misericordia.
 
Durante il percorso della legge alla Camera i Vescovi del Belgio, uniti in conferenza episcopale a Grimbergen, hanno mosso critiche alla proposta di legge sotto cinque distinti profili. Il primo riguarda il superamento del divieto di uccidere, che sta alla base della società: «en ouvrant la porte à l’euthanasie des mineurs, on court le danger de vouloir l’étendre aux handicapés, aux personnes démentes, aux malades mentaux, et même à ceux qui sont fatigués de vivre. On risque ainsi de changer le sens de la vie humaine et d’accorder la valeur d’humanité seulement à ceux qui sont capables de reconnaître la dignité de leur propre vie. On introduit donc le doute sur la valeur de certaines vies humaines» [14]. Il secondo è il rischio di rovesciare la concezione della pratica medica. Il terzo concerne il rinvio alla coscienza di ciascuno circa il significato della propria morte. Il quarto riguarda il tema della sofferenza. Il quinto concerne il tema della spiritualità, cioè il fatto che con l’eutanasia la persona  si gioca tutto il senso della vita[15].
 
Il 29 gennaio è apparso il documento forse più importante nell’intera vicenda. Trentotto pediatri belgi hanno chiesto la sospensione della proposta di legge. Essi, impegnati in ospedali e centri di cura in tutto il Paese, ritenevano che fosse necessaria una riflessione maggiore sul tema. Non sussisteva peraltro alcuna richiesta da parte della popolazione di estendere l’eutanasia ai minori né il bisogno urgente di approvare rapidamente la legge. Essi osservavano altresì che sono largamente disponibili i mezzi per mitigare la sofferenza. Mostravano i loro dubbi infine sulla capacità di giudizio dei giovani e sul rischio che persone esterne li influenzassero indebitamente[16].
 
Infine, in prossimità dell’approvazione della legge l’Arcivescovo di Malines Bruxelles e Primate del Belgio Mgr. Léonard, insieme con i suoi tre Vescovi Ausiliari, ha lanciato un appello a tutti i decanati, alle basiliche e ai santuari dell’Arcidiocesi affinché il 6 febbraio si osservasse una giornata di digiuno e alla sera fosse tenuta una veglia di preghiera: «afin d’éveiller les consciences et de provoquer un ultime débat public au moment où notre pays risque de se donner une législation étendant la possibilité de l’euthanasie à des personnes mineures»[17].
 
L’11 febbraio seguente una lettera aperta è stata inviata al Presidente della Camera di parte di 160 pediatri che hanno protestato pubblicamente contro la proposta di legge[18].
 
Infine, una dichiarazione sulle cure palliative per bambini resa a chiusura della Conferenza de l’Internatonal Children’s Palliative Care Network (ICPCN), tenutasi a Mumbai in India dal 10 al 12 febbraio che ha riunito 250 esperti in cure palliative pediatriche di 35 Paesi invitava il Governo belga a riesaminare la decisione permissiva dell’eutanasia per i bambini, auspicando: «l’accès pour tous les enfants atteints de maladies limitant leur espérance de vie à des services appropriés de contrôle de la douleur et des symptômes et à des soins palliatifs de haute qualité qui permettent de répondre à leurs besoins particuliers»[19].
 
7. Alcune reazioni dopo l’approvazione della legge. La firma del Re. – L’approvazione della legge ha riscosso l’applauso di gran parte della stampa belga. Il quotidiano Morgen osservava che la nuova legge, incompresa all’estero e poco utile secondo certuni, aveva notevole importanza, perché costituiva il segno di una grande modernità. Concludeva: «Ce pays a beau être économiquement de droite dans le Nord et de gauche dans le Sud, quand il s’agit d’une question éthique il apparaît clairement que la déchristianisation est définitive et que le respect du libre arbitre règne. […] Et de cela, nous pouvons être tous fiers»[20].
 
I Vescovi del Belgio hanno ancora espresso la loro protesta: «Le droit de l’enfant à demander sa propre mort est un pas de trop. Il s’agit de la transgression de l’interdit de tuer, qui constitue la base de notre société humaine»[21].
 
Il quotidiano tedesco Die Welt ha criticato la posizione del Belgio affermando che «Uno Stato che autorizza l’eutanasia dei minori è uno Stato in fallimento»[22].
Alcuni Parlamentari della Duma russa hanno chiesto al Ministero degli Affari Esteri del loro paese di valutare la proibizione dell’adozione dei bambini russi da parte di persone belghe.
Inutile è stato l’appello lanciato da 200.000 cittadini europei all’attenzione del Re affinché non promulgasse la legge autorizzativa dell’eutanasia per i minori.
 
8. Il significato «capitale» dell’eutanasia dei minori nel processo di distruzione della vita. – Rappresentati gli aspetti giuridici e fattuali più importanti, si possono svolgere ora alcune considerazioni critiche.
 
La prima concerne il significato che all’estensione dell’eutanasia ai minori attribuiscono i suoi sostenitori. Rivelative sono le parole di J.P. Schreiber[23]. Egli ricollega l’eutanasia ai minori all’interno di una sequenza volta alla «laicizzazione» delle istituzioni. Così egli dice: “Abbiamo impegnato molto tempo a disfarci del peso della morale religiosa, in un paese che vi era in altri tempi fortemente sottomesso. Dopo l’approvazione nel 1990 della legge che ha depenalizzato l’interruzione volontaria della gravidanza, abbiamo intrapreso un cammino difficile ma capitale verso più libertà per l’individuo e per la società. Con l’adozione di leggi progressiste nel campo dell’eutanasia, della bioetica, del matrimonio e dell’adozione per tutti, il Belgio è divenuto …uno dei  paesi al mondo in cui la laicizzazione delle istituzioni simboliche è stata più forte”. E soggiunge: “Nel contesto in cui siamo, cioè quello di un ritorno in forze  di derive religiose e settarie che minacciano la libertà e la democrazia, è necessario più che mai restare vigilanti e capaci di anticipazione”.
 
Allora, lo scopo perseguito con l’estensione dell’eutanasia non è tanto la preoccupazione per la sofferenza dei malati, quanto la laicizzazione della società, ove il termine allude alla spogliazione delle realtà fondamentali della vita di ogni significato spirituale. Vita, matrimonio, famiglia, adozione dovrebbero essere cose disponibili per la libertà del singolo; non possederebbero alcun valore superiore al mero dato fattico-materiale. Significativo è il legame indicato da Schreiber tra l’inizio e la fine del processo, l’aborto e l’eutanasia, la cui cifra comune è la distruzione della vita esistente in forza della decisione assunta da coloro che sono i custodi della vita che viene distrutta. La vita propria nell’eutanasia; la vita del bimbo nel grembo materno da parte della madre.
 
9. Eutanasia e «cultura della morte». – Non è difficile scorgere in questa catena dall’aborto all’eutanasia i tratti della «cultura della morte» che S. Giovanni Paolo II ha stigmatizzato in molti luminosi insegnamenti. Il primo riferimento a questo concetto è forse del 1984, quando il Pontefice rivolge ai giovani riuniti a Roma per il Giubileo l’invito a “svolgere un’azione di denuncia contro i mali di oggi parlando innanzitutto contro quella diffusa “cultura di morte” che, almeno in certi contesti etnico-sociali (per fortuna, non dappertutto), si rivela come un pericoloso piano inclinato di scivolamento e di rovina”[24]. I riferimenti espliciti a questo concetto diventano sempre più frequenti, soprattutto negli anni 1984 (4 volte), 1988 (10), 1991 (13), 1992 (8), 1993 (10) e 1994 (4)[25]. Di questo tema Egli parlerà in modo approfondito nell’Esortazione apostolica Christifideles laici (1988), nell’Enciclica “Centesimus Annus” (1991), e, soprattutto, nell’Evengelium Vitae (1995). Molto importante è anche l’istituzione della Pontificia Accademia per la vita (1 marzo 1994) che, nel progetto del Papa, accogliendo le personalità più qualificate nel campo delle scienze biologiche, mediche, sociali, morali e giuridiche, avrebbe dovuto costituire il luogo privilegiato per la difesa e la promozione della vita.
 
L’eutanasia è un obiettivo importante per la «cultura della morte», la cui gravità non deve essere sottovalutata. Ma il piano è inclinato e non conosce soste o rallentamenti. Subito dopo l’approvazione del testo di legge nelle Commissioni Giustizia e degli Affari sociali del Senato belga le Conseil Central Laique, pur declinando la sua soddisfazione per il risultato raggiunto, proponeva il superamento del testo su due piani. Anzitutto lamentava che fosse stato escluso il caso della sofferenza psichica e che fosse stato prevista una sorta di «diritto di veto» per i genitori. In secondo luogo osservava che era ormai giunto il momento di affrontare altri temi già emersi nella pratica, tra cui, soprattutto, il problema dell’eutanasia delle persone incapaci di intendere o di volere.
 
L’eutanasia dei minori si inserisce all’interno di un piano complesso di desacralizzazione della vita. I limiti frapposti dalle norme giuridiche, che sembrano mostrare la moderazione del legislatore, sono specchietti per le allodole. A fronte dell’opposizione della maggioranza della gente comune, si comincia con il dire (e si scrive nelle leggi) che l’eutanasia è ammessa soltanto per alcuni casi limitati, quando le sofferenze sono insopportabili e non mitigabili. Ma, nello stesso tempo, raggiunto il risultato, coloro che guidano il processo si affrettano a dire che i limiti previsti dalla legge debbono essere superati.
 
Si osservi. L’esclusione del caso delle sofferenze psichiche vuole rispondere all’obiezione che esse sono insuscettibili di accertamento obiettivo. Pertanto, la porta resta aperta alla generalizzazione dell’eutanasia, ben al di là del caso delle sofferenze insopportabili e non mitigabili. Lo scopo addotto della legge, la «misericordia» verso il sofferente, verrebbe meno, come già è venuto meno per gli adulti, e si scoprirebbe la valenza nichilistica della legge. In altri termini, ammettere l’eutanasia anche per il caso delle sofferenze psichiche significherebbe contraddire la ragione per la quale l’eutanasia è propagandata, tutto quanta inerente all’insopportabilità della sofferenza fisica. Appena posto il limite, se ne richiede però il superamento. Allo stesso modo, l’esclusione dell’eutanasia nei riguardi delle persone dementi vorrebbe rimarcare il fatto che il suo fondamento è il diritto di libera autodeterminazione del malato e che non esiste alcuna «licenza di uccidere» i deboli e gli «unfit». Senza il richiamo retorico alla libertà, l’eutanasia perderebbe gran parte del suo sostegno sociale, basato sulla esaltazione individualistica di un falso concetto di libertà assoluta dell’individuo, avulso da ogni limitazione di carattere oggettivo. Ma non appena la legge è fatta, immediatamente se ne richiede l’estensione a coloro che non sono in grado di intendere o di volere. Un primo passo di «civiltà» è stato fatto – si dice –  bisogna procedere oltre!
 
10. La vastità del progetto contro la vita e le condizioni per resistere a esso. – Ciò rende evidente che il progetto che muove i sostenitori dell’eutanasia è molto più vasto. La libertà di autodeterminazione è il mezzo che, accarezzando un’idea distorta di libertà, serve per rendere accettabile l’eutanasia, ma il fine è realizzare la completa signoria delle persone «fit» sulle persone «unfit», secondo un progetto di dominazione tecnologica della vita umana.
 
Il progetto eutanasico, nel momento terminale della vita, si salda con il progetto, per la fase iniziale, della diffusione della fecondazione artificiale, non soltanto per le coppie stabili che soffrono di sterilità o di infecondità, ma per chiunque, tanto per il “single” o per le coppie omosessuali. Sia l’eutanasia che la fecondazione artificiale, soprattutto quella eterologa, si pongono al servizio del progetto di dominazione tecnologica della vita.
 
Gli effetti del piano inclinato, peraltro, sono evidenti non soltanto con riferimento all’aspetto qualitativo delle cose, ma anche quantitativo. I dati quantitativi riferiti all’inizio di queste note sulla diffusione dell’eutanasia in Belgio dal 2002 al 2014 mostrano una costante crescita, particolarmente rilevante nel passaggio dal 2013 al 2014, anno in cui le morti per eutanasia raggiungono la percentuale dell’1,7% sul totale dei decessi avvenuti nell’anno. Se rapportiamo questo dato a un numero di decessi di un milione si avrebbero diciassettemila uccisioni eutanasiche in un anno.
E i dati sono purtroppo in crescita.
 
Ciò rivela, ancora una volta, quanto sia grande l’influenza delle leggi sui comportamenti umani, soprattutto in contesti sociali in cui sono venuti meno i vincoli di carattere familiare e di prossimità tradizionale. La possibilità dell’eutanasia, lungi dal costituire l’effetto della libertà di autodeterminazione, costituisce la conseguenza della solitudine e dell’abbandono in cui vengono a trovarsi fasce sempre più vaste della popolazione. In una società martoriata dall’individualismo, dall’efficientismo e dal consumismo, l’uomo e la donna si sentono perduti quando vengono meno le capacità di consumare e di partecipare al ciclo fatuo del «divertimento». La persona si sente allora inutile. I costi per l’assistenza tendono a diventare insostenibili per una società sempre più vecchia e ripiegata su se stessa. I mezzi di comunicazione, guidati dalle generazioni «fit», lasciano trasparire che sussiste una certa «dignità» nel farsi dare la morte da un medico o da un infermiere, nel clima chiuso alla speranza della struttura sanitaria.
 
I filosofi forniscono spiegazioni e giustificazioni dell’atto eutanasico. La categoria dei giuristi è soddisfatta perché il suo strumento di lavoro – la legge – appare di poter dire la parola decisiva in campi che le erano tradizionalmente e giustamente preclusi.
 
Coloro che si schierano a favore del diritto alla vita e tentano di opporsi alle leggi eutanasiche sono additati al disprezzo, siccome rappresentanti di una mentalità che, per vuote ragioni di principio, per lo più di carattere religioso, vuole arrestare la libertà di autodeterminazione della persona  e infliggere ingiuste sofferenze ai malati. Nello scritto di J.P. Schreiber più sopra citato gli oppositori all’estensione dell’eutanasia ai minori sono criticati nei “loro eccessi”, perché vogliono impedire che gli uomini e le donne siano liberi e facciano ciò che vogliono dei loro corpi e delle loro vite, perché il corpo e la vita non appartengono che all’individuo[26]. L’individuo non appartiene che a se stesso; è chiuso in sé; nulla dice agli altri e gli altri non sono capaci di relazionarsi con lui.
 
Se questa è la dimensione in cui si diffondono la «cultura di morte» e la pratica eutanasica, è evidente che il contrasto all’eutanasia deve essere inserito in un progetto più vasto. L’opposizione alle proposte di legge eutanasiche che saranno presto discusse nel Parlamento italiano deve innestarsi in una proposta complessiva di superamento della mentalità individualistica, ove i vari problemi, da quello del significato della vita, del contenimento della sofferenza, dell’aiuto proattivo a coloro che soffrono, debbono essere mostrati come strettamente connessi tra loro.
 
Non basta denunciare il «piano inclinato». Ormai sono gli stessi propositori delle leggi eversive a dichiarare sfrontatamente che il piano è inclinato, e che il processo va dall’aborto alla distruzione della famiglia all’eutanasia. Occorre mostrare il carattere disumano della società in cui la malattia non ha più senso e valore; in cui la fretta e il disinteresse impongono di dimenticare la sofferenza e di gettare lo sguardo da un’altra parte affidando alla scienza il compito di sbarazzarsi di essa.
 
La sofferenza dei  bambini è sempre stato il tema più arduo che interpella l’uomo e la donna. La cura della sofferenza, con l’uso completo di tutti i mezzi che la scienza è in grado di offrirci per mitigarla, è stata ed è ancora oggi la porta stretta che apre alla compassione e all’amore. Non si dimentichi di ricordare l’intrinseca perversità in cui precipiterebbe la società quando ai soggetti fragili e sofferenti si facesse capire che la via migliore, più «dignitosa», è accomiatarsi dagli altri, «togliendo il disturbo», risparmiando la spesa per le cure e devolvendole ad altri fini, più lucrosi e produttivi, di sviluppo e di progresso, e non di cura e di assistenza. L’anziano ormai solo, non più produttivo ed efficiente, verrebbe sospinto subdolamente alla morte, mentre gli si fa credere ipocritamente che la decisione è soltanto sua, e che essa è frutto della sua più totalitaria  libertà. Le interazioni tra i comportamenti umani, pur sottili, sono reali. Le relazioni sociali nell’era della libertà apparentemente assoluta degraderebbero fino a far diventare reale il detto empio che Thomas Hobbes ebbe a proclamare all’inizio della modernità (o della laicizzazione, come oggi si dice). Contro la pratica implacabile dell’ «homo homini lupus» deve farsi valere quella più discreta dell’«homo homini homo», ove l’uomo che sta vicino agli altri non pretende di risolvere tutti i problemi, ma presta con umiltà tutti i giorni un suo modesto aiuto a chi si trova in difficoltà. L’uomo è il sostegno del bene per l’altro uomo. E ciò tanto più vale quanto più colui che ha bisogno di aiuto è il debole, il sofferente, il bambino ammalato.

 
[1] Per un esame completo della riforma del 2014 cfr. C. Degraux, L’euthanasie des mineurs en Belgique, Université catholique de Louvain. Faculté de droit et de criminologie, 2015, con ampia bibliografia, di cui mi sono avvalso attingendo direttamente alle fonti.
[2] Per queste notizie cfr. F. Damas, La mort choisie: comprendre l’euthanasie et ses enjeux, coll. Santé en soi, Bruxelles, Mardaga, 2013, pp. 111-115). François Damas è capo servizio delle cure intensive al Centro Ospedaliero Regionale de la Citadelle, professore all’Università di Liegi e membro della Commissione Federale di controllo e di valutazione dell’eutanasia.
[3] Art. 2 a) della legge del 2014.
[4] Art. 2 c) della legge del 2014.
[5] Art. 2 d) in fine della legge del 2014.
[6] La Commissione Federale ha ritenuto che un medico generico possiede la competenza necessaria per ottemperare al compito definito dalla legge.
[7] Art. 2 d) della legge del 2014.
[8] Art. 4, § 1, al. 1 della legge del 2002 relativo all’eutanasia.
[9] Commission fédérale de contrôle et d’évaluation de l’euthanasie, Sixième rapport aux chambres législatives (années 2012-2013).
[10] UN COLLECTIF DE SIGNATAIRES, «Sénateurs, sortez l’euthanasie des mineurs de l’ombre», 5 novembre 2013, Le Soir, www.lesoir.be/355301/article/debats/cartes-blanches/2013-11-05/senateurs-sortez-l-euthanasie-des-mineurs-l-ombre.
[11] Communiqué des chefs religieux en Belgique au sujet de l’euthanasie, 6 novembre 2013, http://www.lacroix.com/Actualite/Europe/DOCUMENT-Communique-des-chefs-religieux en-Belgique-au-sujet-de-l-euthanasie-2013-11-06-1056833.
[12] Communiqué de La Laïcité, « Extension de la loi euthanasie aux mineurs : le texte de la proposition de loi a été voté ce mercredi 26 novembre en commission Justice et Affaires sociales du Sénat grâce à une majorité alternative… »,www.laicite.be/actualite/euthanasie-extension-mineurs.
[13] C., LAPORTE, «Euthanasie: Rome tance la Belgique», 4 décembre 2013, La Libre, www.lalibre.be/actu/belgique/euthanasie-rome-tance-la-belgique 52b7bdb73570105ef7da8bf3
[14] Communiqué des évêques de Belgiques, « L’euthanasie et ses enjeux », 22 janvier 2014,
www.catho.be/index.php?id=communiques-officiels.
[15] Ibidem.
[16] UN COLLECTIF DE SIGNATAIRES, «Fin de vie des enfants: une loi inutile et précipitée», 29 janvier 2014, La Libre,www.lalibre.be/debats/opinions/fin-de-vie-des-enfants-une-loi-inutile-et-precipitee-52e93c5b3570e5b8eeea1a00
[17] MONSEIGNEUR LEONARD ET SES TROIS EVEQUES AUXILIAIRES, « Le 06/02/2014 – Appel de l’archidiocèse de Malines-Bruxelles à un jour de jeûne et une veillée de prière en rapport avec la proposition d’extension de l’euthanasie aux mineurs d’âge », 31 janvier 2014, L’Église catholique de Bruxelles, www.catho-bruxelles.be/Actualites-galeries/Communiques-142/Le-06-02-2014-Appel-de-l.
[18] BELGA, «Les pédiatres préoccupés par le vote ‘hâtif’ sur l’euthanasie des mineurs», 11 février 2014, 7sur7, www.7sur7.be/7s7/fr/1518/Sante/article/detail/1791652/2014/02/11/ Les-pediatres   preoccupes-par-le-vote-hatif-sur-leuthanasie- des-mineurs.dhtml.
[19] Déclaration de Mumbai de l’ICPCN 2014, 12 février 2014, www.icpcn.org/icpcn-mumbai-declaration-2014/
[20] Y., DESMET, « De verrassende erfenis van Boudewijn: waarom België een ethisch pioniersland werd », 14 février 2014, De Morgen, www.demorgen.be/binnenland/de verrassende-erfenis-van-boudewijn-waarom-belgie-een-ethischpioniersland-werd a1793306/.
[21] WEBMASTER, «Euthanasie: Réaction des évêques de Belgique», 13 février 2014, InfoCatho, http://info.catho.be/?p=47270.
[22] E., FUHR, « Sterbehilfe für Kinder ist eine monströse Idee », 14 février 2014, Die Welt,
www.welt.de/debatte/kolumnen/Fuhrs-Woche/article124842767/Sterbehilfe-fuer-Kinder-ist-eine-monstroese-Idee.html.
[23] J.P. SCHREIBER, Bollettino trimestrale dell’A.D.M.D (Association pour le Droit de Mourir dans la Dignité),  n 131, del 2014.
[24] S. Giovanni Paolo II, Ai giovani venuti a Roma per il Giubileo, Roma 14 aprile 1984, in  Insegnamenti, VII, 1 (1984), 1022.
[25] G. Miranda, «Cultura di morte». Analisi di un concetto  e di un dramma, in Commento interdisciplinare alla «Evangelium vitae», Libreria  Editrice Vaticana, 1997, p. 233.
[26] Schreiber, op. cit., p. 16.





http://www.centrostudilivatino.it



 

I cattolici tradizionalisti sono “strani”?




 
 
Traduzione a cura di blog.messainlatino.it

29-8-2016
 
Quante volte ci siamo sentiti dire, in un modo o nell'altro, che i cattolici tradizionali sono "strani" a causa del nostro modo di vestire, per le cose verso cui siamo più zelanti, per la nostra devozione alla liturgia, per la nostra adesione alle vecchie abitudini, per la nostra tendenza a evitare gli intrattenimenti popolari, e cose del genere? Quante volte ci hanno rivolto il consiglio, dato con buone intenzioni, secondo il quale quando si tratta dei nostri gusti, opinioni e pratiche dovremmo stare attenti a non essere "troppo diversi" da ciò che ci circonda?

 Vero è che non si dovrebbero coltivare deliberatamente stranezze, eccentricità, o affettazioni, in quanto questi sono espressione di vanità. Inoltre, coloro che si sforzano di influenzare positivamente le persone con cui entra in contatto dovrebbe dimostrare loro una certa naturalezza. Tuttavia, troppo spesso i consigli di cui sopra sembrano portare un messaggio subliminale: "conformati al mondo laicizzato e non resistere ostinatamente. La maggior parte di ciò che le persone fanno e pensano va bene, dopo tutto, e si deve andare al passo con i tempi, dal momento che lo Spirito soffia in tutto il mondo. Non resistere alla cultura della tolleranza, dell’informalità, della convenienza, o alle sollecitazioni dei media. In realtà, è necessario acquisire tutte le novità moderne e trasformarle in strumenti per la nuova evangelizzazione!".
 
Questo messaggio non è solo falso, ma pericolosamente falso. Tutti i movimenti di riforma nella storia della Chiesa hanno voltato le spalle agli aspetti tipici della società e alla cultura del loro tempo - proprio quegli aspetti che rappresentavano compromessi con la mondanità e la laicità. Come Papa Giovanni Paolo II ha detto giustamente riguardo al mondo secolare di oggi: "Urge che i cristiani riscoprano la novità della loro fede e la sua forza di giudizio di fronte alla cultura dominante e invadente"[1]. Coloro che stanno coraggiosamente affrontando, resistendo, e cercando di ribaltare la cultura anti-cattolica della modernità, che è ovunque diffusa e del tutto egemonica, stanno facendo quindi proprio quello che devono fare, come soldati e testimoni di Cristo segnati col sigillo di Cresima.

La “Homeschooling” è considerata "strana" dagli americani convenzionali, ma milioni di cristiani negli Stati Uniti, tra cui molti cattolici di orientamento tradizionalista, l’hanno abbracciata per il suo essere più in sintonia con i diritti e doveri dei genitori, in particolare quando le alternative istituzionali sono così vergognosamente cattive. La formazione umanistica con le grandi opere classiche viene considerata del tutto fuori moda, antiquata, irrilevante, e perfino estremista, ma i cattolici che hanno preso questo modello di istruzione a vari livelli ne stanno dimostrando la perenne efficacia e ottima utilità. Credere che le seguenti cose, il divorzio, la contraccezione, l'aborto e il comportamento omosessuale sono sbagliate è visto come assolutamente strano da una crescente maggioranza dei nostri concittadini, ma i fedeli cattolici vogliono contrastare questi mali per il veleno amaro che sono, non importa cosa succeda. Essere cattolico in modo serio – cioè credere nell'Incarnazione del Figlio di Dio, nei sette sacramenti, nella presenza reale del Corpo e del Sangue di Cristo nella Santa Eucaristia - ci qualifica nel 2016 come la più strana delle stranezze.
 
Forse, allora, il nostro problema è che ci preoccupiamo troppo di risultare strani nella percezione di coloro che non hanno né la capacità né il diritto di giudicarci. E' ora di smettere di preoccuparsi di ciò che "la gente là fuori potrebbe pensare" e di essere i "santi folli" della tradizione cristiana. San Paolo venne deriso ad Atene dai sapienti dell’epoca, ma non ha cambiato il suo messaggio o il suo modo di vivere. San Giovanni Crisostomo ha dato questo consiglio alla sua congregazione: "Quegli altri [i pagani] fanno della loro casa un teatro; è necessario che voi facciate della vostra casa una chiesa. Perché là dove si recitano i salmi, le preghiere, le letture dei profeti, con un atteggiamento pio tra i cantori, non si commetterebbe errore nel chiamare chiesa una tale assemblea".

I critici dei tradizionalisti spesso li accusano di ritirarsi dalla società e formare le proprie comunità. Mentre sappiamo che ci può essere un modo malsano di fare questo, non di meno c'è un modo sano e anzi necessario di farlo, in un momento di degrado sociale e di decadimento morale. Infatti una figura come Joseph Ratzinger ha spesso elogiato tali "comunità intenzionali":

Oggi ci sono cristiani che abbandonano questa strano consenso verso la vita moderna, che tentano nuovi stili di vita. A dire il vero, non ricevono alcun riconoscimento pubblico, ma stanno facendo qualcosa che davvero punta al futuro [3].
 
Nella nostra epoca la fede è in gran parte scomparsa come forza formativa pubblica. Come diventare creativi? La fede non è stata forse ricacciata in tutto il mondo per farla diventare una semplice sottocultura?... Ma anche nel mondo occidentale, la parola "sottocultura" non deve spaventarci. Nella crisi di civiltà che stiamo vivendo, è solo dalle isole di rifugio spirituale che potrà uscire una nuova purificazione e unificazione culturale. Ovunque la fede si risveglia in comunità vive vediamo come anche la cultura cristiana si sviluppa di nuovo, come l'esperienza comune fornisce l’ispirazione e apre nuove strade che non potevamo vedere prima [4].

Una stretta associazione con le comunità monastiche sarà sicuramente un modo per avere una sperimentazione della realtà cristiana. In altre parole, se la società nella sua totalità non è più un ambiente cristiano, così come non lo era nei primi quattro o cinque secoli, la Chiesa stessa deve formare cellule in cui il sostegno reciproco e il cammino comune, ossia il grande ambiente vitale della Chiesa in miniatura, possano essere conosciuti e messi in pratica [5].
 
Forse siamo di fronte ad un nuovo e diverso tipo di epoca nella storia della Chiesa, dove il cristianesimo sarà nuovamente caratterizzato dall’essere principalmente “il granello di senape”, dove esso esisterà in piccoli gruppi apparentemente insignificanti ma che sapranno comunque vivere una lotta intensa contro il male e portare nel mondo il bene, lasciando che il Signore agisca [6].

Tutto questo, ovviamente, ha implicazioni liturgiche. Mi viene in mente un'altra affermazione di Giovanni Paolo II: "In una cultura che non approva né pratica la meditazione silenziosa, l'arte dell’ascolto interiore si apprende solo con difficoltà. Qui vediamo come la liturgia, anche se deve sempre essere adeguatamente inculturata, deve anche essere una contro-cultura " [2].
 
I secoli più missionari nella storia della Chiesa sono stati, per qualche strana coincidenza, anche ricchi di tradizioni ecclesiastiche (si pensi solo alla grande ondata di missionari nel Nuovo Mondo nei secoli XVI e XVII, i quali hanno portato la Messa tradizionale in latino e l'Ufficio divino ovunque andassero, e li hanno radicati saldamente nelle anime dei loro convertiti). Al contrario, gli ultimi 50 anni sono stati caratterizzati da un drastico calo della vita religiosa, da una devastazione del sacerdozio, da un crollo senza precedenti del lavoro missionario. Stiamo cominciando a riprenderci da tutto questo, ma solo perché stiamo smaltendo l’ubriacatura pseudo-teologica degli anni ‘60 e ‘70 - e con che postumi!

In ultima analisi, sparare contro la Tradizione della Chiesa o contro coloro che la amano e la custodiscono è una forma di protestantesimo, o, peggio, una forma di modernismo, come lo definisce San Pio X. Il cattolicesimo è definito dalla sua Tradizione; cacciatela via e scaccerete la fede stessa. Inoltre, le tradizioni ecclesiastiche - anche se non fanno parte del depositum fidei apostolico -meritano di essere accolte con gratitudine, abbracciate con umiltà e conservate con riverenza [7]. Il Signore ci conceda la grazia di essere oppositori della cultura dominante e pazzi per Cristo.




NOTE
[1] Lettera Enciclica Veritatis Splendor, n. 88.
[2] Giovanni Paolo II, Visita Ad Limina dei Vescovi di Washington, Oregon, Montana, Idaho e Alaska (9 Ottobre 1998).
[3] Cardinale Joseph Ratzinger, Il sale della terra, dalla traduzione di Adrian Walker (San Francisco: Ignatius Press, 1997), p. 128.
[4] Joseph Ratzinger, A New Song for the Lord [Cantate al Signore un nuovo canto, ed. Jaca Book], traduzione di Martha M. Matesich (New York: Crossroad, 1997), cap. 7 p. 126: "L’immagine del mondo e dell’essere umano nella liturgia e la sua espressione nella musica sacra”.
[5] Il sale della terra, pp. 264-65.
[6] Il sale della terra, p. 16.
[7] Su questi argomenti e affini, vedi gli eccellenti libri di F. Chad Ripperger, The Binding Force of Tradition e Topics on Tradition.

Fotografie: Joseph Shaw, The Latin Mass Society di Inghilterra e Galles. La foto ritrae persone in ginocchio sotto la pioggia che assistono la Messa solenne in uno dei pochissimi luoghi di culto medievali in mani cattoliche, la Cappella Slipper a Walsingham, che è stata appena dichiarata Basilica Minore. Questa Messa è stata il culmine di un pellegrinaggio a piedi di 58 miglia organizzata dalla Latin Mass Society.
 
Pubblicato il 29 Agosto 2016