di Benedetta Frigerio
05-09-2016
Giovanni Vianini, 76 anni, fondatore della Schola Gregoriana Mediolanensis, ha gli occhi languidi di quegli uomini che sanno ancora commuoversi per la bellezza dei dettagli più di quanto ne siano capaci le giovani generazioni. Una bellezza cui è stato attaccato con le unghie e, si capisce, non tanto per testardaggine quanto per incapacità di farne a meno. Nella sua casa milanese, zeppa di clarinetti, flauti colorati, saxofoni, spartiti e quadri che riproducono i salmi in latino, in cui risuona in sottofondo il Kyrie Eleison si percepisce la vitalità e la sicurezza che solo un forte legame con la storia e la tradizione possono comunicare. Insieme al cantore c’è sua moglie, una presenza discreta, ma attenta che serve da oltre 50 anni l’opera del marito. Vianini, lo si comprende immediatamente, sa bene chi è, da dove viene e dove va. E, come ogni vero padre, vuole consegnare quello che ha ricevuto ai posteri. Per questo della sua vita e del suo amore al gregoriano ne ha fatto una missione.
Vianini, quando cominciò ad appassionarsi al canto gregoriano?
Sono cresciuto in Chiesa negli anni Cinquanta e allora la liturgia era quella preconciliare. Non dico che la Messa in italiano non fosse necessaria, ma purtroppo quando venne tradotta negli anni Sessanta cominciai ad assistere a variazioni che hanno sempre più impoverito la liturgia. Fino ad assistere a forme contrarie alla disciplina liturgica e fino al punto che il gregoriano viene sempre più rifiutato come antiquato dai sacerdoti.
Come mai se il concilio Vaticano II, nella Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla sacra liturgia, afferma che «La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana: perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale»?
Oggi la tendenza è a cercare la partecipazione dell’assemblea, seguendo l’onda mondana, per riempire le Messe. Di fatto, però, il numero dei partecipanti all’Eucarestia è sempre minore. Perciò occorre aiutare ed educare i fedeli, insieme ma come singoli, a connettersi intimamente con Dio. Anche perché girando le chiese per registrare i canti assisto a un numero crescente di persone che entrano per pregare da sole, come cercando nel silenzio un rapporto con l’Altissimo. Credo si debba rispondere a questo bisogno, evidentemente non con liturgie rumorose che non aiutano in tale direzione. Il gregoriano in questo senso è un ponte perfetto: non è un canto di massa ma, aiutando ogni singolo a pregare, unisce tutti in Dio, favorendo così l’unità del popolo.
Perché solo a un certo punto ha deciso di fondare la scuola che dirige da 35 anni?
Volevo comunicare e continuare a far vivere la bellezza di una tradizione che risale alle prime chiese cristiane e che i monaci medioevali avevano conservato mettendo i canti per iscritto. La sentii proprio come una missione, quella appunto di avvicinare gli uomini a Dio e alla fede. É così vero che questo canto va a toccare il lato profondo e sensibile dell’uomo che tante persone, entrate in chiesa magari solo per turismo, sentendo il gregoriano si fermate come rapite.
Pensa che i giovani siano in grado comprenderlo?
Gli uomini sono tutti uguali, anche i giovani. Certo non educarli è un delitto: il gregoriano ha un messaggio ben preciso, ti parla di quell’Alto cui ogni essere umano tende. É difficile per me trovare parole per spiegare come può cambiare i cuori. Ricordo un giorno quando, finito di cantare con il nostro coro, vidi un uomo in ginocchio che piangeva: mi avvicinai e mi disse che era agnostico. Capisce? La fede non sono le omelie chilometriche che invitano a un perbenismo moralista, ma è Dio che si comunica e ti attrae verso di Lui. Parafrasando Beethoven, dico che la musica va direttamente al cuore comprendendo ma superando la ragione.
É quindi contrario a tutti gli altri canti liturgici?
Ad alcuni sì, molti altri li rispetto. Ad esempio, un conto è Camminerò che ha una melodia sciocca, altra cosa è Il mio volto di Adriana Mascagni che invece segue la tradizione rivisitandola. Io, però, a un certo punto ho fatto una scelta. Quando ero piccolo il gregoriano era l’unica forma di canto che conoscevo, poi negli anni Sessanta conobbi le rivisitazioni intelligenti di cui ho fatto cenno, penso anche ai canti di Claudio Chieffo oltre a quelli di Adriana Mascagni. Insomma, apprezzavo tutto il repertorio della raccolta “Agape”, che secondo il carisma di don Luigi Giussani riproponeva la tradizione secondo nuove forme. Ma, paradossalmente, fu proprio durante una Messa di Cl in cui cantavo che scelsi: stavamo eseguendo il “Veni creator spiritus” e mi decisi per il gregoriano puro, per me restava l’ideale. In seguito incontrai nel Duomo di Milano il fondatore dell’Opus Dei, san Josemaría Escrivá, e fui confermato nella mia decisione a riabbracciare così com’era quello che mi era stato tramandato da piccolo.
Si dibatte giustamente sulla necessità di celebrare secondo la tradizione liturgica antica, eppure lo Spirito Santo ha suscitato movimenti che sono stati capaci di conservarla rinnovandola. Perché allora questa scelta esclusiva per il gregoriano?
Questa è la mia scelta, non nego l’azione dello Spirito. Erano gli anni Sessanta quando vedevo in san Marco migliaia di studenti che prendevano meticolosamente appunti ascoltando don Giussani. Era una cosa commuovente osservarli. Di quel sacerdote colpiva la profondità degli argomenti, lo spessore umano, soprattutto metteva sempre Cristo al centro, anche durante le celebrazioni eucaristiche. Non ho mai visto quel protagonismo da showman a cui si assiste ora durante certe Messe. Quando mi capitava di cantare per le celebrazioni eucaristiche di Cl in san Marco, animate dal coro di Pippo Molino verso cui nutrivo profonda stima, si alternavano i loro canti al gregoriano. Ne ero felice. Il problema, se mai, è venuto dopo: l’allontanamento sciatto dalla tradizione liturgica che, non favorendo più il contatto con Dio, ha spinto ad un allontanamento dalla fede. Mi pare, infatti, che il messaggio cristiano e dei carismi sia spesso ridotto al materialismo.
Non a casa Joseph Ratzinger disse che «nel rapporto con la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa»
Sicuramente è così, eppure ci hanno allontanato da alcune Chiese in cui cantavamo. In un caso, solo perché non accettavamo di provare nelle ore in cui il parroco allestiva sul sagrato della canonica una sorta di discoteca “cattolica” dove avveniva di tutto. In altri casi, poi, ci hanno isolato nonostante la nostra presenza avesse incrementato la partecipazione alla Messa: le persone chiamavano addirittura per prenotarsi. In ogni caso abbiamo deciso di proseguire a cantare anche se per farlo dobbiamo pagare. Ci troviamo dalle 21 alle 22.30 ogni mercoledì presso la chiesa del Corpus Domini a Milano, mentre ogni seconda domenica del mese cantiamo alla Messa delle 18.30 in sant’Alessandro. Lo facciamo vestiti in abito bianco, anche qui non per pura estetica ma per affermare l'unità.
Quando cominciò ad essere emarginato?
Sono stato per vent’anni fra gli organisti del Duomo, dove il cardinale Carlo Maria Martini mi consegnò personalmente una medaglia spronandomi nel mio servizio. Eppure, subii un progressivo isolamento. Inizialmente reagii con un rifiuto, cercando di appassionarmi ad altri generi che non hanno nulla a che vedere con il sacro, ma di fatto lo ritrovai anche lì. Mi misi a suonare il saxofono fuori dal Duomo, scoprendo che ciò che rendeva bello il jazz e il blues era già presente nella scuola di Bach da cui provenivo e che dal tema principale sviluppa poi le variazioni. Nel 1981 invece fondai la Schola Gregoriana Mediolanensis.
Chi ha frequentato e frequenta la sua scuola?
Sono passate migliaia di persone, di adulti e giovani, di credenti e non. La mia esperienza mi dice che davvero il gregoriano attrae qualsiasi tipo umano. E, ripeto, ho constatato più volte quanto apra alla fede.
http://www.lanuovabq.it
05-09-2016
Giovanni Vianini, 76 anni, fondatore della Schola Gregoriana Mediolanensis, ha gli occhi languidi di quegli uomini che sanno ancora commuoversi per la bellezza dei dettagli più di quanto ne siano capaci le giovani generazioni. Una bellezza cui è stato attaccato con le unghie e, si capisce, non tanto per testardaggine quanto per incapacità di farne a meno. Nella sua casa milanese, zeppa di clarinetti, flauti colorati, saxofoni, spartiti e quadri che riproducono i salmi in latino, in cui risuona in sottofondo il Kyrie Eleison si percepisce la vitalità e la sicurezza che solo un forte legame con la storia e la tradizione possono comunicare. Insieme al cantore c’è sua moglie, una presenza discreta, ma attenta che serve da oltre 50 anni l’opera del marito. Vianini, lo si comprende immediatamente, sa bene chi è, da dove viene e dove va. E, come ogni vero padre, vuole consegnare quello che ha ricevuto ai posteri. Per questo della sua vita e del suo amore al gregoriano ne ha fatto una missione.
Vianini, quando cominciò ad appassionarsi al canto gregoriano?
Sono cresciuto in Chiesa negli anni Cinquanta e allora la liturgia era quella preconciliare. Non dico che la Messa in italiano non fosse necessaria, ma purtroppo quando venne tradotta negli anni Sessanta cominciai ad assistere a variazioni che hanno sempre più impoverito la liturgia. Fino ad assistere a forme contrarie alla disciplina liturgica e fino al punto che il gregoriano viene sempre più rifiutato come antiquato dai sacerdoti.
Come mai se il concilio Vaticano II, nella Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla sacra liturgia, afferma che «La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana: perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale»?
Oggi la tendenza è a cercare la partecipazione dell’assemblea, seguendo l’onda mondana, per riempire le Messe. Di fatto, però, il numero dei partecipanti all’Eucarestia è sempre minore. Perciò occorre aiutare ed educare i fedeli, insieme ma come singoli, a connettersi intimamente con Dio. Anche perché girando le chiese per registrare i canti assisto a un numero crescente di persone che entrano per pregare da sole, come cercando nel silenzio un rapporto con l’Altissimo. Credo si debba rispondere a questo bisogno, evidentemente non con liturgie rumorose che non aiutano in tale direzione. Il gregoriano in questo senso è un ponte perfetto: non è un canto di massa ma, aiutando ogni singolo a pregare, unisce tutti in Dio, favorendo così l’unità del popolo.
Perché solo a un certo punto ha deciso di fondare la scuola che dirige da 35 anni?
Volevo comunicare e continuare a far vivere la bellezza di una tradizione che risale alle prime chiese cristiane e che i monaci medioevali avevano conservato mettendo i canti per iscritto. La sentii proprio come una missione, quella appunto di avvicinare gli uomini a Dio e alla fede. É così vero che questo canto va a toccare il lato profondo e sensibile dell’uomo che tante persone, entrate in chiesa magari solo per turismo, sentendo il gregoriano si fermate come rapite.
Pensa che i giovani siano in grado comprenderlo?
Gli uomini sono tutti uguali, anche i giovani. Certo non educarli è un delitto: il gregoriano ha un messaggio ben preciso, ti parla di quell’Alto cui ogni essere umano tende. É difficile per me trovare parole per spiegare come può cambiare i cuori. Ricordo un giorno quando, finito di cantare con il nostro coro, vidi un uomo in ginocchio che piangeva: mi avvicinai e mi disse che era agnostico. Capisce? La fede non sono le omelie chilometriche che invitano a un perbenismo moralista, ma è Dio che si comunica e ti attrae verso di Lui. Parafrasando Beethoven, dico che la musica va direttamente al cuore comprendendo ma superando la ragione.
É quindi contrario a tutti gli altri canti liturgici?
Ad alcuni sì, molti altri li rispetto. Ad esempio, un conto è Camminerò che ha una melodia sciocca, altra cosa è Il mio volto di Adriana Mascagni che invece segue la tradizione rivisitandola. Io, però, a un certo punto ho fatto una scelta. Quando ero piccolo il gregoriano era l’unica forma di canto che conoscevo, poi negli anni Sessanta conobbi le rivisitazioni intelligenti di cui ho fatto cenno, penso anche ai canti di Claudio Chieffo oltre a quelli di Adriana Mascagni. Insomma, apprezzavo tutto il repertorio della raccolta “Agape”, che secondo il carisma di don Luigi Giussani riproponeva la tradizione secondo nuove forme. Ma, paradossalmente, fu proprio durante una Messa di Cl in cui cantavo che scelsi: stavamo eseguendo il “Veni creator spiritus” e mi decisi per il gregoriano puro, per me restava l’ideale. In seguito incontrai nel Duomo di Milano il fondatore dell’Opus Dei, san Josemaría Escrivá, e fui confermato nella mia decisione a riabbracciare così com’era quello che mi era stato tramandato da piccolo.
Si dibatte giustamente sulla necessità di celebrare secondo la tradizione liturgica antica, eppure lo Spirito Santo ha suscitato movimenti che sono stati capaci di conservarla rinnovandola. Perché allora questa scelta esclusiva per il gregoriano?
Questa è la mia scelta, non nego l’azione dello Spirito. Erano gli anni Sessanta quando vedevo in san Marco migliaia di studenti che prendevano meticolosamente appunti ascoltando don Giussani. Era una cosa commuovente osservarli. Di quel sacerdote colpiva la profondità degli argomenti, lo spessore umano, soprattutto metteva sempre Cristo al centro, anche durante le celebrazioni eucaristiche. Non ho mai visto quel protagonismo da showman a cui si assiste ora durante certe Messe. Quando mi capitava di cantare per le celebrazioni eucaristiche di Cl in san Marco, animate dal coro di Pippo Molino verso cui nutrivo profonda stima, si alternavano i loro canti al gregoriano. Ne ero felice. Il problema, se mai, è venuto dopo: l’allontanamento sciatto dalla tradizione liturgica che, non favorendo più il contatto con Dio, ha spinto ad un allontanamento dalla fede. Mi pare, infatti, che il messaggio cristiano e dei carismi sia spesso ridotto al materialismo.
Non a casa Joseph Ratzinger disse che «nel rapporto con la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa»
Sicuramente è così, eppure ci hanno allontanato da alcune Chiese in cui cantavamo. In un caso, solo perché non accettavamo di provare nelle ore in cui il parroco allestiva sul sagrato della canonica una sorta di discoteca “cattolica” dove avveniva di tutto. In altri casi, poi, ci hanno isolato nonostante la nostra presenza avesse incrementato la partecipazione alla Messa: le persone chiamavano addirittura per prenotarsi. In ogni caso abbiamo deciso di proseguire a cantare anche se per farlo dobbiamo pagare. Ci troviamo dalle 21 alle 22.30 ogni mercoledì presso la chiesa del Corpus Domini a Milano, mentre ogni seconda domenica del mese cantiamo alla Messa delle 18.30 in sant’Alessandro. Lo facciamo vestiti in abito bianco, anche qui non per pura estetica ma per affermare l'unità.
Quando cominciò ad essere emarginato?
Sono stato per vent’anni fra gli organisti del Duomo, dove il cardinale Carlo Maria Martini mi consegnò personalmente una medaglia spronandomi nel mio servizio. Eppure, subii un progressivo isolamento. Inizialmente reagii con un rifiuto, cercando di appassionarmi ad altri generi che non hanno nulla a che vedere con il sacro, ma di fatto lo ritrovai anche lì. Mi misi a suonare il saxofono fuori dal Duomo, scoprendo che ciò che rendeva bello il jazz e il blues era già presente nella scuola di Bach da cui provenivo e che dal tema principale sviluppa poi le variazioni. Nel 1981 invece fondai la Schola Gregoriana Mediolanensis.
Chi ha frequentato e frequenta la sua scuola?
Sono passate migliaia di persone, di adulti e giovani, di credenti e non. La mia esperienza mi dice che davvero il gregoriano attrae qualsiasi tipo umano. E, ripeto, ho constatato più volte quanto apra alla fede.
http://www.lanuovabq.it
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