martedì 31 maggio 2016

Ebrei e islamici, conversioni non gradite






di Riccardo Cascioli
31-05-2016
 
Pochi giorni fa il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha tenuto una conferenza a Cambridge, nel Regno Unito, che gli è valsa diversi titoli di giornale. Koch avrebbe infatti detto che il dovere di evangelizzare è nei confronti di tutti i non cristiani, musulmani inclusi, ad eccezione degli ebrei. Quanto a questi ultimi, i cristiani - ha detto ancora Koch - riconoscono il patto stipulato da Dio con il popolo ebraico, cosa che non si può applicare all’islam. Da ultimo Koch è andato ben oltre la definizione di “fratelli maggiori” e ha detto che i cristiani dovrebbero vedere l’ebraismo come una “madre”. Per questo non si deve convertire gli ebrei, mentre al contrario si deve evangelizzare i musulmani.
 
Queste parole hanno ovviamente fatto rumore, tanto che un sito ufficioso del Vaticano, Il Sismografo, che cura quotidianamente una rassegna stampa in diverse lingue, è andato a chiedere chiarimenti al portavoce vaticano, padre Federico Lombardi (clicca qui). Il quale si è mostrato piuttosto irritato per quella che lui considera una manipolazione delle parole del cardinale Koch, mettendo in rilievo come alcuni titoli di giornale non corrispondessero al contenuto. Il riferimento è al fatto che in alcuni titoli si è letto “dovere di convertire” i musulmani mentre nei testi di parla di “dovere di evangelizzare”, due concetti in effetti un po’ diversi. Non tali però da sollecitare un intervento del portavoce vaticano, che infatti poi passa ad affermare il vero punto della questione: «È chiaro quindi che non è corretto attribuire al cardinal K. Koch un invito al proselitismo nei confronti dei fedeli musulmani». 
 
Riassumendo: nessun tentativo di evangelizzare gli ebrei, dice Koch. Ma neanche i musulmani, precisa Lombardi. E tutto dando ovviamente per scontato che con le altre confessioni cristiane non si deve neanche pensare lontanamente di ricondurle alla Chiesa cattolica. 
 
Ad aggravare la situazione bisogna aggiungere che si tratta di affermazioni che ormai non stupiscono più nessuno, tanto sono considerate ovvie. Solo che a questo punto, bisognerebbe chiedersi seriamente: «Ma allora chi è Gesù Cristo?». È ancora l’unico Salvatore che è morto e risorto per salvare tutti gli uomini, come è stato proclamato per duemila anni? È il Vangelo ancora da considerare «la pienezza della Verità che Dio ci ha fatto conoscere intorno a se stesso», come si legge nell’enciclica Redemptoris Missio (RM) di san Giovanni Paolo II? Crediamo davvero che «aprirsi all'amore di Cristo è la vera liberazione» (RM 11)?
 
Se fossimo davvero convinti di questo, come potremmo anche solo concepire di escludere parte dell’umanità da questo annuncio? Non si tratta di portare tutti spada in pugno a sottomettersi al “nostro” Dio, ma di fare tutti partecipi di una grande gioia: la morte è stata sconfitta, siamo liberati dal peccato, il Mistero si è fatto presenza, compagnia all’uomo, come recitiamo ogni giorno nell’Angelus.
 
E in effetti tutti i documenti del Magistero dedicati alla missione mai parlano di esclusione di qualcuno o di “esenzione” di gruppi particolari quasi si dovesse decidere se partecipare o meno all’ora di religione. Afferma ad esempio il decreto conciliare Ad Gentes (1965): «La ragione dell'attività missionaria discende dalla volontà di Dio, il quale «vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità. Vi è infatti un solo Dio, ed un solo mediatore tra Dio e gli uomini, Gesù Cristo, uomo anche lui, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1 Tm 2,4-6), «e non esiste in nessun altro salvezza» (At 4,12). È dunque necessario che tutti si convertano al Cristo conosciuto attraverso la predicazione della Chiesa, ed a lui e alla Chiesa, suo corpo, siano incorporati attraverso il battesimo» (no. 7). Certo l’azione missionaria dipende anche dalle circostanze in cui ci si trova ad operare, avverte sempre Ad Gentes: «Difatti la Chiesa, pur possedendo in forma piena e totale i mezzi atti alla salvezza, né sempre né subito agisce o può agire in maniera completa: nella sua azione, tendente alla realizzazione del piano divino, essa conosce inizi e gradi»; ma «questo compito (…) è uno ed immutabile in ogni luogo ed in ogni situazione, anche se in base al variare delle circostanze non si esplica allo stesso modo» (no. 6).
 
È paradossale che mentre il Papa parla insistentemente di abbattere tutti i muri e di tenere aperte le porte della Chiesa, dal Vaticano poi arrivano ordini di costruire muri per impedire che certe categorie di persone si convertano.
Ma è ancora la Redemptoris Missio a spiegare la radice profonda di questi muri: «La mentalità indifferentista, largamente diffusa, purtroppo, anche tra cristiani, spesso radicata in visioni teologiche non corrette e improntata a un relativismo religioso che porta a ritenere che “una religione vale l'altra”» (RM, no.36).
 
In questo modo il dialogo con gli uomini e con le altre religioni non si fonda sulla Verità ma su una preoccupazione “politica”, come convivere pacificamente e come cooperare per il bene dell’umanità; è la riduzione a un’etica condivisa. Ma in fondo come avverte san Giovanni Paolo II il vero problema, il nocciolo della questione è la mancanza di fede: «La missione è un problema di fede, è l'indice esatto della nostra fede in Cristo e nel suo amore per noi. La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo a una sapienza meramente umana, quasi scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una “graduale secolarizzazione della salvezza”, per cui ci si batte, sì, per l'uomo, ma per un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione orizzontale».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Prato: solennità del S. Cuore e XXXIII anniversario di Messa di Don Enrico Bini


 
In occasione della Solennità del titolare, presso la parrocchia del Sacro Cuore di Gesù a Prato – via Ofanto, 9 – si tengono le solenni Quarantore nei giorni di mercoledì 1, giovedì 2 e venerdì 3 giugno.
 
In particolare si segnala la S. Messa che venerdì 3 giugno, Solennità del Sacro Cuore di Gesù e giornata per la santificazione dei Sacerdoti, alle ore 17 il rev,mo Canonico Don Enrico Bini celebrerà secondo la forma straordinaria del Rito Romano.
 
Il celebrante offrirà il Divin Sacrificio, con l’assistenza prelatizia del parroco Mons. Vittorio Aiazzi, alla vigilia del suo XXXIII anniversario di ordinazione sacerdotale (4giugno 1983).
 
I tanti amici del Can. Bini sono invitati ad unirsi al celebrante per ringraziare Gesù, Sommo ed Unico Sacerdote, per gli abbondanti frutti spirituali del suo ormai lungo ministero sacerdotale.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

lunedì 30 maggio 2016

Santità, vada a Genova per favore...



   
Dal 14 al 18 settembre a Genova si svolgerà il Congresso Eucaristico Nazionale. Un appuntamento importante, per i cattolici italiani. Ma per ora non è prevista la presenza del Papa. Una situazione che crea perplessità.



Marco Tosatti
30/05/2016
Dal 14 al 18 settembre a Genova si svolgerà il Congresso Eucaristico Nazionale. Un appuntamento importante, per i cattolici italiani. Se l’eucarestia è il centro della fede, è evidente che il Congresso Eucaristico di una nazione non è un’assemblea o ritrovo qualsiasi. Scrive Cathopedia: “I Congressi Eucaristici, nati nel XIX secolo in Francia come una delle espressioni del movimento eucaristico, sono assemblee ecclesiali organizzate per approfondire il mistero eucaristico e per manifestare pubblicamente la fede in esso”
 
Scrive sul sito vaticano dedicato  mons. Piero Marini, già maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie: “Ancora oggi, con la loro fisionomia rinnovata di statio orbis, i Congressi eucaristici internazionali, così come quelli nazionali o locali, continuano a ricordare che il servizio fondamentale che la Chiesa rende al mondo – insieme con l’annuncio del Vangelo – è la celebrazione dell’Eucaristia, sacramento della Pasqua del Signore che lega i credenti in comunione mirabile con Cristo all’interno di una comunità fraterna”. Il Pontefice non sarà a Genova, come gli organizzatori avevano sperato, per la chiusura del Congresso, domenica 18 settembre. La spiegazione che viene data è quella di “impegni giubilari” non meglio specificati. Ma il calendario del Giubileo non offre, per quella data, nessun evento particolare.   

In realtà dal 14 al 17, secondo quanto ci dicono, il Pontefice sarà impegnato nei colloqui con i nunzi, cioè gli ambasciatori pontifici convenuti a Roma. E’ nota la predilezione che il Pontefice ha per i diplomatici di carriera in talare, predilezione che si nota anche con le scelte per posti importanti nella Curia romana. Ma gli incontri dovrebbero terminare il 17 settembre, sabato. Il volo Roma –Genova dura 50 minuti. Una visita conclusiva è fattibile. 

Il Papa è non solo il vescovo di Roma, (e come tale Papa) ma è anche il Primate della Chiesa italiana. In linea di principio, a Genova dovrebbero essere presenti tutte le diocesi, con i rispettivi vescovi. Mancherà solo lui. Perché? Le indiscrezioni che abbiamo dal “back stage” parlano di una - diciamo così - non grande simpatia per il cardinale Angelo Bagnasco, presule di Genova e presidente della Conferenza Episcopale Italiana. 

Tanto che sarebbe stato fatto capire, o forse detto chiaramente, a Bagnasco, in alto loco, che non si trattava di trovare una data che potesse armonizzarsi con gli impegni del Papa. Non sarebbe venuto, punto e basta. 

Sinceramente, è una situazione che rende perplessi. E’ possibile che il Papa penalizzi, privandolo della sua presenza, un evento così importante per i cattolici come un Congresso Eucaristico nazionale, sulla base di un feeling negativo con il presule del luogo? 
 
Forse c’è stato qualche disguido, o incomprensione; e di qui a settembre c’è tempo per una valutazione e una decisione fresche. Anche perché l’arrivo del Papa a Genova al Porto Vecchio, dal mare, con il concerto delle sirene delle navi e delle campane è qualche cosa che farebbe di sicuro vibrare le sue corde di figlio e nipote di emigranti anche liguri. Oltre offrire uno spettacolo di prim'ordine.







http://www.lastampa.it




Amoris Laetitia, la confusione aumenta






Lettera agli amici
Un  giornalista non dovrebbe mai parlare di se stesso, se non altro per buon gusto. Faccio un’eccezione, e prometto che resterà tale, per rispondere ai tanti amici che hanno reagito ai miei ultimi articoli, nei quali non ho nascosto le perplessità circa Amoris laetitia e altre affermazioni di papa Francesco.

Amoris laetitia in un primo tempo mi è piaciuta. Ci ho visto lo sforzo sincero di calarsi nella realtà. Poi però, leggendo e rileggendo, ecco le perplessità e i dubbi. Riconducibili a una domanda che mi assilla: ma il paradigma della situazione, fatto proprio da Francesco quando suggerisce di procedere secondo la logica del caso per caso, non finisce per giustificare tutto? E, così facendo, non scivola nel relativismo? E non sarà forse per questo che Francesco è tanto applaudito da atei e laicisti, che scambiano la sua misericordia per un lasciapassare? Ecco perché ho scritto l’articolo nel quale esprimo tutte le mie perplessità su quella che ho definito la Chiesa del “ma anche”. Una Chiesa che, attraverso il paradigma della situazione contingente, alla fin fine risponde sì, ma anche no, no, ma anche sì, una Chiesa che cerca di tenere assieme ciò che assieme non può stare e che in questo modo non porta all’integrazione, ma alla confusione.

Scrivendo, avevo in mente tanti amici divorziati e risposati, così come tanti amici omosessuali, i quali, da credenti, mi hanno sempre detto di aspettare dal papa una parola sicura.
Da parte mia, nessuna “manovra”, nessun progetto di chissà quale natura, nessuna decisione di abbandonare un partito (ma quale?) per entrare in un altro (ma quale?). Solo la manifestazione sincera, e anche dolorosa, di un dubbio. Dolorosa perché voglio molto bene al papa. Ma è proprio perché gli voglio bene che lo prendo sul serio. Ed è proprio perché lo prendo sul serio che mi interrogo su quanto insegna. A partire dal concetto di misericordia, che Francesco ha messo al centro del suo magistero.

Vi dicevo di altre perplessità suscitate in me dalle parole del papa. Mi limito a due circostanze. La prima, quando, in un video dedicato al dialogo tra le religioni, Francesco ha sostenuto che “in questa moltitudine, in questa ampia gamma di religioni e assenza di religioni, vi è una sola certezza: siamo tutti figli di Dio”. La seconda, quando, nella chiesa luterana di Roma, con un lungo intervento a braccio, ha detto che la possibilità o meno di fare la comunione insieme (luterani e cattolici) “è un problema a cui ognuno deve rispondere”.

Come sarebbe a dire che la “sola certezza” è che siamo tutti figli di Dio? E il Vangelo di Gesù? Non è quella la nostra certezza? Mi chiedo: qui non siamo, di nuovo, di fronte a parole dal sapore relativista (e, in questo caso, anche sincretista)? E come sarebbe a dire che la comunione, cuore della vita cristiana, è un problema a cui ognuno deve rispondere? Non siamo qui, ancora, nel relativismo? Su una questione così importante non dovrebbe essere proprio il papa, il nostro pastore, a rispondere?
Alla luce di queste perplessità, ho riletto anche la famosa frase sul “chi sono io per giudicare?”, che all’inizio mi era apparsa molto evangelica, e pian piano è cresciuto dentro di me il dubbio: non c’è forse, anche lì, il germe del relativismo?

Lo ripeto: voglio bene al papa, molto bene. Per questo mi faccio tante domande che, fra l’altro, mi creano un sacco di problemi. Quanto sarebbe più comodo starsene tranquilli e ripetere, senza troppi pensieri, le parole che vanno per la maggiore, come misericordia, periferie, Chiesa in uscita, eccetera. Invece no: mi interrogo. Perché non mi sembra serio, oltre che ben poco cristiano, recepire tutto in modo fintamente neutro. Il buon Dio ci ha dotato di cuore e cervello, ed è contento se li usiamo.
Come molti di voi sanno, io sono un papà di sei figli. Un papà ormai un po’ attempato (e adesso anche nonno), ma che è ancora in servizio attivo (quattro le figlie che vivono con me e mia moglie Serena) e ancora, di conseguenza, si confronta ogni giorno con il problema delle risposte da dare ai figli su molteplici questioni: andare al mare in auto e fermarsi fino a tardi, dormire fuori con il fidanzato, stare a casa per evitare il compito in classe di latino, comprare o meno un vestito nuovo, cercare un appartamento per andare a vivere da sola…

Ora, mi chiedo e chiedo a voi: che padre sarei se alle mie figlie, di fronte alle mille domande che mi pongono, rispondessi: sì, ma anche no; no, ma anche sì, fate voi. Che padre sarei se rispondessi che dipende dalla situazione contingente? Se rispondessi così, non lascerei credere alle mie figlie che non esistono il bene e il male in quanto tali ma esiste solo l’esperienza individuale e quella è la misura di tutto? Che padre sarei se rispondessi che non è mio compito giudicare? Come potrei mantenere la mia credibilità se fossi un padre del “ma anche”? Che cosa significa, per un padre, essere misericordioso? Giudicare la realtà e dare risposte certe, attraverso rigorose argomentazioni, o affidarsi al paradigma della situazione?

Badate bene: io sono convinto che il relativismo sia nell’aria che respiriamo. Pertanto, tutti ci possiamo cadere, anche inavvertitamente. Ma proprio per questo motivo dobbiamo vigilare, prima di tutto nei confronti di noi stessi.

Cari amici miei, non so se sono riuscito a spiegarmi. Il discorso dovrebbe essere molto più lungo, ma credo di aver detto l’essenziale e non voglio annoiarvi.
Ringrazio tutti per l’attenzione che mi riservate: davvero non avrei mai immaginato di poter suscitare tante reazioni.

A chi poi paventa che, dietro le mie ultime uscite, ci sia una sorta di manovra per “lanciare” un nuovo libro, rispondo: magari potessi scrivere un nuovo libro su questi argomenti! Vorrebbe dire che avrei le idee chiare. E invece mi trovo a essere così pieno di dubbi, così turbato e perplesso.
Ma sursum corda!  E duc in altum!
Grazie a tutti.

Aldo Maria Valli








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domenica 29 maggio 2016

La Chiesa e la logica del “ma anche”





di 

Noi cristiani lo sappiamo, o dovremmo saperlo: la nostra fede è all’insegna dell’et et, non dell’aut aut. Non siamo esclusivisti. Dio è uno e trino. È Padre e Figlio e Spirito Santo. Gesù è Dio e uomo, vero Dio e vero uomo. Per il cristiano, l’uomo è carne e spirito, corpo e anima. Al cristiano piace integrare, includere, non ergere barriere. Con l’incarnazione Dio si è fatto uomo. La Chiesa stessa vive all’insegna dell’et et. È Chiesa di preghiera e di azione, di grandi asceti e grandi lavoratori, di contemplazione e di missione. Ora et labora, non ora aut labora. La Chiesa ha i predicatori e i confessori, i monaci e le monache di clausura e i preti di strada. La Chiesa accoglie tutti: poveri e ricchi, colti e incolti, giovani e vecchi.

Da qualche tempo però sembra di notare che alla logica dell’et et si stia sostituendo nella nostra Chiesa una logica diversa: quella del non solum, sed etiam, cioè del «non solo, ma anche». Potrebbe sembrare che, tutto sommato, non vi siano differenze, ma non è così.

Pensiamo ad Amoris laetitia, nella quale la logica del «ma anche» si trova un po’ ovunque. Dando vita spesso ad affermazioni singolari. Prendiamo per esempio il punto 308, dove si dice: «I Pastori che propongono ai fedeli l’ideale pieno del Vangelo e la dottrina della Chiesa devono aiutarli anche ad assumere la logica della compassione verso le persone fragili e ad evitare persecuzioni o giudizi troppo duri e impazienti». Dobbiamo dedurne che il modo più efficace per essere compassionevoli non è esattamente quello di proporre l’ideale pieno del Vangelo? Quanto poi alla vexata quaestio circa la comunione ai divorziati risposati, qual è la conclusione? Dopo aver letto e riletto il testo più e più volte, la risposta è: comunione sì, ma anche no. Oppure: comunione no, ma anche sì. Nel documento, in effetti, entrambe le conclusioni sono legittimate. A ciò conduce la logica del caso per caso, a sua volta figlia dell’etica della situazione. Mi devo considerare un peccatore? Sì, ma anche no. No, ma anche sì. Dipende.

I sintomi della logica del «ma anche» emergono qua e là, in occasioni diverse, ma sono sempre più frequenti.
Vado in ordine sparso.

Primo esempio. Quando papa Francesco si è recato in visita alla chiesa luterana di Roma e gli è stato chiesto se un cattolico e un luterano possono partecipare alla comunione, Bergoglio, attraverso una lunga risposta a braccio, ha detto in sostanza: no, ma anche sì, bisogna vedere caso per caso, perché «è un problema a cui ognuno deve rispondere».

Secondo esempio. Quando, nella sala stampa vaticana, il cardinale Schönborn, commentando Amoris laetitia, ha detto che il divieto di fare la comunione, per i divorziati risposati, non è stato revocato, ma,  attraverso la via caritatis indicata da Francesco, «si può dare anche l’aiuto dei sacramenti in certi casi», in pratica ha detto:  no, ma anche sì; sì, ma anche no.

Terzo esempio. Quando Francesco, prendendo parte a un video sul dialogo interreligioso (nel quale appaiono un musulmano, un buddista, un ebreo e un prete cattolico) ha detto che le persone «trovano Dio in modi diversi» e «in questa moltitudine c’è una sola certezza per noi: siamo tutti figli di Dio», chi eventualmente volesse avere un’altra certezza di un certo spessore (qual è la vera fede?) potrebbe arrivare alla conclusione che è la nostra, ma anche quella degli altri.

Quarto esempio. Quando eminenti esponenti della curia romana ci dicono che la Chiesa, dopo la rinuncia di Benedetto XVI, ha sì un  unico papa legittimo, però ha in effetti due successori di Pietro, entrambi viventi ed entrambi pienamente papi, si vede anche lì all’opera la logica del «ma anche»: abbiamo un papa, ma anche due. E se qualcuno, inopportunamente, sostenesse che non possono essere entrambi pienamente papi, la risposta sarebbe assicurata: perché no? Lo è l’uno, ma anche l’altro.

Mi fermo con gli esempi e vengo al dunque. Attenzione: i cattolici sono pluralisti e non amano l’uniformità. Fin dall’inizio le comunità cristiane nascono all’insegna dell’inculturazione della fede e dunque sono multiformi. Tanto è vero che ancora oggi abbiamo riti diversi. La Chiesa si incultura in Occidente e in Oriente, al Nord e al Sud, in ogni contesto. In quanto cattolica, è opportuno ripeterlo, si rivolge a tutti e tutti accoglie: non seleziona a priori su base di censo o di conoscenza. Altrimenti sarebbe settaria, non cattolica. E fin qui siamo in pieno nella logica dell’et et.

La logica del «ma anche» però è un’altra cosa. È la pretesa di tenere uniti gli opposti o comunque qualcosa che insieme non ci può stare, o ci può stare solo a prezzo di forzature. C’è una differenza profonda  tra la logica dell’et et e quella del «ma anche». Se l’et et unisce, il «ma anche» più che altro giustifica. Se l’et et rispetta la complessità e la riporta a unità, il «ma anche» cerca di superare la complessità attraverso qualche scorciatoia logica ed etica. Laddove l’et et unisce, il «ma anche» banalizza. Mentre l’et et punta alla verità, il «ma anche» si mette al servizio dell’utilità.

Qualcuno dirà: scusa tanto, ma che c’è poi di male nella Chiesa del «ma anche»? È così bello poter dire sì ma anche no, no ma anche sì. È umano. Noi siamo creature complesse, dunque perché andare alla ricerca di impossibili risposte nette e univoche? È tanto bello e buono non giudicare e prendere la realtà per quella che è, cioè complicata e contraddittoria. Perché dobbiamo sottoporre le persone a dure prove? Non è meglio smussare gli angoli e giustificare?

Ecco che cosa c’è di male: che la Chiesa del «ma anche» sposa esattamente la logica del mondo, non quella del Vangelo di Gesù. E infatti riceve gli applausi del mondo. Ma noi sappiamo che questo non è un buon segno. Il cristiano, quando è coerente, è perseguitato dal mondo, non applaudito.
D’altra parte, mentre suscita gli entusiasmi degli atei e dei laicisti, che vi trovano conferme e giustificazioni, la logica del «ma anche» lascia perplessi coloro che sono in cerca della fede. Chi cerca la Verità con la V maiuscola non vuole scorciatoie e parole ambivalenti. Ha desiderio di indicazioni di senso.

Lo scivolamento dalla logica dell’et et a quella del non solum, sed etiam avviene ogni giorno, in modo magari impercettibile, ma inesorabile. E coinvolge persone degnissime e buonissime, convinte in cuor loro di essere al servizio del Vangelo. Più che colpevoli, sono vittime. Perché la logica del «ma anche» è nell’aria che respiriamo.

Essere uomini e donne dell’et et significa non essere ambigui e non lasciare spazio alla confusione.  La logica dell’et et sfocia nell’inclusione, non nella confusione. Gesù, campione dell’et et e non dell’aut aut, ha raccomandato che il nostro parlare sia «sì sì, no no». La confusione e la doppiezza sono specialità del diavolo, che in questo modo persegue il suo obiettivo: separare.

Personalmente, proprio perché so che, come tutti, respiro ogni giorno aria impregnata dalla logica del «ma anche», per cercare di stare in guardia uso un semplice espediente: ogni volta che in un’argomentazione trovo sintomi di «ma anche», lascio che un campanello squilli nella testa e nel cuore. Lì, mi dico, c’è qualcosa che non va. Lì il soggettivismo è in agguato. E quando poi il soggettivismo, come il lupo della favola, si traveste e indossa l’abito della coscienza morale e, per giustificarsi, dice con voce suadente «ma io, in coscienza…», il campanello suona ancora più forte. E mi viene in mente il cardinale Newman, per il quale la coscienza non era la scorciatoia verso l’etica della situazione, ma l’originario vicario di Cristo.

Sentiamo in proposito le cristalline parole di  Benedetto XVI (20 dicembre 2010): «Nel pensiero moderno, la parola “coscienza” significa che, in materia di morale e di religione, la dimensione soggettiva, l’individuo, costituisce l’ultima istanza della decisione. La concezione che Newman ha della coscienza è diametralmente opposta. Per lui “coscienza” significa la capacità di verità dell’uomo: la capacità di riconoscere proprio negli ambiti decisivi della sua esistenza — religione e morale — una verità, “la” verità. La coscienza, la capacità dell’uomo di riconoscere la verità, gli impone con ciò, al tempo stesso, il dovere di incamminarsi verso la verità, di cercarla e di sottomettersi ad essa laddove la incontra. Coscienza è capacità di verità, e obbedienza nei confronti della verità, che si mostra all’uomo che cerca col cuore aperto. Il cammino delle conversioni di Newman è un cammino della coscienza, un cammino non della soggettività che si afferma, ma, proprio al contrario, dell’obbedienza verso la verità che, a passo a passo, si apriva a lui».

Il che spiega perché, nella famosa Lettera al Duca di Norfolk, Newman scrisse che, nel caso avesse dovuto portare la religione in un brindisi, certamente avrebbe brindato per il papa, ma prima per la coscienza e poi per il papa. Ovvero: prima per la ricerca della verità, poi per l’autorità.
Ecco: coscienza è capacità di verità. Quando la coscienza del cristiano abbandona il sentiero stretto e impervio di questa ricerca e si incammina lungo i boulevard del «ma anche» (illuminati dai mass media e gratificanti, ma senza uscita), ho l’impressione che rischi fortemente di perdersi. E di finire dritta dritta nella tana del lupo.









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sabato 28 maggio 2016

Don Elia. Estote parati




Don Elia
sabato 28 maggio 2016

«La Madonna ci chiede di consacrarci a Lei e di vivere la nostra vita nella presenza di Dio; di accostarci con frequenza ai Sacramenti, in particolare all’Eucaristia e alla santa Confessione; di meditare il Rosario. Ma ha spiegato che, se impariamo a rivolgere il nostro pensiero a Dio in ogni momento della giornata, allora il lavoro, il riposo, le amicizie, tutto diventa preghiera; e nella preghiera, che è dialogo, si cresce nella comunione con il Signore. Ci chiede di vivere in modo retto, con onestà. Ha detto che ogni azione buona da noi compiuta vale un’anima strappata a Satana. La Madonna si è rivolta da qui all’umanità intera, alla Chiesa e a quella porzione di Chiesa che è la famiglia, ponendo questo Suo intervento nel solco del messaggio di Fatima. Ci ha messo in guardia che Satana è potente e vuole scatenare l’odio, quindi la guerra per distruggere l’umanità, un conflitto nucleare tra l’Occidente e l’Oriente, la terza guerra mondiale.

La Madonna ha aggiunto che il demonio vuole abbattere la Chiesa di Dio incominciando dalla piccola Chiesa domestica che è la famiglia; a questo scopo avrebbe fatto di tutto per minare l’unità della famiglia cristiana fondata sul matrimonio. Senza una nuova conversione, molti Pastori avrebbero tradito la propria vocazione, anche con grave scandalo, e la Chiesa avrebbe conosciuto una nuova grande apostasia, cioè il rinnegamento delle verità cristiane fondamentali riaffermate nei secoli nella Tradizione e nella dottrina»
(da un’intervista di Riccardo Caniato a Fabio Gregori; Civitavecchia, 23 giugno 2015. Per l’interessantissimo testo completo, vedi qui).

La nostra Madre del cielo è un’insuperabile maestra di vita spirituale e di condotta cristiana, ma al tempo stesso un’acutissima analista dei tempi dal punto di vista soprannaturale e un’annunciatrice profetica degli attuali avvenimenti. Non trovo nulla di meglio che questa efficace sintesi per motivare e introdurre l’atto di consacrazione del prossimo 4 giugno a Roma. Per prepararvisi sarà sicuramente utile meditarla con calma, parola per parola; c’è quanto basta per orientare bene, se necessario, la propria esistenza di cattolico fedele nell’odierno contesto politico ed ecclesiale. Più d’uno lamenta che è sempre più difficile trovare un confessore affidabile; bisogna cercare ed essere disposti a macinare chilometri, come si fa per recarsi da un buono specialista. Molti protestano altresì che le omelie stanno diventando inascoltabili; nel caso, alzatevi e uscite rientrando alla fine. La Madonna si incarica di istruire interiormente chi veramente ha sete di verità, Lei che, dopo la Pentecoste, comunicava a distanza con gli Apostoli dispersi nel mondo per la loro missione.

Un potente sussidio per approfondire la relazione personale con Lei può essere, come preparazione immediata alla consacrazione, Il Segreto di Maria del Montfort (qui), un opuscolo che sintetizza mirabilmente la sua dottrina mariana, esposta in modo più ampio e dettagliato nel Trattato della vera devozione. Chi non abbia ancora letto quest’ultimo testo potrebbe iniziare a meditarlo dopo la consacrazione in vista della sua rinnovazione annuale; chi invece già lo conosce potrà riprenderlo con più profonda consapevolezza. Le condizioni indispensabili per emetterla in modo fruttuoso, com’è ovvio, sono un’adesione piena e senza riserve alla dottrina da sempre insegnata dalla Chiesa Cattolica riguardo alla fede e alla morale, una confessione recente e il distacco totale dal peccato in qualunque sua forma, senza sofismi né scuse fallaci. In particolare, nel nostro caso, è richiesta la disponibilità a mettersi a completa disposizione della Madonna per la realizzazione dei Suoi piani – che sono quelli divini – per la salvezza del mondo.

Chi si consacra al Cuore immacolato di Maria non fa nulla che contraddica alla fondamentale consacrazione battesimale. È innegabile che ogni battezzato sia innanzitutto consacrato a Dio come membro del Corpo mistico di Cristo e che, di conseguenza, Gli appartenga radicalmente. Dato però che la Madonna è la creatura che più perfettamente di qualsiasi altra è appartenuta a Lui e si è conformata al Suo volere, consacrarsi a Lei pone un cristiano nella condizione spirituale migliore per essere da Lei guidato alla piena realizzazione delle esigenze del Battesimo. La consacrazione, se vissuta con impegno e consapevolezza, abilita chi la compie ad una graduale assimilazione alla Vergine purissima, Figlia prediletta del Padre, Madre verginale del Figlio e Sposa immacolata dello Spirito Santo. Attraverso di Lei ci conformiamo progressivamente a Cristo in modo dolce e proporzionato alla nostra debolezza, pur senza trascurare, evidentemente, l’inderogabile lotta al peccato e un ininterrotto sforzo di correggere i propri difetti.

Secondo san Luigi, questa crescita interiore si realizza in chi compie ogni cosa con Maria, in Maria, per Maria e per mezzo di Maria, onde poter con più sicurezza fare tutto con Gesù, in Gesù, per Gesù e per mezzo di Gesù. Se Dio vuole, durante i mesi estivi ci sarà modo di approfondire il discorso in un ritiro spirituale. Per il momento ciascuno può leggere e meditare individualmente, compreso chi non potrà venire a Roma, ma vorrà unirsi a noi, intorno a mezzogiorno, per pronunciare in privato la consacrazione. La Madonna sta radunando le schiere di cui intende servirsi per preparare il trionfo del Suo Cuore immacolato; dato che siamo strumenti vivi, liberi e coscienti, dobbiamo fare la nostra parte per diventare strumenti idonei, pronti e maneggevoli nelle Sue sante mani. Sarà sempre Lei, d’altra parte, a proteggerci in modo particolare e a preservarci, con le nostre famiglie, dai castighi e dalle catastrofi annunciate, sostenendoci altresì nella persecuzione che, questa volta, verrà non da fuori, ma da dentro la Chiesa, ossia dai suoi membri rinnegati.

Continuo a portarvi tutti e ciascuno nella mia povera preghiera e, soprattutto, nel santo Sacrificio, nominando singolarmente, durante il Canone, quanti mi hanno affidato le loro intenzioni. So che molti, a loro volta, pregano per me e li ringrazio dal profondo del cuore, certo che nostra Madre li stia già ricompensando. Dato però che, nelle ultime settimane, il combattimento con il mondo delle tenebre sembra essersi intensificato, mi permetto di chiedere anche un’intensificazione di questa fraterna intercessione. A conclusione di questo mese mariano, rivolgo a tutti un augurio spirituale prendendo in prestito le ispirate parole con cui sant’Ambrogio commenta il Magnificat: «Sia in ciascuno l’anima di Maria per esaltare la grandezza del Signore; sia in ciascuno lo spirito di Maria per esultare in Dio, nostro Salvatore».








http://lascuredielia.blogspot.it/



Tutti a Norcia col pellegrinaggio del Populus Summorum Pontificum





 


Cari Pellegrini di Norcia!
Cari Amici del Populus Summorum Pontificum d’Italia!

Si avvicina il II Pellegrinaggio Nazionale dei Coetus Fidelium d’Italia a Norcia (8, 9 e 10 luglio 2016), e siamo certi che stiate tutti inserendo in agenda questo importante appuntamento, il cui programma è:


venerdì 8 luglio 2016
dalle h. 17,00: accoglienza dei pellegrini
h. 19,45: Compieta in Basilica con i Monaci;
dalle h. 20,00: cena libera.


sabato 9 luglio 2016
dalle h. 07,00: confessioni in Basilica;
h. 8,30: trasferimento in pullman alla Chiesa di San Salvatore, a Campi di Norcia
(punto di partenza della traversata a piedi per rientrare al Monastero);
h. 9,00: recita del S. Rosario e inizio della traversata a piedi per rientrare a Norcia
(circa 3 ore di cammino. Chi desidera, potrà rientrare in pullman);
h. 12,00: S. Messa in Basilica;
h. 13,30: pranzo libero;
h. 17,30: Vespri in Basilica con i Monaci;
h. 18,00: conferenza spirituale;
h. 19,45: Compieta in Basilica con i Monaci;
h. 20,30: cena del Pellegrinaggio.


domenica 10 luglio 2016
h. 8,30: trasferimento in pullman fino al punto di partenza
della nuova traversata a piedi (breve: circa 45 minuti) verso la Basilica;
h. 10,00: S. Messa conventuale in Basilica;
h. 11,45: commiato dei pellegrini.


Poiché il Pellegrinaggio si terrà a ridosso della festa benedettina dell’11 luglio, i fedeli che lo vorranno potranno trattenersi a Norcia anche in quella importante giornata.

Come sapete, la sistemazione (vitto e alloggio) dei pellegrini è libera. Pertanto, per venire incontro alle esigenze di coloro che desiderano programmare autonomamente il loro soggiorno a Norcia, desideriamo segnalarVi le proposte di alloggio che trovate di seguito. Ringraziamo di cuore l’agenzia Via Sacra per la professionalità con cui ci ha accompagnati sin qui, e vi preghiamo di notare che per usufruire di una delle seguenti proposte di soggiorno occorre contattare direttamente la Bianconi Ospitalità di Norcia (Corso Sertorio 12, 06046 Norcia; tel. 0743/816513; fax 0743/817342; mail: info@bianconi.com).


PERNOTTAMENTO E PRIMA COLAZIONE

- Hotel Grotta Azzurra e Residence la Castellina:
- camera singola, € 64.00
- camera doppia, € 84.00
- camera tripla, € 99.00
- camera quadrupla, € 114.00

Dependance e soluzioni 2*
- camera singola, € 50.00
- camera doppia, € 63.00
- camera tripla, € 78.00
- camera quadrupla, € 93.00

Sconto del 10% sulla seconda notte e sulle successive (per chi si trattiene anche per la festa di San Benedetto, 11 luglio).


Cena dei Pellegrini (sabato 9 luglio, sera): € 25,00, bevande incluse


Pasti per gli altri giorni: € 18,00, al menù del giorno, bevande incluse


Per comprensibili esigenze organizzative, Vi preghiamo di volerci comunque dare notizia della vostra partecipazione al pellegrinaggio all’indirizzo mail cnsp2007@gmail.com, precisando, se possibile, dove alloggerete, e se desiderate avvalervi del transfer in pullman per raggiungere San Salvatore in Campi il sabato mattina, e il punto di partenza della breve traversata a piedi verso la Basilica di Norcia la domenica mattina.


NB: per avvalersi dei tansfer in pullman occorre prenotarsi presso la Bianconi Ospitalità, all’indirizzo mail info@bianconi.com, o presso il CNSP, all’indirizzo mail cnsp2007@gmail.com.


IN MANCANZA DI PRENOTAZIONE,
L’ORGANIZZAZIONE NON GARANTISCE IL TRASPORTO.

Per la partecipazione al pellegrinaggio, ai pellegrini di età maggiore di 18 anni è richiesto un piccolo contributo, secondo le possibilità di ciascuno, da versare direttamente in loco. Il contributo minimo consigliato è di € 5,00 per i singoli, € 10,00 per le famiglie. Grazie!








Fonte: Messainlatino


 

venerdì 27 maggio 2016

Abbé Claude Barthe: in periodi di confusione ci guida il Sensus Fidelium





 
Intervista all'Abbé Claude Barthe, sacerdote e teologo francese.
 
 
 
 
D: In questo periodo di confusione, i laici come si devono comportare? Chi non si adegua al "nuovo ordine" come può rimanere coerente?

R: La sua domanda presuppone che ci sia un "nuovo ordine", diciamo un disordine, in seno alla comunità ecclesiale. Lo credo anch’io. Lo si può definire, almeno di primo acchito, lo "spirito del Concilio", espressione meravigliosamente vaga, ma che definisce un tentativo molto concreto di assalto al cattolicesimo da parte della modernità, toccando la dottrina, la morale e il culto divino. Questo attacco non ha potuto che svilupparsi solo in ragione di una sorta di dismissione dell'autorità. E' la versione cattolica della famosa crisi della paternità del 1968. Si è voluto vedere il 1968 come un'applicazione della "uccisione del padre" che, secondo Freud, sta all’origine della società, ma che, in realtà, è stato un suicidio dei padri, o in tutti i casi una dismissione del ruolo paterno nella famiglia, nella società e nella Chiesa.

Di colpo i figli si ritrovano abbandonati ampiamente a loro stessi. Devono per forza di cose lasciarsi guidare dal "sensus fidelium", che i teologi chiamano "l'infallibilità passiva" (la Chiesa non può cadere in errore nel credere). Per ogni credente, il "sensus fidei" è un istinto, un “fiuto”, che accompagna la virtù della fede. Porta il fedele a credere a ciò che gli insegna la Chiesa, ma anche a continuare a vivere della sua fede e a continuare a determinarsi in funzione di essa, per naturale sviluppo di ciò che gli è stato già insegnato, anche quando smette di essere insegnato. Ovviamente, non si deve cadere nell'individualismo protestantizzante: solo il Magistero può determinare definitivamente se il fedele che si è fatto guidare dalla bussola dell'istinto della fede, ha reagito correttamente.

I fedeli di Lione illuminavano le loro case durante la festa dell'Immacolata Concezione, proprio mentre l'Immacolata Concezione della Vergine era oggetto di vivaci polemiche. La proclamazione del dogma, nel 1854, ha dato loro ragione. Possiamo parlare di intervento dell'istinto della fede anche per la sopravvivenza della Messa tradizionale dopo il 1969, sopravvivenza che è stata ampiamente dovuta ai fedeli laici. Il Summorum Pontificum ha confermato, quarant'anni più tardi, la fondatezza dell'atteggiamento di coloro che hanno continuato a celebrarla o ad assistervi.


D: Così come, con il Summorum Pontificum, i laici sono stati il motore del recupero della Messa Tradizionale, potranno anche essere il motore del recupero della Tradizione nella Chiesa?


R: I laici hanno avuto questo ruolo di motore, per esempio nell'insegnamento del catechismo tradizionale, che hanno continuato a insegnare e a fare insegnare ai loro figli, al posto dei nuovi catechismi, che avevano invaso le parrocchie e le scuole dalla fine degli anni 60.

Oggi constatiamo che la maggior parte dei bambini ha ricevuto un insegnamento vago, talvolta eterodosso, per la maggior parte del tempo insufficiente. Suppongo che sia stato lo stesso in Italia, dal momento che ho sentito un anziano vescovo ausiliario di Roma raccontare, durante un incontro sacerdotale, che aveva incontrato dei bambini di scuole cattoliche della periferia della città, che non sapevano le preghiere più semplici né farsi il segno della croce. E' per questo che, nella realtà che conosco meglio, quella francese, dei genitori cattolici si sono organizzati, aiutati da sacerdoti, associazioni, scuole private, per assicurare una continuità nell’insegnamento del catechismo.

Durante una conversazione che ho avuto con il cardinale Ratzinger nel 1995, mi disse: "Pensa che la pubblicazione del Catechismo della Chiesa cattolica sarebbe stata possibile 20 anni fa nel 1965?". Io gli risposi che era proprio questo il problema: un concilio dopo il quale non si potevano più pubblicare catechismi. E lui sospirando: "E' vero, la Chiesa è stata ferita". Anche ammettendo che il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 abbia risolto tutte le difficoltà, è arrivato dopo una "vacatio catechismi" di quasi trent'anni, che di fatto dura ancora. In tutti i casi, la sua comparsa ha dato ragione ai genitori che avevano continuato a trasmettere il catechismo tradizionale.

Nell'ambito della morale familiare, dopo il Vaticano II, si è discusso della questione della regolazione delle nascite come di una questione aperta. Paolo VI è intervenuto per riservarsi di definirla, e l'ha fatta studiare da una commissione ad hoc. Così è stata data l'impressione, fino all'Humanae Vitae, nel 1968, che si potesse agire liberamente in questo ambito. Durante quel periodo, l'istinto della fede degli sposi ha dovuto allora agganciarsi ai principi formulati in precedenza dall'enciclica di Pio XI "Casti Connubii" e dai discorsi di Pio XII. E oggi ancora, l'Humanae Vitae è così mal difesa dalla gerarchia, che i fedeli agiscono più per l'istinto della fede che sotto la sua guida.

Allo stesso modo, anche le due assemblee consecutive dei Sinodi dei Vescovi sulla famiglia hanno aperto un “dibattito” artificioso a proposito della dottrina evangelica dell'indissolubilità del matrimonio e delle sue conseguenze morali e sacramentali. L'esortazione apostolica Amoris Laetitia, ha poi spiegato che il dibattito era sempre aperto, e ha in qualche modo ammesso delle eccezioni pratiche alla legge evangelica in questo ambito. Ciò obbliga i fedeli laici (e i poveri confessori!) ad aggrapparsi in virtù del loro senso della fede al magistero precedente.

D: Il Concilio Vaticano II invoca un maggiore ruolo dei laici. Perché allora al posto di ascoltarli, le gerarchie portano avanti solo le rivendicazioni di prelati ottuagenari?

R: Sa, l'età importa poco. Ci sono dei giovani eretici e dei vecchi ortodossi. Ma è vero che nell'episodio evangelico della donna adultera, i vecchi sembravano aver più peccati da rimproverarsi rispetto ai giovani... E' vero anche che i membri di quelle che chiamiamo "le forze vive" del cattolicesimo oggi in occidente, le comunità religiose tradizionali, le nuove comunità, le associazioni studentesche, le organizzazioni per la difesa della vita, i movimenti apostolici di tutti gli ordini, hanno un'età media molto giovane.

Incontestabilmente, ciò che il Vaticano II ha detto riguardo la promozione dei laici, per esempio nel decreto Apostolicam Actuositatem, non è stato capito. O piuttosto, i laici che sono stati promossi nei consigli parrocchiali, nelle riviste cattoliche ufficiali ecc, sono laici in linea con "lo spirito del Concilio". Sono quelli che ritroviamo nei gruppi liturgici, che intervengono nelle cerimonie, distribuiscono la comunione, presiedono e predicano (almeno in Francia) durante le sepolture. In realtà, è stata fabbricata una sorta di "laicato clericale", un "clero bis".

Oggi ci parlano di diaconesse... Ma dagli anni 90 in Francia si discute della possibilità che avrebbero i cappellani non preti negli ospedali (spesso donne), di amministrare l'unzione degli infermi e la confessione. Al contrario, quando dei laici chiedono la Messa tradizionale, si organizzano per farla celebrare, vengono disprezzati e si silurano le loro rivendicazioni: questi laici non sono nello "spirito del Concilio". In verità, dal Vaticano II, la Chiesa non è mai stata così clericale.

D: Il silenzio di molti "buoni pastori" in questo periodo come può essere letto da chi si aspetta delle risposte proprio da loro?

R: Lei allude, immagino, alla situazione presente, successiva ad Amoris Laetitia. Durante il periodo, molto agitato, successivo al Vaticano II, il potere gerarchico era moderato - Papa Montini - ma il potere culturale era in mano ai progressisti. Poi è arrivato un periodo che è stato chiamato di "Restaurazione", utilizzando un termine del Rapporto sulla fede, del 1984-85, l'epoca dei papi Wojtyla e Ratzinger: l’impulso romano, pur lasciano grandi interrogativi - le giornate di Assisi per esempio - ha favorito un "ritorno" anti-68.

La disastrosa abdicazione di Benedetto XVI e l'elezione di Papa Francesco, nel 2013, hanno di nuovo cambiato le carte in tavola. I fedeli, i preti che erano indicati come ratzingeriani, si sono ritrovati orfani. Ma anche i vescovi e i cardinali. Come membri della Chiesa docente, hanno ora un ruolo decisivo da giocare per venire in aiuto alle pecorelle e per preparare l'avvenire.

Guardi la risonanza che hanno avuto, durante le assemblee sinodali del 2014 e 2015, i libri dei cardinali Brandmuller, Burke, Caffarra, De Paolis, Muller, "Permanere nella verità di Cristo" e "Matrimonio e famiglia". Parole identiche oggi, dopo Amoris Laetitia, avranno una ripercussione notevole, per sostenere la fede dei fedeli in una congiuntura in cui la Chiesa è sempre più sommersa da una marea mondana.
 
 

D: I laici devono quindi supplire alle mancanze dottrinali dei pastori?

R: Come le dicevo, l'istinto della fede aiuta i fedeli di Cristo ogni volta che gli insegnamenti del magistero non indicano più loro con chiarezza cosa devono credere e cosa devono fare. Nel 1790 si presentò ai preti francesi il dilemma di prestare o no giuramento alla Costituzione Civile del clero. Pio VI ha atteso un anno prima di parlare. Durante questo tempo, quelli che non giuravano si regolarono da soli, secondo il loro sensus fidei.

I numerosi rifiuti di prestare giuramento hanno stimolato l'intervento del Papa: il breve Quod aliquantum, il 10 marzo 1791, ha condannato la Costituzione Civile del clero e i giuramenti a quella costituzione. Nel 1892, più grave del silenzio, sono state invece le parole di Leone XIII che ha seminato sconcerto fra i cattolici francesi, domandando loro di allinearsi alla democrazia moderna, concretamente alla terza repubblica anticlericale (Inter Sollicitudines). Molti laici hanno resistito, in nome della condanna del "nuovo diritto", da parte del Papa stesso, nella Immortale Dei. E la "Lettre sur le Sillon" di San Pio X, nel 1910, ha condannato la modernità politica di Marc Sangnier. Di conseguenza, il senso della fede, allorquando deve esercitarsi come oggi, lo fa, in definitiva, nell'attesa di una parola futura del magistero.

Il suo esercizio può essere paragonato a un movimento di legittima difesa, per preservarsi o preservare il proprio prossimo dalla violenza, quando l'autorità pubblica non può o non vuole intervenire. I laici dei nostri giorni, sono spesso in stato di legittima difesa, liturgica, dottrinale, morale. Ma non si tratta per niente di rimpiazzare il magistero. Al contrario, questa azione di supplenza concreta rappresenta una domanda insistente dell’intervento del magistero, del magistero come tale, il magistero infallibile affidato a Pietro e ai suoi successori perché le porte degli inferi non prevalgano mai sulla Chiesa.


Il testo francese e italiano dell'intervista è consutabile qui.
 
 
 
 
 
 

LA MESSA DI LUTERO

 

messa protestante




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Il cuore della liturgia cattolica è costituita dal Sacrificio della Croce di Cristo per la salvezza dell’uomo. Questo Sacrificio si rende sempre presente, allora come oggi, nella celebrazione Eucaristica ed è destinato a rimanere attraverso i secoli nel modo in cui Gesù stesso l’aveva istituito, contemporaneamente al sacerdozio. Nell’ultima Cena Egli, non solo ha istituito il sacerdozio, ma lo ha fatto in vista del proprio Sacrificio, poiché esso costituisce la sorgente di tutti i meriti, di tutte le grazie e di tutta la ricchezza della Chiesa. Quindi non si può comprendere il sacerdozio senza il Sacrificio, poiché il sacerdozio è fatto per il Sacrifico. In questo Gesù stesso è voluto essere anche la Vittima. Senza la reale presenza di Gesù non può esserci la Vittima e neanche il Sacrificio. Tutto è unito: presenza reale, Vittima e Sacrificio. Questa (in estrema sintesi!) la liturgia cattolica.

Veniamo a Lutero. Il monaco tedesco, volendo colpire il sacerdozio, diede un colpo definitivo anche a tutta la Chiesa. Egli sapeva bene che, venendo meno il sacerdote, sarebbe sparito anche il sacrificio e, conseguentemente, anche la vittima e quindi la fonte di tutte le grazie della Chiesa. Lutero era persuaso che non ci fosse differenza sostanziale fra i preti e i laici, ma che tutti costituissero un “sacerdozio universale”. Questo era il primo di “tre muri” che circondavano la Chiesa e che, secondo Lutero, dovevano essere abbattuti. “Se un Papa o un vescovo – sosteneva Lutero – da l’unzione, fa delle tonsure, consacra o da un abito differente ai laici o ai preti, crea degli imbrogli”. Tutti, di fatto, sono consacrati nel Battesimo e, dunque, non può esistere un sacramento speciale per i preti.

Il secondo muro da abbattere era la transustanziazione. Nella messa luterana viene rifiutata in toto l’idea di “sacrificio” e con essa di vittima e di presenza reale. Rimane la sola presenza spirituale, un ricordo, tanto che la Messa non può essere indicata più come un Sacrificio ma solamente con i termini di Comunione, Cena, Eucarestia. Secondo le parole del Vangelo “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” si compie la vera e sola Messa. È per questo che Lutero rifiutò da subito la celebrazione di messe private perché mancanti della comunione col popolo. Per Lutero l’Eucarestia era “Sacramento del pane” e non più Sacrificio, considerato, ormai,  come elemento di corruzione.

Il terzo ostacolo era rappresentato dal valore espiatorio del Sacrificio della Messa. Sempre secondo il monaco ribelle l’Eucarestia è un “Sacrificio di lode” ma non un “Sacrificio di espiazione”. Quindi l’unico scopo della Messa diventa, per Lutero, solamente quello di rendere grazie a Dio. È dentro questa lettura che oggi alcuni protestanti parlano ancora di “Sacrificio”, ma non come un Sacrifico che rimette i peccati, ma di semplice ringraziamento per l’opera di Dio.

Questi cambiamenti di sostanza hanno generato modificazioni anche nella forma come l’orientamento (coram populo) del sacerdote durante la Consacrazione, l’introduzione della lingua volgare, la Comunione ricevuta sulla mano. Per non parlare anche delle conseguenze in campo artistico e architettonico. La chiesa concepita come Domus Dei, nella quale tutto (altare, pareti, affreschi, materiali, uso della luce, ecc…) deve parlare di Dio, lascia spazio, nel mondo protestante, ad edifici essenzialmente sobri, se non vuoti di decorazioni e raffigurazioni sacre.

“Scompare – ricorda Francesco Agnoli – il tabernacolo, segno della Presenza divina; scompaiono spesso reliquie, santi e Madonne, abitatori della simbolica città di Dio, la Gerusalemme Celeste; non servono più, a rigore, la pianta a croce, la posizione ad Oriente, l’abside, il coro, il ciborio. […] Anche l’altare perde il vecchio significato e la vecchia forma: diviene mensa, solitamente semplice tavola, non più sopraelevata, distaccata da scalinate e balaustre, bensì posizionata in modo da creare un rapporto più diretto, partecipativo, comunitario, fra celebrante e popolo”. Un generale e diffuso sentimento iconoclasta si diffonderà nel mondo protestante, soprattutto verso le immagini della Vergine e dei Santi, un ripudio verso questi ultimi, è bene ricordarlo, “che nasce – sempre secondo Agnoli – dal terribile pessimismo antropologico luterano, secondo il quale l’uomo non è capace di compiere alcunché di buono, ma è solo e soltanto un peccatore, senza libertà, conteso tra Satana e Dio”.










Libertà e Persona



 

giovedì 26 maggio 2016

"Comunione sulla mano? No, grazie. L'esempio di Mons. Laise"




Prima recensione del libro di Sua Ecc.za Mons. Juan Rodolfo Laise, pubblicata sull'edizione del 25 maggio 2016 del quotidiano online La Croce, diretto da Mario Adinolfi. Tramite Messainlatino.

 NB: Il libro di Mons. Laise si può acquistare online, per esempio qui.


di Federico Catani
Cento anni fa, nel 1916, un angelo, l’Angelo del Portogallo, apparve per tre volte ai tre pastorelli di Fatima Lucia, Francesco e Giacinta. Mostrandosi con il calice e l’Ostia santa, insegnò ai tre fanciulli queste due preghiere: «Mio Dio, io credo, adoro, spero e vi amo, vi chiedo perdono per coloro che non credono, non adorano, non sperano, e non vi amano» e «Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo: vi adoro profondamente e vi offro il preziosissimo Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo, presente in tutti i tabernacoli della terra, in riparazione degli oltraggi, dei sacrilegi e delle indifferenze da cui Egli stesso è offeso. E per i meriti infiniti del suo Sacratissimo Cuore e del Cuore Immacolato di Maria, vi domando la conversione dei poveri peccatori».

In queste orazioni è racchiuso il cuore della devozione eucaristica che ogni cattolico dovrebbe avere. Soprattutto in un tempo, come il nostro, in cui la il Santissimo Sacramento viene profanato in ogni modo: oltre ai sacrilegi commessi ad esempio dai satanisti, purtroppo oggi si vuole cambiare la stessa dottrina eucaristica e permettere ai pubblici peccatori di ricevere la Comunione senza alcun pentimento. C’è poi un’altra prassi che banalizza l’Eucaristia: si tratta della sua ricezione in mano. Se a tale modo di comunicarsi si aggiunge il fatto che molte liturgie hanno perso totalmente il senso del sacro, non è difficile comprendere perché la gente ormai sembra ignorare che nell’Ostia santa c’è realmente e sostanzialmente Nostro Signore Gesù Cristo vivo e vero, nel suo Corpo, Sangue, Anima e Divinità.

Mons. Juan Rodolfo Laise, vescovo emerito di San Luis, in Argentina, ha recentemente pubblicato per Cantagalli “Comunione sulla mano. Documenti e storia” (con prefazione di mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana, in Kazakhstan, e un’appendice con alcune riflessioni sulla “Comunione spirituale”, sulla quale si fa chiarezza dopo tante sciocchezze dette negli ultimi anni da porporati come Kasper). È un libro in cui raccoglie e commenta tutti i testi normativi relativi al permesso, dato ai fedeli dalla Santa Sede, di comunicarsi ricevendo la particola consacrata in mano e dimostra molto chiaramente e senza alcun dubbio che, per l’appunto, solo di concessione si tratta. Pertanto, rifiutarsi di fruire di tale atto di tolleranza, come fece lui durante il governo della sua diocesi, non solo è lecito, ma addirittura preferibile, perché maggiormente rispondente alla volontà del Papa.

 La Comunione sulla mano è nata come un abuso. Negli anni Sessanta, nei Paesi dell’Europa settentrionale, ovvero quelli con un episcopato ed un clero marcatamente progressista e disobbediente, si introdusse in maniera del tutto arbitraria tale modo di ricezione dell’Eucaristia. Di fronte al fatto compiuto e alla volontà da parte degli artefici del cambiamento di proseguire su questa strada, la Sacra Congregazione per il culto divino rispose con l’istruzione Memoriale Domini (28 maggio 1969). Il documento, voluto ed approvato da Papa Paolo VI, ribadisce che il modo di distribuire la Santa Comunione in bocca «deve essere conservato, non soltanto perché si appoggia sopra un uso trasmesso da una tradizione di molti secoli, ma, principalmente, perché esprime la riverenza dei fedeli cristiani verso l’Eucaristia».
 
Cambiare poteva rappresentare un pericolo. È vero che i profeti di sventura all’epoca (ma anche oggi) non andavano di moda e non erano graditi. Ma le paure di Paolo VI si sono rivelate fondate e adesso ne paghiamo le conseguenze. L’istruzione vaticana paventava che si arrivasse «a una minore riverenza verso l’augusto Sacramento dell’altare», «alla profanazione dello stesso Sacramento» e «alla adulterazione della retta dottrina». Soltanto un ingenuo non vede che quelli che allora apparivano “solo” dei rischi sono divenuti terribili realtà: la situazione della Chiesa (in particolare di quei Paesi in cui il clero ha sempre seguito le “magnifiche sorti e progressive”) lo sta a dimostrare inappellabilmente. Nonostante ciò, i responsabili di tale scempio ed i loro allievi, anziché vergognarsi e ritirarsi in silenzio, continuano a dare lezioni.



Ebbene, la Memoriale Domini si conclude affermando che «la Sede Apostolica esorta veementemente i vescovi, sacerdoti e fedeli a sottomettersi diligentemente alla legge ancora in vigore [ovvero la Comunione in bocca n.d.r.]e un’altra volta confermata, attendendo tanto al giudizio apportato dalla maggior parte dell’Episcopato [contrario alla Comunione sulla mano n.d.r.], come alla forma che utilizza il rito attuale della sacra liturgia, come, infine, al bene comune della stessa Chiesa».

Purtroppo, nonostante le buone intenzioni, il documento apre però una falla nella diga, rivelatasi ben presto fatale (e questo è accaduto e continua purtroppo ad accadere nella Chiesa per moltissime altre questioni). Infatti l’istruzione dice pure che, laddove non sia possibile frenare la pratica della Comunione sulla mano, con le dovute condizioni la Santa Sede concederà un indulto, a patto però che venga ribadita nella catechesi la verità dogmatica sull’Eucaristia. Questa deleteria apertura ha fatto sì che a poco a poco, quasi tutte le conferenze episcopali del mondo chiedessero l’indulto, imponendo di fatto il nuovo modo di agire, per puro spirito di conformismo ai tempi. E la Santa Sede ha sempre avallato le richieste dei vescovi. In Italia, ad esempio, per un solo voto di scarto, la Comunione in mano venne introdotta nel luglio del 1989. In Kazakhstan, invece, grazie soprattutto all’opera di mons. Athanasius Schneider, si continua a ricevere l’Ostia consacrata solo in bocca e possibilmente in ginocchio (come faceva Benedetto XVI nelle sue Messe).

Orbene, quando nel 1996 i vescovi argentini decisero di introdurre la Comunione sulla mano, mons. Laise si oppose fermamente, attirandosi così gli strali dei suoi confratelli, che lo accusarono di rompere la “comunione ecclesiale”. Ma il grande vescovo argentino, oggi residente a San Giovanni Rotondo, aveva ragione. E la Santa Sede lo riconobbe senza problemi, perché la facoltà di chiedere l’indulto spetta ai singoli vescovi, in base alla loro prudenza pastorale. Mons. Laise, dunque, si è appellato giustamente, doverosamente e santamente alla sua coscienza di pastore cattolico, davvero preoccupato del bene della Chiesa e di quello spirituale dei fedeli affidatigli. Altri vescovi e preti (pochi in verità) hanno seguito il suo esempio. Possiamo citare il sacerdote veronese don Enzo Boninsegna, vero eroico “pioniere” in Italia; il cardinal Carlo Caffarra, che nel 2009, per evitare sacrilegi, ha proibito la Comunione in mano nella Chiesa Metropolitana di San Pietro, nella Cattedrale di San Petronio e nel Santuario della B.V. di San Luca; c’è poi mons. Cristóbal Bialasik, vescovo della diocesi di Oruro, in Bolivia, che l’anno scorso ha annunciato ai suoi fedeli di aver vietato la S. Comunione sulla mano, definendola una consuetudine “intollerabile”.

D’altra parte, come spiega nel libro, la posizione di mons. Laise è canonicamente e pastoralmente incontestabile.

La Comunione in mano, tanto amata dai protestanti, è stata pensata proprio per ridurre il Santissimo Sacramento a mero simbolo, attaccando così il dogma cattolico sull’Eucaristia. Gesù durante l’Ultima Cena, diede il pane e il vino in mano agli Apostoli, è vero. Ma si trattava appunto dei primi vescovi. Il sacerdote ha le mani consacrate con l’unzione, ed è per questo che è l’unico ad avere il “privilegio” e il grave compito di toccare le specie eucaristiche.

Oltretutto, al contrario di quanto falsamente sostenuto dai novatori, nei primi secoli della Chiesa si riceveva la Comunione in mano con ogni riguardo e riverenza, spesso senza toccarla direttamente, non come accade adesso. Peraltro, col passare del tempo e nel susseguirsi di tante vicende storiche, la sensibilità ed il rispetto verso l’Eucaristia sono aumentati ed è per questo che intorno al IX secolo si passò definitivamente a ricevere il Corpo di Cristo in bocca. In ogni frammento del pane consacrato, infatti, c’è tutto Nostro Signore ed è una profanazione lasciare che anche uno solo cada a terra e vanga calpestato. Nella cosiddetta Messa tridentina, tanto per intenderci, dopo la consacrazione il sacerdote non separa più il pollice e l’indice delle mani finché non arriva il momento della purificazione, terminata la distribuzione della Comunione. Oggi invece questa fede eucaristica si è tragicamente persa, anche tra i sacerdoti. I fedeli, poi, sembra vadano a ricevere una caramella, e infatti tutti si comunicano ma pochi si confessano! In pratica, quello che fino agli anni Sessanta era un abuso, una disubbidienza, un attacco alla verità cattolica, oggi è divenuto la normalità. E, lo ripetiamo, assolutamente contro la volontà di Paolo VI. Anche perché l’istruzione della Congregazione del culto divino faceva un tutt’uno con una lettera pastorale in cui viene nitidamente evidenziato che, ad ogni modo, «la nuova maniera di comunicarsi non dovrà essere imposta in modo che escluda l’uso tradizionale».

Eppure, solo da un ritorno generale al modo tradizionale di ricevere Gesù Sacramentato, in bocca ed in ginocchio, potranno sgorgare grazie abbondanti e si tornerà ad avere una primavera della Chiesa. Pertanto, i laici non debbono stancarsi di chiedere questo ai pastori e di comunicarsi solo in bocca, perché questa è, ancora oggi e nonostante tutto, la norma della Chiesa. E i vescovi dovrebbero avere un po’ di fede e di coraggio nel cambiare. Il che, visti i tempi, sarebbe miracoloso. Ma nulla è impossibile a Dio.


Tratto da La Croce online



L'amico di GPII Stanislaw Grygiel su Amoris Laetitia

 
L'amico di GPII Stanislaw Grygiel su Amoris Laetitia: «C'è da aspettarsi che a breve seguirà il caos»
 
 
 
 
 
L'esortazione Amoris laetitia sembra svelare il dramma interiore di Papa Francesco. Formato nella tradizione pastorale dei gesuiti, che si orienta secondo il principio "del discernimento degli spiriti nella situazione concreta" e anche secondo la regola che "bisogna entrare nella casa dell'altro uomo attraverso la sua porta e uscirne attraverso la propria", il Papa propone una praxis pastorale di questo genere nei confronti degli uomini dal "cuore indurito" (Mt 19, 8).
 
Questi edificano le loro dimore sulla negazione delle "Dieci Parole" (Decalogo) "scritte dal dito di Dio" (Es 31,18) sull'uomo che Dio sta creando nel Suo Figlio "fino a ora" (Gv 5,17). Le edificano sul loro cogito che dubita che sia vero che Cristo "non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza su un altro", poiché "sapeva quello che c'è in ogni uomo" (Gv 2,25).
 
Attraverso il cogito, che è anche un pratico volere, s'insinua nella Chiesa il dubbio ariano se Cristo sia davvero Dio e se i sacramenti siano ciò che la fede della Chiesa dice di vedere in essi, ovvero non siano che segni vuoti scritti sotto la spinta emotiva nelle situazioni concrete. Amoris laetitia ci costringe a una profonda riflessione sulla fede, sulla speranza e sull'amore, cioè sul dono della libertà ricevuto da Dio, poiché essa stessa non porta un chiaro messaggio riguardo al "dono di Dio" che sono la verità, il bene, la libertà e la misericordia.
 
Basta aprire la Bibbia per sapere che con il "dono di Dio" gli uomini fin "da principio" ebbero difficoltà e non sempre i sacerdoti li aiutavano a vincere la loro "dura cervice" (Es 32,9). Con il "dono di Dio" incontrarono difficoltà il sacerdote Aronne e suo fratello Mosè. Questi, vedendo il vitello d'oro "fabbricato da Aronne" che sotto la pressione del popolo "gli aveva tolto ogni freno, così da farne il ludibrio dei loro avversari", si accese d'ira e spezzò le tavole dei Comandamenti dati da Dio a Israele.
 
Alla domanda di Mosè: "Che ti ha fatto questo popolo, perché tu l'abbia gravato di un peccato così grande?", Aronne provava a scusarsi, senza riuscire: "Tu stesso sai che questo popolo è inclinato al male. Mi dissero: 'Facci un dio, che cammini alla nostra testa, perché a quel Mosè, l'uomo che ci ha fatti uscire dal paese d'Egitto, non sappiamo che cosa sia capitato'". Allora Mosè disse: 'Chi sta con il Signore, venga da me!'". A quelli che si unirono a lui ordinò di brandire le spade e di uccidere persino i loro fratelli, parenti e amici. "'Ricevete oggi l'investitura dal Signore - disse loro - ciascuno di voi è stato contro suo figlio e contro suo fratello, perché oggi Egli vi accordasse una benedizione'" (Es 32, 14-29).
 
Il giorno dopo Mosè ritornò al Signore per implorare un misericordioso perdono per Israele (ib. 30). Dio gli ordinò di tagliare due nuove tavole e di scrivere su di esse ancora una volta le "Dieci Parole" (Decalogo) e Mosè salutò il Signore con queste parole: "Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà /.../ che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione" (Es 34, 6-7). Presto però anche lui, Mosè, cedette alle pressioni della gente malata di "sclerosi del cuore" (sklerokardia, Mt 19, 8) che "da principio" colpisce gli uomini che vivono nel matrimonio. Egli permise agli "sclerotici" di ripudiare le mogli, ovvero i mariti, quando non trovino "grazia" ai loro occhi (Dt 24, 1).
 
Si comportò così secondo la tesi marxista che la quantità si tramuta nella qualità quando raggiunge la massa critica, cioè che il male commesso spesso cessa di essere male e diventa un bene. E' su questa massa critica dei matrimoni malati che Mosè appoggiò la sua antropologia. Marx doveva conoscere la logica di situazione di Mosè e ne trasse quelle conclusioni che oggi fanno sì che la sociologia e le statistiche assumano il ruolo che spetta al Decalogo.
I sacerdoti e i Mosè che oggi dovrebbero aiutarci a vivere nella presenza della Parola del Dio vivente, storicamente incarnata e presente in mezzo a noi per sempre nell'Eucaristia, si trovano tra l'incudine e il martello. Da un lato su di loro esercitano pressioni gli uomini "di duro cuore" e da un altro lato li inquietano le parole di Cristo che, poiché in Lui Dio crea l' uomo, "sapeva quello che c'è in ogni uomo" (Gv 2, 25): "Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto di ripudio; ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all' adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio" (Mt 5, 31-32).
 
Alcuni dei nostri pastori e "arcipastori", cercando di non commettere apertamente l'errore di Mosè e nello stesso tempo di non esporsi anche alle critiche da parte dei "cuori sclerotici", ci assicurano che l'indissolubilità del matrimonio è fuori discussione. Entrano però in un vicolo cieco quando comunque pretendono che il pensiero pratico sui matrimoni falliti si appoggi anche su una piccola parola - "ma" - che permetta loro di costruire commenti casistici con i quali giustificare l'adulterio.
Propongono una casistica "sì, ma" che prende in considerazione non tanto la coscienza dell'uomo, quanto la sua inclinazione al male. Se si dovesse andare avanti così, c' è da aspettarsi che a breve seguirà il caos, in cui le persone soggette all'inclinazione al male andranno in giro per le parrocchie e perfino per le diocesi in cerca dei casuisti più furbi.
 
Oggi ci serve urgentemente un Pascal, che scriva "Le nuove Provinciali". Le parole di Cristo sono chiare e univoche. Spiegando alla gente il Decalogo, ordina in modo inequivocabile: "Sia /.../ il vostro parlare sì, sì: no, no; il di più viene dal maligno" (Mt 5, 37). Tuttavia gli uomini dai "cuori sclerotici" preferiscono il chiaroscuro che fanno del frammentario "sì" e del chiassoso "no" e che loro ritengono la più grande conquista della loro intelligenza.
 
È di questo chiaroscuro che formulano un concetto della misericordia tale che nel momento di essere emotivamente mossa dalla povertà altrui lascia la Verità dell' Amore nell'agonia nel Giardino degli Ulivi. Ciò significa che questo concetto serve come la misericordia che usano i cavalieri quando danno il colpo di grazia a chi già è ferito a morte.
 
Molti politici di oggi, sfruttando il caos dottrinale nella Chiesa, non trovano più difficoltà nel comportarsi come si comporta il Grande Inquisitore di Dostoevskij. Non comprendendo il dono divino della libertà che viene dalla verità, il vecchio cardinale di Siviglia rinchiude Cristo in prigione. Ben presto però, travagliato dalla presenza della Parola che inquieta la sua coscienza al punto da costringerlo a giustificarsi davanti a se stesso, La espelle dalla società.
 
Oggi Cristo tace, come tace in Siviglia. Mostra la misericordia sia ai vecchi che ai giovani Inquisitori, baciandoli sulla bocca. Questo bacio brucia i loro cuori come brucia il cuore del cardinale di Siviglia? Non sappiamo, poiché li differenzia il fatto che il cardinale di Siviglia permane ostinatamente nelle proprie idee, mentre gli Inquisitori politici di oggi permangono ostinatamente nel vuoto, in cui tutto è banale per loro. Crea il vuoto nell'uomo il suo distanziarsi da Cristo, che convinse gli uomini quanto al peccato (cfr. Gv 16, 8) con la Sua testimonianza data alla verità pensata in Lui e per Lui nell' atto della creazione del mondo e dell' uomo.
 
Nel Giardino degli Ulivi i discepoli di Cristo dormono, mentre Egli è in agonia accanto a loro. Essi invece, in modo assonnato e quindi irresponsabile, si adattano alla politica correttezza imposta da un Inquisitore invisibile che fa da padrone nella quarta Roma delle organizzazioni internazionali. I discepoli creano le narrazioni pastorali, scambiando il sogno per lo stare desto, la malattia per la salute, il peccato per la virtù. Si piegano a se stessi sempre più lontano dal mondo reale.
 
"Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo: non bisogna dormire fino a quel momento" (B. Pascal). Il traditore si avvicina con un bacio di morte. Sotto la croce resteranno soltanto un mistico e le donne, e a seppellire Gesù li aiuteranno i suoi amici segreti. I discepoli invece si rintaneranno nei loro nascondigli.
 
"Ci sono tante forze nel popolo/ Ci sono tanti uomini/ Entri infine il Tuo Spirito/ E svegli gli addormentati" (Stanislaw Wyspianski, "Wyzwolenie", II). Il poeta polacco Stanislaw Wyspianski scrisse questa preghiera nel 1902, quando in Europa non c' era lo Stato polacco, ma c'era la nazione polacca che desiderava la libertà e sognava di recuperarla. Oggi è l'Europa che ha bisogno di una tale preghiera, ne ha bisogno soprattutto la Chiesa.
 
È alla Chiesa che incombe l'obbligo di predicare in modo orante la verità che tutti apparteniamo a Dio e che perciò a noi tutti si riferiscono le parole con cui Cristo, dopo aver spiegato il senso del Decalogo, conclude il grande discorso sul Monte delle Beatitudini: "Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5, 48). Il vero, il bene e il bello di ogni essere ricevono la vita dall'Ideale che è Dio.
 
San Giovanni Paolo II disse ai giovani che sono obbligati a esigere da se stessi le cose ideali, anche quando gli altri non le esigono da loro. Oggi, quando la deformazione ariana della Parola del Dio vivente s'insinua nelle menti dei teologi e persino dei vescovi, il che in pratica significa fermare i cristiani nell'errore antropologico di Mosè e di Marx, che cioè conosce il bene colui che lo vede dal punto di vista del male, come è attuale il monito del giovane Karol Wojtyla: "Non si può pensare soltanto con un frammento di verità, bisogna pensare con tutta la verità" ("Fratello del nostro Dio")!
 
Fra breve Cristo dirà: "Chi sta con il Signore, venga da me!". Invece di mettere le spade nelle mani di quelli che si schiereranno dalla parte del Signore, coma fece Mosè, Cristo metterà nella loro bocca le parole di fuoco: "Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me" (Mt 10, 37-38).
 
 
 
 
*Ordinario di Antropologia filosofica al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia di Roma, è stato allievo di Karol Wojtyla all'Università di Lublino, diventandone poi consigliere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

CORPUS DOMINI. La memoria di quel pane diventato corpo

 


Angelo Busetto
26/05/2016

Seguendo la “buona” teologia eucaristica, lo sguardo e il cuore si concentrano sul pane eucaristico: quando viene innalzato alla consacrazione, quando l’abbiamo davanti nell'adorazione e quando cammina con noi nella processione. La mente tenta di immaginare il contenuto di quel pane e si domanda come sia possibile che contenga il Corpo del Signore, la sua anima e divinità. Ragione e immaginazione non resistono in questa arrampicata e ben presto cedono. Fidandosi: qui c’è Gesù e basta.

La domanda tuttavia insiste: in quale modo è presente? La mentalità fisicista dei bambini immagina Gesù “piccolo” nascosto sotto le specie del pane e del vino. Come fará a starci dentro, con quale figura, quale età... Già, è fatica “restringere” il Figlio eterno nel tessuto di un corpo umano. Come immaginare il corpo che si fa pane, cosa inanimata, cibo da mangiare? I mistici e soprattutto le sante mistiche “vedono” realmente Gesù nel pane eucaristico, come documentano anche straordinari miracoli. C’è chi realmente vedeva Gesù bambino o Gesù adulto, Gesù coronato di spine o crocifisso. E dunque, si crede non solo per fede ma anche attraverso i testimoni. Tra i miracoli eucaristici, uno degli ultimi è accaduto in Argentina quando era lì papa Francesco: un pezzo di pane consacrato diventa una parte di muscolo cardiaco; un miracolo simile a quello di Lanciano.

La presenza reale di Gesù nell’Eucaristia si dilata quando, seguendo gli antichi scrittori, noi la consideriamo secondo uno sguardo “simbolico”. Il pane - nessun pane - è soltanto un oggetto da mangiare. Si mangia il pane in compagnia; si mangia e si gusta e si commenta. Il pane porta in sé la storia del grano e del seminatore, la storia della fame e della guerra, del perdono e della pace. Padre Cristoforo ha conservato per tutta la vita il pane del perdono. Noi custodiamo per sempre il profumo e il sapore del pane. Gli ebrei hanno conservato fino ai tempi di Gesù la nostalgia della manna. Un pane pieno di ricordo, di memoria, che diventa sacro come il pane dei poveri.

Non vale solo la materialità del pane, con cellule e molecole. Il pane eucaristico è pieno di memoria evangelica: la donna con il lievito nella farina, il pane moltiplicato nel miracolo, lo struggimento dell'Ultima Cena. Il pane si carica della memoria del sacrificio, triturato sulla croce. Gesù spinge decisamente a “fare questo”: offrire il suo corpo e il suo sangue. Non una presenza statica. Quando san Tommaso dice che nella consacrazione eucaristica cambia la sostanza ma rimangono gli accidenti del pane, che cosa succede? La sostanza del pane cambia assumendo non solo il corpo e il sangue di Gesù, ma tutta la sua storia umana e il percorso delle generazioni.

La memoria eucaristica emerge dal profondo della storia sacra e si allarga al corpo della Chiesa. L’offerta di Cristo si dilata nella carità che abbraccia il mondo. Il Corpo di Cristo contiene non solo se stesso, ma tutti coloro che Egli incorpora a sé. La comunione eucaristica è una corrispondenza amorosa, un’unione amorosa, come descrive Maddalena de' Pazzi.







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mercoledì 25 maggio 2016

Il filosofo Rémi Brague smonta il paragone papale tra Corano e Vangelo


 
 
 

“Il cristianesimo è conversione dei cuori, non conquista”
di Matteo Matzuzzi | 25 Maggio 2016

Roma. “Un passaggio dell’intervista suscita in me una certa perplessità, ed è quello sull’islam”. A scriverlo in un commento apparso sul Figaro è il filosofo cattolico Rémi Brague, tra i più grandi medievisti contemporanei, oggi professore emerito alla Sorbona di Parigi e vincitore nel 2012 del Premio “Ratzinger” consegnatogli direttamente da Benedetto XVI. L’intervista in questione è quella concessa la scorsa settimana dal Papa al quotidiano la Croix. Il passaggio che ha lasciato basito l’intellettuale francese è relativo al parallelo proposto da Francesco tra la concezione di conquista propria della religione islamica e quella cristiana: “L’idea di conquista è inerente all’anima dell’islam, è vero”, aveva detto il Pontefice, aggiungendo però che “si potrebbe interpretare, con la stessa idea di conquista, la fine del Vangelo di Matteo, dove Gesù invia i suoi discepoli in tutte le nazioni”.

Brague non concorda per nulla, e spiega che “il Corano non contiene alcun equivalente del mandato missionario affidato ai discepoli”. Non solo, perché anche se “le esortazioni a uccidere che si leggono è probabile che abbiano solamente una portata circostanziale” resta il fatto che “la parola ‘conquista’ non è una metafora, bensì ha un significato concreto, decisamente militare”. Non occorre fare troppa ermeneutica, aggiunge Brague: basta prendere l’hadith in cui il Profeta afferma “mi è stato ordinato di combattere contro gli uomini finché non diranno che non c’è altro dio se non Allah, e che il suo profeta è Maometto”. E’ questo il cuore del problema: nella religione islamica “non c’è una conversione dei cuori, bensì una sottomissione”, come si ricava dal senso della parola islam nei detti di Maometto. Insomma, prosegue il filosofo, “l’adesione sincera potrà e dovrà concretizzarsi, ma non è la priorità”. Un’adesione convinta che si avrà “quando la legge islamica sarà in vigore, e allora i conquistati passeranno alla religione dei conquistatori”.

Da queste constatazioni, osserva Brague, si comprende bene “come la parola ‘conquista’ abbia tutt’altro significato rispetto al versetto contenuto nel Vangelo di Matteo”. Il che non preclude alla possibilità di una sana convivenza tra cristiani e musulmani, “anche se gli esempi dell’Argentina (con l’1,5 per cento di musulmani) e soprattutto del Libano devono essere presi con prudenza”. Il punto è cambiare prospettiva, sostiene il filosofo, osservando che non si tratta tanto di stabilire se è possibile la convivenza tra persone di credo diverso, bensì di comparare sistemi religiosi basandosi sui rispettivi documenti normativi. E’ qui che, a giudizio dell’intellettuale francese, il parallelo proposto da Francesco mostra tutti i suoi limiti.

Il commento di Rémi Brague segue di un giorno la visita del grande imam di al Azhar in Vaticano, primo passo verso il ristabilimento di normali rapporti tra la principale istituzione sunnita e la Santa Sede. In un’intervista concessa ai media vaticani, Ahmed al Tayyeb – che ha confermato l’impegno nella riforma dei testi scolastici per chiarire “i concetti musulmani che sono stati deviati da coloro che usano violenza e terrorismo” – ha voluto ricordare la rottura delle relazioni avvenuta cinque anni fa: “Al Azhar ha una commissione di dialogo interreligioso con il Vaticano che si era sospeso per delle circostanze precise, ma adesso che queste circostanze non ci sono più, noi riprendiamo il cammino di dialogo e auspichiamo che sia migliore di quanto lo era prima”.











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