domenica 9 giugno 2013

Il post-Concilio e l'«actuosa participatio»

 






 

 

La liturgia è azione di Dio, non nostra

di Maria Guarini

La partecipazione attiva non consiste solo in un ‘fare’ materiale, o in un ‘ruolo’ da ricoprire o un ‘protagonismo’ da scoprire, perché il vero Protagonista è il Signore e quella Liturgica è una vera Actio, Opera Sua e non dell’Assemblea. Partecipare è qualcosa di più complesso che corrisponde più a stati d'animo, predisposizioni e atteggiamenti interiori, apertura di cuore e consapevolezza di ciò che accade, attenzione desta e Adorazione, con l'alternarsi di momenti dialogati e di momenti in cui si partecipa in unione col Sacerdote... per non parlare dei Sacri silenzi. Il tutto in un clima di solenne sacralità, di profonda compenetrazione e immersione nel Mistero. La partecipazione non è meno attiva se avviene con le facoltà dell'anima ed una presenza raccolta e coinvolta, più che con un bla bla bla o con delle funzioni da svolgere, perché essa è un atto sacro di culto autentico, mentre invece la si è trasformata in qualcosa che assomiglia più ad una ‘sacra rappresentazione’, narrativa più che attuativa, actio dell’Assemblea invece che del Signore. L'agire, quello autentico delle scelte illuminate dalla Fede ed intessute di Grazia, viene dopo, nella vita, e non è che conseguenza.

La “partecipazione attiva” o “actuosa participatio” alla Liturgia, non nasce dal Concilio, ma già ne troviamo accenni nella bolla Divini Cultus di Pio XI e nella Mediator Dei di Pio XII mentre, ancor prima, fu lo stesso Pio X ad assumere la terminologia “partecipazione attiva” nel linguaggio ufficiale, lasciando intendere che uno degli scopi che desiderava intraprendere nella sua riforma liturgica e pastorale era quello di far rinascere l'autentico spirito cristiano (compito che spetta ad ogni generazione di credenti) attraverso un'attiva partecipazione ai misteri da parte dei fedeli. Per questo indirizzò egli stesso il Movimento Liturgico a sviluppare e studiare bene il tema e i modi di attuazione. Nel motu proprio "Tra le sollecitudini", del 22 novembre 1903, precisa infatti che “prima e indispensabile fonte è la partecipazione attiva”. Naturalmente, al di là di queste indicazioni Magisteriali pre-conciliari, che dimostrano ancora una volta come il Concilio doveva rinnovare e non “rifondare” la Chiesa, non possiamo pensare che la actuosa participatio non si realizzasse anche prima del concilio, per ogni anima credente che vivesse con Fede i Sacri Misteri celebrati nella Santa e Divina Liturgia, rendendosi ad essa presente, così come ogni volta lo fa il Suo Signore ...

Si dice che che la Nuova Messa è più partecipata, confondendo il ‘partecipare’ col ‘fare’ qualcosa: andare a leggere, cantare, le preghiere dei fedeli, quasi che l'ascolto e l'immersione profonda in quanto sai che ‘accade’ non sia ‘partecipazione’… tenendo anche conto che il dialogo tra sacerdote e fedeli c'è anche nel Rito Antico e il Sacerdote - che non dà le spalle ai fedeli ma insieme sono rivolti al Signore - agisce in persona Christi, dimentica se stesso e nell'attenzione ai gesti e alle formule che hanno significati sublimi intraducibili, riesce davvero ad immedesimarsi in quanto accade. Chi muore e offre il Sacrificio è Cristo, ma noi, membra del suo Corpo mistico siamo in Lui.

Partecipare non significa capire tutto (è un mistero talmente grande ed inesauribile che ci si svela sempre ulteriormente), ma offrire la vita unendola all'unico Sacrificio di Cristo, che rinnova qui adesso per me quell'unica morte redentrice in Croce. E il sacrificio ha compimento col pasto sacro, che ci dona il "pane disceso dal cielo" con i beni escatologici, quelli dei 'tempi ultimi' inaugurati dal Signore: è il tempo che viviamo fino alla sua seconda venuta.

L’actuosa participatio è molto più di una mera “disposizione interiore dell’assemblea” o della persona singola. La disposizione interiore (porta di accesso) è unita alla consapevolezza, cui si affiancano fondamenti e novità: mozioni e intuizioni, preghiere e sentimenti suscitati dallo Spirito che denotano la partecipazione con tutto il proprio essere a quello che ‘accade’... occorre avere ben presente questo importante dato della ‘consapevolezza’ di ciò che si sta ‘vivendo’ e che ‘accade’. Grande la responsabilità dei Pastori per diffondere gli aspetti essenziali della Rivelazione sulla Redenzione: l'opera mirabile del Signore, la cui bellezza accende il cuore dei credenti disposti ad accoglierla e che diventa nel Santo e Divino Sacrificio il culto autentico da rendere a Dio, che poi si prolunga nella vita.

Parlare di consapevolezza, vuol dire presenza sia della dimensione intellettiva che di quella spirituale, entrambe caratterizzanti l'essere umano discretamente evoluto. Ma davvero ‘fare’ è soltanto quello che si compie materialmente? In realtà è più presente la dimensione del Mistero, quella del silenzio, dell’Adorazione... Non si vorrà sostenere che nel vivere consapevolmente e profondamente queste dimensioni, rapportate al momento e all’atto liturgico che si compie, c’è solo ‘passività’!

Forse nel nostro intimo accadono molte più cose di quante non possiamo né immaginare né aspettarci né intuire e che poi si traducono in scelte e in atti di vita quotidiana. Non è assolutamente un discorso intimista o spiritualista, ma una realtà sperimentabile ... perché ci sono momenti così intensamente vissuti alla Presenza del Signore che quello che siamo e portiamo con noi: difficoltà, problemi, resistenze, doni e altro sono espressioni, scoperte, accadimenti di persone-in-relazione, che si svelano e non possono rimanere gli stessi se li esponiamo all’azione dello Spirito, che coinvolge la singola persona e contemporaneamente l’Assemblea di cui essa fa parte, che oltretutto non ha confini, perché si estende alla Chiesa di ieri di oggi e di domani, alla "Comunione dei Santi", illustre sconosciuta per le nuove generazioni...

La richiesta di una actuosa participatio dei fedeli al culto, più volte espressa nei documenti conciliari - e nel Catechismo della Chiesa Cattolica, che sottolinea che l'espressione riguarda il servizio comune, riferito a tutto il popolo santo di Dio (cfr. CCC 1069) - viene di solito interpretata nel senso di soluzione alla condanna ad un preteso ruolo “passivo” a cui la liturgia tradizionale avrebbe relegato i fedeli. Possiamo davvero dire che non c'è proprio nulla di « attivo » nell'ascoltare, nell'adorare, nell'attendere, nell'intuire, nell'accogliere, nel commuoversi?

Leggiamo in Joseph Ratzinger: “Introduzione allo spirito della liturgia” a p. 167: “In che cosa consiste, però, questa partecipazione attiva? Che cosa bisogna fare? Purtroppo questa espressione è stata molto presto fraintesa e ridotta al suo significato esteriore, quello della necessità di un agire comune, quasi si trattasse di far entrare concretamente in azione il numero maggiore di persone possibile il più spesso possibile. La parola « partecipazione » rinvia, però, a un’azione principale, a cui tutti devono avere parte”.

Quale sarà dunque in realtà questa “actio”, questa azione a cui tutta l’assemblea è chiamata, ora come sempre, a partecipare? Come accenna l’allora card Ratzinger che nel testo citato così continua: “Con il termine « actio », riferito alla liturgia, si intende nelle fonti il canone eucaristico. La vera azione liturgica, il vero atto liturgico, è la oratio: la grande preghiera, che costituisce il nucleo della celebrazione liturgica e che proprio per questo, nel suo insieme, è stata chiamata dai Padri con il termine oratio. [...] Questa oratio – la solenne preghiera eucaristica, il «canone» - è davvero più che un discorso, è actio nel senso più alto del temine. In essa accade, infatti, che l’actio umana (così come è stata sinora esercitata dai sacerdoti nelle diverse religioni) passa in secondo piano e lascia spazio all’actio divina, all’agire di Dio. [...] Ma come possiamo noi avere parte a questa azione? [...] noi dobbiamo pregare perché (il sacrificio del Logos) diventi il nostro sacrificio, perché noi stessi, come abbiamo detto, veniamo trasformati nel Logos e diveniamo così vero corpo di Cristo: è di questo che si tratta”.

Qui, all’interno della fornace ardente che è il centro stesso della fede cristiana, siamo realmente a miglia di distanza dalle banalizzazioni antropocentriche che vorrebbero imporci. E infatti, sono di nuovo parole del Papa, dallo stesso testo citato: “La comparsa quasi teatrale di attori diversi, cui è dato oggi di assistere soprattutto nella preparazione delle offerte, passa molto semplicemente a lato dell’essenziale. Se le singole azioni esteriori (che di per sé non sono molte e che vengono artificiosamente accresciute di numero) diventano l’essenziale della liturgia e questa stessa viene degradata in un generico agire, allora viene misconosciuto il vero teodramma della liturgia, che viene anzi ridotto a parodia".

Discorsi come questo forse non si fanno abbastanza, tanto siamo proiettati unicamente nel ‘fare’ materiale – che non va sottovaluto ma neppure assolutizzato – e in un nefasto orizzontalismo che ha accantonato la Trascendenza ed è sconcertante che essi possano sembrare complicati anche per dei sacerdoti; cosa che si deve constatare con doloroso rammarico.




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