giovedì 27 gennaio 2011

Segni cristiani e fantasia dei credenti



di Vittorio Messori
27-01-2011

Nell’«aperitivo» di ieri parlavamo dell’opportunità di riscoprire alcuni segni identitari, preziosi nel momento in cui i cristiani diventano una minoranza. Ho citato l’esempio dell’uso del cellulare e della sua sveglia per ricordarci di scandire il tempo della giornata con l’Angelus, ho proposto di insegnare a tutti a recitare e a cantare il Credo in latino, come elemento di unità – la nostra grande «Costituzione» - in occasione dei raduni internazionali.

Oggi ne propongo altri. Sto studiando da decenni il fenomeno delle apparizioni di Lourdes e mi accingo a pubblicare – a Dio piacendo quest’anno – un libro storico sull’argomento. Mi ha sempre colpito l’importanza che ha avuto in quelle apparizioni il segno di croce. Maria, apparendo, ha insegnato a Bernadette come fare bene il segno di croce e molti hanno creduto al racconto della veggente proprio vedendola ripetere quel gesto.

Ecco, il segno di croce sarebbe da riscoprire, è anche ecumenico perché lo condividiamo con gli ortodossi: sarebbe bello che a casa, al ristorante o alla mensa aziendale, sommessamente e senza alcuna platealità, prima di iniziare a mangiare – azione in qualche modo sacrale, ricordata nel Padre Nostro, quando diciamo «Dacci oggi il nostro pane quotidiano – facessimo questo piccolo grande gesto. Segno della nostra appartenenza a Cristo. Da bambino mi stupivo nel vedere le persone per le strade di Torino farsi il segno della croce quando passavano davanti a una chiesa.

Un altro piccolo esempio. Un altro segno importante che potrebbe essere riscoperto, con l’aiuto delle gerarchie e dei nostri sacerdoti (qualcuno peraltro ha già iniziato a farlo), sarebbe il sacramento dell’unzione degli infermi. Nel Salmo 90 leggiamo: «Settanta sono gli anni dell’uomo, ottanta per i più robusti». Credo, e in questo saremmo nella linea del Concilio, che vada riscoperto il sacramento dell’unzione degli infermi, erroneamente ancora chiamato «estrema unzione». Dovrebbe essere amministrato non ai moribondi, ma ai malati.

Ora, come osservavano i latini, senectus ipsa morbus est, la vecchiaia stessa è una malattia. Arrivati a settant’anni, l’età citata nelle Scritture, sarebbe bello che si ritrovasse questo sacramento, questo segno di fede, che rappresenterebbe un buon argomento contro la rimozione della morte, contro la censura della morte che è uno dei guai maggiori del mondo moderno.

Ci sarebbero molti altri esempi. Ne cito ancora uno, quello delle «Madonnelle» (detto alla romana), cioè le immagini sacre che si trovavano agli angoli delle strade e sulle facciate della case. Anche senza tornare a questo, ricordo che a Torino non c’era l’androne di un palazzo che non avesse incastonato sulla parete un tondo con l’immagine della Consolata.

E se a una riunione di condominio, facendo noi il sacrificio di pagare la spesa, proponessimo di mettere un’immagine mariana nell’androne del palazzo? Mi fermo qui. Anche se la fantasia dei credenti sa essere inesauribile.

Fonte: La bussola quotidiana

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