giovedì 30 aprile 2020

30 aprile San Pio V. L'antica eredità liturgica





30 aprile 2020

In questi giorni difficili in cui la Santa Messa, soprattutto quella Antica, è in pericolo non solo per la sospensione da virus [qui], riprendo uno dei testi che il blog inesorabilmente sommerge ma che vanno recuperati per riattingervi i tesori ricevuti e da custodire per alimentare e fortificare la nostra fede.


Rito Antiquior tomba Santa Caterina, 2013

Oggi 30 aprile, il Santorale del Rito Romano Antiquior festeggia Santa Caterina da Siena, mentre quello del Novus Ordo san Pio V. Tutti gli uomini hanno bisogno di modelli a cui guardare: c’è chi segue quelli negativi e a volte infimi, e chi, invece, segue quelli positivi o addirittura santi. Il popolo di Dio è interpellato dalla Chiesa a seguire questi ultimi. Fra i santi ci sono poi quelli “speciali”, gli eletti fra gli eletti: santa Caterina e san Pio V fanno parte degli “eletti speciali”, perché nei disegni di Dio ci sono i chiamati, ma anche quelli più chiamati degli altri, esattamente come accade nella distinzione dei cori angelici, dove, per esempio, san Michele Arcangelo ha un ruolo maggiore in confronto ad un angelo custode, a dispetto dell’egualitarismo di matrice illuminista. Santa Caterina e san Pio V hanno operato in tempi molto difficili e critici; vengono perciò a dimostrare a noi, fedeli del secondo millennio, che Fede e Chiesa possono sempre essere difese, anche quando le circostanze appaiono avverse su tutti i fronti. [Fonte]


Approfitto dunque per ricordare San Pio V, il grande Papa che curò la riforma della Chiesa sulle orme del Concilio tridentino e al quale dobbiamo la revisione del Messale Romano e la sua diffusione in tutto l'Occidente latino, con il testo seguente tratto da:

Breve storia della Messa Romana
Michael Davies

Sulla Messa tradizionale nel Rito Romano, la Messa “tridentina”, Padre Fortescue conclude:

Dal Concilio di Trento la storia della Messa non è per niente e tutt’altro che la composizione di nuove Messe: Lo schema e le parti fondamentali rimangono le stesse. Nessuno ha mai pensato di toccare la venerabile liturgia della Messa Romana, se non per aggiungere nuovi propri.

La sua valutazione finale del Messale di S. Pio V [il libro di Fortescue fu pubblicato nel 1912, n. d. t.] merita un’attenta meditazione:

Ci saranno ancora molti giorni nei quali diremo la Messa detta per secoli dai giorni dei libri gelasiani e leonini. E quando verranno, le nuove Messe cambieranno soltanto nel proprio.
In nostro Canone è intatto, come tutto lo schema della Messa. Il nostro Messale è ancora quello di S. Pio V. Dobbiamo ringraziare che la sua commissione sia stata così scrupolosa da mantenere o restaurare l’antica tradizione romana. Essenzialmente il Messale di S. Pio V è il Sacramentario Gregoriano, modellato sul libro gelasiano che a sua volta dipende dalla collezione leonina. Troviamo le preghiere del nostro Canone nel trattato De Sacramentis riferimenti al Canone stesso nel IV secolo. Così la nostra Messa va indietro, senza cambiamenti essenziali, all’epoca nella quale per la prima volta si sviluppò dalla liturgia più antica. E’ ancora pregna di quella liturgia, di quando Cesare governava il mondo e pensava di poter stroncare la fede in Cristo [qui, probabilmente, Fortescue cita Cesare, morto nel 44 a. C., come prototipo di imperatore romano, n. d. t.], di quando i nostri padri si incontravano tra loro prima dell’alba e cantavano un inno a Cristo come a un Dio. Il risultato finale della nostra inchiesta e che, nonostante i problemi irrisolti, nonostante i cambiamenti successivi, non esiste nella Cristianità un altro rito così venerabile come il nostro.

Mons. Klaus Gamber, uno dei più grandi liturgisti di questo secolo, pone in un suo libro, The Reform of the Roman Liturgy, una domanda assai pertinente sulle motivazioni della riforma che seguì il Vaticano II, ma in nessun modo volute dal Concilio:

Tutto ciò fu fatto veramente per la preoccupazione pastorrale sulle anime dei fedeli, o non rappresentò piuttosto una frattura radicale col rito tradizionale, per impedire l’uso ulteriore dei testi liturgici tradizionali e rendere così impossibile la celebrazione della “Messa Tridentina” – in quanto la stessa non rifletteva più il “nuovo spirito” che circolava nella Chiesa?

Sia ringraziato il Signore non solo perchè la Messa Tridentina non è soltanto “la cosa più bella da questa parte del cielo, ma anche perché è la Messa che non morirà. Come i fedeli di Milano fecero sì che il Rito Ambrosiano non fosse rimpiazzato da quello Romano, così i fedeli del rito Romano hanno rifiutato di abbandonare quella Messa pregna della liturgia “di quando l’imperatore romano [Caesar nel testo originale, cfr. note precedenti, n. d. t.] governava il mondo e pensava di poter stroncare la fede in Cristo, di quando i nostri padri si incontravano tra loro prima dell’alba e cantavano un inno a Cristo come a un Dio.” Il suo uso rinnovato aumenta la sua espansione in tutto il mondo ogni giorno che passa, ed ogni anno sono ordinati sempre più sacerdoti giovani decisi a celebrare la S. Messa secondo il Messale di S. Pio V, che sarà la Messa dei nostri figli come è stata quella dei nostri padri.


Colletta della S. Messa nella Festa di S. Pio V

O Dio, che per debellare i nemici della tua Chiesa e restaurare il culto divino, ti degnasti di scegliere il Beato Pio quale Sommo Pontefice, fà che siamo difesi dalla sua protezione e che ci dedichiamo in tal modo al tuo servizio da gioire, superate le insidie di tutti i nemici, di una perpetua pace. Per il nostro Signore Gesù Cristo, Tuo Figlio, che vive e regna con Te.


© 1997 Michael Davies





mercoledì 29 aprile 2020

Storia di Elise. “Catturata” dall’Eucaristia






Aldo Maria Valli

Ho una predilezione per le storie dei convertiti e quando ne trovo una mi fa piacere condividerla. È il caso della vicenda di Elise, giovane americana di origini svizzere. Una storia che ho letto sul Catholic Herald ed è centrata sulla scoperta dell’Eucaristia.

Il viaggio di Elise Amez-Droz verso la Chiesa cattolica iniziò in un luogo ben noto per il fervore religioso, ma non proprio per la fede cattolica: Salt Lake City, nello Utah, la città fondata dai mormoni.


Fu lì che la ventiquattrenne Elise incontrò un’amica che si stava convertendo al cattolicesimo, il che la sorprese moltissimo. Nata in Svizzera in una famiglia evangelica, la giovane aveva conosciuto solo cattolici di nome, non molto devoti. E adesso invece eccone lì una in carne e ossa, che non si vergognava di dire che amava Gesù. Allora, pensò Elise, il cattolicesimo non è una fede morta. Di lì un percorso di conversione, le cui premesse risalivano però all’infanzia della ragazza.


“Già alle elementari – racconta Elise – avevo iniziato a chiedermi quale fosse lo scopo della vita. Fu un periodo difficile. La vita mi sembra senza senso. Una volta cresciuta, e trasferitami negli Usa, a Salt Lake City, andai a una Messa con quell’amica, e la prima reazione fu: beh, non è poi una cosa così eretica come pensavo che fosse!”.

L’amica fu tempestata di domande: perché stava per entrare nella Chiesa cattolica? Che cosa la spingeva nel profondo del cuore?


Dopo essersi trasferita a Washington, Elise strinse altre amicizie con cattolici e notò che erano tutte gran brave persone, che praticavano la virtù in modo del tutto disinteressato, non per un tornaconto.

A dire il vero, inizialmente trovò le loro virtù “fastidiose”, ma non poté negare che quelle persone erano in gamba. Così decise di sapere qualcosa di più sulla Chiesa e la fede cattolica.


Entrata nel Rite of Christian Initiation of Adults o Ordo Initiationis Christianae Adultorum (un percorso pensato per potenziali convertiti adulti), scelse di approfondirlo nella parrocchia di St. Peter’s a Washington, perché incuriosita dai frati domenicani.

Ogni martedì sera incontrava persone che avevano già fatto il cammino di conversione e altre che lo stavano facendo. Ma la svolta arrivò poco prima della veglia pasquale del 2018. “A quel punto – racconta – mi divenne più chiaro che non avrei mai potuto tornare alla fede protestante”. Due i libri che la segnarono: Le confessioni di sant’Agostino e L’opzione Benedetto di Rod Dreher.

“Trovai L’opzione Benedetto davvero interessante”, dice Elise. “Penso che mi abbia spinta verso la tradizione”. E poi ci fu la lettura del libro Teologia del corpo per principianti. Con Giovanni Paolo II per riscoprire il significato della sessualità e del matrimonio, di Christopher West, libro decisivo perché per la prima volta Elise verificò che era possibile dare risposte a domande fondamentali: “Scoprii che quella teologia aveva un senso, e veniva da un papa! Il che mi fece pensare”.


Uno dei maggiori ostacoli fu accettare l’autorità della Chiesa, qualcosa di profondamente avverso alla mentalità protestante, ma, una volta superato quello scoglio, la navigazione divenne relativamente tranquilla.

Per la confermazione, Elise scelse come santa patrona Teresa di Lisieux, dopo essere venuta a conoscenza della sua storia durante un ritiro. “Mi piacque – ricorda – l’idea di poter essere grande pur essendo piccola, e trovai interessante che Teresa morì all’età di ventiquattro anni, la mia stessa età quando sarei entrata nella Chiesa cattolica”.

Un fattore di fondamentale importanza, nel percorso verso la Chiesa cattolica, fu la scoperta dell’Eucaristia, il che le permise, racconta, di restare fedele alla Chiesa anche quando venne a conoscenza degli scandali degli abusi. “Avrei potuto andarmene, ma in nessun altro posto avrei trovato l’Eucaristia, e così rimasi”.


“Non mi aspetto che la Chiesa sia perfetta”, dice Elise, che è rimasta comunque colpita favorevolmente dal fatto che i suoi amici cattolici non abbiano mai negato gli scandali e ne abbiano sempre parlato apertamente.

Elise Amez-Droz ha potuto accostarsi per la prima volta alla Comunione un anno fa, il 21 aprile 2019, durante la veglia pasquale.

“Il giorno prima – dice – vidi il film La Passione di Cristo e sentii di non essere assolutamente degna di ricevere la comunione. Durante la veglia ero davvero felice ed eccitatissima, sopraffatta al pensiero di poter condividere la persona stessa di Dio in un modo così concreto, anche se ne ero totalmente indegna”.

Ora Elise sostiene che l’Eucaristia è ciò che la rende veramente vicina a Dio. Una storia, la sua, che può fare bene anche a noi, specie in questo periodo di forzato digiuno eucaristico.

A.M.V.

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Fonte: Catholic Herald







venerdì 17 aprile 2020

Don Dolindo Ruotolo e la Misericordia della Purificazione





Cari fratelli e sorelle, avevo sentito qualche tempo fa un'anima santa che conobbe personalmente Don Dolindo Ruotolo dirmi che questo santo sacerdote napoletano parlava della “Misericordia del castigo di Dio”, un'espressione emblematica che parrebbe incomprensibile o addirittura erronea invece ha molto senso se ci pensiamo bene…

Lo stesso castigo di Dio, la stessa purificazione è una Misericordia perché impedisce al demonio di portare sempre più anime all'inferno, pone un limite al suo potere nel mondo e, attraverso un intervento doloroso ma restauratore, ripristina un ordine che ormai non c'è più.

Proprio questa mattina mi trovo davanti agli occhi il testo a cui forse quell'anima santa si riferiva quando mi parlava di Don Dolindo e della “Misericordia del castigo di Dio”, un testo breve ma chiarissimo e denso di contenuto, come tutti gli scritti del santo sacerdote napoletano.

Lo condivido con tutti voi proprio in un momento in cui si grida “crucifige, crucifige” a chi osa rispolverare il concetto di Giustizia e Castigo di Dio in rapporto a quello che stiamo vivendo in questi giorni… ed ecco che anche un grande uomo di Dio come Don Dolindo Ruotolo ci conferma che il concetto cattolico della Giustizia e del Castigo di Dio è corretto e addirittura arriva a chiamarlo “Misericordia”… leggete voi stessi queste righe impressionanti.







LA PURIFICAZIONE NON COME CASTIGO MA COME DIVINA MISERICORDIA
dal testo: Don Dolindo Ruotolo, Così ho visto l'Immacolata (II° edizione), Apostolato Stampa, Napoli 2002, pp. 119-120.



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Dio solo!

Sono io, Maria Immacolata, Madre di Misericordia.

Sono io che debbo ricondurvi a Gesù perchè il mondo ne è tanto lontano e non trova la via per ritornare al Lui essendo così pieno di miserie! Solo una grande misericordia può fare superare al mondo il baratro nel quale è caduto. Oh, figlie mie, voi non ponderate in quale stato si trova la terra e che cosa sono diventate le anime! Non vedete che Dio è dimenticato, è sconosciuto, che la creatura è idolatra di se stessa, che si esibisce così per darsi, per diventare idolo di ogni passante. Non vedete che la Chiesa languisce e che tutte le sue ricchezze sono sepolte, che i suoi sacerdoti sono inattivi, spesso sono cattivi, e dissipano la vigna del Signore?

Il mondo è diventato un campo di morte, ... nessuna voce lo risveglia se una grande misericordia non lo solleva. Voi, perciò, figlie mie, dovete implorare questa misericordia rivolgendovi a me che ne sono la Madre: "Salve Regina, Madre di misericordia, vita, dolcezza e speranza nostra".

La misericordia della purificazione

Che cosa credete voi che sia la misericordia? Essa non è soltanto l'indulgenza ma è anche il rimedio, la medicina, l'operazione chirurgica.

La prima misericordia che deve avere questa povera terra, e la Chiesa per prima, deve essere la purificazione. Non vi spaventate, non temete ma è necessario che un uragano terribile passi prima sulla Chiesa e, poi, sul mondo!

La Chiesa sembrerà quasi abbandonata e da ogni parte la diserteranno i suoi ministri... dovranno chiudersi persino le chiese! Il Signore troncherà con la sua potenza tutti i legami che ora l'avvincono alla terra e la paralizzano!

Hanno trascurato la gloria di Dio per la gloria umana, per il prestigio terreno, per il fasto esteriore e tutto questo fasto sarà ingoiato da una persecuzione terribile, nuova! Allora si vedrà che cosa giovano gli appannaggi umani e come valeva meglio appoggiarsi a Gesù solo che è la vita vera della Chiesa.

Quando vedrete i Pastori scacciati dalle loro sedi e ridotti in povere case, quando vedrete i sacerdoti privati di ogni loro avere, quando vedrete abolite le grandezze esterne dite che il regno di Dio è imminente! Tutto questo è misericordia non è male!

Gesù voleva regnare dilatando l'amore suo e tante volte glielo hanno impedito. Egli, dunque, disperderà tutto quello che non è suo e colpirà i suoi ministri perchè, privi di ogni umano appoggio, vivano soltanto in Lui e per Lui!

Ecco la misericordia vera ed io non impedirò questo che sembra un rovescio ed è un grande bene perchè sono la Madre della misericordia!

Il Signore comincerà dalla sua casa e da questa passerà nel mondo...

L'iniquità, giunta, al suo colmo si sfascierà da se stessa e si divorerà...

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Potete trovare un breve profilo biografico del santo sacerdote napoletano nella seconda parte di questo articolo da me pubblicato qualche tempo fa: Consigli preziosi di Don Dolindo Ruotolo in tempo di apostasia...

Molto bello è anche questo documentario sulla vita e la spiritualità di don Dolindo Ruotolo: www.youtube.com/watch












giovedì 16 aprile 2020

Fine della globalizzazione economica e (forse) di quella teologica. Articolo di P. Serafino M. Lanzetta.





Tavolo sul dopo-coronavirus. Fine della globalizzazione economica e (forse) di quella teologica




P. Serafino M. Lanzetta, 16-04-2020

Diversi commenti in questi giorni mettono in evidenza la fine della globalizzazione causata dagli effetti del COVID-19, esploso improvvisamente così da trovare impreparati molti. Ciò che è sotto gli occhi di tutti è il limite che il virus ha posto a una società senza limiti e particolarmente alla globalizzazione economica, cioè a quel modo sempre più libertario di puntare al libero mercato più che a un mercato rispettoso delle giuste ed eque condizioni di mercato; un mercato che mira a far crescere la domanda in modo esponenziale e consumistico, prima che favorire la qualità (morale) dell’offerta. Si è generato con il tempo un conflitto del mercato con lo Stato, ma ancor prima dello Stato con una visione naturale dell’uomo e della famiglia come centro vitale della società. Se lo Stato si separa dalla famiglia non riconoscendo più il principio di sussidiarietà e se addirittura la famiglia viene equiparata ad altri modelli di libera convivenza, è ovvio che il mercato si separa dallo Stato e lo metta in qualche modo sotto accusa. Proprio questa globalizzazione ora è saltata: sia l’economia che lo Stato (penso a quello italiano) sono in crisi nel far fronte all’emergenza pandemica.I mercati sono caduti a picco. L’Unione Europea ha dato prova della sua inefficienza difronte al dramma dell’emergenza sanitaria. Eppure la tecnologia (una tecnica applicata) che muove l’economia e che è la vera anima del processo globalizzante resta salda. Anzi sarà l’unica a dettare nuovamente le leggi della ripresa economica dopo che il virus sarà stato sconfitto e si sarà forse tornati alla normalità, se ovviamente si continuerà a pensare in modo globalista, assoggettando l’economia (e ogni aspetto della vita umana) alla tecnica e facendo di quest’ultima il vero coefficiente della libertà assoluta. Si può dominare la tecnica? A giudizio di alcuni no, perché ci si troverebbe di fronte a una sorta di divinità. Si tratta invero di attribuirle il suo scopo. C’è un passaggio della Caritas in veritate che fa per il nostro caso:

«Lo sviluppo tecnologico può indurre l’idea dell’autosufficienza della tecnica stessa quando l’uomo, interrogandosi solo sul come, non considera i tanti perché dai quali è spinto ad agire. È per questo che la tecnica assume un volto ambiguo. Nata dalla creatività umana quale strumento della libertà della persona, essa può essere intesa come elemento di libertà assoluta, quella libertà che vuole prescindere dai limiti che le cose portano in sé. Il processo di globalizzazione potrebbe sostituire le ideologie con la tecnica, divenuta essa stessa un potere ideologico, che esporrebbe l’umanità al rischio di trovarsi rinchiusa dentro un a priori dal quale non potrebbe uscire per incontrare l’essere e la verità. In tal caso, noi tutti conosceremmo, valuteremmo e decideremmo le situazioni della nostra vita dall’interno di un orizzonte culturale tecnocratico, a cui apparterremmo strutturalmente, senza mai poter trovare un senso che non sia da noi prodotto» (n. 70).

Questo è un elemento su cui riflettere attentamente. Vogliamo dipendere ancora dalla tecnica o invece desideriamo ripartire da un centro vitale che è la verità della persona umana, senza dover unicamente rispondere alla domanda circa la funzionalità delle cose? Se l’uomo è una semplice cosa che risponde al com’è e non al cos’è, le cose, tutte le altre cose, diventano persone con diritti e (meno) doveri. Bisogna rispettare la gerarchia del creato: la natura, l’uomo e Dio. La natura è per l’uomo e l’uomo per Dio. Quando si ignora questa gerarchia, o si assolutizza la natura o si assolutizza l’uomo. Cioè, o si fa della natura una divinità in sé, presto però sostituita dalla tecnica che appunto palesa il potere della natura, o si fa dell’uomo un essere divino con un potere tecnocratico enorme, capace di controllare le cose fino a stabilirne la loro verità. O si assoggetta la natura all’uomo, manipolabile perfino oltre se stessa (si pensi alla teoria del gender) o l’uomo alla natura, come accade con l’ideologia ecologista, ultimamente abbracciata anche nella Chiesa. In entrambi i casi manca Dio. Si fa presto a criticare il Cristianesimo (come nell’analisi del filosofo Umberto Galimberti, discepolo di Emanuele Severino) per aver addomesticato la creazione ponendo l’uomo al di sopra di tutte le cose create e quindi mettendo nelle sue mani il potere della tecnica per il domino su tutto. L’uomo, in realtà, è “custode del creato” in quanto figlio di Dio, in quanto cioè chiamato a ricondurre tutte le cose al loro fine ultimo: Dio e la vita eterna in Lui. È dall’esclusione di Dio quale Creatore e Signore delle cose che nasce il domino della tecnica sulla creazione e della subordinazione della vita sociale al mercato globalista.

La pandemia causata dal Coronavirus ci dice che non è la tecnica che controlla la natura e la vita dell’uomo (sia nell’accezione di natura subordinata all’uomo sia di uomo subordinato alla natura), ma che ci sono dei fattori, oltre la natura e prima di ogni tecnica, che possono determinare anche fatalmente la vita dell’uomo. Quest’ultima non è un ammasso di materia inerte da controllare, ma soprattutto una dimensione spirituale che sfugge al controllo, il regno della libertà e della verità. Il virus infatti è analogo a ciò che è di natura spirituale: non si vede, ha un’origine ancora ignota, eppure determina ciò che è fondamentale, la vita stessa. La tecnica in questo caso viene dopo, rincorre il virus cercando di distruggerlo. Prima c’è la vita e poi le cose della vita.

Ma c’è un’altra globalizzazione a cui vorrei accennare in questo mio intervento, quella di tipo religioso che esporta il sincretismo e livella ogni differenza, fino al punto di rendere inutile il discorso sulla religione vera. Sembra che anche in ambito cattolico negli ultimi anni si stia adottando questo tipo di globalizzazione religiosa che ha la sua radice ultima in una “globalizzazione teologica”. La libertà religiosa diventa un modo per giustificare la fede e la credenza di ognuno all’interno della società, in cui, mentre si livellano le differenze (a cui però resiste il fondamentalismo e il nichilismo), si porrebbe gli uni accanto agli altri in modo irreversibile. Così facendo si getterebbe il fondamento ultimo per una società più umana – in realtà più globalizzata – che può aspirare finalmente a risolvere il problema del conflitto religioso per inverarsi in ciò che è al di sopra della religione: l’unità e la fraternità dei popoli. Neanche E. Schillebeeckx con il suo concetto di «Chiesa come sacramento del dialogo» avrebbe aspirato a tanto. Non si può strumentalizzare la libertà religiosa e questa non può essere rinuncia alla vera libertà nell’adorazione di Dio, dell’unico vero Dio. La religione non è un ostacolo alla libertà ma il suo fondamento. È un caso che il Coronavirus, fortemente antiglobalista, faccia saltare con molta probabilità il prossimo meeting mondiale di maggio, organizzato da Papa Francesco per “Ricostruire il patto educativo globale”? Si tratta di un naturale prosieguo del Documento di Abu Dhabi del 4 febbraio 2019 sulla «fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune».

Questa visione religiosa che supera la religione e mette da parte l’evangelizzazione (come il mercato supera in qualche modo la stessa economia) ha un suo centro in una visione globalizzante della teologia e dei principi che animano la fede. Da un po’ a questa parte la visione teologica cattolica, abbracciata da molti che hanno posizione di comando, ha provato a superare i confini tra Rivelazione divina e pensiero speculativo, tra dottrina e pastorale. Si tratta di un vero sconfinamento dell’uomo e del suo pensiero soggettivo nella struttura dogmatica della Chiesa, giustificato con un approccio definito “pastorale”. Si noti però un uso della pastorale che assomiglia molto a quello della tecnica, vero motore della globalizzazione economica e difatti suo fine, pur rimanendo dimessa e muovendo gli ingranaggi da dietro le quinte. Con un approccio più pastorale, si è consentito di dare la comunione ai divorziati risposati, di riscrivere le norme del processo canonico di nullità matrimoniale, di trasformare la Chiesa in una piazza del dialogo con ripetuti sinodi che assomigliavano più a un Parlamento che a un’assise ecclesiale ed ecclesiologica. Si potrebbe continuare con l’elenco. Il rischio è che la Chiesa si metta al traino della società globalizzata e più che evangelizzare la globalizzazione, traendone vantaggi notevoli per diffondere il Vangelo, ne acquisisca le regole tecniche che però non salvano. Basta poi un virus, il veleno di un solo peccato, per manifestarne la debolezza.

La società non sarà più la stessa dopo il Coronavirus. Con molta probabilità ci sarà una svolta ancora più sovranista in Europa. Cosa accadrà alla Chiesa però non è di facile previsione. Si tratta in fondo di abbondonare una visione ideologica, giustificata con tanto di fede e di teologia, che i fautori della società libera e uguale avevano escogitato nel lontano 1968. La stura però si ebbe nel 1989, quando dalle macerie del Comunismo si ergeva vittorioso il Marxismo divenendo globalista, esportando nei luoghi dove era fallito non più slogan come “lavoratori di tutto il mondo unitevi”, ma “diritti per tutti” e a tutti i costi. Così l’utopia comunista si realizzava sul piano individuale e non più collettivo e trovava il suo campo fertile nelle società dei consumi e dei desideri. Il dialogo con questo neo-capitalismo individualista ci ha trovati finora impreparati, quando non addirittura sedotto. Lo sarà anche nel dopo-Coronavirus?


















martedì 14 aprile 2020

Così la realtà sta scardinando gli slogan della “Chiesa in uscita”




L’attuale situazione, segnata dalla pandemia, ha ribaltato nel giro di poche settimane una lunga serie di proposizioni che la mentalità dominante e la cosiddetta “Chiesa in uscita” (quella che piace tanto alla gente che piace) ripetevano ossessivamente.





di Aldo Maria Valli (11-04-2020)

Un amico mi ha fatto notare che l’attuale situazione, segnata dalla pandemia, ha ribaltato nel giro di poche settimane una lunga serie di proposizioni che la mentalità dominante e la cosiddetta “Chiesa in uscita” (quella che piace tanto alla gente che piace) ripetevano ossessivamente.

Ho preso spunto da questa osservazione per individuare alcuni punti che desidero proporre alla vostra attenzione.

1. MURI E PONTI

Partiamo dallo slogan “ponti non muri”. Ebbene, la pandemia ci ha mostrato che non è vero che i muri vanno sempre abbattuti e che al loro posto occorre costruire ponti. Per difendersi dai contagi, di qualunque tipo, i muri servono, mentre i ponti possono rivelarsi molto pericolosi. Non è saggio contrapporre muri e ponti. Saggio è utilizzarli in modo equilibrato.

2. NATURA MADRE

Con la pandemia da coronavirus Madre Natura ha prontamente risposto a chi (anche, purtroppo, nella Santa Romana Chiesa) in base a un superficiale ecologismo, ha preteso di innalzarla al ruolo di divinità sempre benevola e sempre dalla parte dell’uomo. Come ben sappiamo, la natura può essere madre, ma anche matrigna, per niente buona e per niente benevola nei nostri confronti. La natura va rispettata e tutelata, ma farne una divinità è un errore infantile che può diventare fatale.

3. ALTRO CHE EUROPA!

Quante volte abbiamo sentito ripetere che il mondo oggi, per affrontare efficacemente i problemi, ha bisogno di forti organismi sovranazionali. Perfino i vertici della Chiesa, purtroppo, hanno ripetuto questo mantra. Alla prova dei fatti, però, che cosa stiamo vedendo? Di fronte a uno stato di grave difficoltà, gli organismi internazionali brillano per la loro assenza e producono soltanto parole vuote, mentre sono gli Stati nazionali che, sia pure tra ritardi ed errori, riscoprendo l’importanza della propria sovranità si rimboccano le maniche. Il discorso vale in particolare per l’Europa, incapace di qualunque forma di coordinamento e di aiuto.

4. RADICI CRISTIANE

L’Unione europea, per scelta ideologica, non ha voluto riconoscere le radici cristiane del continente, ma ora, nel momento del bisogno, che cosa vediamo? L’Unione, inefficiente e inutile, balbetta parole senza costrutto, mentre le nazioni, per affrontare una grave situazione di pericolo, mettono in campo risorse tutte ricollegabili alle radici cristiane: solidarietà, altruismo, spirito di sacrificio, rispetto della dignità umana.

5. NUOVO UMANESIMO

Da più parti (e, lo dico con sconforto, anche dalla Chiesa) sentivamo dire sempre più spesso che abbiamo bisogno di un “nuovo umanesimo”, formula ambigua, che avrebbe bisogno di essere precisata. Nella mentalità comune stava passando l’idea che l’uomo può salvarsi grazie alla sua autonomia, senza bisogno di ricorrere alla fede religiosa o, al più, ammettendo un dio che osserva dall’alto ma non si fa carne. Adesso però, di fronte al pericolo, che cosa vediamo? Che si riscopre la preghiera, il rapporto con Dio padre, ed è a lui che ci si rivolge, non a qualche concetto astratto. È Dio che salva, è il nostro radicarci in Dio padre e nelle sue leggi. Se l’uomo pretende di fare da sé, si autodistrugge. Lezione, quest’ultima, che vale per tutti, come disse Benedetto XVI quando propose di vivere capovolgendo l’assioma degli illuministi: non etsi Deus non daretur, come se Dio non ci fosse, ma veluti si Deus daretur, come se Dio ci fosse

6. SÌ AL PROSELITISMO

Quante volte abbiamo sentito dire dal papa regnante no al proselitismo. Eppure, la realtà dimostra che se l’uomo, quando pretende di fare da sé, va incontro a disastri, significa che il proselitismo non solo è possibile, ma doveroso e necessario da parte dei credenti. Perché quando si ricevere un grande dono prezioso lo si vuole trasmettere.

7. LA TECNOLOGIA SERVE, ECCOME!

Anche sulla scorta del sinodo amazzonico, negli ultimi tempi avevamo assistito a un revival del pensiero antitecnologico, segnato da una pregiudiziale idiosincrasia nei confronti dell’intervento umano nel mondo naturale, come se (per tornare a quanto si diceva poco fa) la salvezza sia sempre nel lasciar fare a Madre Natura. In realtà la vicenda attuale ci sta dimostrando che senza tecnologia non possiamo difenderci. Certo, la tecnologia va governata, ma pretendere di eliminarla o di ridurla fortemente non ci rende più forti: ci rende più vulnerabili e indifesi.

8. DEUS NON IRRIDETUR! LA MISERICORDIA DI DIO NON VA SVENDUTA

Dio è misericordioso! Lo sentivamo ripetere ogni giorno, ed è certamente vero. Ma Dio, pur misericordioso, come un vero padre non si lascia prendere in giro dai figli. Deus non irridetur! Dio Padre non può essere ingannato. Le parole di san Paolo ci ricordano che svendere la misericordia divina, senza insistere sulla necessità dell’ammissione dei peccati e della conversione, è un grave peccato contro lo Spirito Santo. Non esiste un dovere di Dio alla misericordia e non esiste un diritto dell’uomo a essere perdonato.

9. CHE ME NE FACCIO DI LUTERO?

L’ultimo punto riguarda la nostra Madre, la Vergine Maria, e un certo ecumenismo quanto meno superficiale. In base a questo ecumenismo, sembrava quasi che dovessimo imparare qualcosa dal luteranesimo, fino a spingere il papa a tenere un’udienza, in Vaticano, alla presenza di una statua dell’eretico e scismatico Lutero. Ma nel momento del bisogno che cosa fa un popolo cattolico? Guarda forse a Lutero? O limita la sua devozione mariana per non urtare i protestanti? No, il popolo cattolico prega il santo rosario e chiede l’intercessione di Maria! E lo fa vedendo in lei non semplicemente una donna e una discepola, ma la Regina.

Ecco qua, cari amici, alcune lezioni che stiamo apprendendo in questi giorni segnati dalla pandemia. Se ne potrebbero aggiungere altre, ma possono bastare. Sono tutte lezioni che ribaltano totalmente gli slogan della cosiddetta “Chiesa in uscita”, segnata dalla retorica dei ponti, dall’ecologismo, dal mondialismo, dal misericordismo, dall’ecumenismo ideologico e dall’innamoramento per il nuovo umanesimo di matrice massonica.

Buona Pasqua a tutti!













domenica 12 aprile 2020

LA PRIMA APPARIZIONE di Gesù Risorto fu all'Addolorata Sua Madre!










Tratto da: L'Evangelo come mi è stato rivelato
Volume X capitolo 617 nn 1-6
DCXVIII. Gesù risorto appare alla Madre

21 febbraio 1944



Maria ora è prostrata col volto a terra. Pare una povera cosa abbattuta. Pare quel fiore morto di sete di cui Ella ha parlato.
La finestra chiusa si apre con un impetuoso sbattimento delle pesanti imposte e, col raggio del primo sole, entra Gesù.
Maria, che s'è scossa al rumore e che alza il capo per vedere che vento abbia aperto le imposte, vede il suo raggiante Figlio: bello, infinitamente più bello di quando ancora non aveva patito, sorridente, vivo, luminoso più del sole, vestito di un bianco che par luce tessuta, e che si avanza verso di Lei.
Ella si raddrizza sui ginocchi e, congiungendo le mani sul petto, in croce, dice con un singhiozzo che è riso e pianto: «Signore, mio Dio». E resta così rapita nel contemplarlo, col viso tutto lavato di lacrime ma fatto sereno, pacificato dal sorriso e dall'estasi.

Ma Egli non la vuole vedere, la sua Mamma, in ginocchio come una serva. E la chiama, tendendole le Mani dalle cui ferite escono raggi che fanno ancor più luminosa la sua Carne gloriosa: «Mamma!». Ma non è la parola accorata dei colloqui e degli addii avanti la Passione, né il lamento straziato dell'incontro sul Calvario e dell'agonia. È un grido di trionfo, di gioia, di liberazione, di festa, di amore, di gratitudine. E si curva sulla sua Mamma, che non osa toccarlo, e le mette le sue Mani sotto i gomiti piegati, e la alza in piedi e la stringe al Cuore e la bacia.
Oh! allora Maria comprende che non è una visione, che è il Figlio realmente risorto, che è il suo Gesù, il Figlio che l'ama da Figlio ancora. E con un grido gli si getta al collo e lo abbraccia e lo bacia, ridendo nel pianto. Lo bacia sulla Fronte dove non sono più ferite, sulla Testa non più spettinata e sanguinosa, sugli Occhi fulgidi, sulle Guance risanate, sulla Bocca non più enfiata. E poi gli prende le Mani e ne bacia il dorso e la palma, sulle raggianti ferite, e d'un subito si curva ai suoi Piedi e li scopre da sotto la veste splendente e li bacia.

Poi si alza, lo guarda, non osa.
Ma Egli sorride e capisce. Socchiude la veste sul petto e dice: «E questa, Mamma, non la baci questa che t'ha fatto tanto male e che tu sola sei degna di baciare? Baciami sul Cuore, Mamma. Il tuo bacio mi leverà l'ultimo ricordo di tutto quanto è dolore, e mi darà quella gioia che ancora manca alla mia Gioia di Risorto».
E prende fra le sue Mani il volto della Madre e ne appoggia le labbra sulle labbra della ferita del Costato, da cui escono fiotti di luce vivissima. Il viso di Maria è aureolato da quella luce, tuffato come è nel suo raggio.
Ella bacia, bacia, mentre Gesù la carezza. Non si stanca di baciare. Pare un assetato che abbia attaccato la bocca alla fonte e ne beva la vita che gli sfuggiva.

Ora Gesù parla.
«Tutto è finito, Mamma. Ora non hai più da piangere per il tuo Figlio. La prova è compiuta. La Redenzione è avvenuta.
Mamma, grazie di avermi concepito, allevato, aiutato in vita e in morte.
Ho sentito venire a Me le tue preghiere. Esse sono state la mia forza nel dolore, le mie compagne nel mio viaggio sulla Terra ed oltre la Terra. Esse sono venute meco sulla Croce e nel Limbo. Erano l'incenso che precedeva il Pontefice, che andava a chiamare i suoi servi per portarli nel Tempio che non muore: nel mio Cielo. Esse sono venute meco in Paradiso, precedendo come voce angelica il corteo dei redenti guidati dal Redentore, perché gli angeli fossero pronti a salutare il Vincitore che tornava al suo Regno. Esse sono state udite e viste dal Padre e dallo Spirito, che ne hanno sorriso come del fiore più bello e del canto più dolce nati in Paradiso. Esse sono state conosciute dai Patriarchi e dai nuovi Santi, dai nuovi, primi cittadini della mia Gerusalemme, ed Io ti porto il loro grazie, Mamma, insieme al bacio dei parenti e alla loro benedizione e a quella del tuo sposo d'anima, Giuseppe.
Tutto il Cielo canta il suo osanna a te, Madre mia, Mamma santa! Un osanna che non muore, che non è bugiardo come quello dato a Me pochi giorni or sono.

Ora Io vado al Padre con la mia veste umana. Il Paradiso deve vedere il Vincitore nella sua veste d'Uomo con cui ha vinto il Peccato dell'Uomo. Ma poi verrò ancora. Devo confermare nella Fede chi non crede ancora ed ha bisogno di credere per portare altri a credere, devo fortificare i pusilli che avranno bisogno di tanta fortezza per resistere al mondo.
Poi salirò al Cielo. Ma non ti lascerò sola. Mamma, lo vedi quel velo? Ho, nel mio annichilimento, sprigionato ancora potenza di miracolo per te, per darti quel conforto. Ma per te compio un altro miracolo. Tu mi avrai, nel Sacramento, reale come ero quando mi portavi.
Non sarai mai sola. In questi giorni lo sei stata. Ma alla mia Redenzione occorreva anche questo tuo dolore. Molto va continuamente aggiunto alla Redenzione, perché molto sarà continuamente creato di Peccato. Chiamerò tutti i miei servi a questa compartecipazione redentrice. Tu sei quella che da sola farai più di tutti i santi insieme. Perciò ci voleva anche questo lungo abbandono.
Ora non più. Io non sono più diviso dal Padre. Tu non sarai più divisa dal Figlio. E, avendo il Figlio, hai la Trinità nostra. Cielo vivente, tu porterai sulla Terra la Trinità fra gli uomini e santificherai la Chiesa, tu, Regina del Sacerdozio e Madre dei Cristiani.
Poi Io verrò a prenderti. E non sarò più Io in te, ma tu in Me, nel mio Regno, a far più bello il Paradiso.

Ora vado, Mamma. Vado a fare felice l'altra Maria. Poi salgo al Padre. Indi verrò a chi non crede.
Mamma. Il tuo bacio per benedizione. E la mia Pace a te per compagna. Addio».

E Gesù scompare nel sole che scende a fiotti dal cielo mattutino e sereno.

















giovedì 9 aprile 2020

Giovedì Santo. Giuda e l’Eucaristia






di Redazione RS il 9 Aprile 2020
di Massimo Micaletti

Ripercorrendo la vicenda dell’Ultima Cena per come gli Evangelisti la descrivono, può sovvenire una perplessità: Gesù diede la Comunione a Giuda? E perché lo fece, dato che Gesù non poteva non sapere che Giuda l’aveva venduto ai sacerdoti?
Cerchiamo di rispondere.


Giuda era presente all’Ultima Cena?

Matteo[1] e Marco[2] riportano prima la denuncia del tradimento e poi l’istituzione dell’Eucaristia; Luca[3] inverte la sequenza e colloca la denuncia del tradimento dopo il rito; Giovanni non parla esplicitamente dell’Eucaristia ma si sofferma sul tradimento[4]; tutti comunque rimandano al tranello che attendeva Gesù. Luca è chiarissimo nelle parole di Cristo “Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola”. Matteo 25, 25 riporta il breve e certamente segreto – vedremo poi perché – dialogo tra Gesù e Giuda: 25Giuda, il traditore, disse: “Rabbì, sono forse io?”. Gli rispose: “Tu l’hai detto”. Marco riporta che Gesù fa riferimento al traditore come colui “che mette con me la mano nel piatto”. Entrambi questi brani indicano la presenza attuale e concreta di Giuda accanto a Gesù nel momento dell’istituzione dell’Eucaristia. Giovanni scrive che l’Iscariota, dopo aver preso il boccone “subito uscì” ma questo inciso non contraddice l’ipotesi di Giuda all’Ultima cena in quanto non è chiaro in Giovanni se il pane intinto sia stato offerto prima o dopo la distribuzione delle Sacre Specie ai discepoli (Tommaso e Agostino concordano sul fatto che sia stato dato dopo, come vedremo tra poco).
Si può quindi concludere con una certa sicurezza che Giuda fosse presente all’Ultima Cena.


Giuda prese la Comunione?

Su questo c’è discussione tra gli esegeti: ad esempio, il Ricciotti ritiene che non sia possibile rispondere con sicurezza. Questo chiuderebbe il discorso (se non ha dato una risposta Ricciotti, figurarsi se posso riuscirci io in queste poche righe!) ma proviamo a svolgere qualche riflessione, confortati da S. Agostino che invece ritiene con certezza che Giuda non solo partecipò all’Ultima Cena ma prese anche la Comunione[5].
Secondo Marco, Gesù benedice il pane e lo dà “ai discepoli”, quindi a tutti i presenti “mentre essi mangiavano”; più o meno simili le parole di Matteo. Ciò significa che Gesù porse il pane, ma il Vangelo non dice se anche Giuda ne mangiò. Questo dettaglio è omesso anche da Luca mentre Giovanni riporta sì che Giuda prese un boccone dalla mano di Gesù e che “allora, dopo quel boccone Satana entrò in lui” ma non ci dice se prima o dopo la benedizione.
San Tommaso, nella Summa, III, q. 81, all’art. 2[6] si pone la domanda “Se Cristo abbia dato il proprio corpo a Giuda”. Egli richiama il passo riportato sia da Matteo che da Marco, in cui il Messia dice ai discepoli che berranno di nuovo dal calice del Suo sangue quando saranno con Lui nel Suo regno: ora, Gesù sapeva che Giuda non sarebbe entrato nel Regno dei Cieli, sicché Giuda non ha di certo bevuto del vino transustanziato, ergo non ha partecipato all’Eucaristia. Inoltre, San Tommaso fa riferimento all’insegnamento di Gesù di non dare cose sante a coloro che ne siano indegni e, come ultimo argomento, ipotizza che il Maestro abbia porto il boccone rivelatore a Giuda prima dell’Eucaristia, come ad indicare agli altri discepoli chi fosse il traditore. A sostegno dell’ipotesi che, invece, il traditore si sia comunicato – indegnamente – Tommaso adduce il passo di San Giovanni Crisostomo che lo dà per certo. L’Aquinate conclude che Gesù certamente porse l’Eucaristia a Giuda, intendendo fino all’ultimo salvarlo, ma che questi non la prese o, se lo fece, lo fece indegnamente.
Possiamo quindi affermare con una certa sicurezza che Gesù porse l’Eucaristia a Giuda ma non è certo se questi la prese o no. Se lo avesse fatto, sarebbe stato il primo della lunga serie di peccatori che si accostano indegnamente alla Comunione; il fatto sarebbe inoltre un’efficace sintesi di tutta la sua esperienza con Gesù, la vicinanza al quale invece che la salvezza gli valse l’eterna condanna.


Perché Gesù offre la Comunione a Giuda?
In parte, si è già risposto a questa domanda ma approfondiamola. Gesù sa cosa trama Giuda, cosa ha fatto e cosa farà sicché Egli non ha nessun dubbio sulla indegnità a ricevere la prima Eucaristia di tutti i tempi: eppure gliela porge ugualmente. Perché? Riprendiamo i Vangeli e San Tommaso. Cristo sa che l’Iscariota lo tradirà ma perché è in grado di discernere il foro interno del peccatore: gli altri discepoli non lo sanno né egli ha detto loro come stanno le cose. Gesù quindi non intende, dinanzi ai discepoli, negare a Giuda il Sacramento anche perché sinceramente vuole anche lui in Paradiso. Non dimentichiamo che in Giuda c’è il peccato ma non c’è lo scandalo: egli tiene per sé il suo proposito, non lo rivela a nessuno. Sarà il traditore a venir meno all’offerta che Gesù gli fa: non sappiamo, come detto, se egli l’abbia rifiutata ma per certo sappiamo che tutta la sua condotta è un rifiuto continuo dell’offerta di salvezza che Dio gli fa, fino al gesto ultimativo del suicidio.


E il pane intinto? Era l’Eucaristia?

Per San Tommaso e Sant’Agostino, non lo era. Scrive il Vescovo di Ippone “3. Non fu allora, però, che Giuda ricevette il corpo di Cristo, come crede qualche lettore frettoloso. E’ da ritenere, infatti, che già il Signore aveva distribuito a tutti i discepoli, presente anche Giuda, il sacramento del suo corpo e del suo sangue”[7].
Il pane intinto, innanzitutto, per Sant’Agostino può rappresentare l’ipocrisia del peccatore, come a dire che Giuda ha nascosto le sue intenzioni “intingendole” di apparente bontà, ossia del falsa amicizia per Nostro Signore; oppur, suppone Agostino, era un’attenzione speciale che Gesù riservò a Giuda, una “cosa buona” che Egli gli offrì per dimostrare fino all’ultimo l’amore di Cristo per ogni peccatore e che però guadagnò al peccatore la conferma nel peccato.
Era dunque un gesto rivelatore: ma a chi? Non agli altri presenti, che altrimenti avrebbero di certo attaccato Giuda o comunque prevenuto le sue mosse (pensiamo al temperamento di Pietro). Per questa ragione, ossia la prevedibile reazione ostile o quantomeno di contenimento dei discepoli, è lecito supporre che lo scambio di battute tra Gesù e Giuda (“Sono forse io?” “Tu l’hai detto”) sia avvenuto in segreto, in disparte o comunque non udito da altri. Tuttavia, la natura rivelatrice del boccone non è segreta per uno dei Dodici: Giovanni. In effetti,è nel rispondere a Giovanni che Gesù dichiara “È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò”: Giovanni, però, il giovane, il prediletto, non interviene: si fida ciecamente del suo Maestro, col quale resterà sotto la Croce fino alla fine, e lascia che sia Lui a guidare la Storia. Col pezzo di pane intinto Cristo rivela dunque non ai commensali bensì a Giuda che Egli sa tutto; non solo, Cristo rivela a Giuda la gravità del suo peccato, lo mette davanti all’immane perversione di quello che sta per fare. Ma, pur scoperto e ammonito, Giuda accetta il boccone, Giuda non recede: “allora satana entrò in lui”, si compie la definitiva corruzione dell’anima del discepolo, che si consegna in toto al Male. Gesù lo sa (“Quello che devi fare, fallo in fretta”) e chissà con quanta profonda tristezza assiste alla rovina di quello che, fino all’ultimo, Egli chiamerà “amico”.





[1] Matteo 26, 20-29: 20Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. 21Mentre mangiavano disse: “In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà”. 22Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: “Sono forse io, Signore?”. 23Ed egli rispose: “Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. 24Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”. 25Giuda, il traditore, disse: “Rabbì, sono forse io?”. Gli rispose: “Tu l’hai detto”. 26Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: “Prendete e mangiate; questo è il mio corpo”. 27Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: “Bevetene tutti, 28perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. 29Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio”.
[2] Marco 14, 17-25: 17Venuta la sera, egli arrivò con i Dodici. 18Ora, mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: «In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà». 19Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l’altro: «Sono forse io?». 20Egli disse loro: «Uno dei Dodici, colui che mette con me la mano nel piatto. 21Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo, dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!».22E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». 23Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. 24E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. 25In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
[3] Luca 22, 14-23: 14Quando fu l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, 15e disse: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, 16poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio”. 17E preso un calice, rese grazie e disse: “Prendetelo e distribuitelo tra voi, 18poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio”. 19Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. 20Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”. 21“Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola. 22Il Figlio dell’uomo se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell’uomo dal quale è tradito!”. 23Allora essi cominciarono a domandarsi a vicenda chi di essi avrebbe fatto ciò.
[4] Giovanni, 13, 17-30: 17Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica. 18Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma si deve adempiere la Scrittura: Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno. 19Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono. 20In verità, in verità vi dico: Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato”. 21Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: “In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà”. 22I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. 23Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. 24Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: “Di’, chi è colui a cui si riferisce?”. 25Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: “Signore, chi è?”. 26Rispose allora Gesù: “È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò”. E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. 27E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui. Gesù quindi gli disse: “Quello che devi fare fallo al più presto”. 28Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo; 29alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: “Compra quello che ci occorre per la festa”, oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. 30Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte.
[5] “Forse che l’empio Giuda, che vendette e consegnò il Maestro, sebbene avesse mangiato con tutti gli altri discepoli il sacramento della carne e del sangue di Cristo, amministrato dalle sue mani per la prima volta…” (cf. Serm. 71, 17); cfr pure Omelia n. 62 “E’ da ritenere, infatti, che già il Signore aveva distribuito a tutti i discepoli, presente anche Giuda, il sacramento del suo corpo e del suo sangue”.
[7] Omelia n. 62, 3.









COMUNICATO STAMPA. Mons. Viganò invita Vescovi e Sacerdoti a recitare l’Esorcismo il Sabato Santo






Di seguito trovate il Comunicato. Mons. Carlo Maria Viganò mette a disposizione il testo (leggere o scaricare qui) dell'Esorcismo di Leone XIII (Exorcismus in Satanam et angelos apostaticos, Rituale Romanum) da recitarsi congiuntamente da parte di tutti i prelati vescovi e sacerdoti, Sabato Santo 11 aprile 2020 ora IX (15:00 di Roma), a difesa della sacrosanta Chiesa Romana e per la salvezza del mondo intero.




Il 13 Ottobre 1884 Leone XIII ebbe una terribile visione dell’assalto delle potenze infernali contro la Santa Chiesa, e ordinò per questo di recitare la preghiera a San Michele Arcangelo alla fine della Messa [qui]. Compose inoltre un esorcismo che fece inserire nel Rituale Romano, nel quale faceva espressa menzione di quanto aveva visto: «La Chiesa, Sposa dell’Agnello Immacolato, è saturata di amarezze e inebriata di veleno da nemici scaltrissimi, che posano le loro sacrileghe mani su tutte le cose più desiderabili. Laddove c’è la Sede del beatissimo Pietro e la Cattedra della Verità costituita per illuminare i popoli, lì essi hanno stabilito il trono dell’abominio e della loro empietà, affinché colpito il pastore, fosse disperso anche il gregge».


In questi giorni di grave tribolazione, in cui la pandemia priva i Cattolici della Santa Messa e dei Sacramenti, il demonio si scatena moltiplicando i suoi assalti per indurre le anime al peccato. I giorni benedetti della Settimana Santa, un tempo dedicati alla Confessione in preparazione alla Comunione Pasquale, ci vedono tutti costretti ad un confinamento forzato, ma non ci impediscono di pregare il Signore.


Essendo un giorno di silenzio, che attende l’annuncio della Resurrezione, questo Sabato Santo può essere una preziosa occasione per tutti i Sacri Ministri. Non occorre uscire, non occorre infrangere alcun divieto dell’Autorità civile.


Chiedo di pregare, nella forma che Leone XIII stabilì per tutta la Chiesa, recitando tutti insieme l’Esorcismo contro Satana e gli angeli ribelli (Exorcismus in Satanam et angelos apostaticos, Rituale Romanum, Tit. XII, Caput III), alle 3 pomeridiane (15:00 ora di Roma – CEST) di Sabato 11 Aprile 2020, unendoci in una spirituale battaglia contro il comune Nemico del genere umano.


Il Sabato Santo è il giorno in cui si celebra la discesa agli Inferi di Nostro Signore Gesù Cristo, per liberare le anime dei Padri dalle catene di Satana. Nel gran silenzio dopo la Passione e Morte del Signore, la Vergine Santissima ha vegliato e creduto, aspettando fiduciosa la Resurrezione del Suo amatissimo Figlio. Un momento in cui il mondo sembra aver vinto, ma in cui si prepara la gloria della Pasqua.


Chiedo a tutti i miei Confratelli nell’Episcopato e ai Sacerdoti di unirsi nella preghiera dell’Esorcismo, consapevoli che questo potente Sacramentale - soprattutto se recitato in comunione con tutti gli altri Pastori - aiuterà la Chiesa e il mondo nella lotta contro Satana. Raccomando di utilizzare inoltre la stola, segno della potestà sacerdotale, e l’acqua benedetta.


La Vergine Santissima, terribile come esercito schierato in battaglia, e San Michele Arcangelo, Patrono della Santa Chiesa e Principe delle Milizie celesti, proteggano tutti noi.

 + Carlo Maria Viganò, Arcivescovo titolare di Ulpiana
Giovedì Santo 2020










mercoledì 8 aprile 2020

Il mercoledì santo: il tradimento di Giuda. Gesù a Maria Valtorta: “Di tutti i dannati Giuda è il più dannato… se l'Inferno non fosse già esistito, sarebbe stato creato per Giuda ancor più orrendo e eterno”




Cari amici forse non tutti lo sanno ma il mercoledì Santo è uno dei giorni più lugubri e tristi che ci siano perché è in questo giorno che si consumò il tradimento dell'apostolo apostata Giuda di Keriot.

È un giorno che dovrebbe vedere i cattolici profondamente compresi e compartecipi del grande dolore del Signore Gesù per il tradimento e la dannazione di Giuda, nonostante tutti i tentativi da Lui compiuti per salvarlo.

Condivido alcuni passi straordinari dalle opere di Maria Valtorta che ci aiutano a penetrare più a fondo nel mistero di questo dramma e della persona di Giuda che diventa l'emblema e il modello figurativo di tutti i grandi e piccoli tradimenti e traditori nella storia della Chiesa.


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L'evangelo come mi è stato rivelato

Volume X capitolo 605 nn 14-18

DCV. Disperazione e suicidio di Giuda Iscariota. Avrebbe ancora potuto salvarsi se si fosse pentito.

Dice Gesù:
«Troppi credono che Giuda abbia commesso cosa da poco. Alcuni giungono anzi a dire che egli è un benemerito perché senza di lui la Redenzione non sarebbe venuta e che, perciò, egli è giustificato al cospetto di Dio.
In verità vi dico che, se l'Inferno non fosse già esistito, ed esistito perfetto nei suoi tormenti, sarebbe stato creato per Giuda ancor più orrendo e eterno, perché di tutti i peccatori e i dannati egli è il più dannato e peccatore, né per lui in eterno vi sarà ammolcimento di condanna.
Il rimorso l'avrebbe anche potuto salvare, se egli avesse fatto del rimorso un pentimento. Ma egli non volle pentirsi e, al primo delitto di tradimento, ancora compatibile per la grande misericordia che è la mia amorosa debolezza, ha unito bestemmie, resistenze alle voci della Grazia che ancora gli volevano parlare attraverso i ricordi, attraverso i terrori, attraverso il mio Sangue e il mio mantello, attraverso il mio sguardo, attraverso le tracce dell'istituita Eucarestia, attraverso le parole di mia Madre.
Ha resistito a tutto. Ha voluto resistere. Come aveva voluto tradire. Come volle maledire. Come si volle suicidare.

È la volontà quella che conta nelle cose. Sia nel bene che nel male.
Quando uno cade senza volontà di cadere, Io perdono. Vedi Pietro. Ha negato. Perché? Non lo sapeva esattamente neppure lui. Vile Pietro? No. Il mio Pietro non era vile. Contro la coorte e le guardie del Tempio aveva osato ferire Malco per difendermi e rischiare d'essere ucciso per questo. Era poi fuggito. Senza averne volontà di farlo. Aveva poi negato. Senza averne volontà di farlo. Ha saputo poi ben restare e procedere sulla sanguinosa via della Croce, sulla mia Via, fino a giungere alla morte di croce. Ha saputo poi molto bene testimoniare di Me, sino ad esser ucciso per la sua fede intrepida. Io lo difendo il mio Pietro. Il suo è stato l'ultimo smarrimento della sua umanità. Ma la volontà spirituale non era presente in quel momento. Ottusa dal peso dell'umanità, dormiva. Quando si destò, non volle restare nel peccato e volle esser perfetta. Io l'ho perdonato subito.

Giuda non volle. Tu dici che pareva pazzo e idrofobo. Lo era di rabbia satanica.
Il suo terrore nel vedere il cane, bestia rara, in Gerusalemme in specie, venne dal fatto che si attribuiva a Satana, da tempi immemorabili, quella forma per apparire ai mortali. Nei libri di magia è detto tuttora che una delle forme preferite da Satana per apparire è quella di un cane misterioso o di un gatto o di un capro. Giuda, già preda del terrore nato dal suo delitto, convinto d'esser di Satana per il suo delitto, vide Satana in quella bestia randagia.
Chi è colpevole, in tutto vede ombre di paura. È la coscienza che le crea. Satana poi aizza queste ombre, che potrebbero ancora dare pentimento ad un cuore, e ne fa larve orrende che portano alla disperazione. E la disperazione porta all'ultimo delitto: al suicidio.
A che pro gettare il prezzo del tradimento quando questo spogliamento è solo frutto dell'ira e non è corroborato da una retta volontà di pentimento? Allora spogliarsi dai frutti del male diviene meritorio. Ma così come egli fece, no. Inutile sacrificio.

Mia Madre, ed era la Grazia che parlava e la mia Tesoriera che largiva perdono in mio Nome, glielo disse: "Pentiti, Giuda. Egli perdona…".
Oh! se lo avrei perdonato! Se si fosse gettato ai piedi della Madre dicendo: "Pietà!", Ella, la Pietosa, lo avrebbe raccolto come un ferito e sulle sue ferite sataniche, per le quali il Nemico gli aveva inoculato il Delitto, avrebbe sparso il suo pianto che salva e me lo avrebbe portato, ai piedi della Croce, tenendolo per mano perché Satana non lo potesse ghermire e i discepoli colpirlo, portato perché il mio Sangue cadesse per primo su lui, il più grande dei peccatori. E sarebbe stata, Ella, Sacerdotessa mirabile sul suo altare, fra la Purezza e la Colpa, perché è Madre dei vergini e dei santi, ma anche Madre dei peccatori.
Ma egli non volle.

Meditate il potere della volontà di cui siete arbitri assoluti. Per essa potete avere il Cielo o l'Inferno. Meditate cosa vuol dire persistere nella colpa.
Il Crocifisso, Colui che sta con le braccia aperte e confitte per dirvi che vi ama, e che non vuole, non può colpirvi perché vi ama, e preferisce negarsi di potervi abbracciare, unico dolore del suo esser confitto, anziché aver libertà di punirvi, il Crocifisso, oggetto di divina speranza per coloro che si pentono e che vogliono lasciare la colpa, diviene per gli impenitenti oggetto di un tale orrore che li fa bestemmiare e usare violenza verso se stessi. Uccisori del loro spirito e del loro corpo per la loro persistenza nella colpa. E l'aspetto del Mite, che si è lasciato immolare nella speranza di salvarli, assume l'apparenza di uno spettro di orrore».

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PER APPROFONDIRE
Giuda Iscariota - estratti tematici dalle opere di Maria Valtorta

La figura di Giuda è stata troppo svisata nei secoli e ultimamente snaturata del tutto. Ne hanno, in certe scuole, fatto quasi l’apoteosi come dell’artefice secondo e indispensabile della Redenzione. Molti, poi, pensano che egli piegò ad un improvviso, feroce assalto del Tentatore. No. Ogni caduta ha premesse nel tempo. Più la caduta è grave e più ha una preparazione. Gli antefatti spiegano il fatto. Non si precipita e non si sale all’improvviso, né nel Bene, né nel Male. Vi sono coefficienti lunghi e insidiosi alle discese e pazienti e santi alle ascese.

Lo sventurato dramma di Giuda può darvi tanti insegnamenti per salvarvi e conoscere il metodo di Dio e le sue misericordie per salvare e perdonare coloro che scendono verso l’Abisso. Non si arriva al delirio satanico in cui hai visto dibattersi Giuda dopo il Delitto, se non si è tutti corrotti da abiti d’Inferno, aspirati per anni con voluttà. Quando uno compie anche un delitto, ma tratto ad esso da un improvviso evento che ne sconvolge ragione, soffre ma sa espiare perché delle parti del cuore sono ancora sane da veleno infernale. Al mondo che nega Satana perché l’ha tanto in sé da non accorgersi più di esso, l’ha aspirato ed è divenuto parte dell’io, Io mostro che Satana è, Eterno e immutabile nel metodo usato per fare di voi le sue vittime.

Continua qui: www.mariavaltorta.it/Giuda Iscariota.html








Consacrarmi o Affidarmi.... è questo il dilemma!






Manuel Gregori, 04.04.2020

Partendo con questa rivisitazione ironica del celebre dilemma dell'Amleto di William Shakespeare, voglio analizzare il moderno dilemma su come rivolgere la propria richiesta d'aiuto al Cuore Immacolato di Maria: o attraverso la consacrazione, o attraverso un atto di affidamento.

Perché dopo secoli di storia della Chiesa, il credente si trova costretto ad affrontare questo dilemma? Perché si è cercato di cambiare la tradizione del popolo, che consacrandosi alla Vergine, trovava il mezzo attraverso cui abbandonava tutto se stesso alla volontà Divina?

Per rispondere a tutte le domande e perplessità che questo "caso" produce, è necessario partire da un concetto vero a priori: "Maria è il santuario e il riposo della Trinità Santa, dove Dio è presente in un modo più grande e sublime che non in ogni altro luogo dell'universo, compresa la sua presenza tra i cherubini e i serafini"(Introduzione, n. 5, Trattato della vera devozione a Maria, san Luigi Maria Grignion de Montfort).

Fatta questa premessa, è necessario anche capire il significato dei termini in esame, dato che molte volte l'uomo moderno non riesce, o non vuole, capire da solo il significato essenziale delle parole.

Con "Consacrazione", si indica il rito con cui si consacra, e mediante il quale una persona o una cosa passano dallo stato profano allo stato di sacro. Mentre con "Affidamento", si intende rimettersi alla protezione o alla benevolenza di qualcuno.

Già dal significato dei due concetti in discussione, si può capire limpidamente la loro totale differenza etimologica e la netta differenza di potere, dal punto di vista teologico.

Se si legge attentamente il "Trattato della vera devozione a Maria" di san Luigi Maria Grignion de Montfort (1673 - 1716), troviamo tutte le risposte alle nostre domande!

Già, tre secoli fa, all'interno della Chiesa di Dio, si discuteva su qual era la giusta forma, con la quale, il popolo santo doveva rivolgere la propria richiesta d'aiuto a Maria.

Già, tre secoli fa, il culto di Maria, veniva offuscato dagli stessi "cristiani cattolici, e anche da coloro che tra i cattolici sono dei maestri, che fanno professione di insegnare agli altri le verità ma che non conoscono né te (Gesù), ne la tua santa Madre, se non in modo teorico, arido, sterile e indifferente. Questi Signori parlano solo raramente della tua santa Madre e della devozione che le si deve, perché temono - dicono - che se ne abusi, che si renda offesa a te, onorando troppo la tua santa Madre. (Capitolo II, Titolo 1, n. 64, Trattato della vera devozione a Maria, san Luigi Maria Grignion de Montfort)

Questi sono coloro che, se vedono o sentono qualche devoto della Santa Vergine parlare con insistenza della devozione a questa buona Madre, e parlarne con un accento tenero, deciso e persuasivo, come di un mezzo sicuro senza illusioni, di un cammino breve senza pericoli, di una via immacolata senza imperfezioni e di un segreto meraviglioso per trovare Gesù Cristo e amarLo perfettamente, essi gli gridano contro e gli presentano mille false ragioni per provargli che non bisogna parlare troppo della Vergine Santa, che ci sono gravi esagerazioni in questa devozione e che bisogna impegnarsi ad estirparle, che bisogna parlare solo di Gesù Cristo, piuttosto che portare la gente verso la devozione alla Santa Vergine, che è già amata abbastanza.

Qualche volta li si intende parlare della devozione alla santa Madre di Dio, non per diffonderla e promuoverla, ma per contrastare gli abusi che se ne fanno, mentre questi signori non nutrono una sentita fede, né una devozione tenera per il Cristo, fine unico della nostra vita, poiché non ne hanno per Maria e considerano il Rosario, come devozione da donnette, buono per gli ignoranti, non necessario per salvarsi; se poi gli capita di incontrare qualche devoto della Vergine Santa, che ha l'abitudine di recitare il Rosario, o è impegnato in qualche altra pratica di devozione mariana, sono capaci di persuaderlo a cambiare in fretta il proprio atteggiamento; invece del Rosario, gli consiglieranno di recitare le sole preghiere a Gesù; invece della devozione alla Santa Vergine, lo esorteranno alla devozione per Gesù Cristo.

E allora, come non far nostra la riflessione che San Luigi Maria Grignion de Montfort, rivolge umilmente a Gesù:

O mio amabile Gesù, queste persone hanno forse il tuo spirito? Ti fanno piacere quando agiscono in questo modo? La devozione alla tua santa Madre impedisce forse quella verso di te? Conserva ella forse per se l'onore che le si rende? Oppure fa parte a se? E' forse un'estranea, in nessun modo legata a te? Ti dispiace se si cerca di piacere a lei? E il donarsi a lei e amarla è forse un separarsi, o un allontanarsi dal tuo amore? Eppure, mio amabile Maestro, se ciò che ho detto risulta vero, la maggior parte degli intellettuali, a punizione del proprio orgoglio, non saprebbe far di più per allontanare dalla devozione alla tua santa Madre, o per condurre all'indifferenza verso di essa. Difendimi, Signore, difendimi da questo loro sentire e agire; dammi invece un po' di quei sentimenti di riconoscenza, di stima, di rispetto e di amore che tu nutri verso la tua santa Madre, affinché io possa maggiormente amare e glorificare te, imitandoti e seguendoti da vicino.

E allora quale vero ruolo deve assumere Maria nei nostri cuori, nelle nostre vite, nella vita della Chiesa e nella vita del popolo di Dio?

La divina Maria deve assumer il ruolo di mediatrice presso il Mediatore stesso, che è Gesù, Dio-Figlio. La divina Maria è colei che è più capace di svolgere questo compito di carità; è per mezzo di lei che Gesù Cristo è venuto a noi ed è per mezzo di lei che noi dobbiamo andare a lui. Se abbiamo timore di andare direttamente a Gesù Cristo Dio, a causa della sua infinita grandezza, o per la nostra pochezza, o a motivo dei nostri peccati, invochiamo con coraggio l'aiuto e l'intercessione di Maria nostra Madre. E' così piena di carità che non rigetta nessuno di coloro che invocano la sua intercessione, anche se sono peccatori; dicono i santi: non si è mai sentito dire, da che mondo è mondo, che qualcuno sia ricorso alla Vergine Santa con fiducia e perseveranza e sia stato da lei rifiutato. Ella è così potente che mai le sue domande sono state rigettate; non ha che da presentarsi davanti al Figlio suo per pregarlo e subito egli accoglie ed esaudisce; egli viene sempre vinto amorevolmente dal suo seno, dal suo grembo e dalle preghiere della sua cara Madre.

Tutto questo è tratto dagli scritti di san Bernardo e di san Bonaventura; secondo essi, noi abbiamo tre gradini da salire per andare a Dio: il primo, il più vicino a noi e più conforme alla nostra possibilità è Maria; il secondo è Gesù Cristo; il terzo è Dio Padre. Per andare a Gesù, bisogna andare a Maria, nostra mediatrice di intercessione; per andare all'eterno Padre, bisogna andare a Gesù, nostro mediatore di redenzione. Ora, mediante la pratica - di devozione che esporrò tra poco, è proprio questo l'ordine che si segue in modo perfetto.



Vi sono diverse pratiche di vera devozione alla Santa Vergine. Ecco una sintesi delle principali.
Onorarla come la degna Madre di Dio con il culto di iperdulia cioè stimarla e onorarla più che tutti gli altri santi, come il capolavoro della grazia e la prima dopo Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo.
Meditare sulle sue virtù, sui suoi privilegi e sul suo agire.
Contemplare le sue grandezze.
Esprimerle atti di amore, di lode e di ringraziamento.
Invocarla di cuore.
Offrirsi e unirsi a lei.
Compiere le proprie azioni per essere a lei gradito.
Iniziare, continuare e terminare ogni nostra azione per mezzo di lei, in lei, con lei e per lei, allo scopo di compierle per mezzo di Gesù Cristo, in Gesù Cristo, con Gesù Cristo e per Gesù Cristo, nostro ultimo fine.
Consacrarsi a lei in maniera speciale e solenne.


Consacrarsi a lei in maniera speciale e solenne... No AFFIDARSI!!

Essendo Maria, tra tutte le creature, la più conforme a Gesù Cristo, ne segue che, tra tutte le devozioni, quella che consacra e conforma di più un'anima a Gesù Cristo Signore è la devozione alla Santa Vergine, sua Madre e che più un'anima sarà consacrata a Maria, più lo sarà a Gesù Cristo. E' per questo che la perfetta consacrazione a Gesù Cristo non è altro che una perfetta e totale consacrazione di se stessi alla Santa Vergine; o, in altre parole, una perfetta rinnovazione dei voti e delle promesse del santo battesimo.

Questa devozione consiste dunque nel donarsi totalmente alla Vergine Santa, per essere, per mezzo di lei, totalmente di Gesù Cristo. Bisogna donarle: il nostro corpo; la nostra anima; i nostri beni esteriori; i beni interiori e spirituali, che sono i meriti, le virtù, le buone opere: passate, presenti e future. In una parola, doniamo tutto ciò che abbiamo e tutto ciò che potremo avere in futuro.

Ne consegue che: con questa forma di devozione ci si dona a Gesù Cristo, nella maniera più perfetta perché è per le mani di Maria; ci si consacra dunque nel medesimo tempo alla Santa Vergine e a Gesù Cristo: alla Santa Vergine come al mezzo perfetto che Gesù Cristo ha scelto per unirsi a noi e per unirci a lui, e a Gesù Cristo Signore come al nostro ultimo fine, al quale noi dobbiamo tutto ciò che siamo, poiché è nostro Redentore e nostro Dio.

Consacrandosi, l'uomo, diventa a tutti gli effetti "schiavo" di Maria, diventiamo strumento nelle mani del Divino.

La Santa Vergine, come la migliore di tutte le madri, si assume degli impegni di carità nei riguardi dei suoi fedeli servitori, che si sono dati a lei attraverso la consacrazione:
Li ama.

Li nutre.


Li conduce nella via verso la Trinità.


Li difende e li protegge.



Intercede per loro.





Non si deve obiettare che questa forma di devozione sia di poca importanza: poiché i concili, i Padri e non pochi autori, antichi e recenti, affermano che la principale fonte dei disordini e quindi della dannazione dei cristiani, deriva dall'oblio e dalla indifferenza verso questa pratica.

Quindi giungendo alla conclusione voglio ripetere a gran voce: consacriamoci alla Santa Vergine senza paura, non pensiamo alle dispute teologiche che a volte ci portano solo confusione e che offuscano le nostre anime. Maria ci chiede di consacrarci, no di affidarci! Maria c'è lo dice in tutto i modi ed in tutti i luoghi del mondo, come ad esempio: a Fatima e a Civitavecchia!

Ascoltiamola!

" Dio Padre vuole avere figli per mezzo di Maria, fino alla fine del mondo, e le dice: "Fissa la tua tenda in Giacobbe" e cioè "poni la tua dimora e risiedi tra i miei figli e fedeli credenti", simboleggiati da Giacobbe, "e non tra i seguaci del demonio e i non credenti", raffigurati da Esaù.

Come nella generazione di natura e fisica c'è un padre e una madre, così nella generazione soprannaturale e spirituale c'è un Padre che è Dio e una Madre che è Maria. Chi non ha Maria come Madre, non ha Dio come Padre.

Perciò i non credenti, gli eretici, gli scismatici, ecc., che disprezzano, o sono indifferenti verso la Vergine Santa, non possono avere Dio come Padre, anche se lo pretendono, perché non hanno Maria come Madre: se infatti l'avessero come Madre, la tratterebbero con amore e onore, come un vero e degno figlio ama e onora sua madre, che gli ha dato la vita. Il segno più sicuro per distinguere un eretico, o un uomo di cattiva dottrina, o un non credente, da un autentico fedele, è che l'eretico e il non credente nutrono disprezzo o indifferenza verso la Vergine Santa, cercando con le loro parole e l'esempio di diminuirne il culto e l'affetto, apertamente o di nascosto, a volte mascherandosi di buoni pretesti. Ahimè! Dio Padre non disse a Maria di porre la sua dimora tra di essi, perché sono degli Esaù.

Dio Figlio vuole formarsi e, per così dire, incarnarsi ogni giorno nei suoi membri per mezzo della sua cara Madre e le dice: "Prendi in eredità Israele". Come se dicesse: Dio mio Padre mi ha consegnato in eredità tutte le nazioni della terra, gli uomini buoni e cattivi, fedeli e non credenti; io li condurrò, gli uni con scettro d'oro e gli altri con verga di ferro; degli uni sarò il padre e il difensore, degli altri il giusto castigatore e di tutti il giudice. Ma tu, mia cara Madre, avrai in eredità e in possesso solo i fedeli credenti, raffigurati da Israele e come loro buona madre li darai alla luce, li nutrirai e farai crescere; come loro regina, li guiderai, li governerai e li difenderai. "

Quindi, miei cari amici, non aspettiamo dubbiosi ma, affrettiamoci a consacrare tutti noi stessi al Cuore Immacolato di Maria, santuario e il riposo della Trinità Santa, Portatrice di Pace nei nostri cuori, Madonna delle Rose, Madonna del Rosario, Madre della Chiesa, Regina delle Famiglie, Regina del Cielo.




Manuel Gregori

Civitavecchia, 4 Aprile 2020













domenica 5 aprile 2020

Per Maria, e solo per Maria, si arriva a Gesù









05-04-2020

"La Madonna non ha voluto togliere a Gesù alcun titolo; ha ricevuto il dono di essere Madre di Lui e il dovere di accompagnare noi come Madre, di essere nostra Madre. Non ha chiesto per sé di essere una quasi-redentrice o una co-redentrice: no. Il Redentore è uno solo e questo titolo non si raddoppia. Soltanto discepola e Madre. E così, come Madre noi dobbiamo pensarla, dobbiamo cercarla, dobbiamo pregarla. È la Madre. Nella Chiesa Madre. Nella maternità della Madonna vediamo la maternità della Chiesa che riceve tutti, buoni e cattivi: tutti" .

Vorrei partire da questo stralcio dell'omelia del Santo Padre Francesco del 3 aprile us per svolgere alcune riflessioni che muovono dall'ostinata denegazione dell'opera di corredenzione svolta dalla Santa Vergine.

Non è chi non veda, invero, come nell'omelia richiamata il Santo Padre intenda precipuamente negare che la Madonna sia corredentrice dell'umanità.

Del resto, ha cura di precisare il Santo Padre, la Santa Vergine non lo avrebbe chiesto per sé (il titolo di Corredentrice) (sic!) essendo il Redentore uno solo e “… questo titolo non si raddoppia ...” (sic!).

Valga una prima riflessione di carattere quasi poetico.

In tempi in cui sembra che l'Annuario Pontificio derubrichi a titolo storico quello di “Vicario di Cristo” pare del tutto inopportuno per il Felicemente regnante, e venerato, Santo Padre Bergoglio parlar di mero titolo quanto a quello che qualifica la sublime opera di Cristo sul genere umano mediante il Suo sacrificio di croce.

Ché la Redenzione, lungi dall'esser un mito su cui fondare un mero predicato è al contrario un fatto, e di importanza primaria, visto che riapre a noi mortali le porte, sino allora sigillate, della Gerusalemme Celeste, ed essendo altresì detto fatto, per importanza, secondo solo all'espiazione della colpa d'Adamo operata dalla seconda Persona della divina Monotriade in fronte al Padre attraverso il legno della croce.

Redentore, ordunque, non è una formula onorifica, ma mirabile precipitato semantico di un'opera per descriver la quale unus non sufficit orbis (come avrebbero detto i Gesuiti d'un tempo): l'opera della Redenzione del Genere Umano.

Sed transeat.

Fatti si diceva.

E la Santa Chiesa Cattolica Apostolica e Romana, unica vera chiesa di Cristo per l'incontestabile fatto che così Cristo volle, quando riteneva, ad esito d'estenuanti e secolari scrutini, che un determinato fatto fosse moralmente certo lo cristallizzava nel domma.

Ché i dommi altro non sono che ricognizioni di fatti, potremmo anche aggiungere “storici” da intender detto aggettivo nel senso di realmente accaduti e rilevanti ai fini della “storia della salvezza” (recte morale) non nel senso, preteso dai novatori, di “obsoleto”.

Se ripercorriamo appunto la storia della salvezza la vediamo costellata di fatti, realmente accaduti e dei quali peraltro si apprezza una caratteristica che li divisa tutti, quella della loro “necessità”.

Dopo la creazione Adamo peccò mancando verso la divina Maestà così che la relativa stirpe non poteva più stare con Dio e venne cacciata dall'Eden.

Ma codesta separazione mal si conciliava (parlo alla maniera umana, sia chiaro) coi disegni di Dio ed ecco dunque la necessità dell'espiazione del peccato d'origine e della Redenzione.

Espiazione che poteva essere operata solo mediante la punizione del colpevole ossia l'uomo.

Ma l'uomo non pareggiava con Dio e dunque qualunque pena fosse comminata alla creatura essa non sarebbe stata mai in grado di colmare l'infinità della colpa commessa in dipendenza del peccato d'origine.

Ed ecco che quindi la necessità dell'incarnazione comincia ad affacciarsi.

Sarebbe stato Dio medesimo incarnato, mirabile soluzione, ad assumere su di Sé la colpa dell'uomo, così che la punizione inflitta a “Dio-Fatto-Uomo” avrebbe retribuito perfettamente l'infinità della colpa originaria.

Ma per realizzare tutto questo, per entrare nel mondo, era necessario varcare una soglia e quella soglia era costituita da una donna anzi dalla Donna al cui “fiat” sarebbe stata dunque incondizionatamente subordinata non solo l'opera della Redenzione, ma – a questo punto – anche quella della Creazione, perché il “no” della Donna avrebbe pregiudicato anche l'essenza stessa della Creazione, il progetto di “Dio-con-l'uomo” che a quel punto non avrebbe più potuto realizzarsi.

Davanti a tutto questo, senza tema di volgersi in miscredenti irrispettosi, potremmo quasi dire che, giunta – per l'Arcangelo – alle soglie della Vergine Santissima – Colei che aveva ineluttabilmente e necessariamente in mano non solo la possibilità della Redenzione, ma ribadisco, la ragione stessa della Creazione – la Divina Monotriade ebbe un sussulto: “accetterà Ella di portarCi in grembo?”.

Fiat”.

Il seguito è noto, per il legno della Croce la Creazione venne riallineata al suo fine proprio e la Gerusalemme celeste venne riaperta alla stirpe d'Adamo.

Verrebbe da chiosare: “… e tutti vissero felici e contenti ...”, ma non lo si può fare sia perché quella sopra dettagliata non è una fiaba essendo bensì storia vera, fatti veri e – si ripete – apprezzabili nella loro necessità, ma anche perché da alcuni anni a questa parte dense tenebre sono calate sulla storia della salvezza.

Tenebre che ora pretendono di oscurare l'imprescindibile efficacia causale del “sì” di Maria nell'opera della Redenzione.

Essere corredentrice invero non è un titolo, ma il necessario riconoscimento che senza il “fiat” della Santa Vergine la Redenzione non sarebbe stata possibile.

Senza il “sì” della Vergine il Preziosissimo Sangue non avrebbe potuto effondersi: niente espiazione, niente Redenzione.

E ciò è ancor più vero alla luce di quell'evento tanto poco considerato in ambito Cattolico quanto fondamentale.

Mi riferisco all'Annunciazione.

Ed invero la Divina Maternità venne annunziata da Dio alla Vergine, che era libera di sottrarsi a tale gravoso incombente.

Quindi il “sì” di Maria, in quest'ottica, non è un semplice “si” naturale come quello di una madre che, ritrovandosi gravida, accetta di buon grado il figlio o la figlia attesa, senza badare a che sia biondo, castana, rosso, alta o basso.

No. Il “sì” di Maria ha un valore morale che trascende il mero fatto naturale.

Non è solo l'accettazione di un figlio, peraltro per nulla scontata - verrebbe da dire- alla luce anche dei tristi tempi moderni che vedono madri che abortiscono il frutto del loro stesso seno, ma è anche e soprattutto l'accettazione della Volontà di Dio.

Sotto questa luce, non è possibile sostenere che la Santa Vergine sia solo madre del Salvatore riducendola infine a mera “discepola”.

La maternità di Maria è presupposto necessario per riallineare la Creazione al suo fine proprio e per operare l'espiazione della colpa d'Adamo e dunque la Redenzione.

Tale presupposto venne preannunziato alla Santa Vergine e da Ella pienamente divisato.

Con il suo “sì” Maria non accetta semplicemente di diventare madre del Salvatore, ma consente (e partecipa)  attraverso la Divina Maternità, a ché Dio compia la sua opera di salvataggio degli uomini.

E' l'adesione incondizionata alla volontà di Dio, manifestata dall'Arcangelo, che innalza Maria sopra le altre donne e fa di Lei non semplicemente la madre di Gesù, ma Regina e Signora del Paradiso.

Ciò è tanto più vero alla luce del fatto che Ella era promessa a Giuseppe e la notizia di quella maternità fuori dal matrimonio avrebbe nociuto non poco a Maria.

La necessità di obbedire a Dio è però più forte del timore della lapidazione, ma Maria non può farcela da sola e Dio le affianca Giuseppe, che avrà cura del Salvatore per tutto il tempo della Sua giovinezza.

È del tutto ovvio che la Redenzione è opera di Cristo, ma è altrettanto ovvio che senza la volontà adesiva della Vergine al piano di Dio, la Redenzione non avrebbe potuto darsi.

Pertanto, il “titolo” per usare un'espressione cara al felicemente regnante, e venerato, Santo Padre Francesco di corredentrice è affatto acconcio per la Santissima Vergine e descrive proprio la volontà e azione adesiva di Maria al piano di Dio, ad Essa previamente annunziato dall'Arcangelo e che senza di Essa, si ripete, non avrebbe potuto realizzarsi.

La Chiesa, nella sua antica sapienza, ha sempre mirabilmente sunteggiato quanto sopra col motto che segue: per Mariam ad Iesum.

Per Maria, e solo per Maria, si arriva a Gesù, chi non ha compreso questo non ha compreso niente, ma proprio niente, dell'opera di Dio.

Chi non venera la Santa Vergine non può adorare il Redentore, chi diminuisce la Santa Vergine non avrà mai il Signore e se il Signore è la fonte della Grazia Maria ne è l'eletta guardiana.

Fermo quanto sopra non pare irrilevante concludere queste prime riflessioni avendo cura di precisare che, in conformità con la Vera Fede Cattolica, si ritiene che l'opera della Redenzione sia stata realizzata e portata a termine da Cristo, ma il “fiat” della Santa Vergine ne costituisce antecedente logico imprescindibile e necessario.

E questa necessità si predica precipuamente nell'efficacia causale del “sì” di Maria, tolto il quale noi saremmo ancora nei nostri peccati.

Maria Corredentrice è dunque un fatto, l'ennesimo fatto vero di questa storia meravigliosa densa di fatti veri e necessari che culmina nella Redenzione operata da Cristo sulla Croce.

Si badi, affermare un tale fatto non comporta assolutamente “sdoppiare il titolo”, per dirla col prezioso eloquio del Santo Padre, e venerato, Francesco.

Tutt’altro.

Affermare il fatto della corredenzione operata da Maria altro non significa che confermare la cattolica verità sulla Redenzione.

Negare che Maria sia corredentrice significa, in ultima istanza, denegare la possibilità dell'incarnazione e della Redenzione operata dal Signore, ennesimo vilipendio al Padre che, nel suo desiderio di salvare l'umanità, manda il Figlio, a tale scopo offertosi.

Ma v'è di più, subordinando la Redenzione al “fiat” della Vergine, è come se Dio avesse chiesto il permesso all'uomo per operare la Redenzione.

Ci pensino gli umanisti di ogni ordine, grado e Gerarchia (cattolica) che si riempiono la bocca di umanesimo, ma poi non perdono occasione per ossequiare ogni e qualsiasi moloch statale, che l'uomo opprime, sia esso l'infernale regime cinese, parte recente di un infausto accordo con la Santa Sede di cui non si conosce il contenuto, ma che –  data la resistenza estenuante dei porporati cinesi – non pare favorevole ai fedeli di quelle contrade, siano essi, al contrario, i regimi democratici, apparentemente più tranquillizzanti ma date le diffuse discipline positive su aborto e divorzio non meno infernali del regime che affetta il Celeste Impero.

Glorificare Maria quale imprescindibile presupposto causale della Redenzione è diminuire dunque la gloria del Figlio? Non sembra proprio.

Ma anche se fosse allora si impone un'altra riflessione.

Sono oltre 50 anni, dal Concilio Vaticano II per la precisione,  che la Chiesa Cattolica Apostolica e Romana non fa altro che diminuire la gloria del Signore.

Cosa è la libertà religiosa (recte libertà di aderire all'errore) tanto cara al Concilio, alla Chiesa conciliare ed ai relativi Pontefici (tutti, nessuno escluso) se non la negazione dell'unicità salvifica di Cristo!

Cosa è l'ecumenismo se non l'associazione di immondi idoli al Preziosissimo Sangue!

E l'idea, purtroppo ormai diffusa nella Chiesa (e non certo per colpa dei fedeli) che i Giudei non abbiano bisogno di alcuna conversione, sul presupposto che le promesse di Dio sarebbero irrevocabili, non è vilipendere, ossia tener per vile privo di significato e valore, il sacrificio del Cristo?

Molti amici ci hanno confidato di avere difficoltà a comprendere il perché, negli ultimi 60 anni abbiamo assistito ad un progressivo tentativo di “diminuire” Maria Santissima da parte della Sacra Gerarchia, come a degradarla, come se fosse una donna come le altre.

Il tutto peraltro in perfetta antitesi con il sentire della gente comune, della pietà cristiana dei semplici, che non hanno mai avuto difficoltà a comprendere che se Nostro Signore Gesù Cristo è senza peccato non poteva nascere da una donna come le altre macchiata, come tutti noi, dal peccato originale.

Ma nonostante quanto sopra abbiamo assistito, soprattutto in questi ultimi, anni ad un attacco continuo e perverso nei confronti di Maria Santissima.

Abbiamo addirittura imparato, nostro malgrado, come Ella abbia avuto addirittura dei dubbi e che abbia pensato di essere stata ingannata da Dio.

Oggi Le si nega il titolo di Corredentrice, sul presupposto che ciò oscurerebbe la Gloria del Figlio, nonostante in tempi recenti e tremendissimi l'immondo idolo della Pachamama sia stato, horribili dictu, niente meno che adorato nel cuore della cristianità senza che ciò turbasse i sonni della Gerarchia, pretendendo che ciò non significasse in modo alcuno una diminuzione della gloria del Signore.

Bisogna dunque comprendere il perché di tanto ostracismo nei confronti di Maria Coredentrice.

La risposta è tanto semplice quanto tremenda.

Perchè riconoscere, e magari dommatizzare, tutte le realtà pertinenti alla Vergine Maria, lungi dal diminuire la gloria del Figlio, al contrario la aumenta.

Dire che Maria è corredentrice ossia che partecipa causalmente, col suo “fiat” alla redenzione operata da Cristo, significa affermare in maniera forte ed inequivocabile che solo Cristo salva.

Ed invero, se si afferma che  la Redenzione sia necessaria premessa di salvezza,  allora è del tutto evidente che le Pachamamas non salvano.

Il domma di Maria Corredentrice ribadisce tale indelebile verità, ecco perché non può essere affermato ed anzi va strenuamente combattuto.

Affermare che Maria è corredentrice significa sconfessare 60 anni di menzogne e farneticazioni ecumeniche culminate (per adesso) nella Pachamama in Vaticano, ma che hanno avuto la loro coerente premessa, oltre che nel Concilio Vaticano II anche, ed è ora di riconoscerlo, nel contegno inqualificabile dei vari pontefici postconciliari col loro ecumenismo.

Per chi ha detronizzato Cristo, non è opportuno né ragionevole il culto mariano.

Del resto tuot se tient ed in perfetta coerenza con quanto sopra detto abbiamo assistito in questi anni alla sistematica demolizione di quelle famiglie religiose che avevano fatto del culto mariano il proprio specifico carisma e ci si riferisce ai Francescani dell'Immacolata.

Sembra paradossale, ma la Setta Conciliare fa la guerra a Cristo facendo la guerra a Maria e ciò è paradossalmente, ed a fortiori ratione, l'ulteriore prova dell'intima connessione del Cuore Immacolato col Sacratissimo Cuore.

Sì, è ora di riaffermarlo chiaro e forte: per Mariam ad Iesum.

 Maria Corredentrice del mondo ora pro nobis.

5 aprile 2020

Elendil & Malachi