Centoquindici anni fa nasceva al cielo santa Gemma Galgani e allora è quantomai opportuno ricordare in che cosa consistette la santità di questa giovane straordinaria, così cara alla pietà cristiana e altrettanto incomprensibile per chi non crede in Cristo crocifisso e risorto.
Ermes Dovico 11-04-2018
Centoquindici anni fa nasceva al cielo santa Gemma Galgani (1878-1903) e allora è quantomai opportuno ricordare in che cosa consistette la santità di questa giovane straordinaria, così cara alla pietà cristiana e altrettanto incomprensibile per chi non crede in Cristo crocifisso e risorto. In occasione della sua canonizzazione, nel 1940, Pio XII la definì la “stella” del suo pontificato e la chiamò “viva immagine di Gesù Cristo”, parole che ben riflettono i suoi 25 anni di vita terrena, segnati dall’esperienza di un dolore e di un amore ineffabili, che sperimentò di pari passo al crescere dei doni soprannaturali con cui Nostro Signore andava arricchendola.
Il primo luogo in cui imparò ad amare Dio fu la famiglia, dove pure non le mancarono le sofferenze. Quinta di otto figli, Gemma nacque a Capannori, nei pressi di Lucca, da un farmacista di nome Enrico e da Aurelia Landi. Fu in particolare la madre a trasmetterle l’inclinazione ai beni celesti, come Gemma ricordò nella sua Autobiografia, scritta nel 1901 in obbedienza a padre Germano, un passionista che era diventato il suo direttore spirituale e che lei prese a chiamare “babbo mio”. La madre le disse che Gesù era morto in croce per amore degli uomini, le insegnò le prime devozioni e preghiere, che la bimba apprese anche all’asilo delle sorelle Vallini, dalle quali fu mandata a due anni e che al processo per la sua canonizzazione diranno: “… mostrò sviluppato l’uso della ragione ed un’intelligenza precoce, perché potemmo insegnarle subito le orazioni che duravano venticinque minuti senza mai annoiarsi”. A cinque anni la bimba sapeva già leggere perfettamente il breviario per l’ufficio della Madonna e dei defunti.
Presto arrivò la prima grande prova: la malattia della madre, costretta a letto dalla tisi. La piccola Gemma piangeva e pregava ogni sera insieme alla mamma e da lei era stata preparata così: “Io sono malata – mi ripeteva – e dovrò morire, ti dovrò lasciare; o se potessi condurti con me! Verresti?”. Volendo sapere dove, si sentì dire: “In Paradiso, con Gesù, cogli Angeli…”. Il 26 maggio 1885, giorno della sua Cresima, ebbe la prima esperienza mistica: “Tutto ad un tratto una voce al cuore mi disse: Me la vuoi dare a me la mamma? Sì – risposi – ma se mi prendete anche me. No – mi ripeté la solita voce – dammela volentieri la mamma tua. Tu per ora devi rimanere col babbo. Te la condurrò in Cielo, sai? Me la dai volentieri? Fui costretta a rispondere di sì”. La madre morì nel settembre dell’anno seguente mentre Gemma si trovava nella casa degli zii materni, dove il padre l’aveva condotta due mesi dopo la Cresima perché temeva di perdere per contagio anche la figlia, desiderosa di stare sempre accanto a lei.
Alcuni mesi più tardi iniziò il periodo di preparazione alla Prima Comunione, da lei descritto come bellissimo (“ero in Paradiso”): era il 1887 e Gemma studiava catechismo dalle Oblate dello Spirito Santo. Sentendo parlare del Crocifisso al modo di come gliene aveva parlato la madre, espresse a una suora il desiderio di conoscere ogni cosa della Passione di Gesù. Una sera, il racconto dei dolori provati da Nostro Signore suscitò una tale compassione in Gemma che le venne all’istante una forte febbre. La domenica della prima Eucaristia fu per lei il culmine della gioia: “Ciò che passò tra me e Gesù in quel momento, non so esprimerlo. Gesù si fece sentire forte forte alla misera anima mia. Capii in quel momento che le delizie del Cielo non sono come quelle della terra. Mi sentii presa dal desiderio di render continua quell’unione col mio Dio”.
Cresceva in pietà, noncurante delle derisioni di cui era oggetto anche da parte di alcuni familiari, come la sorella Angelina che un giorno entrò con le compagne nella camera di Gemma per schernirla mentre era in preghiera o del fratello Guido che bestemmiava in sua presenza per provocarla. I dolori per la perdita degli affetti, inoltre, continuarono. Nel 1893 vide morire di tubercolosi il fratello prediletto, Gino, un seminarista appena diciottenne. Quattro anni più tardi rimase orfana pure del padre, che a causa di una serie di disgrazie finanziarie lasciò i figli in povertà, tanto che i creditori arrivarono a mettere le mani in tasca a Gemma per spogliarla di quelle poche monete che aveva. Alla bellissima diciannovenne, presa in affido dagli zii, non mancarono convenienti proposte di matrimonio, ma lei non ne volle sapere: diceva che era “tutta di Gesù”. In quel periodo cadde gravemente malata, soffrendo una paralisi alle gambe a cui si aggiunsero un intensissimo dolore alla testa e la perdita dei capelli. Si sentì consolare dall’angelo custode (“se Gesù ti affligge nel corpo, fa per sempre più purificarti nello spirito. Sii buona”, le disse l’angelo, che le appariva da quando aveva 16 anni) e dallo stesso Gesù, ma ebbe comunque momenti di grande difficoltà spirituale.
Nello scoramento per quella situazione fu tentata da Satana, che le promise di guarirla e di fare qualunque cosa per lei se gli avesse dato retta. Quando Gemma stava per cedere, si ricordò di quanto aveva letto nella biografia dell’allora venerabile Gabriele dell’Addolorata (1838-1862), il santo passionista morto ancor più giovane di lei, e disse forte: “Prima l’anima e poi il corpo!”. Gli assalti del demonio, che arrivò a lasciarle i segni fisici delle sue vessazioni, proseguirono, ma la giovane iniziò a ricevere il conforto diretto di san Gabriele. Questi le apparve più volte e pregava accanto a lei, al punto che Gemma disse di sentirne il calore delle mani e il respiro sul viso. “Sorella mia”, la chiamava il santo, che la aiutò ad accettare definitivamente la via del Calvario. Seguirono il voto di verginità, che desiderava fare da tempo, e l’inspiegabile guarigione dopo una novena a Margherita Maria Alacoque (1647-1690): con il suo improvviso rialzarsi dal letto, Gemma meravigliò i medici e tutti i lucchesi, che iniziarono a chiamarla “la ragazzina del miracolo”.
Ma le più grandi grazie dovevano ancora arrivare e si accompagnarono alla maturazione della sua spiritualità passionista. Il Giovedì Santo del 1899 fece per la prima volta l’Ora Santa, un’ora di orazione per tenere compagnia a Gesù agonizzante nel Getsemani: “Mi trovai dinanzi a Gesù crocifisso. Versava sangue da tutte le parti”. Continuò a fare l’Ora Santa ogni giovedì, con Gesù che le condivideva la tristezza mortale provata nell’Orto a causa dei peccati di tutti gli uomini. Un giorno, mostrandole le cinque piaghe aperte, le disse: “Vedi questa croce, queste spine, questo Sangue? Sono tutte opere di amore, e di amore infinito. Vedi fino a qual segno io ti ho amato? Mi vuoi amare davvero? Impara prima a soffrire. Il soffrire insegna ad amare”.
Sta qui la santità di Gemma: capì la realtà del peccato, soffrì per Gesù e con Gesù, tramutando il suo dolore in un amore immenso per le anime che desiderava salvare, volendo strapparle al demonio e consegnarle a Dio. Ecco perché visse tutte le esperienze della Passione, dal sudore di sangue alla coronazione di spine, dalla crocifissione alla flagellazione mistica, fino alle stimmate che le comparvero sulle mani, i piedi e il costato l’8 giugno 1899, precedute da un’apparizione della Madonna, che chiamava “la Mamma mia celeste”. Le stimmate, che la Chiesa ha riconosciuto essere autentiche, si riaprivano ogni settimana alla sera del giovedì per richiudersi dopo le tre del venerdì pomeriggio.
La sua ultima Passione, assistita amorevolmente dalla famiglia Giannini, la visse nel 1903, quando si spense di tubercolosi alle 13:45 del Sabato Santo. Si era addormentata poco prima sentendo suonare le campane di mezzogiorno, già annuncianti (secondo l’uso del tempo) la Resurrezione. Da allora contempla nella gloria eterna il Volto del suo Sposo, che le ha dato il centuplo già in terra: “Soffro, vivo e muoio continuamente, la mia vita con tante altre vite del mondo non la cambierei a nessun patto. Mai non sto ferma: vorrei volare, parlare e a tutti vorrei gridare: Amate Gesù solo”.
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