giovedì 14 dicembre 2017

14-12-2017: l'Italia sancisce il diritto di farsi uccidere





Tommaso Scandroglio (14/12/2017)

Da oggi il catalogo delle leggi intrinsecamente ingiuste
varate dal nostro Parlamento si è arricchita di una nuova norma, quella sull’eutanasia, impudicamente definita “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”.

Ricordiamo in sintesi quali sono gli aspetti più letali di questa legge
(per un’analisi più dettagliata ci permettiamo di rinviare al libro "Appuntamento con la morte". Quali sono i trattamenti che si possono rifiutare? Tutti, sia le terapie, anche salvavita, che idratazione e nutrizione, le quali non sono terapie e ad oggi, di per se stesse, non potrebbero essere fatte oggetto di rifiuto. La ventilazione non viene nominata, ma implicitamente farà parte del novero di trattamenti che si potranno rifiutare. Il paziente potrà rifiutare non solo l’attivazione di terapie anche salvavita (oggi già consentito) e presidi vitali quali idratazione e alimentazione, ma anche l’interruzione di terapie e presidi vitali già in essere (ad oggi vietati).

Ergo non solo si legittima l’eutanasia omissiva
– io medico voglio lasciarti morire non dandoti le terapie utili a vivere (legittimazione già consentita oggi) – ma anche l’eutanasia commissiva, ossia attiva: io medico, ad esempio, ti stacco la Peg che ti alimentava ed idratava e così tu potrai morire. Non solo quindi il paziente potrà sottrarsi alle cure non sottoponendosi ad esse e così chiudere gli occhi per sempre, ma potrà chiedere al medico che lo aiuti a morire. Nel testo di legge è esclusa solo una doppia modalità per dare la morte: la cosiddetta iniezione letale e la preparazione di un preparato altrettanto letale da consegnare al paziente il quale poi lo assumerà da sé (aiuto al suicidio). Se si fossero inserite queste due metodiche anche il più stupido degli stupidi avrebbe capito che questa non è una legge contro l’accanimento terapeutico – così come vogliono vendercela – bensì una legge a favore dell’eutanasia. Passiamo ad altre domande.

Quali sono le circostanze e quali i motivi che possono legittimare la richiesta eutanasica?


Il Testo unico non indica nessuna condizione particolare né nessuna motivazione specifica
, perciò tutte le circostanze e tutte le motivazioni addotte sono valide per chiedere di morire. In merito alle condizioni, non solo i pazienti terminali, ma anche quelli che possono guarire, i disabili, i sani - compresi le persone anziane - possono accedere all’eutanasia di Stato. Chiunque in qualsiasi condizione. L’eutanasia incondizionata esige anche che il consenso valido per morire non sia solo quello attuale, ma anche quello contenuto nelle Dat. Efficace perciò anche il consenso datato, inattuale che potrebbe contrastare con la volontà del paziente incapace di esprimersi. Relativamente alle motivazioni, ogni ragione è buona per morire e non c’è nemmeno l’obbligo di esporla al medico, né di verificarla, né tanto meno di indicarla nella cartella clinica. Perciò si può chiedere di morire non solo perché si soffre terribilmente, ma anche perché si è depressi, infelici per una delusione amorosa o perché un affare è andato male, stanchi semplicemente di vivere perché anziani, etc. Basterà, all’atto pratico, sedare la persona e farla morire di sete e di fame.

La legge italiana sull’eutanasia diventa così la norma più permissiva che esista
a livello mondiale perché almeno in Belgio, Olanda e Canada, i paesi forse più liberal su questo tema, qualche paletto lo avevano pur messo in merito all’accesso alla “dolce morte”.

Altra domanda: il medico può eccepire obiezione di coscienza? No.
Quindi se il paziente chiede di morire il medico dovrà obbedire, ossia sarà costretto a compiere un assassinio. Va da sé che l’art. 579 cp che punisce l’omicidio del consenziente non potrà più essere applicato nelle corsie di ospedale. Dunque la richiesta di morte dovrà essere sempre soddisfatta dalle strutture ospedaliere, comprese quelle cattoliche.

Ancora un quesito: chi decide per minori e incapaci?
Ad oggi il minore e l’incapace devono essere sempre curati dato che il rifiuto ad iniziare un trattamento può essere prestato solo da persona maggiorenne e capace di intendere e volere. La legge approvata oggi cambia completamente il quadro: genitori e rappresentati legali avranno potere di vita e di morte su figli e incapaci. E così avremo un lungo elenco di possibili condannati a morte: pazienti in coma e affetti da sindrome locked-in o dal disturbi di coscienza, disabili mentali, persone affette da patologie neurodegenerative (malati di Alzheimer ad esempio), anziani con demenza senile, neonati prematuri o non prematuri con sopravvivenza incerta o certa ma affetti da patologie più o meno gravi, bambini e ragazzi sia malati fisicamente che solo depressi, etc. e persino adulti capaci di intendere e volere che però, in base alla facoltà concessa da questa legge, hanno preferito delegare il proprio consenso a terzi. Vero è che la legge prevede che il consenso da parte dei rappresentati legali deve essere prestato “avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità”. Ma se, ad esempio, continuare a vivere un’esistenza da disabile è considerato dal rappresentante legale e dal medico contrario alla dignità dell’incapace sarà legittimo staccare la spina. I casi Eluana e Charlie da eccezionali e illegali diventeranno (forse) normale prassi assolutamente legale.

Infine un’ultima domanda: le Disposizioni anticipate di trattamento, che scattano quando il paziente non è più cosciente, sono uno strumento a tutela della sua libertà? No
, perché sono inaffidabili. In primo luogo perché le Dat congelano la volontà nel passato e non riescono ad attualizzarla: ergo si potrà uccidere un paziente che, per ipotesi, se fosse vigile potrebbe aver cambiato idea e deciso, in difformità con quanto scritto nelle Dat, di continuare a vivere. Il problema delle Dat sta nel fatto che si decide ora per allora non potendo prevedere quali saranno le patologie a cui si andrà incontro e quindi anche quali i trattamenti terapeutici adatti. Quindi si esprime un consenso disinformato e non informato. In secondo luogo una cosa è decidere della propria salute da sano e un’altra quando si è sofferenti: sono i sani che chiedono l’eutanasia, non i moribondi che spesso si aggrappano alla vita con tutte le loro forze. In terzo luogo alcuni studi (cfr. R. PUCCETTI - M.C. DEL POGGETTO - V. COSTIGLIOLA - M.L. DI PIETRO, Dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT): revisione della letteratura, in Medicina e Morale, a. LXI, n. 3) ci dicono che molti cambiano idea sulle volontà espresse nelle Dat, ma pochi si accorgono di aver cambiato idea e quindi non si sente l’esigenza di rivedere le proprie volontà scritte.

In quarto luogo c’è il problema dell’interpretazione del contenuto delle Dat
spesso impreciso e vago, soprattutto perché il dichiarante non di rado padroneggia male i termini medici. La presenza del fiduciario, dati alla mano che ci provengono dall’esperienza di altri Paesi, non migliora il quadro ed anzi lo peggiora. Tra l’altro la legge oggi varata non prevede l’obbligo della presenza del medico allorchè si redigano le Dat. In quinto luogo la nuova normativa non prevede dei criteri per accertare che il dichiarante, al momento della redazione, fosse lucido, consapevole, non sotto minaccia, non sotto l’effetto di droghe, etc. In sesto luogo le Dat acquisiscono efficacia allorchè il paziente versi in una situazione di “incapacità di autodeterminarsi”, espressione assai generica - non equiparabile di certo all’espressione giuridica “incapacità di intendere e volere” - che potrebbe andare dal momentaneo annebbiamento delle facoltà mentali, allo stato confusionario, al coma, alla mancanza di lucidità e consapevolezza proprie ad esempio dei malati di Alzheimer. Chi poi dovrà certificare questa incapacità? Non è dato di saperlo. Infine il medico deve dare applicazione alle volontà indicate nelle Dat e non può obiettare. Però in accordo con il fiduciario, può disattenderle solo in due occasioni. In primo luogo se il quadro clinico è mutato rispetto a quanto preventivato nelle stesse Dat. Se il quadro clinico non è mutato il medico ha l’obbligo, se così previsto, di dare la morte al paziente. Inoltre il medico può disattenderle, ma non c’è il dovere di disattenderle. Ergo anche nel caso in cui il quadro clinico fosse mutato e il medico si attenesse alle Dat non incorrerebbe in nessun guaio giudiziario. Altra ipotesi in cui è lecita, ma non doverosa, la non applicazione delle Dat: l’esistenza di terapie, non prevedibili nel momento in cui furono redatte le Dat, che possono migliorare le condizioni di vita. Facciamo il caso di Tizio, che aveva redatto le Dat, finito in coma a seguito di incidente stradale. Tizio con le dovute e innovative terapie può salvarsi, addirittura svegliarsi dal coma, ma certamente riporterebbe danni cerebrali che ad esempio lo costringerebbero sulla carrozzina. Le terapie quindi sarebbero salvavita, ma restituirebbero Tizio a suoi cari non certo in condizioni migliori rispetto a prima dell’incidente. Di conseguenza il medico è obbligato ad applicare le Dat, dunque è obbligato a commettere un omicidio.

In buona sostanza la ratio della nuova disciplina normativa
è composta dai seguenti punti. Primo: si introduce un vero e proprio diritto a morire, declinato come diritto di togliersi la vita lasciandosi morire e diritto di farsi uccidere. Secondo: si introduce un diritto ad uccidere sia in capo a genitori e altri rappresentati legali sia in capo al medico, dato che tale potere di uccidere viene legittimato da una norma giuridica. Terzo: si introduce il dovere di uccidere in capo al medico dietro richiesta del diretto interessato anche quando non è più vigile, ma che ha redatto le Dat al fine di voler morire, e dei genitori, tutori etc.































lanuovabq.it 14-12-2017

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