L’assolutizzazione del dialogo deriva proprio dalla penetrazione nella Chiesa cattolica della mente protestante.
di Stefano Fontana (08-08-2017)
Silvio Brachetta, in un interessante articolo pubblicato su Vita Nuova on line (leggi) ha commentato il parere sul dialogo espresso dal famoso teologo protestante Jurgen Moltmann, il padre dalla “teologia della speranza”. Brachetta giustamente apprezza la diagnosi di Moltmann: abbiamo fatto del dialogo un dialogo fine a se stesso e abbiamo perso per strada che il dialogo serve alla verità, altrimenti è morto.
La questione dell’abuso cattolico del dialogo è antica. Già le opere pre-conciliari di Karl Rahner ponevano le basi per un dialogo senza contenuti. Il conciliarismo successivo al Vaticano II ha applicato e sviluppato il concetto, utilizzando maldestramente l’enciclica Ecclesiam suam di Paolo VI. Oggi si dialoga senza sapere più per quali contenuti dialogare. Non si disputa più, solo si dialoga dando fondamentale importanza – come giustamente segnala Brachetta – all’atto stesso del dialogare.
Il gesuita Karl Rahner (1904-1984)
con il teologo protestante Karl Barth (1886-1968).
Vorrei interloquire qui con Silvio Brachetta su un punto: a mio parere questo vizio è dovuto alla penetrazione del protestantesimo nella mente cattolica. E’ significativo, a rovescio, che la critica al dialogo per il dialogo venga da un protestante come Moltmann, proprio perché all’origine di questo impianto concettuale sta Lutero. Vuoi vedere che i protestanti si ravvedono prima dei cattolici?
La teologia cattolica ha sempre insegnato che la fede è composta di due aspetti: la fides qua, ossia l’atto personale di fede, e la fides quae, ossia i contenuti rivelati che si credono per l’autorità di Dio rivelante. Lutero separa i due aspetti, anzi elimina il secondo, sicché la fede è solo un rapporto soggettivo di coscienza del fedele con Dio. E’ una fede “fiduciale”, un fidarsi cieco, un mettersi nelle mani di Uno senza motivi di contenuto. La fede protestante è infatti una fede senza dogmi e la Chiesa è solo spirituale, fatta cioè da tutti coloro che si affidano, in questo modo “fiduciale”, a Cristo.
Per questo motivo l’unità non è data dalla comune confessione degli stessi contenuti di fede, come la Chiesa cattolica ha sempre insegnato a cominciare, appunti, dai Confessori della Fede, ma è data dal con-venire delle singole soggettività in un unico atto di fiducia. Il con-venire soggettivo sostituisce i motivi rivelati del convenire stesso.
L’accento si sposta sull’atto e non più sui contenuti dell’atto. Ecco perché oggi, anche nella Chiesa cattolica, la pastorale “come azione ecclesiale“ viene prima della dottrina, ne é¨ indipendente e, addirittura, riformula la dottrina. Si tratta di una concezione di origine protestante. Ecco perché ad ogni convegno ecclesiale si insiste sulla bellezza del con-venire, anche se in queste convention poi si sentono mille eresie dal punto di vista dogmatico. Ecco perché si parla di una Chiesa “plurale” o “aperta”, secondo l’indicazione di Karl Rahner – che era cattolico nella forma ma protestante nei contenuti – della quale possono fare parte tutti, compresi eretici ed atei. La fides quae viene persa di vista o, comunque, considerata di importanza derivata. L’eresia viene derubricata a diversità di opinione.
Nei giorni scorsi abbiamo assistito alla tragedia del piccolo Charlie Gard. Gli uomini di Chiesa sono arrivati in ritardo, hanno balbettato cose diverse, il quotidiano Avvenire ha deviato l’attenzione dai temi veri e ha detto l’opposto di quanto aveva detto nel 2009 per Eluana Englaro. Non siamo più in grado di confessare insieme nemmeno i principi elementari della legge morale naturale e nemmeno i dieci comandamenti. Su molte cose lasciamo che sia la coscienza a discernere. Alla Chiesa del con-venire manca sempre di più¹ su cosa e Chi convenire, se sul Cristo della fede o sul Logos che rivela la verità perché è la Verità.
(fonte: vitanuovatrieste.it)
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