di Giovanni Scalese (21/08/2017)
Qualche mese dopo, un’altra soffiata ci fece conoscere il reale motivo per cui Papa Bergoglio aveva disertato il concerto organizzato dal Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione in occasione dell’Anno della fede (22 giugno 2013): «Non sono un principe rinascimentale», avrebbe detto ai suoi piú stretti collaboratori. Anche se la cosa in questo caso sembrava piú credibile, rimaneva pur sempre, almeno per chi non era direttamente coinvolto, nulla piú che un episodio divertente, da archiviare quanto prima.
Poi, col passare degli anni, gli episodi di questo genere si sono moltiplicati e hanno cominciato a insospettirmi. Non era mai accaduto che, nei pontificati precedenti, si venisse a sapere quel che il Pontefice pro-tempore aveva detto nella tale o nella talaltra occasione. Non che non trapelassero segreti (basti pensare all’imbarazzante scandalo Vatileaks), ma per lo meno quel che diceva il Papa entro le mura domestiche non era dato sapere. Per cui a poco a poco si è fatto strada in me il sospetto che non si trattasse di occasionali fughe di notizie, ma di una strategia mediatica pianificata, per far sapere in giro che cosa realmente pensasse il Papa, sollevandolo nel contempo da ogni responsabilità, dal momento che si trattava, in fin dei conti, solo di voci che potevano essere facilmente smentite, se necessario. La cosa, devo essere sincero, mi dava non poca noia, dal momento che mi sembra che questo sia il modo migliore per distruggere il papato. Onestamente, di quel che pensa il Papa come persona, non ce ne cale. Egli può tranquillamente fare con i suoi intimi tutti i commenti e le battute che vuole. E deve essere libero di farli, senza correre il rischio di ritrovarli l’indomani spiattellati sulle prime pagine dei giornali di mezzo mondo. Come tutti, del resto. E nessuno di noi si scandalizza al pensiero che il Papa possa avere le sue idee personali. Ripeto, non ce ne può importar di meno. Non moriamo dalla curiosità di sapere qual è stata l’ultima battuta del Papa. L’unica cosa che ci attendiamo dal Romano Pontefice è che ci confermi nella fede, perché questo è il compito che Cristo gli ha affidato; non altro. E per svolgere questo compito sono sufficienti pochi interventi — se non sempre solenni, per lo meno rivestiti di una certa ufficialità — fatti con le parole giuste al momento giusto. Il resto son chiacchiere; ma chiacchiere che alla lunga possono spogliare il papato di qualsiasi autorevolezza.
È dei giorni scorsi (2 agosto 2017) la notizia che Papa Francesco avrebbe detto al Vescovo di Rouyn-Noranda (Québec), Mons. Dorylas Moreau (foto), preoccupato della carenza di vocazioni: «Il futuro della Chiesa è piú intorno alla parola di Dio che attorno all’Eucaristia». In questo caso, la situazione è diversa rispetto agli esempi precedentemente riportati. Innanzi tutto, non si tratta di un leak anonimo; qui sappiamo nome e cognome di chi ha riferito le parole del Papa; e perciò non abbiamo alcun motivo per dubitare della loro sostanziale autenticità. Inoltre — ed è la cosa piú importante — si tratta di un’affermazione che tocca un aspetto dottrinale di non poco conto. Si potrebbe facilmente scusare il Pontefice dicendo che, in tale occasione, piú che come Papa, egli parlava in veste di “osservatore”, stava facendo una semplice costatazione avalutativa: non che egli sia fautore di un deprezzamento dell’Eucaristia a favore della parola di Dio; si tratterebbe solo di prendere atto di una realtà, per quanto spiacevole, ma pur sempre una realtà. A poco a poco, vista la penuria di sacerdoti, sarà inevitabile che le comunità cristiane si ritrovino per riflettere sulla parola di Dio, senza la presenza di un sacerdote e quindi senza la celebrazione della Messa (ciò sta già avvenendo, purtroppo, in molte parti del mondo). Sarà anche vero, ma ciò non toglie che una simile rivelazione non giovi a nulla e a nessuno. A parte il fatto che, anche come semplice osservazione, essa è alquanto discutibile, il problema è che le analisi della situazione è meglio lasciarle agli analisti; dal Sommo Pontefice ci si aspetterebbe altro. Da lui ci attendiamo, nella fattispecie, che ci indichi le strade per valorizzare, come si conviene, e la parola di Dio e l’Eucaristia, e, in relazione a ciò, che ci dica come fare per superare l’attuale crisi vocazionale. Se il pastore non indica al gregge una meta da raggiungere, che pastore è?
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Pubblicato da Querculanus
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