di Giovanni Scalese (11/08/2017)
La settimana scorsa il Prof. Roberto de Mattei ha pubblicato sull’agenzia d’informazione
Corrispondenza Romana, un breve articolo dal titolo “Il Concilio Vaticano II e il messaggio di Fatima”, nel quale, prendendo spunto da un recente intervento di Mons. Athanasius Schneider, ribadisce la propria posizione sul Concilio Vaticano II, per poi soffermarsi su un punto specifico: la mancata consacrazione della Russia al Cuore immacolato di Maria, richiesta dalla Vergine a Fatima e sollecitata, durante il Concilio, da un gruppo di oltre cinquecento Presuli, la cui petizione fu totalmente ignorata da Paolo VI e dalla maggioranza dei Padri.
Non intendo attardarmi su quest’ultimo aspetto, a proposito del quale mi trovo pienamente d’accordo col prof. De Mattei. Il Concilio Vaticano II sembrerebbe davvero una sequela di occasioni mancate: dalla mancata condanna del comunismo alla mancata consacrazione della Russia. Va detto però che la storia non si fa con i “se”; non ci si aspetterebbe di leggere da uno storico una frase del genere: «Se la consacrazione richiesta fosse stata fatta, una pioggia di grazie sarebbe caduta sull’umanità». Sarà anche vero, ma la consacrazione… non è stata fatta. E questo è l’unico dato storico che conta.
Vorrei invece soffermarmi sulla prima parte dell’articolo, quella in cui si riprende la spinosa questione del giudizio da dare sul Concilio Vaticano II. La posizione del prof. De Mattei in proposito è nota: il suo giudizio — che è il giudizio di uno storico — è «impietoso e senza appello». Esso può essere riassunto nella frase:
Il Concilio Vaticano II non fu solo un Concilio mancato o fallito [è evidente il riferimento alla posizione di Mons. Brunero Gherardini, N.d.R.], fu una catastrofe per la Chiesa.
La novità di quest’ultimo intervento del Professore mi pare che vada ricercata nel fatto che mentre in precedenza (questa è per lo meno la mia impressione, ma potrei sbagliarmi) escludeva la possibilità di una qualsiasi altra valutazione accanto a quella storica, ora sembrerebbe ammetterla. Nell’articolo si distingue chiaramente fra due piani, quello teologico e quello storico. La differenza fra i due livelli starebbe nel fatto che, mentre sul piano teologico il giudizio può essere articolato («Ogni testo, per il teologo, ha una diversa qualità e un diverso grado di autorità e di cogenza»), sul piano storico invece
il Vaticano II costituisce un blocco non scomponibile: ha una sua unità, una sua essenza, una sua natura. Considerato nelle sue radici, nel suo svolgimento e nelle sue conseguenze, esso può essere definito una Rivoluzione, nella mentalità e nel linguaggio, che ha profondamente modificato la vita della Chiesa, avviando una crisi religiosa e morale senza precedenti.
Di qui il giudizio negativo inappellabile su riportato.
Anzi, il Prof. De Mattei nel suo intervento non si limita ad ammettere un diverso approccio al Vaticano II, ma sembrerebbe addirittura incoraggiarlo:
Sul piano teologico, tutte le distinzioni possono e debbono essere fatte per interpretare i testi del Vaticano II, che è stato un Concilio legittimo: il ventunesimo della chiesa cattolica. I suoi documenti potranno di volta in volta essere definiti pastorali o dogmatici, provvisori o definitivi, conformi o difformi alla Tradizione … Il dibattito è dunque aperto.
Se ben ricordo, fino a qualche tempo fa non era questa la posizione del Prof. De Mattei. Facendo propria (sebbene dalla sponda opposta) la nota tesi — squisitamente ideologica — della Scuola di Bologna, egli sembrava svalutare completamente i documenti del Concilio, per dare importanza esclusivamente all’evento conciliare. Non è poco riconoscere la legittimità del dibattito teologico sui testi conciliari e ammettere che da un suo fruttuoso svolgimento potrebbe dipendere la soluzione alla questione lefebvriana.
Personalmente sono sempre stato convinto dell’utilità e della necessità di una riflessione teologica spassionata sul Concilio Vaticano II (si veda l’articolo con cui si apriva questo blog nel lontano 2009:
Concilio e “spirito delConcilio”). Questo senza nulla togliere all’importanza dell’approccio storico. Il libro del Prof. De Mattei Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta (Lindau, Torino, 2010) rimane, a mio parere un punto di riferimento imprescindibile per ricostruire la dinamica dei fatti: è doveroso sapere come andarono veramente le cose. Come è giusto prendere serenamente atto degli effetti negativi del Concilio nella vita della Chiesa. Nell’articolo del 2009 li descrivevo, senza falsi pudori, nei termini seguenti:
La riforma liturgica ha rese deserte le chiese; il rinnovamento della catechesi ha diffuso l’ignoranza religiosa; la revisione della formazione sacerdotale ha svuotato i seminari; l’aggiornamento della vita religiosa sta mettendo a rischio l’esistenza di molti istituti; l’apertura della Chiesa al mondo, nonché favorire la conversione del mondo, ha significato la mondanizzazione della Chiesa stessa.
Si tratta di dati storici difficilmente controvertibili. Dobbiamo però chiederci: tale spregiudicata costatazione dei fatti giustifica il giudizio storico «impietoso e senza appello» del Prof. De Mattei? Il Vaticano II deve necessariamente essere liquidato come una «catastrofe per la Chiesa»? Personalmente non lo credo. E questo cercando di rimanere su un piano strettamente storico.
1. Non è storico affermare che il Concilio Vaticano II avrebbe avviato una crisi religiosa e morale senza precedenti, ignorando — o fingendo di ignorare — che tale crisi era già in corso da decenni, se non da secoli. Presentare la Chiesa preconciliare come una Chiesa perfetta, dove tutto procedeva senza problemi, è semplicemente falso. Senza imbarcarsi in lunghe e impegnative ricerche, basta chiedersi: Da dove venivano fuori i teologi che, dentro e fuori il Concilio, maggiormente spingevano per una radicale trasformazione della Chiesa? Erano dei marziani? Non erano forse teologi che operavano liberamente già prima del Concilio e si erano formati nei seminari e nelle facoltà ecclesiastiche prima del Concilio? Ciò significa che certe idee già circolavano nella Chiesa, tanto è vero che prima Pio X (enciclica Pascendi) e poi Pio XII (enciclica Humani generis) avevano sentito il bisogno di intervenire per cercare di porre freno a certe tendenze. Senza riuscirci. Si dirà: ma almeno i Papi prima del Concilio si opponevano a quelle tendenze; il Vaticano II le ha fatte proprie. Io vedrei la cosa in maniera diversa: il Concilio, prendendo atto del fallimento dei precedenti interventi pontifici, ha tentato una strada diversa, quella del “discernimento”: distinguere nelle tendenze novatrici ciò che vi era di valido, per farlo proprio, e ciò che era erroneo, per respingerlo.
2. Non è storico considerare nello svolgimento del Concilio solo le lotte fra gli opposti schieramenti, i giochi di potere, i maneggi delle lobby, i soprusi della presidenza, i compromessi al ribasso. Sono, questi, fatti storici incontestabili; ma non sono gli unici. È storia anche lo sforzo di Paolo VI per raddrizzare il Concilio; è storia anche l’impegno della maggioranza dei Padri in quell’opera di discernimento di cui si diceva; sono storia anche i documenti conclusivi del Concilio. Questi non possono essere situati in una dimensione a-storica o meta-storica; sono talmente storici che possiamo ricostruirne la genesi, fissarne il diverso valore teologico, evidenziarne i limiti, ecc.
3. Un atteggiamento veramente storico inoltre dovrebbe prendere in seria considerazione la distinzione, fatta da Benedetto XVI nel suo ultimo incontro col clero romano prima della rinuncia (
14 febbraio 2013), fra “Concilio dei Padri” e “Concilio dei media”, “Concilio reale” e “Concilio virtuale”; e verificarne i riflessi nella realtà: quale di questi due “concili” ha avuto maggiore influsso nella vita della Chiesa? Le conseguenze negative del “Concilio” sono da attribuire al Concilio dei Padri o a quello dei media? In altre parole, ai documenti del Concilio o allo “spirito del Concilio”? Queste sono domande a cui uno storico non può sottrarsi. Qui non si sta parlando di quale interpretazione dare ai testi conciliari — che è compito del teologo — ma si sta cercando di capire come sono andate effettivamente le cose. E questo spetta esclusivamente allo storico, il quale non può limitarsi a dire che il Concilio è stato una catastrofe, una rivoluzione che ha avviato una crisi religiosa e morale senza precedenti. Si tratta di una semplificazione assolutamente antistorica.
4. Non è storico, nell’esame del periodo postconciliare, considerare solo gli evidenti e incontestabili disastri provocati da una malintesa applicazione del Concilio. Va pure considerato lo sforzo di difesa e di ricostruzione operato dai Pontefici postconciliari (Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI). Questi hanno dato l’unica, legittima interpretazione del Concilio, hanno dato attuazione alla sua opera riformatrice e si sono opposti ai tentativi di sovvertire la Chiesa in nome del “Concilio”. I Papi che si sono succeduti negli ultimi cinquant’anni, fra le nebbie che si sono diffuse dopo il Concilio, sono stati dei fari che hanno indicato ai fedeli la rotta da seguire. Pur fra mille difficoltà e contraddizioni — che non vanno nascoste, ma non devono meravigliare — hanno fatto chiarezza su molti punti. Non che abbiano eliminato la confusione, ma hanno individuato alcuni punti fermi, sui quali non era possibile continuare a discutere indefinitamente.
Bene, siccome ai nostri giorni, uno dopo l’altro, si stanno rimettendo in discussione proprio quei punti fermi, che sembravano ormai acquisiti; siccome si sta smantellando tutto quanto si era ricostruito nel periodo postconciliare, come se cinquant’anni fossero trascorsi invano; siccome si sta cercando di far passare l’idea che il vero Concilio non è quello dei documenti, ma quello di un non meglio precisato “spirito”, che continuerebbe ad agire nella Chiesa a prescindere da qualsiasi criterio previamente dato; non credo che serva a nulla continuare a polemizzare contro il Vaticano II, considerandolo come l’origine di tutti mali della Chiesa; non credo che l’attuale situazione possa essere considerata semplicisticamente come un “frutto” del Concilio. Anzi credo che sia giunto il momento di cominciare a difendere il vero Concilio da chi pretende di farsene abusivamente interprete, spacciando per “Concilio” ciò che ne è una semplice caricatura. Credo che sia giunto il momento in cui i veri amanti della tradizione incomincino a considerare il Vaticano II e il magistero postconciliare come parte della tradizione (con tutti i possibili distinguo sul piano teologico) e a difenderli in nome della tradizione. Pensare che la tradizione si sia fermata al 1962 (o al 1958) significherebbe dare ragione a quanti prima, durante e dopo il Concilio, fino ai nostri giorni, hanno cercato e stanno cercando di sovvertire la Chiesa. Il Concilio, quello vero, non è stato una rivoluzione, ma solo un tentativo, piú o meno riuscito, di rinnovare la Chiesa nel solco della tradizione. La rivoluzione è quella che hanno cercato e stanno cercando di imporre i modernisti di ieri e di oggi. Ad essi occorre opporsi non solo in nome della tradizione, ma anche in nome dello stesso Concilio, che di quella tradizione è parte integrante.
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Querculanus