Prefazione di S.E.R. Mons. Ranjith Segretario Emerito della Congregazione per il Culto Divino e Arcivescovo di Colombo, Edizioni Fede & Cultura, 2009, pp. 340, € 24,00.
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PREFAZIONE
Il Card. Joseph Ratzinger parlando della riforma liturgica postconciliare disse: “Il risultato [di codesta riforma] non è stato una rianimazione, ma una devastazione […]. Al posto della liturgia frutto di uno sviluppo continuo, è stata messa una liturgia fabbricata. Si è usciti dal processo vivente di crescita e di sviluppo per entrare nella fabbricazione. Non si è più voluto il divenire e la maturazione organica di Dio che vive attraverso i secoli e lo si è sostituito a mo‟ di produzione tecnica, con una fabbricazione banale del momento” (“Prefazione” in Klaus Gamber, La réforme liturgique en question, ed. Sainte Madeleine, Le Barroux, 1992).
Sono parole forti ma, credo, davvero oggettive di ciò che veramente accadde nella liturgia durante gli anni immediatamente susseguenti alle riforme introdotte dai riformatori del Consilium ad Exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia; in modo particolare nei confronti della Liturgia Eucaristica.
I Riformatori erano sicuramente ben intenzionati nella loro ricerca e nel loro lavoro, ma hanno lasciato degli spazi per interpretazioni larghe di qualche loro orientamento che, in alcuni ambienti, favorì uno slittamento pericoloso verso un‟anarchia liturgica.
Per di più qualcuno interpretò i suddetti orientamenti come conseguenza delle aperture del Concilio e della sua Costituzione Sacrosanctum Concilium. Questa posizione è discutibile. Ma non si può negare che qualche cambiamento liturgico introdotto in certi ambienti era infatti frutto di un cosiddetto “Spirito del Concilio” che glorificava “tutto ciò che è nuovo”.
ANTI SPIRITO DEL CONCILIO
Parlando di quest‟ultimo fenomeno il Cardinale disse: “Già durante le sedute e poi via via sempre più nel periodo successivo si contrappose un sedicente „spirito del Concilio‟ che in realtà è un vero „anti-spirito‟. Secondo questo pernicioso anti-spirito – Konzils-Ungeist per dirlo in tedesco – tutto ciò che è „nuovo‟ [o presunto tale: quante antiche eresie sono riapparse in questi anni, presentate come novità!], sarebbe sempre e comunque migliore di ciò che c‟è stato, o c‟è. È l‟anti-spirito del Concilio secondo il quale la storia della Chiesa sarebbe da iniziare dal Vaticano II, visto come una specie di punto zero” (Rapporto sulla fede, Edizioni San Paolo, 1985, p. 33).
Questo senso di esagerata passione per fare tutto ex novo, di guardare al passato con un certo senso di dispetto e di sorpassare le stesse indicazioni del Concilio, interpretandole a modo proprio, ha condizionato molti ambienti nella Chiesa man mano che il Concilio progrediva e poi nel tempo immediatamente successivo. A causa di questa tendenza alcuni elementi della liturgia Eucaristica stessa hanno subito accentuazioni sbilanciate. Per esempio: l‟aspetto conviviale dell‟Eucaristia a scapito della sua natura essenzialmente sacrificale; l‟aspetto assembleare e antropocentrico a scapito di quello cristocentrico e trascendentale; l‟aspetto del sacerdozio comune di tutti a scapito del ruolo insostituibile del sacerdozio ministeriale.
I riformatori, poi, accentuarono il concetto delle due mense – quella della Parola e quella dell‟Eucaristia – equiparando in qualche modo la presenza reale ed integrale di Cristo nelle specie Eucaristiche con la dinamicità della Parola proclamata. Ma la natura di queste due presenze non è da mettere a paragone, e una tale equiparazione non è neanche fedele alla dottrina ecclesiale sull‟Eucaristia.
Inoltre, un eccessivo e comunque ingenuo zelo per l‟ecumenismo li entusiasmò e condusse ad eliminare alcuni aspetti della liturgia, considerati “difficili” per i fratelli separati, e ad introdurre altri considerati “accomodanti”. Su questo punto qualche affermazione fatta dal Segretario del Consilium mostra tristemente come, anche a quel livello, tale spirito di apertura comportasse un problema. In una presentazione del padre Annibale Bugnini apparsa su “L‟Osservatore Romano” del 19 marzo 1965 si parla del “desiderio […] di scartare [dal nuovo rito] ogni pietra che potesse costituire anche solo l‟ombra di un rischio di inciampo o di dispiacere […] per i fratelli separati”. E, in un altro momento, che “la riforma liturgica ha fatto un notevole passo avanti e si è avvicinata alle forme liturgiche della Chiesa luterana” (“L‟Osservatore Romano”, 13 ottobre 1967). La Sacrosanctum Concilium, il documento conciliare che doveva essere l‟ispirazione centrale di questa riforma, non aveva dato nessuna disposizione esplicita per questo ultimo orientamento. Difatti, il documento conciliare sull‟Ecumenismo Unitatis Redintegratio, parlando dell‟eventuale possibilità della comune celebrazione eucaristica con i fratelli separati, mette una condizione: “Superatis ostaculis perfectam communionem ecclesiasticam impedientibus” – “superati gli ostacoli che impediscono la perfetta comunione ecclesiastica” (UR, 4). Tale indicazione, come si vede, dimostra la necessità di essere cauti e prudenti, per non cadere in un falso ottimismo, o ingenuità ecumenica, che avrebbe avuto effetti negativi sulla fede cattolica. Senza una comune intesa nella fede, cosa che richiede tanto impegno e tempo di riflessione come anche preghiera, una liturgia condivisa non è possibile, perché, come dice il famoso assioma lex orandi lex credendi, la fede e la preghiera sono intimamente collegate. La posizione del padre Bugnini sopra citata già non corrispondeva ad una apertura congrua da parte dei fratelli separati verso la fede Eucaristica del Concilio, poiché quando Papa Paolo VI scrisse la Lettera Enciclica Mysterium Fidei, chiarendo alcune ambiguità dottrinali sorte sulla questione della “transubstantiatio”, in alcuni ambienti protestanti e tra alcuni teologi cattolici sorsero delle polemiche. Il Papa spiegava il motivo di quell‟Enciclica, anche allo scopo di comunicare, con apostolica autorità, il suo pensiero, perché “la speranza, suscitata dal Concilio, di una nuova luce di pietà Eucaristica che investe tutta la Chiesa” sembrava essere “frustrata e inaridita dai semi già sparsi di false opinioni” (MF, 13).
Si percepisce in quell‟Enciclica pubblicata il 30 settembre 1965, appena tre mesi prima della fine del Concilio e meno di due anni dopo la pubblicazione della Sacrosanctum Concilium, un intenso senso di preoccupazione del Santo Padre su ciò che stava accadendo.
RIFORMA AFFRETTATA?
Tale situazione non è sorta solo a causa di un‟esagerata fretta per adeguare la liturgia cattolica alle liturgie dei “fratelli separati”, ma anche per un certo imprudente spirito di avventurismo teologico, di orientamenti ecclesiali parziali, di uno spirito di libertà poco equilibrato e di una decentralizzazione esagerata delle responsabilità della Santa Sede verso gli episcopati locali e quelle Commissioni o Uffici liturgici locali gestiti spesso da persone impreparate quanto a senso liturgico, magari da qualche laico che non celebrava la liturgia. Questa politica di permettere troppe decisioni alle Conferenze dei Vescovi, alle Commissioni liturgiche locali, o agli Ordinari in materia liturgica e soprattutto la facoltà concessa liberamente per le sperimentazioni liturgiche, non ha dato sempre un esito felice. Difatti, man mano che gli anni passavano la Santa Sede con altri Documenti controllava la situazione originalmente troppo fluida.
Che inizialmente il lavoro del Consilium per la realizzazione delle riforme Conciliari non fosse bene gestito, diventa chiaro quando si leggono i diari del Cardinale Ferdinando Antonelli, membro dello stesso. In una delle note scritte, lui descrive così il lavoro della Commissione liturgica: “Non sono entusiasta dei lavori. Mi dispiace del come è stata cambiata la Commissione: un raggruppamento di persone, molto incompetenti, più ancora avanzata nelle linee delle novità. Discussioni molto affrettate. Discussioni a base di impressioni; votazioni caotiche […] direzione debole […]. Mi dispiace che questioni, forse non tanto gravi in sé, ma gravide di conseguenze, vengano discusse e risolte da un organo che funziona così. La Commissione o il Consilium è composto da 42 membri: ieri sera eravamo 13, neanche un terzo”. (Nicola Giampietro, Il Cardinale Ferdinando Antonelli e gli sviluppi della riforma liturgica dal 1948 al 1970, Studia Anselmiana 121, Roma 1998, pp. 228-229). In un altro passo egli scrive: “Ieri l‟altro, 23 luglio 1968 parlando con Mons. Giovanni Benelli, Sostituto della Segreteria di Stato, mostrai le mie preoccupazioni sulla riforma liturgica che diventa sempre più caotica e aberrante. Notavo in particolare:
1. la legge liturgica che fino al Concilio era una cosa sacra, per molti non esiste più. Ciascuno si ritiene autorizzato a fare quel che vuole e molti giovani fanno così;
2. la messa soprattutto è il punto doloroso. Si vanno diffondendo le messe in casa, in piccoli gruppi, in connessione con refezioni comuni: la cena;
3. ora comincia l‟azione disgregatrice intorno alla Confessione;
4. facevo notare che parte di responsabilità di questo stato di cose è da mettersi in relazione con il sistema degli esperimenti. Il Papa ha concesso al Consilium la facoltà di permettere gli esperimenti. Il Consilium usa larghissimamente di questa facoltà. Un esperimento fatto in uno o pochi ambienti chiusi (un monastero, una parrocchia funzionale) e per un tempo limitatissimo, può andare ed è utile, ma, concesso largamente e senza limiti stretti di tempi è la via aperta per l‟anarchia;
5. nel Consilium ci sono pochi Vescovi che abbiano una preparazione liturgica specifica, pochissimi che siano veri teologi” (Ibidem, p. 257).
I testi sopra citati sono solo una piccola parte dei commenti del Cardinale Antonelli sullo spirito che dominava l‟ambiente di lavoro ed il livello della consapevolezza pastorale-teologica e la metodologia seguita dallo stesso Consilium nel loro approccio alla riforma. Essendo stato un illustre membro di quella Commissione, anzi essendo stato un prelato che aveva lavorato nel processo della riforma liturgica Piana fin dai tempi di Papa Pio XII, conosceva bene ciò che doveva accadere e anche ciò che, purtroppo, non andava nel senso giusto.
RADICI FILOSOFICHE
Naturalmente tutto questo non fu un‟invenzione ex-novo da parte del Consilium o dei liturgisti di allora, ma una naturale conseguenza di uno spirito di umanesimo esagerato che invadeva la società secolare e così anche l‟ambiente teologico liturgico della Chiesa, gli inizi del quale si trovavano già, nel lontano passato, in quella definizione cartesiana della verità dell‟esistenza umana: “Cogito, ergo sum”. Nella stessa filosofia il mutamento fu tremendo. Portato avanti in seguito anche dallo stesso Lutero, per questa tendenza Dio diventa “Dio-per-noi” (für uns) non più “Dio-in-sé” (für sich). La teologia cattolica dell‟epoca in questo senso fu sfidata da una grande tentazione soggettivista, ma allo stesso tempo godeva di quella sicurezza della fede nelle verità rivelate da Dio la quale costituiva il patrimonio dottrinale della Chiesa. Così si sapeva che non è l‟uomo che sta al centro della scoperta di Dio, ma Dio stesso, è lui che fa il primo passo. Difatti, il primo versetto della Bibbia ci fa gustare la bellezza risplendente di questa fede: “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gen 1, 1). È lì che tutto inizia. È Dio che crea. Non esiste niente prima di lui. L‟uomo viene dopo, ed è la sua creatura, non il contrario. È questa la fede che anche Giovanni proclama: “Ciò che era fin dal principio ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita poiché la vita si è fatta visibile, noi l‟abbiamo veduta e di ciò noi rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna che era presso il Padre e si è resa visibile a noi” (1Gv 1, 1-3). È il Figlio che ha rivelato il Padre ed è in Lui che lo hanno visto, toccato e contemplato. Dio, in Gesù si è rivelato non solo Creatore, ma anche Salvatore. Non siamo noi uomini che lo abbiamo scoperto, tanto meno creato.
Per questo la liturgia non è, e non deve essere sottoposta ad un mero soggettivismo umano. Non è l‟uomo al centro della Liturgia, ma il Signore. Come Papa Pio XII nella sua Enciclica magistrale Mediator Dei insegnava: “La Sacra Liturgia è pertanto il culto pubblico che il nostro Redentore rende al Padre, come Capo della Chiesa, ed è il culto che la società dei fedeli rende al suo Capo e, per mezzo di Lui, all'Eterno Padre: è, per dirla in breve, il culto integrale del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra” (Cfr. testo latino in AAS, 39, 1947, pp. 528-529). Perciò la liturgia ha una dimensione essenzialmente divina e discendente per cui ciò che succede trascende le nostre azioni visibili. La dimensione ascendente della liturgia diventa un nostro adeguarsi all‟actio divina e lascia ben poco spazio alla nostra creatività; l‟essenziale consiste nel nostro lasciarci assorbire nell‟azione e dall‟azione di Cristo Sommo Sacerdote. In questo senso ciò che dovrebbe succedere in ogni riforma teologica, o liturgica, non è la sottomissione della fede e della disciplina alle nostre manipolazioni o creatività personali o comunitarie, ma il suscitare in noi un‟approfondita ed aggiornata scoperta delle verità oggettive già rivelate e delle tradizioni liturgiche già maturate nella storia. La riforma liturgica e, per questo, qualsiasi riforma, non può essere la rottura di un cammino storico per dar luogo ad un nuovo inizio. La stessa parola “riforma” connota questa verità e si distingue dalla parola “rivoluzione”. Ma quale fu l‟atteggiamento che veramente animò molti riformatori conciliari, riforma o rivoluzione? Il Cardinale Ratzinger risponde che “in quel momento accadde qualcosa di più: si fece a pezzi l‟edificio antico e se ne costruì un altro, sia pure con il materiale di cui era fatto l‟edificio antico e utilizzando anche i progetti precedenti” (Joseph Ratzinger, La mia vita, Edizioni San Paolo, 1997, p. 114). Così parzialmente, la riforma conciliare subì alcuni influssi:
a) filosofico-teologici dell‟Illuminismo e dei suoi corollari che accentuavano un certo tipo di antropocentrismo, il quale strada facendo influì anche sullo stesso movimento liturgico del XIX e XX secolo;
b) un certo romanticismo accentuato che sottolineò alcuni elementi liturgici cosiddetti dei primi cristiani;
c) un diffuso spirito di innovazione, per cui si volle fare tutto in un modo nuovo, libero ed ecumenicamente aperto.
La Mediator Dei fu un tentativo di Papa Pio XII di regolare in qualche modo il movimento liturgico antecedente ed indirizzarlo in modo positivo. La Sacrosanctum Concilium fu il punto culminante di ciò che i Pontefici, a partire da Pio X, avevano indicato come orientamento per una riforma effettiva della liturgia nella Chiesa. Erano documenti grandiosi e coglievano l‟essenza di quel processo di riforma nei punti più validi. Ma ci si domanda, ora, se ciò che accadde negli anni successivi abbia portato, in un‟ottica di continuità, i frutti auspicati da tale impegno Pontificio.
RIFORMA DELLA RIFORMA?
Vedendo i risultati di questa riforma, segnati anche da “ombre”, non sono poche le voci che auspicavano una “riforma della riforma”. L‟allora Cardinale Joseph Ratzinger, in un convegno tenuto nel luglio 2001 a Fontgombault (Francia), disse: “Però in questo progresso reale che il movimento liturgico portò – il quale ci guidò verso il Vaticano II, e la Sacrosanctum Concilium – vi era anche un pericolo: il disprezzo del Medioevo come anche della teologia scolastica. A partire da questo momento iniziò una separazione di vie […]. Mi pare che già verso gli inizi degli anni cinquanta e certamente dopo il Concilio, i rischi inerenti e anche visibili del movimento liturgico divennero una grande tentazione, un pericolo serio per la Chiesa […] perché i liturgisti avevano acquisito una autorità de facto: abbiamo sempre meno riconosciuta l‟autorità della Chiesa e l‟esperto diventava l‟autorità. Questo passaggio dell‟autorità agli esperti trasformò tutto e questi furono a loro volta influenzati da una esegesi profondamente condizionata da opinioni protestanti” (AA.VV, Autour de la Question Liturgique, Actes des Journées liturgiques de Fontgombault 22-24 Juillet 2001, Abbaye Notre-Dame, 2001, pp. 175-176).
Il Cardinale Ratzinger vide tre problemi di approccio liturgico per il nuovo Messale: primo, la necessità di assicurare l‟ecclesialità della liturgia, che non doveva lasciare spazio a delle alternative e ad una creatività libera; secondo, il pericolo di usare un linguaggio adattato a diverse sfumature, come l‟uguaglianza assoluta tra i sessi (linguaggio inclusivo); terzo la questione della direzione del sacerdote (cfr. Ibid., pp. 180-181). Ed è significativo che Papa Benedetto XVI da Cardinale, in diversi momenti, auspicasse una riforma della riforma per ricuperare accenti importanti ormai perduti della liturgia e poter camminare verso una vera riforma della Chiesa. Il suo pensiero sulla liturgia, per quanto riguarda la sua origine, natura e sviluppo come anche le carenze della riforma postconciliare, viene esposto con magistrale lucidità nelle sue opere, come anche nei suoi interventi degli ultimi anni. Basti solo leggere L‟Introduzione allo spirito della liturgia (Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2001) per essere convinti soprattutto del suo desiderio di intraprendere un‟ulteriore riforma della riforma che egli sembra proporre in quasi tutti gli argomenti trattati. Difatti nella premessa a questo libro l‟allora Cardinal Ratzinger parla della necessità di prendere, rapidamente, le misure necessarie per porre fine agli influssi dannosi dei diversi errati tentativi di restauro o di ricostruzione della Liturgia (cfr. p. 6).
Diventato Pastore Supremo Universale della Chiesa, Papa Benedetto XVI iniziò a dare vari segni della sua volontà per portare la liturgia della Chiesa verso un rinnovamento approfondito e più conciliare, nel senso che essa deve essere liberata da quei cambiamenti introdotti dai riformatori sotto l‟influsso di un certo tipo di liberalismo o meglio da una mentalità condizionata da quell‟anti-spirito del Concilio, di cui parlò nella sua intervista con il giornalista italiano Vittorio Messori (Rapporto sulla Fede, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2005, p. 33).
Ricordiamo alcune prassi e atteggiamenti liturgici che egli ha cominciato a reintrodurre nella sua liturgia, ad esempio: il ritorno del Crocifisso e delle sette candele sull‟altare e il situarsi nelle sue celebrazioni verso il Crocifisso, il reimpiego dei paramenti liturgici antichi romani, l‟abbandono quasi totale delle danze e delle attività non liturgiche nelle celebrazioni, l‟uso frequente e più intenso del latino e del canto gregoriano, e, ultimamente il ricevere la Santa Comunione sulla lingua e in ginocchio. D‟altronde il fatto di permettere l‟uso libero dei libri liturgici tridentini, presentandoli anche come un possibile mezzo di arricchimento della liturgia, (cfr. la Lettera di accompagnamento all‟episcopato Mondiale) conferma ulteriormente questa volontà del Papa verso una riforma della riforma.
Il Santo Padre, mentre apprezza il cammino genuino della riforma postconciliare, attraverso i suoi scritti, soprattutto l‟Esortazione postsinodale Sacramentum Caritatis, e i suoi gesti, richiama la Chiesa ad una profonda riscoperta della liturgia cercando di arricchirla anche con il recupero del contenuto e delle forme tradizionali ad essa intimamente legate.
In questo verso il cammino della riforma va spinto ancora in avanti, non nel senso di un distacco o di una rottura totale con il passato, ma nella continuità della millenaria tradizione della Chiesa. L‟ermeneutica della continuità deve essere la chiave di qualsiasi apertura verso il futuro per evitare il rischio di incorrere in una spirale di “caduta libera”. Le tendenze postmoderne nella teologia, come anche nella liturgia, già dimostrano l‟imprudenza di questo tuffarsi nel buio. Da una parte, non bisogna lasciarsi imprigionare nel passato per evitare che l‟organismo complesso della Liturgia possa cessare di vivere. E dall‟altra parte non si può abbandonare l‟eredità storica della Chiesa e stabilire tutto ex novo perché un tale atteggiamento sarebbe come togliere la terra da sotto i propri piedi. Ed è qui che la linea di Papa Benedetto XVI assume un valore immenso. Come si potrà procedere in questa riforma? Questa è una domanda legittima e di vitale importanza. Esiste già un dibattito su una possibile metodologia della riforma della riforma. Alcuni propongono un ritorno alla liturgia tridentina, con qualche piccolo ritocco, mentre altri insistono su cambiamenti da apportare alla riforma già effettuata. Altri ancora vogliono progressi nella direzione già presa, progressi che potranno facilitare l‟ecumenismo e nuove aperture nella Chiesa. Ancora altri vogliono mantenere lo status quo attuale.
Considerando tutto questo, lo studio intrapreso da Don Claudio Crescimanno, Ipotesi di “riforma della riforma”, basato sul pensiero del Cardinale Joseph Ratzinger, può essere considerato un valido contributo e stimolo per una riflessione e discussione comune in materia. L‟autore, giustamente, inizia la sua riflessione presentando il pensiero del Papa sul vero significato dell‟Eucaristia, quello del sacrificio di Cristo, oscurato ed indebolito dai teologi e liturgisti nell‟epoca postconciliare con l‟accentuare la dimensione conviviale e assembleare. Dopo un dettagliato studio dell‟evoluzione dell‟attuale forma della Messa, l‟autore presenta un‟analisi critica sul ruolo esercitato dalle diverse forze riformatrici nell‟era immediatamente precedente e dopo il Concilio ed il cammino intrapreso dai riformatori nella preparazione dei diversi Messali postconciliari. Segue poi un‟ipotesi per una riforma della riforma del Messale, ove l‟autore suggerisce l‟integrazione nel Messale tradizionale di alcuni elementi della recente riforma liturgicamente validi. Don Claudio accetta che le sue proposte siano un “modesto contributo al dibattito in atto” (p. 170), sapendo già che forse non saranno tanto gradite per gli specialisti in materia. Ma afferma che “al di là dei circoli degli specialisti o della sterile contrapposizione tra fazioni” esiste una porzione non trascurabile di popolo cristiano fatta di piccole comunità coraggiose nella fede, fervorose nella preghiera e fedeli al Magistero, e affida il suo libro proprio a loro. Don Claudio sembra essere spinto verso questa ipotesi di riforma anche da un forte senso di orientamento pastorale, conscio della suprema lex in tutto questo – la salus animarum.
Parlando della salus animarum possiamo affermare che la liturgia è quel singolare momento in cui ogni singolo fedele come anche la comunità stessa radunata in preghiera, viene a “toccare” con i propri sensi, mente e cuore, l‟augusta presenza del Signore in mezzo alla loro vita, così fragile e limitata, il momento dell‟incontro con Dio, l‟Emmanuele. Non c‟è altro momento così grandioso come questo. Nella liturgia, e specificamente nella celebrazione Eucaristica, i cieli aprono le loro porte e la gloriosa presenza dell‟Agnello immolato, accompagnato dagli angeli e i cori celesti, discende sull‟altare unendo a sé e al suo perenne atto sacrificale ciò che si celebra per la salvezza degli uomini. Nessun altro momento è così importante per la Chiesa come quello in cui si celebra la liturgia, stimolo insostituibile della fede e della testimonianza cristiana. Per questo, non può essere veritiera ogni pretesa egoistica di poter manipolare, cambiare, o magari eliminare ciò che abbiamo ricevuto, o poter sottomettere alle teorie scientifiche umane o alla pedanteria delle scienze liturgiche, la trascendente nobiltà, dignità e la sacralità ed il senso del mistero della liturgia. Nessun liturgista o teologo ha la scienza o il diritto di pretendere che egli abbia il potere di decidere come la Chiesa deve essere unita in comunione di preghiera con il suo eterno Sposo Gesù. Ciò avviene in modo misterioso e sacro al di fuori delle nostre categorie scientifiche. Questo fu asserito sia dal Concilio di Trento che dal Concilio Vaticano II.
In questo senso i nostri sforzi sono solo al servizio della comunione. Questo servizio viene regolato secondo l‟azione dello Spirito, nella millenaria storia della Chiesa, e spesso ha origine nella devozionalità dei suoi membri, anche i più umili e semplici. Le parole di San Giovanni Crisostomo ci spiegano ciò che deve segnare il nostro atteggiamento davanti a questo grande mistero: “Quando vedi il Signore sacrificato e giacente, e il sacerdote che presiede il sacrificio e prega, e tutti arrossati di quel sangue prezioso, credi ancora di essere tra gli uomini e di stare sulla terra? Ma non ti senti subito trasportato nei cieli e spoglio di ogni pensiero della carne, con l‟anima nuda e con la mente pura, contempli le cose celesti?” (Giovanni Crisostomo, De Sacerdote, III, 4, Sch. 272, 142-144).
+ Albert Malcolm Ranjith
Segretario emerito
della Congregazione per il Culto Divino
e la Disciplina dei Sacramenti
Arcivescovo di Colombo
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