Queste parole sono tratte dalla “Regola Pastorale” (2,4) di papa san Gregorio Magno. Sono parole di straordinaria attualità in questi tempi in cui molti cattolici, soprattutto sacerdoti e vescovi che hanno l’obbligo di proteggere il gregge dai lupi, tendono a fare silenzio, a non ammonire gli errori, facendo sì che molte anime rischino la dannazione eterna. Leggiamo e meditiamo.
La guida delle anime sia discreta nel suo silenzio e utile con la sua parola affinché non dica ciò che bisogna tacere e non taccia ciò che occorre dire. Giacché come un parlare incauto trascina nell’errore, così un silenzio senza discrezione lascia nell’errore coloro che avrebbero potuto essere ammaestrati.
Infatti, spesso, guide d’anime improvvide e paurose di perdere il favore degli uomini hanno gran timore di dire liberamente la verità; e, secondo la parola della Verità, non servono più alla custodia del gregge con lo zelo dei pastori ma fanno la parte dei mercenari (cfr. Gv 10, 13), poiché, quando si nascondono dietro il silenzio, è come se fuggissero all’arrivo del lupo.
Per questo infatti, per mezzo del profeta, il Signore li rimprovera dicendo: “Cani muti che non sanno abbaiare” (Is 56, 10). Per questo ancora, si lamenta dicendo: “Non siete saliti contro, non avete opposto un muro in difesa della casa d’Israele, per stare saldi in combattimento nel giorno del Signore” (Ez 13, 5). Salire contro è contrastare i poteri di questo mondo con libera parola in difesa del gregge; e stare saldi in combattimento nel giorno del Signore è resistere per amore della giustizia agli attacchi dei malvagi.
Gregorio I, chiamato Magno, papa santo e buon pastore
Infatti, che cos’è di diverso, per un Pastore, l’avere temuto di dire la verità dall’avere offerto le spalle col proprio silenzio? Ma chi si espone in difesa del gregge, oppone ai nemici un muro in difesa della casa di Israele. Perciò di nuovo viene detto al popolo che pecca: “I tuoi profeti videro per te cose false e stolte e non ti manifestavano la tua iniquità per spingerti alla penitenza” (Lam 2, 14).
È noto che nella lingua sacra spesso vengono chiamati profeti i maestri che, mentre mostrano che le cose presenti passano, insieme rivelano quelle che stanno per venire. Ora, la parola divina rimprovera costoro di vedere cose false, perché mentre temono di scagliarsi contro le colpe, invano blandiscono i peccatori con promesse di sicurezza: essi non svelano le iniquità dei peccatori perché si astengono col silenzio dalle parole di rimprovero. In effetti le parole di correzione sono la chiave che apre, poiché col rimprovero lavano la colpa che, non di rado, la persona stessa che l’ha compiuta ignora.
Perciò Paolo dice: “(Il vescovo) sia in grado di esortare nella sana dottrina e di confutare i contraddittori” (Tito 1, 9).
Perciò viene detto per mezzo di Malachia: “Le labbra del sacerdote custodiscano la scienza e cerchino la legge dalla sua bocca, perché è angelo del Signore degli eserciti” (Mal 2, 7).
Perciò per mezzo di Isaia, il Signore ammonisce dicendo: “Grida, non cessare, leva la tua voce come una tromba” (Is 58, 1)
Insomma, chiunque si accosta al sacerdozio assume l’ufficio di banditore perché, prima dell’avvento del Giudice che lo segue con terribile aspetto, egli lo preceda col suo grido.
Se dunque il sacerdote non sa predicare, quale sarà il grido di un banditore muto?
(Fonte: Il Cammino dei Tre Sentieri)
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