di Giuliano Guzzo
Tempi durissimi, in Occidente per la libertà di espressione. Owen Steven, uno studente della State University of New York College di Geneseo, un college storico – con 150 anni di storia -, è stato sospeso dalla sua scuola per avvenuta violazione «delle regole di inclusività». Il che potrebbe pure apparire in astratto giusto, se non si sapesse il motivo alla base di detta sospensione, e cioè il fatto che nel novembre scorso Steven, su Instagram, abbia scritto un post contenente due hashtag ben precisi – #menaremen #womenarewomen – il cui senso è facilmente: «Gli uomini sono uomini» e «le donne sono donne».
Per questo, e solo per questo, lo studente non solo è stato sospeso, ma per essere riammesso al campus dovrà seguire «un piano di riparazione» severo e articolato in tre punti: l’eliminazione di tutti i suoi post che esprimono idee conservatrici e sospettabili di transfobia, la riduzione della sua presenza sui social e, dulcis in fundo, la frequentazione di una formazione autorizzata dalla scuola sui temi dell’inclusione. Insomma, Owen Steven dovrebbe sottoporsi ad un vero e proprio iter di rieducazione che fa tornare terribilmente attuale la Cina di Mao.
Peccato che il fatto avvenga oggi e non a Pechino bensì a New York, in un college il cui decano ha approfittato del caso di Owen Steven (che pare non intenzionato a sottoporsi alla rieducazione in serbo per lui) per precisare che tutti i futuri docenti dovranno fare pubblica professione di fede arcobaleno – pardon, di «valori inclusivi» – se vogliono insegnarci. Insomma, il pensiero unico domina incontrastato e chiunque osi chiamarsi fuori viene emarginato. Come siamo arrivati a questo punto? A piccoli passi. Sono infatti anni che chiunque affermi l’esistenza di differenze naturali tra uomo e donna diviene bersaglio di critiche, censure o, peggio, allontanamenti.
Uno dei casi più clamorosi si ebbe nel 2017, quando il giovane ingegnere James Damore venne cacciato da Google in quanto autore di un documento che rimarcava le differenze tra maschi e femmine. L’anno dopo è venuto il turno degli accademici. Alla prestigiosa università di Lund, in Svezia, il professor Germund Hesslow era finito sotto accusa perché durante il suo corso di studi aveva sottolineato che esistono differenze biologiche che esistono tra uomo e donna. Sempre nel 2018, per aver sostenuto un pensiero analogo il fisico pisano Alessandro Strumia è stato cacciato nientemeno che dal Cern di Ginevra.
Oggi, invece, come dimostra il caso di Owen Steven, siamo al turno degli studenti. L’aspetto più inquietante di questa vicenda, comunque, è che il giovane del college di Geneseo le sue idee non «inclusive» non le aveva espresse lungo i corridoi della scuola, ma sui social. Ciò significa che nell’America di Joe Biden si sta di fatto instaurando un nuovo, spaventoso Grande Fratello che non tollera dissidenti neppure in Rete, in teoria territorio del libero pensiero ma, in pratica, campo zelantemente vigilato dai guardiani della rivoluzione arcobaleno.
Facebook, Instagram e Twitter si confermano dunque non piazze libere, bensì luoghi dove qualunque cosa scrivi potrà essere usata contro di te, senza concederti alcun diritto alla difesa. A pensarci bene, le vittime della rieducazione maoista erano avvantaggiate rispetto ai giovani di oggi; loro, infatti, avevano davanti agli occhi la realtà brutale di un regime sanguinario. Invece gli studenti dei college americani crescono nell’illusione di essere liberi. Ma basta solo che affermino che «gli uomini sono uomini» e «le donne sono donne», ed ecco che la dittatura del Pensiero Unico si fa sentire, tempestiva e implacabile.
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