03 Febbraio 2021
Tommaso Scandroglio
Forse il minimo comun denominatore di tutte le ideologie è il non riconoscimento del reale. Non riconoscere che nel ventre della madre c’è un essere umano, che una persona fortemente disabile rimane persona e quindi non si può praticare su di lei l’eutanasia, che uomo e donna, dotati di pari dignità naturale, hanno inclinazioni e orientamenti differenti che li portano ad avere anche ruoli sociali differenti e quindi incarnano antropologie diverse ma di pari valore, che l’unica famiglia esistente è quella fondata sul matrimonio e che il matrimonio è un vincolo che può unire solo un uomo con una donna, che esiste una gerarchia sociale naturale, che il sesso biologico è un dato a cui si deve adeguare la psicologia della persona per non trovarsi scissa e così via.
La realtà si impone all’intelligenza come già definita in sé, ma il rivoluzionario non accetta questo riconoscimento e vuole sostituire – in realtà: sovrapporre – la propria realtà, partorita dall’immaginazione, con il reale. Aleksandr Solženicyn narrava nel suo Arcipelago gulag che una volta l’Intelligencija del Partito comunista aveva chiesto ad alcuni ingegneri civili di calcolare quante persone, in piedi e sedute, potessero occupare in media un convoglio di un treno. Gli ingegneri fecero i loro calcoli – ossia interrogarono la realtà – e fornirono alcune cifre ai compagni di partito. Questi ultimi, che si occupavano di politica e non di treni, si sdegnarono massimamente. Quella cifra non era dissimile da qualsiasi altro convoglio di treno imperialista e capitalista. I treni della Grande Madre Russia erano senza dubbio assai più capienti. Risultato: gli ingegneri finirono nel gulag perché nemici del popolo. Gli ingegneri saranno stati pure nemici del popolo, ma erano amici della realtà. Un aspetto della lotta intrapresa dall’ideologo contro la realtà – forse l’aspetto più importante – è il non riconoscimento della identità della realtà. Cosa è l’identità? Per capirlo applichiamo il concetto di «identità» alla individualità della persona umana. Tommaso d’Aquino propone questa definizione: «L’individuo [..] è ciò che è […] e distinto dagli altri. Perciò la persona, in qualsiasi natura, significa ciò che è distinto in quella natura: così nella natura umana significa questa carne, queste ossa, quest’anima, che sono principio di individuazione per l’uomo» (Summa Theologiae, I, q. 29, a. 4 c.). Volendo essere ancor più concisi, citiamo il filosofo Vladimir Jankélévitch, il quale cesellò con grandissima efficacia il seguente aforisma: «io sono il solo ad essere me stesso» (La cattiva coscienza, Dedalo, Bari 2000, p. 130). L’identità dunque, esprimendoci in termini molto semplici, è tutto ciò che determina quell’ente particolare, che lo fa essere unico e distinto dagli altri (mi si permetta di rimandare a T. Scandroglio, Identità, normatività della persona e diritto, in G. Gambino (a cura di), Patologie dell’identità e ipotesi di terapia filosofica, Jusquiaiustum Edizioni, Roma 2017).
Se il rivoluzionario vuole cambiare la realtà, cancellarla per sostituirla con un’altra inventata a tavolino rispondente ai suoi desiderata (razionalismo), il primo nemico da sconfiggere è proprio l’identità. Potremmo immaginare l’identità come quel tratto di matita che definisce, de-limita, dà forma a qualcosa, che porta ad esistenza un ente, che lo chiama dal nulla. Eliminare il perimetro che individua l’identità significa liquefare la stessa (ecco spiegata, ex pluribus, la fluidità di genere): rompi il vaso che contiene un liquido e lo stesso perderà la forma del vaso e assumerà una forma in-distinta. Pensiamo ad un tratto di matita che disegna su un foglio bianco un triangolo. Come far diventare un triangolo un quadrato? Occorre, almeno, cancellare due lati e poi ridisegnarne tre.
La realtà si impone all’intelligenza come già definita in sé, ma il rivoluzionario non accetta questo riconoscimento e vuole sostituire – in realtà: sovrapporre – la propria realtà, partorita dall’immaginazione, con il reale. Aleksandr Solženicyn narrava nel suo Arcipelago gulag che una volta l’Intelligencija del Partito comunista aveva chiesto ad alcuni ingegneri civili di calcolare quante persone, in piedi e sedute, potessero occupare in media un convoglio di un treno. Gli ingegneri fecero i loro calcoli – ossia interrogarono la realtà – e fornirono alcune cifre ai compagni di partito. Questi ultimi, che si occupavano di politica e non di treni, si sdegnarono massimamente. Quella cifra non era dissimile da qualsiasi altro convoglio di treno imperialista e capitalista. I treni della Grande Madre Russia erano senza dubbio assai più capienti. Risultato: gli ingegneri finirono nel gulag perché nemici del popolo. Gli ingegneri saranno stati pure nemici del popolo, ma erano amici della realtà. Un aspetto della lotta intrapresa dall’ideologo contro la realtà – forse l’aspetto più importante – è il non riconoscimento della identità della realtà. Cosa è l’identità? Per capirlo applichiamo il concetto di «identità» alla individualità della persona umana. Tommaso d’Aquino propone questa definizione: «L’individuo [..] è ciò che è […] e distinto dagli altri. Perciò la persona, in qualsiasi natura, significa ciò che è distinto in quella natura: così nella natura umana significa questa carne, queste ossa, quest’anima, che sono principio di individuazione per l’uomo» (Summa Theologiae, I, q. 29, a. 4 c.). Volendo essere ancor più concisi, citiamo il filosofo Vladimir Jankélévitch, il quale cesellò con grandissima efficacia il seguente aforisma: «io sono il solo ad essere me stesso» (La cattiva coscienza, Dedalo, Bari 2000, p. 130). L’identità dunque, esprimendoci in termini molto semplici, è tutto ciò che determina quell’ente particolare, che lo fa essere unico e distinto dagli altri (mi si permetta di rimandare a T. Scandroglio, Identità, normatività della persona e diritto, in G. Gambino (a cura di), Patologie dell’identità e ipotesi di terapia filosofica, Jusquiaiustum Edizioni, Roma 2017).
Se il rivoluzionario vuole cambiare la realtà, cancellarla per sostituirla con un’altra inventata a tavolino rispondente ai suoi desiderata (razionalismo), il primo nemico da sconfiggere è proprio l’identità. Potremmo immaginare l’identità come quel tratto di matita che definisce, de-limita, dà forma a qualcosa, che porta ad esistenza un ente, che lo chiama dal nulla. Eliminare il perimetro che individua l’identità significa liquefare la stessa (ecco spiegata, ex pluribus, la fluidità di genere): rompi il vaso che contiene un liquido e lo stesso perderà la forma del vaso e assumerà una forma in-distinta. Pensiamo ad un tratto di matita che disegna su un foglio bianco un triangolo. Come far diventare un triangolo un quadrato? Occorre, almeno, cancellare due lati e poi ridisegnarne tre.
La mutazione in senso rivoluzionario del reale può avvenire perlomeno in due modi: il superamento del reale e l’annullamento del reale. In entrambi i casi è come se si stesse cercando di cancellare il triangolo di cui sopra. Partiamo dal superamento del reale. Nel Manifesto dei transumanisti italiani si può leggere: «L’idea cardine del transumanesimo può essere riassunta in una formula: è possibile ed auspicabile passare da una fase di evoluzione cieca ad una fase di evoluzione autodiretta consapevole. Siamo pronti a fare ciò che oggi la scienza rende possibile: prendere in mano il nostro destino di specie. Siamo pronti ad accettare la sfida che proviene dai risultati delle biotecnologie, delle scienze cognitive, della robotica, della nanotecnologia e dell’intelligenza artificiale, portando questa sfida su un piano politico e filosofico, per dare al nostro percorso un senso e una direzione». Si tratta in buona sostanza di una delle possibili varianti della gnosi post-moderna. Il Manifesto così continua: «Per i cristiani l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio e non può cambiare se stesso. Per noi, nietzscheanamente, l’uomo è qualcosa che dev’essere superato: l’uomo può cambiare se stesso ed il mondo, può assumere il proprio destino impugnando la tecnoscienza, invece di rimettersi alla fede e alla provvidenza».
Qual è l’errore principale di queste riflessioni? Credere di poter cambiare la natura dell’uomo applicando un processo darwiniano autodiretto (non più selezione naturale, ma artificiale). Insomma si potrebbe passare dall’uomo al super uomo, anzi all’ultra uomo. Utopia (in verità distopia) assai vecchia, ma sempre attuale. Parimenti si potrebbe transitare dal matrimonio eterosessuale a quello omosessuale, dalla filiazione naturale a quella artificiale (compresa la maternità surrogata), etc. Si badi bene: anche per la cultura cristiana esiste un dovere di perfezionare sé stessi – sia in senso fisico, che morale e spirituale – ma il perfezionamento consiste nel migliorare ciò che si è, non nel tentare di diventare ciò che non è possibile diventare (super uomo). Un perfezionamento che avviene sempre all’interno della medesima natura, ma che non può portare a transitare da natura a natura: è impossibile che un uomo diventi un angelo ad esempio. Nel perfezionamento cristiano il confine della tua identità non viene valicato perché è impossibile da valicare (è lo stesso errore del darwinismo: credere che esista il salto interspecie, da specie a specie, e non solo una evoluzione intraspecie, ossia nella medesima specie). Nel delirio transumanista invece l’identità può essere cancellata e venire sostituita con un’altra tramite un processo di potenziamento, di superamento dell’esistente (Hegel pone al centro della sua dinamica dialettica, che imprime un moto progressista a tutto, l’Aufhebung, ossia il «momento superato»). Tutte le cosiddette conquiste in merito ai «diritti civili» sono l’esito di questo processo di superamento dell’identità: l’identità del concepito, del matrimonio, dell’orientamento omosessuale, della dignità personale, etc. Tutte realtà definite nella loro identità dalla legge naturale, ossia dall’ordine universale stabilito da Dio.
Secondo strumento per far lotta al reale. Eliminare il reale, ossia non riconoscere, come almeno fa il transumanesimo italiano, un dato di realtà esistente che deve evolversi in un’altra natura, bensì pensare la natura umana come un foglio bianco su cui scrivere liberamente. Scriveva già Pico della Mirandola nel 1486: io Dio «non ti ho dato, Adamo, né un posto determinato, né un aspetto tuo proprio, né alcuna prerogativa tua, perché quel posto, quell’aspetto, quelle prerogative che tu desidererai, tutto appunto, secondo il tuo voto e il tuo consiglio, ottenga e conservi. La natura determinata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la determinerai, da nessuna barriera costretto, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai» (Orazione sulla dignità dell’uomo, in G. Semprini, Pico della Mirandola, la vita e il pensiero, F.lli Melita, Genova 1988). È il nocciolo della teoria gender per quanto riguarda il transessualismo: non c’è il passaggio da un sesso ad un altro, bensì la creazione di una propria identità sessuale psicologica, ossia di una identità di genere che viene individuata dal libero arbitrio che dà forma all’informe oppure che lascia l’indefinito nel suo stato, potremmo così dire, liquido, anzi «gassoso». In ossequio a queste premesse è assolutamente coerente pensare che i sessi non siano solo due, ma infiniti tanti quanti la nostra immaginazione può generare (trattasi di autopoiesi dell’uomo). La neutralità sessuale quindi rimanda alla neutralità del foglio bianco. Il nulla è dunque lo spazio concettuale proprio dei rivoluzionari (nichilismo, inteso anche come effetto dello sforzo rivoluzionario distruttivo) che in questo tentano di farsi molto simili a Dio. Solo Lui infatti può creare, ossia chiamare qualcosa o qualcuno da nulla. Non l’uomo. Il «sarete come dei» è, perciò, tentazione che ci accompagnerà fino alla fine dei tempi.
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