mercoledì 7 giugno 2017

"Quale formazione liturgica hanno i seminaristi?"





di Luisella Scrosati (05/06/2017)

Dal 6 al 9 giugno prossimi, l’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano ospiterà la Quarta Conferenza Internazionale Sacra Liturgia, dopo Roma (2013), New York (2015), Londra (2016).
Il discorso inaugurale sarà tenuto da sua Em.za Card. Robert Sarah, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti; un altro Cardinale, S. E. Raymond Leo Burke aprirà la giornata di giovedì, facendo il punto della situazione a dieci anni dal Motu Proprio Summorum Pontificum (lo stesso tema è l’oggetto del dossier dal titolo La Messa è iniziata del numero di giugno del Timone).

Quest’anno, grazie alla sede che ospita il convegno, grande spazio sarà dato al venerabile Rito ambrosiano. Una sintesi della storia del Rito ambrosiano sarà offerta da Mons. Marco Navoni, che è tra l’altro consultore della Congregazione per il Culto; interventi più specifici riguarderanno la musica nel Rito ambrosiano (prof. Angelo Rusconi), la riforma del Lezionario Ambrosiano (Mons. Claudio Magnoli), la musica nel Rito Ambrosiano (Prof. Angelo Rusconi), la riforma del Messale Ambrosiano (Mons. Inos Biffi) ed infine un focus sulla splendida figura del beato Ildefonso Schuster (Mons. Ennio Apeciti).

Interverrano anche P. Michael Lang C.O., Dom Alcuin Reid, la Prof.sa Jennifer Donelson, P. Vincenzo Nuara O.P., l’Abate Christopher Zielinski O.S.B. Oliv. e Mons. Timoty Verdon. (Per il programma completo vedere qui)

La Nuova BQ ha intervistato in vista di questo importante appuntamento uno dei relatori, Padre Christopher Zielinski,
abate di Lendinara e consultore presso la Congregazione per il culto divino.


Rev.do p. Zielinski, il suo intervento di venerdì mattina porta il titolo La formazione liturgica della persona umana: il risveglio dell’anima nell’uomo contemporaneo. Lei ha una formazione psicanalitica: può indicarci sinteticamente, dal suo punto di vista, qual è il legame tra liturgia e “salute” della persona nelle sue dimensioni più profonde?
E’ chiaro che la liturgia è orientata all’adorazione di Dio ed alla santificazione dell’uomo. Non si può affermare quindi che il fine della liturgia sia l’equilibrio psicologico della persona. Eppure proprio per il fatto che la liturgia, nel suo concreto rituale, nell’architettura e nella musica sacre, apre a Dio, facendo uscire l’uomo da se stesso, proprio per questa fedeltà alla sua natura adorante, essa scioglie molte problematiche psicologiche. L’uomo, oggi più che mai, è fortemente incentrato su se stesso; i Padri dicevano che il problema attorno al quale ruotano tutte le problematiche dell’uomo è la filautia, che rende l’uomo, secondo una icastica espressione di san Massimo il Confessore, «amante di sé contro se stesso». La filautia, da un punto di vista psicologico, significa che l’uomo mortifica quella dimensione essenziale della sua persona, che indica che la sua realizzazione non è in sé, ma in Altro da sé. L’uomo narcisista, e perciò sempre più disperato, del nostro tempo ha seriamente bisogno di liturgie che lo aiutino a liberarsi da questa chiusura, da questo ripiegamento che lo soffoca inesorabilmente. In quest’occasione vorrei menzionare un’opera dello junghiano Edward F. Edinger, Ego and archetype, che, a mio avviso, può illuminare tante questioni a riguardo della relazione tra i riti e la psiche umana e come l’uomo possa ritrovare se stesso e il senso della vita attraverso la liturgia.

C. G. Jung aveva dedicato uno scritto al simbolismo della Messa, analizzandone i riti dal punto di vista della psicologia del profondo. Uno psicologo dalle forti tinte gnostiche aveva prestato un’attenzione al rituale che oggi non troviamo più in molti sacerdoti cattolici. Cosa pensa al riguardo?
Jung era stato a riguardo molto attento ed aveva soprattutto indicato l’estrema importanza degli elementi rituali che sottolineano la dimensione sacrificale del rito. La realizzazione dell’offerta e del sacrificio di sé, mediata dai segni liturgici, esprime, dal punto di vista della psicologia del profondo, l’immolazione dell’io che decide di dare spazio al Sé, uscendo perciò dal proprio guscio. Quella dimensione sacrificale che oggi viene in ogni modo obliata, è invece, secondo Jung, la condizione per la realizzazione della persona e non la sua mortificazione. È proprio caso di citare un detto spirituale che Jung stesso ha usato più volte nei suoi studi, riguardante l’esperienza religiosa: ad lucem per crucem.

In effetti, mi sono reso sempre più conto che sono pochissimi i sacerdoti ad avere letto l’Institutio Generalis del Messale Romano, come anche quelle parti “in rosso”, che indicano la gestualità, il modo di parlare, i silenzi, etc., e che sono ritenute come parti non importanti. Con una battuta, si può dire che le parti in rosso vengono semplicemente considerate le parti che non vanno lette… Questo dato esperienziale spiega in parte la situazione di totale soggettivismo liturgico che viviamo da tempo nella Chiesa. Ognuno fa quello che vuole o, peggio, quello che desiderano gli altri, quello che gli sembra meglio o che in quel momento si sente ispirato a fare, ed in questo modo si privano i fedeli del diritto di avere una liturgia come la Chiesa vuole, che permetta loro di fare l’esperienza di Dio.

Questa esperienza richiede però la stabilità e l’osservanza del rito.
E’ chiaro. Infatti, secondo Jung il rito ha il compito di purificare le intenzioni, affinché non si affoghi in una serie di trappole soggettivistiche, emotive e sentimentali che ridurrebbero la visione a un semplice guardare e, in questo caso, guardare se stessi. Secondo Jung è fondamentale, da un punto di vista psicologico, che nella liturgia l’Io faccia esperienza dell’azione di Dio. Mi viene in mente un monaco ceramista che mentre stavo commentando un brano dalla Regola di San Benedetto a riguardo del lavoro e degli oggetti del monastero e della loro sacralità, perché vanno trattati come oggetti dell’altare, lui sottolineava l’aspetto liturgico di tutta la vita del monaco, che si esprime attraverso l’atteggiamento della devozione e delle riverenza. Il monaco viveva il lavoro del ceramista come un vero atto liturgico, in quanto per lui era un modo di consacrare la materia e donarle una forma ispirata da Dio. Egli assumeva la sua attività di ceramista in un atto di rispetto per la materia e di obbedienza verso la realizzazione delle forme. Diceva che nell’atto rituale del ceramista bisogna evitare ogni eccesso e invenzione soggettivo-personalistica. In tutti i riti c’è una struttura inerente che non permette sentimentalismi, emotività e spontaneità che creano sempre esclusioni e hanno la vista corta…

Molte celebrazioni liturgiche sembrano in effetti afflitte dal protagonismo…
All’interno della liturgia occorre essere prevalentemente recettivi; Jung parlava di «un miracolo che non è a disposizione dell’uomo». Il protagonismo, da parte di chiunque, è veramente deleterio e blocca la possibilità di fare una vera esperienza interiore di Dio. Ogni gesto, e perciò ogni pensiero, è guidato da una profondità di desiderio che solo la devozione e la riverenza sono capaci di accogliere, lasciandosi così guidare. A questo punto credo che bisognerebbe aprire una discussione molto più approfondita, che riesca a toccare anche le questioni non solo canoniche ma anche etiche, e ce ne sono. Basta con le lotte interne, con il loro sapore fratricida, che hanno solo a cuore rivincite narcisistiche e portano il popolo di Dio verso una deriva puramente umana, troppo umana.

Lei ha sottolineato la dimensione vitale della liturgia. I futuri sacerdoti, durante la loro formazione, frequentano corsi accademici sulla teologia liturgica. Ma qual è, secondo la sua esperienza, lo stato della liturgia realmente vissuta negli anni del seminario?
Sicuramente occorrerebbe prestare più attenzione alla formazione liturgica dei futuri sacerdoti. I seminaristi dovrebbero vivere in un ambiente permeato e scandito dalla liturgia, celebrata con riverenza e attenzione. La realtà è che il più delle volte le Messe “ordinarie” nei seminari non sono curate, sono spesso frettolose; la Liturgia delle Ore raramente è cantata; il canto sacro, con la preminenza del canto gregoriano, come ribadito anche dal Concilio Vaticano II, è pressoché sconosciuto, sostituito da canti che di liturgico hanno ben poco. Possiamo con tutta sincerità dire che nei luoghi di formazione religiosa e nei nostri seminari la liturgia è fonte e culmine delle loro vite? È chiaro che la mancanza di una vita permeata dalla liturgia non può essere supplita dai corsi accademici, pur importanti; i quali però, a loro volta, non sempre aiutano… P. Paul Doncoeur, S.J. diceva che “la liturgia è la migliore introduzione all’intelligenza della liturgia”, che è come dire che non si può spiegare il profumo di una rosa…











fonte: La nuova Bussola Quotidiana 




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