martedì 2 aprile 2013

L’ “adattamento” dei Gesuiti







di Francesco Agnoli

L’elezione al soglio pontificio di un gesuita stimola a ricordare brevemente la storia di questo ordine che vive oggi, ormai da diverso tempo, un lungo periodo di crisi. La Compagnia di Gesù, fondata da sant’Ignazio di Loyola, già soldato ed uomo di mondo, divenuto miles Christi, ha infatti rappresentato per la Chiesa una pagina di storia straordinaria. I Gesuiti sono stati, infatti, eccellenti uomini di cultura, educatori, instancabili missionari. Procurandosi, per questo, molti nemici e molte calunnie.

Ricordiamo il loro contributo alla cultura. Recitava un proverbio francese: “è meglio per una città fondare un collegio di Gesuiti che costruire strade e ponti”. Dovunque, in Europa e fuori, i Gesuiti si distinsero per la loro curiosità, le loro indagini anche naturalistiche. Scriveva lo storico tedesco Leopold von Ranke: “Gli studenti imparavano più dai gesuiti in sei mesi che dagli altri in due anni”.
Leibnitz, notava, nel 1670, che tutti i principali uomini di scienza italiani dell’epoca erano gesuiti. J. Heilbron, storico della scienza, nel suo “Alle origini della fisica moderna”, ricorda che “le loro missioni sparse per il mondo crearono una rete di informatori in grado di identificare novità naturali ed artificiali e di osservare fenomeni astronomici non visibili in Europa”, e che l’opera dei gesuiti “fornì le basi per ricerche in molti campi della fisica e della matematica, specialmente in ottica, meccanica, magnetismo ed elettricità”.

Gesuiti furono Leonardo Garzoni, padre del magnetismo, Gerolamo Saccheri, padre delle geometrie non euclidee, Angelo Secchi, padre della spettroscopia, Georges Lemaître, teorico del Big Bang, Roberto Busa, inventore della linguistica informatica… Come allievi ebbero Cartesio, Voltaire, Torricelli, Volta, Galvani… Portarono la scienza europea in Cina, con Matteo Ricci; il progresso nelle Americhe, con padre Chini…

Scrive Malachi Martin, nel suo “I Gesuiti”:non ci fu continente che non raggiungessero; non lingua che non parlassero e non studiassero…; non branca del sapere che non esplorassero…Nel 1640 fondarono nel Quebec il primo teatro nel Nord America. Insegnarono in Francia a fare la porcellana. Riportarono in Europa le prime conoscenze della cultura indiana e cinese. Tradussero i Veda dal sanscrito. L’ombrello, la maniglia, il rabarbaro, la camelia e il chinino furono in Europa innovazioni gesuite”.




Quanto all’attività missionaria, continua Martin, “furono impiccati, sventrati, squartati a Londra; sbudellati in Etiopia; mangiati vivi dagli irochesi in Canada; avvelenati in Germania; scorticati in Medio Oriente; crocifissi in Thailandia; fatti morire di fame in Sud America; decapitati in Giappone…”; ma furono anche scelti come consiglieri dai sovrani, utilizzati come mediatori di pace tra le nazioni… Per annunciare il Vangelo “si adattarono a vivere tra i mandarini cinesi, fra gli indiani del nord America, nelle corti brillanti d’Europa, fra i bramini indù dell’India, nelle scuole discriminate irlandesi, sulle navi degli schiavi ottomani; fra gli Imani e gli Ulemi dell’Islam…”; fecero gli “allevatori di maiali in Irlanda, i mercanti nei bazar della Persia, i commercianti in Prussia, i navigatori in Indonesia, i fachiri a Bombay…”. Sempre “per la maggior gloria di Dio”, con la convinzione che annunciare Cristo fosse necessario al progresso materiale e alla salvezza eterna dei popoli; con l’idea che per comunicare Cristo occorressero da una parte una sana e saggia gradualità, dall’altra la capacità di trasmettere l’essenza del messaggio evangelico, senza urtare, in ogni popolo, gli usi e i costumi non incompatibili con la Fede. Adattarsi, nel linguaggio, nelle vesti, nei tempi ecc., fu per i gesuiti il modo per entrare in dialogo con i popoli, con il fine ultimo di far penetrare dovunque l’universalità potenziale del messaggio d’amore di Cristo.

Poi la soppressione della Compagnia (1773) e soprattutto, in età più recente, la crisi. E’ sempre Martin a ricordare la guerra sorda tra la Compagnia e gli ultimi pontefici. In occasione dell’elezione di papa Luciani, un assistente generale, il padre Vincent O’Keefe, ebbe a dichiarare pubblicamente che il nuovo papa avrebbe dovuto rivedere la proibizione della Chiesa su aborto, omosessualità e sacerdozio femminile. L’intervista irritò Giovanni Paolo I, che convocò il superiore generale, padre Arrupe, e, a quanto sembra, minacciò un nuovo scioglimento dell’Ordine. Poi Giovanni Paolo I morì ma la guerra continuò. Qua e là, infatti, per anni, autorevoli esponenti gesuiti da una parte presero insistentemente le distanze dalla morale della Chiesa, spiegando che essa doveva “adattarsi ai tempi” (snaturando così del tutto il concetto originario e missionario di “adattamento”), dall’altra ritennero giusto, in America Latina, confondere i concetti cristiani di povertà, giustizia ecc., con l’ideologia marxista (così “povero” finì per coincidere con “proletario”; con l’opposizione, tra gli altri, in Argentina, del gesuita Bergoglio). Fino a sostenere, con gli scritti e l’azione, i governi rivoluzionari, i dittatori e persino i loro metodi sanguinari. Di qui i duri contrasti della Compagnia anche con Giovanni Paolo II e l’allora cardinal Ratzinger.


Il Foglio 1 aprile 2013

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