Ma poi è proprio vero che la Messa "in latino" impedisce la partecipazione dei fedeli?
Secondo noi è vero il contrario!
Vediamo perché
di Giovanni Schinaia
Una delle obiezioni più frequenti a una maggiore diffusione della Santa Messa “more antiquo”, è che essa non favorirebbe la partecipazione attiva dei fedeli, così come giustamente auspicata dai Padri del Concilio Vaticano II. I fedeli sarebbero solo degli spettatori più o meno muti e più o meno inconsapevoli rispetto ad una “actio” che riguarda il solo sacerdote celebrante.
Nel 2007, al n. 52 dell'Esortazione Postsinodale “Sacramentum Caritatis” il Santo Padre Benedetto XVI, feliciter regans, così scrive:
Il Concilio Vaticano II aveva posto giustamente una particolare enfasi sulla partecipazione attiva, piena e fruttuosa dell'intero Popolo di Dio alla Celebrazione eucaristica. Certamente, il rinnovamento attuato in questi anni ha favorito notevoli progressi nella direzione auspicata dai Padri conciliari.
Il Papa ricorda la
Sacrosanctum Concilium e ricorda che la partecipazione dei fedeli alla Messa deve giustamente essere
actuosa,
plena,
fructuosa! Questo è l'auspicio dei Padri conciliari, e questo deve essere quindi il nostro impegno, la direzione che dobbiamo seguire.
Prosegue dunque il Santo Padre:
Tuttavia, non dobbiamo nasconderci il fatto che a volte si è manifestata qualche incomprensione precisamente circa il senso di questa partecipazione. Conviene pertanto mettere in chiaro che con tale parola non si intende fare riferimento ad una semplice attività esterna durante la celebrazione.
E' importante la precisazione del Papa, quasi a prevenire una legittima domanda: cos'è questa "partecipazione attiva, piena e fruttuosa"? Anzitutto il Papa ci dice cosa NON è. Per "partecipazione" non si deve intendere un "fare" qualcosa mentre il sacerdote dice le sue orazioni o compie le sue abluzioni o quant'altro presso l'Altare.
Ricordo che anni fa, i terribili, avvilenti, tristissimi, angosciosi, truculenti anni '80 - parlo ora da ex chitarraro/bonghista/applauditore - prima della Messa ci facevamo il nostro programmino: all'offertorio ci suoniamo "nebbia e freddo", alla comunione "servo per amore", ma a tre voci così viene meglio; se il prete si siede ci facciamo un bel "Dove sei perche non rispondi", che nel silenzio viene bene, tutti ci sentono perchè non sono distratti dal prete e poi ci dicono che siamo stati bravi; alla fine serve qualcosa di rumoroso perchè - sai - la Messa è la festa della comunità!....
Ci si ritirava a casa come se si fosse tornati da un buon concerto: avevamo fatto il nostro!! Ed eravamo convinti di aver partecipato!! E sì, più partecipazione attiva di così!!
Chissà se i catechisti ci avessero detto che la Messa è il Santo Sacrificio di Cristo in Croce che si rinnova in modo incruento sull'Altare, nelle mani del Sacerdote, alter Christus....
Chissà se le cose sarebbe andate diversamente.
Allora ce lo spiega il Papa cosa si debba intendere per "partecipazione", e cosa intendevano i Padri conciliari, nessuno dei quali, a dispetto di quanto in molti possano pensare, era un rockettaro, un alternativo o un hippy in partenza per woodstock.
Scrive Benedetto XVI, ricordando quindi il Vaticano II:
In realtà, l'attiva partecipazione auspicata dal Concilio deve essere compresa in termini più sostanziali, a partire da
una più grande consapevolezza del mistero che viene celebrato e del suo rapporto con l'esistenza quotidiana. Ancora pienamente valida è la raccomandazione della Costituzione conciliare
Sacrosanctum Concilium, che esortava i fedeli a non assistere alla liturgia eucaristica «come estranei o muti spettatori», ma a partecipare «all'azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente».
Ecco il punto centrale. Alla Messa, spiegano i Padri Conciliari e ribadisce papa Benedetto XVI, non si sta come estranei, come spettatori muti. Forse estranei lo eravamo un po' noi altri, che pensavamo - in buona fede - al nostro concertino domenicale, che ci preoccupavamo che le chitarre fossero ben accordate, che i bonghi si sentissero fino in fondo alla chiesa e che le maracas andassero a tempo. Per la comunione pazienza, non si poteva mica rischiare di non terminare il canto, di non fare la parte con le 3 voci, chè lì sì, facevamo una gran bella figura! Estranei lo eravamo un po' noi altri con tutte le comunioni saltate... del resto catechisti ed educatori, nella loro colpevole e bieca ignoranza, ci confermavano nella bestialità della nostra teologia da bar sport. Chissà se invece di quel libercolo indistinguibile da un fumettaccio disegnato male, chissà se avessimo avuto un libro "vero" di catechismo, un libro che, senza perdersi in chiacchiere, fosse stato in grado di rispondere in modo chiaro, preciso e inequivocabile alle 1000 domande di ogni giorno, senza lasciare che a farlo fossero la televisione, e poi la rete e i cattivi maestri in genere.
Quanto all'essere spettatori muti, fin troppo facile e onestamente semplicistica la critica all'antico rito, nel quale i fedeli sarebbero stati solo degli spettatori quasi sempre muti. C'è da capirsi anzitutto sul senso della parola "muti". Dopo 2000 anni di Cristianesimo e dopo una schiera interminabile di Santi che hanno insegnato il valore del silenzio, davvero confondere il mutismo con il silenzio, e il silenzio con l'assenza di parole, sarebbe una leggerezza di imperdonabile superficialità.
Cosa avviene sull'Altare? Si compie un mistero ineffabile: nelle Specie del Pane e del Vino, si rende presente Gesù Cristo. Non si tratta di un simbolo, non è una rappresentazione! Cristo è lì fisicamente, nelle mani del Sacerdote, è veramanete lì, presente in Anima, Corpo, Spirito e Divinità! E'
un Mistero grande, indicibile, "scandaloso", così assurdo che nessun falsario avrebbe potuto concepirlo, così inaudito che l'unica possibilità che si offre all'intelligenza umana, la possibilità incredibilmente più ragionevole, è quella di ammetterne l'autenticità. L'unica possibilità accettabile.
E' solo in relazione e al cospetto di cotanto e cotale Mistero, che dobbiamo chiederci cosa significhi essere spettatori "muti" e cosa significhi "partecipazione attiva, piena e fruttuosa".
E' evidente che che qui, il concetto di "partecipazione" può avere un valore esclusivamente relativo e non assoluto. Per un tifoso che assiste ad una partita, "partecipazione" significherà sbraitare e applaudire la propria squadra, magari inveire verbalmente contro l'arbitro, e smanarsi con bandiere e vuvuzelas. Pensiamo ora cosa succederebbe se lo stesso tifoso si recasse il giorno dopo in un'aula scolastica, e pensasse di "partecipare" alla lezione, allo stesso modo in cui ha partecipato alla partita....
A teatro, all'opera, a scuola, a una conferenza...: è sempre richiesta una partecipazione attiva; si partecipa col silenzio, con l'attenzione. Un silenzio che non è mai "mutismo". Il mutismo è l'arresto dell'intelligenza, la rinuncia per manifesta incompetenza, mutismo è la rassegnazione, è l'umiliazione del genio umano, della sua scintilla divina. Il silenzio è il contrario del mutismo: silenzio è ascolto, è adesione, è riflessione. Di fronte al Mistero,
il silenzio è partecipazione; il chiasso può essere solo distrazione. E la distrazione può nascere solo dall'incomprensione, e quindi dall'umilante rinuncia a comprendere. Può sembrare un paradosso, ma di fronte al Mistero, se il silenzio è partecipazione, il chiasso è l'autentico mutismo, il mutismo dell'anima che si cela dietro la ridondanza e la rumorosità delle parole.
La dotta ignoranza dei filosofi che ammettono di non sapere e di non poter sapere, quella produce il mutismo; nell'illusione della sconfinatezza delle possibilità dell'intelligenza, ci si scontra con la realtà che leva le parole, che lascia muti. Ecco cos'è il mutismo.
Dall'altra parte, abbiamo invece l'intelligenza che si lascia illuminare dalla Grazia e nella consapevole percezione dei propri limiti sublima se stessa nel silenzio che è abbandono fiducioso in Dio, adorazione, preghiera. Ecco invece cos'è la partecipazione.
Mi piace adoperare quel po' di latino che conosco, quel po' di linguistica e di retorica che ho studiato, per assaporare fino in fondo il gusto sublime di certi loci, soprattutto del Canone, il cui ignoto compositore attinge di certo alle alte sfere della divina ispirazione. Ma non mi illudo: quel po' di latino che conosco, non farà di me un cristiano migliore, nè un fedele più partecipe alla Santa Messa, che sia in latino o che sia in volgare. Anzi, la comprensione della lettera del testo rischia di creare l'illusione che la ragione possa comprendere finalmente il Mistero. E' l'illusione del giovinetto che pensava di raccogliere con una conchiglia l'acqua del mare nella buca che aveva scavato. L'intelligenza, si diceva, sublima se stessa non nella comprensione del Mistero, ma nella comprensione del proprio limite; e solo a quel punto che, illuminata dalla Grazia, nel filiale e olistico abbandono in Dio, può travalicare se stessa per porsi, di fronte al Mistero, non più in termini di illusoria e fallimentare comprensione, bensì di intuizione, contemplazione, adorazione.
"Il latino non si capisce"! - sentenziano i pelandroni. Ma se sono i gesti, i segni, i simboli a parlare al cuore, cosa mai potrebbe aggiungere la lettera del latino che deve limitarsi a parlare alla testa?
Non credo, in tutta onestà, che la Santa Messa con cui la Chiesa ha celebrato fruttuosamente per secoli e secoli, abbia tutti quei difetti che in tanti, forse per pigrizia, forse per il terrore di doversi rimettere in discussione, si ostinano ad appiopparle - certo che tanta pervicacia pare avere un non so che, una certa qual puzza di zolfo... - . Di sicuro ha un pregio: non si corre il rischio di abituarcisi: ogni Messa è come se fosse quella della Prima Comunione; come se fosse la prima, come se fosse l'ultima, come se fosse l'unica! Ogni singola Messa. Nessuna esclusa. Che grazia sarebbe se si potesse recuperare sempre questo senso del sacro anche nella Santa Messa nella forma "ordinaria", senza lasciarsi distrarre dallo one-man-show che troppe volte, si compie sull'Altare... Di sicuro nessuno dei Padri Conciliari avrebbe voluto che accadesse niente del genere.
Prosegue il Papa, sempre al n.52 della
Sacramentum Caritatis:
Il Concilio proseguiva sviluppando la riflessione: i fedeli « formati dalla Parola di Dio, si nutrano alla mensa del Corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno, per mezzo di Cristo Mediatore siano perfezionati nell'unità con Dio e tra di loro »
Il Papa, che anche qui richiama la S
acrosanctum Concilium, esorta i fedeli a formarsi alla Parola di Dio, a nutrirsi alla Mensa Eucaristica, quindi a imparare a offrire se stessi di giorno in giorno. Già al n. 51 il Papa aveva richiamato il legame intrinseco fra la Liturgia e la missione, la natura missionaria della Chiesa. Un legame che si offre all'immediata evidenza di chiunque nell'espressione di congedo: Ite, Missa est! Un'espressione di cui, per ragioni incomprensibili, si è imposta per anni una traduzione ingiustificata e fuorviante: La Messa è finita, andate in pace... come se la Messa potesse mai "finire"....
Ma sul discorso della lingua sacra, il Latino, dovremo tornarci con più calma e attenzione…
da Scuola Ecclesia Mater lunedì 27 agosto 2012