Articolo tratto da La bussola quotidiana del 18-12-2010
«Nella celebrazione eucaristica noi non inventiamo qualcosa, ma entriamo in una realtà che ci precede, anzi che abbraccia cielo e terra e quindi anche passato, futuro e presente». Le parole pronunciate da Benedetto XVI lo scorso giungo al convegno ecclesiale della diocesi di Roma sintetizzano bene l’intervento che il 3 dicembre 2010 il Maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, monsignor Guido Marini, ha pronunciato inaugurando il master in architettura, arte sacra e liturgia che si svolge al Pontificio ateneo «Regina Apostolorum» di Roma.
La lezione di Marini è un aiuto significativo per comprendere ciò che Benedetto XVI vuole indicare alla Chiesa con il suo esempio nel celebrare l’eucaristia. Vale la pena di leggere integralmente il testo del Maestro delle cerimonie pontificie. In questa breve presentazione e anticipazione, vale la pena di soffermarsi su un paragrafo dell’intervento, dedicato a spiegare la decisione del Papa di distribuire la comunione ai fedli in ginocchio.
«Che cosa intendiamo per adorazione?», si domanda Marini. «Certamente non si tratta di una relazione intellettuale o sentimentale con il mistero. La si potrebbe definire come il riconoscimento pieno di meraviglia della onnipotenza di Dio, della sua maestà intangibile, della sua signoria provvidente e misericordiosa, della sua bellezza infinita che è coincidenza di Verità e di Amore... E l’adorazione, quando è autentica, conduce all’adesione, ovvero alla riunificazione dell’uomo e della creazione con Dio, all’uscita dallo stato di separazione, alla comunione di vita con Cristo... Tutto questo è quanto la Chiesa, sposa di Cristo, vive nella celebrazione della liturgia. Adora e aderisce, adora per aderire».
Don Divo Barsotti ha scritto: «L’Avvenimento, l’Atto del Cristo, è prima di tutto Sacrificio, Sacrificio di adorazione. Il Verbo, nella natura umana che Egli ha assunto, riconosce con la sua Morte l’infinita santità di Dio e la sua sovranità. In Lui la creazione finalmente adora […] Una partecipazione nostra al Sacrificio di Gesù importa che noi si viva lo stesso annientamento suo… La condizione terrestre della nostra vita, nella sua accettazione volontaria, diviene il segno di una nostra partecipazione al Sacrificio di Gesù, alla sua adorazione».
Ecco perché, continua monsignor Marini, tutto nell’azione liturgica, deve condurre all’adorazione: la musica, il canto, il silenzio, il modo di proclamare la parola di Dio e il modo di pregare, la gestualità, le vesti liturgiche e le suppellettili sacre, così come anche l’edificio sacro nel suo complesso.
«Mi soffermo un istante – spiega il Maestro delle cerimonie pontificie – su un gesto tipico e centrale dell’adorazione che oggi rischia di sparire, quale il mettersi in ginocchio, rifacendomi a un testo del cardinale Ratzinger: “Noi sappiamo che il Signore ha pregato stando in ginocchio (Lc 22, 41), che Stefano (At 7, 60), Pietro (At 9, 40) e Paolo (At 20, 36) hanno pregato in ginocchio. L’inno cristologico della Lettera ai Filippesi (2, 6-11) presenta la liturgia del cosmo come un inginocchiarsi di fronte al nome di Gesù (2, 10) e vede in ciò adempiuta la profezia isaiana (Is 45, 23) sulla signoria sul mondo del Dio d’Israele.
Piegando il ginocchio nel nome di Gesù, la Chiesa compie la verità; essa si inserisce nel gesto del cosmo che rende omaggio al vincitore e così si pone dalla parte del vincitore poiché un tale inginocchiarsi è una rappresentazione e assunzione imitativa dell’atteggiamento di Colui che “era uguale a Dio” ed “ha umiliato se stesso fino alla morte”» (Rivista Communio, 35/1977).
Per questo, spiega Marini, è «del tutto appropriata la pratica di inginocchiarsi per ricevere la santa Comunione». A ulteriore conferma ascoltiamo il Santo Padre in un passaggio di Sacramentum caritatis: «Già Agostino aveva detto: “Nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo”».
Il Maestro delle cerimonie papali non ritiene vi sia «una contraddizione rispetto all’incedere processionalmente», cioè all’avvicinarsi ricevendo in piedi l’eucaristia, «quale segno di un popolo che di dirige verso il suo Signore». Perché, spiega, «la Chiesa che, nel segno esteriore, si dirige in processione verso il Signore è la stessa Chiesa che, sempre nel segno esteriore, alla sua presenza, si inginocchia e adora. Ancora una volta si tratta di complementarietà in vista di una ricchezza più grande e non di esclusione».
La lezione di Marini è un aiuto significativo per comprendere ciò che Benedetto XVI vuole indicare alla Chiesa con il suo esempio nel celebrare l’eucaristia. Vale la pena di leggere integralmente il testo del Maestro delle cerimonie pontificie. In questa breve presentazione e anticipazione, vale la pena di soffermarsi su un paragrafo dell’intervento, dedicato a spiegare la decisione del Papa di distribuire la comunione ai fedli in ginocchio.
«Che cosa intendiamo per adorazione?», si domanda Marini. «Certamente non si tratta di una relazione intellettuale o sentimentale con il mistero. La si potrebbe definire come il riconoscimento pieno di meraviglia della onnipotenza di Dio, della sua maestà intangibile, della sua signoria provvidente e misericordiosa, della sua bellezza infinita che è coincidenza di Verità e di Amore... E l’adorazione, quando è autentica, conduce all’adesione, ovvero alla riunificazione dell’uomo e della creazione con Dio, all’uscita dallo stato di separazione, alla comunione di vita con Cristo... Tutto questo è quanto la Chiesa, sposa di Cristo, vive nella celebrazione della liturgia. Adora e aderisce, adora per aderire».
Don Divo Barsotti ha scritto: «L’Avvenimento, l’Atto del Cristo, è prima di tutto Sacrificio, Sacrificio di adorazione. Il Verbo, nella natura umana che Egli ha assunto, riconosce con la sua Morte l’infinita santità di Dio e la sua sovranità. In Lui la creazione finalmente adora […] Una partecipazione nostra al Sacrificio di Gesù importa che noi si viva lo stesso annientamento suo… La condizione terrestre della nostra vita, nella sua accettazione volontaria, diviene il segno di una nostra partecipazione al Sacrificio di Gesù, alla sua adorazione».
Ecco perché, continua monsignor Marini, tutto nell’azione liturgica, deve condurre all’adorazione: la musica, il canto, il silenzio, il modo di proclamare la parola di Dio e il modo di pregare, la gestualità, le vesti liturgiche e le suppellettili sacre, così come anche l’edificio sacro nel suo complesso.
«Mi soffermo un istante – spiega il Maestro delle cerimonie pontificie – su un gesto tipico e centrale dell’adorazione che oggi rischia di sparire, quale il mettersi in ginocchio, rifacendomi a un testo del cardinale Ratzinger: “Noi sappiamo che il Signore ha pregato stando in ginocchio (Lc 22, 41), che Stefano (At 7, 60), Pietro (At 9, 40) e Paolo (At 20, 36) hanno pregato in ginocchio. L’inno cristologico della Lettera ai Filippesi (2, 6-11) presenta la liturgia del cosmo come un inginocchiarsi di fronte al nome di Gesù (2, 10) e vede in ciò adempiuta la profezia isaiana (Is 45, 23) sulla signoria sul mondo del Dio d’Israele.
Piegando il ginocchio nel nome di Gesù, la Chiesa compie la verità; essa si inserisce nel gesto del cosmo che rende omaggio al vincitore e così si pone dalla parte del vincitore poiché un tale inginocchiarsi è una rappresentazione e assunzione imitativa dell’atteggiamento di Colui che “era uguale a Dio” ed “ha umiliato se stesso fino alla morte”» (Rivista Communio, 35/1977).
Per questo, spiega Marini, è «del tutto appropriata la pratica di inginocchiarsi per ricevere la santa Comunione». A ulteriore conferma ascoltiamo il Santo Padre in un passaggio di Sacramentum caritatis: «Già Agostino aveva detto: “Nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo”».
Il Maestro delle cerimonie papali non ritiene vi sia «una contraddizione rispetto all’incedere processionalmente», cioè all’avvicinarsi ricevendo in piedi l’eucaristia, «quale segno di un popolo che di dirige verso il suo Signore». Perché, spiega, «la Chiesa che, nel segno esteriore, si dirige in processione verso il Signore è la stessa Chiesa che, sempre nel segno esteriore, alla sua presenza, si inginocchia e adora. Ancora una volta si tratta di complementarietà in vista di una ricchezza più grande e non di esclusione».
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