lunedì 6 dicembre 2010

sempre sul dibattito Vaticano II nota di Massimo Introvigne

Premessa: Una mia precedente nota relativa al libro di Roberto de Mattei sul Concilio Ecumenico Vaticano II ha sollevato tra i commenti discussioni sul difficile tema della libertà religiosa. Ne abbiamo già parlato su Facebook in tema di «anno di Leone XIII», il Pontefice di cui ricorre quest'anno il bicentenario della nascita. Ma siccome il tema è delicato e importante, parliamone di nuovo. Rimando anche al mio libro La dottrina sociale di Leone XIII (Fede & Cultura, Verona 2010)

Nell’enciclica Libertas di Papa Leone XIII si condanna un «[…] atteggiamento che è profondamente contrario alla virtù religiosa, ossia la cosiddetta libertà di culto. Questa libertà si fonda sul principio che è facoltà di ognuno professare la religione che gli piace, oppure di non professarne alcuna»[1]. Questo insegnamento — ribadito in altri testi dello stesso Pontefice — è coerente con quello del predecessore di Papa Leone XIII, il beato Papa Pio IX (1846-1878), esposto in par­ti­co­la­re nell’enciclica Quanta Cura e nel Sillabo, entrambi del 1864. Si afferma che sarebbe in contrasto, invece, con la dichiarazione Dignitatis humanae, del 1965, del Concilio Ecumenico Vaticano II, la quale riconosce la libertà religiosa come diritto fondamentale della persona fondato sulla stessa natura umana.

Nel discorso del 22 dicembre 2005 alla Curia Romana, fondamentale per tutta la questione del­l’in­terpretazione dei documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, Papa Benedetto XVI ammette una «apparente discontinuità»[2] in tema di libertà religiosa, ma spiega che questa discon­ti­nuità, se e dove vi è, non si riferisce ai princìpi ma alla loro applicazione alle forme storiche con­cre­te, che mutano nel tempo mentre i princìpi non possono mutare. Infatti, «[…] i principi esprimono l’a­spetto duraturo, rimanendo nel sottofondo e motivando la decisione dal di dentro. Non sono invece ugual­mente permanenti le forme concrete, che dipendono dalla situazione storica e possono quindi essere sottoposte a mutamenti. Così le decisioni di fondo possono restare valide, mentre le forme della loro applicazione a contesti nuovi possono cambiare. Così, ad esempio, se la libertà di reli­gione viene considerata come espressione dell’incapacità dell’uomo di trovare la verità e di conseguenza diventa canonizzazione del relativismo, allora essa da necessità sociale e storica è elevata in modo improprio a livello metafisico ed è così privata del suo vero senso, con la conseguenza di non poter essere accettata da colui che crede che l’uomo è capace di conoscere la verità di Dio e, in base alla dignità interiore della verità, è legato a tale conoscenza. Una cosa completamente diversa è invece il considerare la libertà di religione come una necessità derivante dalla convivenza umana, anzi come una conseguenza intrinseca della verità che non può essere imposta dall’esterno, ma deve essere fatta propria dall’uomo solo mediante il processo del con­vin­cimento»[3].

Sbagliano dunque secondo Papa Benedetto XVI coloro i quali — per applaudirlo, nel caso dei progressisti, o per rifiutarlo, come fanno gli «anticonciliaristi» — pensano che il Concilio con la Dignitatis humanae abbia voluto proclamare princìpi opposti a quelli del beato Papa Pio IX e di Papa Leone XIII. L’insegnamento di questi Pontefici, secondo cui una libertà di religione con­si­de­rata non come mera «necessità sociale» per la pace e il bene comune in determinati contesti politici ma «elevata a livello metafisico» è del tutto inaccettabile e merita di essere condannata, non è affatto stato modificato dal Concilio, e rimane pienamente valido ancora oggi.

Come precisa la Congregazione per la Dottrina della Fede in una lunga lettera del 1987 a mons. Lefebvre, che aveva sollevato una serie di dubbi sul tema — una lettera privata che non è e­spres­sione di Magistero ma è autorevole per la fonte da cui proviene —, la Dignitatis humanae in diversi passaggi si riferisce non a qualunque forma di Stato teoricamente possibile ma allo Stato laico mo­derno. Interpretare diversamente questi passaggi sarebbe contrario ai lavori preparatori richiamati da tale corrispondenza e anche alla logica. Lo Stato laico moderno non è l’unico Stato che la storia ha conosciuto e con cui la Chiesa ha avuto a che fare. Altro è riconoscere l’esistenza di uno speciale rapporto di collaborazione con la Chiesa, e quindi una qualche competenza a occuparsi pure di que­stioni religiose, a un san Luigi IX re di Francia (1214-1270), altro è concedere gli stessi rico­no­scimenti a un Barack Obama. La dichiarazione del Vaticano II non induce a credere che Obama sia preferibile a san Luigi IX, né afferma che lo Stato laico moderno sia preferibile ad altre forme di Stato del passato: «[…] DH [Dignitatis Humanae] non implica neppure una disapprovazione della condotta seguita in passato da alcuni principi cristiani, la cui valutazione storica è complessa»[4].

Proclama già nei suoi passaggi iniziali la Dignitatis humanae che «[…] poiché la libertà religiosa, che gli uomini esigono nell’adempiere il dovere di onorare Dio, riguarda l’immunità della coercizione nella società civile, essa lascia intatta la dottrina cattolica tradizionale sul dovere morale dei singoli e delle società verso la vera religione e l’unica Chiesa di Cristo»[5]. Papa Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate ha ribadito che «la libertà religiosa non significa indifferentismo religioso e non comporta che tutte le religioni siano uguali»[6] Il diritto alla libertà religiosa sancito dalla Dignitatis humanae non è un diritto positivo ma negativo, e si configura tecnicamente come una «immunità». Il fondatore di Alleanza Cattolica, Giovanni Cantoni, è stato fra i primi a illustrare questo significato negativo, e non positivo, della nozione di libertà religiosa della Dignitatis huma­nae, e la sua natura giuridica d’immunità[7], così certamente preservando i suoi lettori — primi fra tutti i soci di Alleanza Cattolica — da equivoci altrove fin troppo diffusi.

Lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 — che è insieme il catechismo del Concilio Ecumenico Vaticano II e uno strumento interpretativo dei testi conciliari — afferma che «il diritto alla libertà religiosa non è né la licenza morale di aderire all'errore, né un implicito diritto all'errore, bensì un diritto naturale della persona umana alla libertà civile, cioè all'immunità da coercizione esteriore, entro giusti limiti, in materia religiosa, da parte del potere politico»[8].

Nella Relatio de textu emendato presentata ai Padri conciliari si spiegava che «[…] la parola diritto può essere intesa in un duplice significato. Nel primo significato per diritto s’intende la facoltà morale di compiere qualcosa, la facoltà cioè con cui qualcuno ha intrinsecamente la positiva auto­riz­za­zio­ne [...] ad agire. Nella Dichiarazione [Dignitatis Humanae] non è utilizzato in questo senso [...]. Nel secondo significato si dice diritto la facoltà morale di esigere di non essere costretto ad agire, né di essere impedito a farlo. Nel qual senso diritto significa l’immunità nell’agire ed esclude la coercizione sia costringente che impediente. È dunque in questo secondo senso che si intende diritto nella Dichiarazione»[9].

La Congregazione, che cita questo brano, ricorda a mons. Lefebvre che la Commissione Conciliare competente aveva anche precisato che «da nessuna parte si afferma né è lecito affermare (si tratta di cosa evidente) che c’è un diritto di diffondere l’errore. Se poi le persone diffondono l’errore, non è l’esercizio di un diritto, ma il suo abuso»[10]. Commenta la Congregazione: «In effetti il diritto alla libertà religiosa, intesa come immunità civile e sociale dalla coazione in materia religiosa, non im­plica alcun diritto né autorizzazione a diffondere l’errore»[11]. «[…] DH non afferma affatto che la propagazione degli errori sia un bene. Quello che è bene è che esista nella società civile [moderna] un grado di autonomia giuridica in materia religiosa compatibile con l’ordine e la moralità pubblica»[12].

Certamente nella Dignitatis humanae rispetto al beato Papa Pio IX e a Papa Leone XIII vi è una dif­ferenza terminologica. Il Magistero precedente parla di «tolleranza religiosa», il Concilio di «libertà religiosa». La scelta fra i due termini fu oggetto fra i Padri conciliari di lunghe discussioni, con speciale riferimento alle encicliche di Papa Leone XIII Libertas e Immortale Dei e «[…] cercando espli­citamente [una] continuità con il Magistero anteriore»[13]. Nella Relatio de textu priore queste discussioni sono riassunte così: «Ci sono alcuni che dubitano della stessa formula “libertà reli­gio­sa” e pensano che in questa materia non possiamo trattare che della “tolleranza religiosa”»[14].

Alla fine si decise — non senza dubbi — per la formula «libertà religiosa», per due ragioni. Anzi­tutto, la dottrina giuridica non utilizzava più da anni la formula «tolleranza religiosa» come «notio formaliter iuridica»[15], mentre la nozione di «libertà religiosa» nel diritto nazionale di diversi Paesi e in quello internazionale aveva un senso preciso e non necessariamente ideologico: «Se il desti­na­ta­rio del nostro discorso è la società moderna, dobbiamo adottare la sua terminologia»[16]. In secondo luogo, cosa ancora più importante, i Padri conciliari volevano affermare con forza di fronte alle pos­sibili pretese dello Stato laico moderno che il diritto all’immunità dalla coercizione in materia di religione «[…] si fonda nella natura della persona umana, che tutti devono rispettare»[17] a prescindere e prima delle leggi positive, e non si riduce a una semplice «tolleranza» che lo Stato laico moderno avrebbe il diritto di concedere o negare — com’è appunto tipico della nozione di «tolleranza» — a suo libito.

Certamente non è questa la sede per risolvere la questione della corretta interpretazione della dichiarazione Dignitatis humanae, una delle discussioni più complesse fra le tante dove le due diverse ermeneutiche — della continuità con la Tradizione e della rottura — lottano a proposito del Vaticano II. I cenni che ne abbiamo dato sono sufficienti a mostrare qual è la posizione che sul problema di una presunta differenza di princìpi fra la Dignitatis humanae e il Magistero precedente hanno assunto la Congregazione per la Dottrina della Fede e Papa Benedetto XVI. A proposito delle scelte terminologiche del Concilio certo non si è obbligati a credere che siano sempre state le più felici o le migliori possibili. E certamente la presentazione della Dignitatis humanae già nei giorni del Concilio e tanto più dopo il Vaticano II è quasi sempre avvenuta all’insegna di quella che Benedetto XVI chiama «ermeneutica della discontinuità e della rottura», con pochissime eccezioni.

Tuttavia, secondo il Magistero contemporaneo, da Papa Leone XIII al Concilio non sono mutati i princìpi, ma le situazioni storiche cui i princìpi si applicano e che ne determinano le «forme concrete»[18] di espressione. L’ideologia della libertà religiosa, intesa in senso positivo come diritto dell’errore con conseguente «canonizzazione del relativismo»[19], condannata dal beato Papa Pio IX e da Papa Leone XIII, resta altrettanto condannata dal Concilio e da Péapa Benedetto XVI. Una libertà religiosa intesa invece in senso negativo come immunità dall’ingerenza dello Stato laico moderno, di cui i cittadini di questo particolare tipo di Stato debbono godere nella formazione e nell’e­spli­ci­ta­zione delle loro scelte religiose, rappresenta una «forma concreta» nuova nel Magistero della Chiesa a fronte di circostanze storiche mutate. Ma Papa Benedetto XVI ci assicura che — ove sia rettamente interpretata e presentata, il che purtroppo nella confusione postconciliare non è avvenuto spesso — non è in contrasto con il Magistero precedente.

Il fatto che lo stesso Papa Benedetto XVI abbia notato qui una «apparente discontinuità»[20] confer­ma che chi pone domande e nota l’esistenza di problemi non ha torto. A queste domande si deve però rispondere nel senso dell’«ermeneutica della continuità». Letto non isolatamente, ma alla luce della Tradizione e andando se necessario al di là dell’apparenza, la Congregazione per la Dottrina della Fede scriveva a mons. Lefebvre che in tema di libertà religiosa «[…] l’insegnamento del Vaticano II è perfettamente compatibile con l’insegnamento di Leone XIII»[21].

Note

[1] Leone XIII, Lettera enciclica Libertas, del 20-6-1888.

[2] Benedetto XVI, Discorso alla Curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, del 22-12-2005.

[3] Ibidem.

[4] Congregazione per la Dottrina della Fede, Liberté religieuse. Réponse aux dubia présentés par S.E. Mgr. Lefebvre, del 9-3-1987, disponibile sul sito di documentazione sulla Fraternità Sacerdotale San Pio X La Crise intégriste, p. 19.

[5] Concilio Ecumenico Vaticano II, Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, del 7-12-1965, n. 1.

[6] Benedetto XVI, Lettera enciclica Caritas in veritate, cit., n. 55.

[7] Cfr. il mio La libertà religiosa nel pensiero di Giovanni Cantoni, in PierLuigi Zoccatelli e Ignazio Cantoni (a cura di), A maggior gloria di Dio, anche sociale. Scritti in onore di Giovanni Cantoni nel suo settantesimo compleanno, Canta­galli, Siena 2008, pp. 101-113.

[8] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2108.

[9] Congregazione per la Dottrina della Fede, Liberté religieuse. Réponse aux dubia présentés par S.E. Mgr. Lefebvre, cit., pp. 23-24, che cita Acta Synodalia, vol. III, pars VIII, pp. 461-462.

[10] Congregazione per la Dottrina della Fede, Liberté religieuse. Réponse aux dubia présentés par S.E. Mgr. Lefebvre, cit., p. 9.

[11] Ibid., p. 8.

[12] Ibid., p. 12.

[13] Ibid., p. 15.

[14] Ibid., p. 18.

[15] Ibidem.

[16] Ibidem.

[17] Ibidem.

[18] Benedetto XVI, Discorso alla Curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, cit.

[19] Ibidem.

[20] Ibidem.

[21] Congregazione per la Dottrina della Fede, Liberté religieuse. Réponse aux dubia présentés par S.E. Mgr. Lefebvre, cit., p. 8.

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