lunedì 12 maggio 2025

Marcia in difesa della vita, grande partecipazione e testimonianze



In marcia in 10mila in difesa della vita a Roma. Testimonianze di madri, prigionieri di coscienza e un malato di Sla per la difesa di un diritto inviolabile in ogni fase dell'esistenza umana, sin dal concepimento.


Fabio Piemonte, 12-05-2025

Dal bambino nel grembo materno all’anziano allo stadio terminale: ogni vita ha il diritto di essere difesa e custodita dal primo all’ultimo respiro, semplicemente perché umana. Per questa ragione 10mila persone si sono ritrovate sabato 10 maggio alle ore 14 in Piazza della Repubblica per ribadire il loro sì alla vita senza compromessi per la quarta edizione della Manifestazione Nazionale “Scegliamo la Vita” 2025.

Sono soprattutto tante giovani famiglie a sfilare per le vie del centro di Roma, 110 le associazioni aderenti. Uomini, donne e bambini con palloncini colorati, bandiere e striscioni, contenti di essere «la generazione per la vita», come recita un cartoncino che espongono. Anche perché «finché Provita, c’è speranza», recita un’altra iscrizione.

In Piazza della Repubblica - insieme ai due coordinatori dell’evento Massimo Gandolfini e Maria Rachele Ruiu – ci sono per un breve saluto anche Teodora e Paul della “March for Life Bucharest” e Marie Gabrielle, Agathe ed Emrik della “Marcia per la Vita Parigi”, a testimonianza della necessità di una cooperazione e mobilitazione internazionale sulla difesa del diritto alla vita di ogni uomo.

Una giovane mamma, Aurora, rievoca piangendo come abbia solo potuto pensare all’idea di abortire suo figlio. Però nel contempo ricorda, in special modo grazie al prezioso supporto ricevuto da alcuni volontari dei Centri per la Vita, che «ora Edoardo ha due mesi ed è la mia vita, la mia gioia più grande». Livia Tossici-Bolt – condannata nel Regno Unito lo scorso aprile a pagare 20mila sterline e a 2 anni di carcere semplicemente per aver sostato in silenzio nella ‘zona cuscinetto’ di una clinica abortista con un cartello tra le mani: «Here to talk if you want» («Qui per parlare, se vuoi») – testimonia come nel Regno Unito sia minacciata persino la libertà di pregare silenziosamente e di espressione.


«Non sono un problema da risolvere, ma una persona da ascoltare. Ho una malattia rara (la Sla, ndr), ma ho scelto di non mollare. E questo si chiama vivere. Non c’è un tasso minimo di perfezione per meritare la vita. Qualcuno ha deciso che ne valesse la pena e io non me la sento di dargli torto!». Con voce determinata racconta così dalla sedia a rotelle il suo amore per la vita Emanuel Cosmin Stoica, giovane attivista per i diritti dei disabili e influencer. Al termine della sua testimonianza lo stesso decide proprio dal palco della Manifestazione di fare la proposta di matrimonio alla sua fidanzata, tra le lacrime di gioia di lei che pronuncia subito il suo sì e la commozione degli astanti.

Sul palco sale anche Maurizio Marrone - Assessore alle Politiche Sociali e alla Famiglia della Regione Piemonte - il quale, grazie al Fondo Vita Nascente, sta portando avanti politiche di sostegno alla natalità e alle famiglie. Infatti dalla Regione «orgogliosamente amica della vita e della famiglia, sono arrivati in tre anni 2 milioni e mezzo di euro che si sono trasformati in sussidi concreti di supporto a famiglie e mamme in difficoltà per un figlio inaspettato o indesiderato e che, nonostante le difficoltà, hanno portato a termine la gravidanza, anche grazie al prezioso supporto dei volontari dei Centri per la Vita. Ai partecipanti alla Manifestazione anche il Presidente della Camera Lorenzo Fontana fa pervenire il suo saluto, «perché è possibile sperare, amare e garantire il diritto alla vita per tutti». D’altra parte gli stessi organizzatori a più riprese chiedono al Governo dal palco «più coraggio» nelle politiche nazionali in favore della natalità anche per porre un argine a un declino demografico del nostro Paese che pare inarrestabile.

Con un breve videomessaggio Eduardo Verastegui - celebre attore e produttore messicano interprete dei film Bella, Cristiada e The sound of freedom e del cortometraggio Il circo della farfalla - ribadisce l’esigenza di fare ciascuno la propria parte: «Difendiamo la vita sempre con la nostra vita».

Durante il corteo fanno capolino anche alcune femministe che contestano la Manifestazione con lo striscione «Prima o poi abortiamo pure voi. Roma vi schifa» e i cori «Le femmine pro vita si chiudono col fuoco», mentre alzano il dito medio. Eppure costoro dimenticano che le loro stesse madri sono pro vita, dal momento che le hanno custodite in grembo e fatte venire alla luce.

È la rock band The Marcos ad accogliere il popolo della vita ai Fori Imperiali sulle note di Viva
la mamma di Bennato per un momento di musica live.

«Siamo contenti che la Manifestazione “Scegliamo la Vita” si svolga a due giorni dall’elezione di Papa Leone XIV, il quale siamo certi alzerà forte la voce per la dignità umana in ogni fase della sua esistenza e contro tutte le forme di offesa che ne disprezzano il valore innato, come dimostrato partecipando da Vescovo alla Marcia per la Vita in Perù e affermando l’urgenza di “difendere la vita umana in ogni momento”», esprimono infine dal palco Gandolfini e Ruiu.

In effetti «i pro vita sono la maggioranza» nel Paese, per quanto silenziata dai media e dall’ideologia woke dominante. Perciò è fondamentale che, attraverso “Scegliamo la Vita” almeno una volta all’anno tornino in piazza a manifestare pubblicamente contro la ‘cultura dello scarto’ la bellezza del dono della vita di ciascun essere umano, in special modo quando è più indifesa e fragile.






Il nome Leone e la Dottrina sociale della Chiesa










Il nuovo pontefice ha scelto di richiamarsi a Leone XIII e alla Rerum novarum: un'enciclica da inquadrare nell'intero corpus del pensiero di papa Pecci. Alcuni aspetti da chiarire affinché non resti un richiamo generico.



 Magistero
Dottrina sociale


Stefano Fontana, 12-05-2025

Parlando ai cardinali, Leone XIV ha soddisfatto, almeno in parte, gli interrogativi sui motivi della scelta del nome, esprimendosi in questo modo: «Proprio sentendomi chiamato a proseguire in questa scia, ho pensato di prendere il nome di Leone XIV. Diverse sono le ragioni, però principalmente perché il Papa Leone XIII, infatti, con la storica Enciclica Rerum novarum, affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale; e oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un'altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell'intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro».

Come valutare questo richiamo alla Dottrina sociale della Chiesa? A prima vista è da valutare in modo positivo. Chi scrive ha di recente pubblicato un articolo per sostenere che nel pontificato di Francesco la Dottrina sociale della Chiesa era stata completamente messa da parte, quindi risulta apprezzabile questo suo recupero, anche se per il momento si tratta solo di un accenno. Anche in questo caso, come in altri pronunciamenti di papa Leone in questi primi giorni del suo pontificato, bisogna attendere i concreti sviluppi.
Nel caso specifico della Dottrina sociale della Chiesa sono soprattutto tre gli aspetti che andranno chiariti.

Il primo è in cosa consisterà il richiamo a Leone XIII e alla Rerum novarum, ossia quanto e cosa verrà ripreso del suo insegnamento. Si tratta solo di un richiamo generico al fondatore della Dottrina sociale della Chiesa nell’epoca moderna, oppure si intende riprendere in modo specifico qualche aspetto del suo insegnamento? Tutti coloro che si rifanno alla Dottrina sociale citano Leone XIII, poi però riconsiderano gran parte del suo pensiero ritenuto non più adatto ai tempi o comunque bisognoso di approfondimenti. Possiamo fare un caso tra i più rilevanti: Giovanni Paolo II, commemorando nella Laborem exercens la Rerum novarum ribadisce che non esiste soluzione alla questione sociale fuori del Vangelo, confermando così il testo di Leone XIII, ma quando si occupa del diritto del lavoratore al riposo festivo non lo intende più come culto pubblico a Dio, ma come espressione della libertà religiosa. Le due cose difficilmente possono stare insieme.

Il secondo aspetto del richiamo a Leone XIII è che la Rerum novarum non era una enciclica isolata ma inserita in un corpus di pensiero ampio che riguardava la corretta filosofia da adoperare, il fondamento dell’autorità civile, i doveri dei fedeli cattolici, la libertà politica, la natura della democrazia, l’esistenza di un ordine naturale nelle cose che riguardano la vita sociale, i rapporti tra politica e religione e così via. Augusto Del Noce aveva detto che Leone XIII era stato il più grande filosofo cattolico dell’Ottocento e che se togliamo la Rerum novarum da questo contesto di pensiero risulta incomprensibile. Ne terrà conto il nuovo Leone?

Un terzo ed ultimo aspetto riguarda la continuità con Francesco. Questa continuità era già evidente nel primo discorso dalla loggia delle Benedizioni l’8 maggio scorso, come abbiamo osservato altrove. Negli appuntamenti dei giorni successivi, in particolare nell’incontro con i cardinali, questa continuità è stata ampiamente ribadita anche in modo articolato, ossia richiamando alcune linee del pontificato di Francesco. Però in molte cose questo pontificato era contrario alla Dottrina sociale della Chiesa in quanto tale. Se Leone intendesse riprendere tutto il pontificato precedente, ossia una linea teologica e magisteriale reinterpretata completamente in continuità, troverebbe grandi difficoltà a riprendere la Dottrina sociale della Chiesa come egli dice di voler fare. A meno di non trasformarla, ma in questo caso il richiamo a Leone XIII perderebbe di peso.




domenica 11 maggio 2025

Sei ragioni per cui tornano le balaustre d’altare e si ravviva la devozione eucaristica



Immagine generata con l’intelligenza artificiale 
(ChatGPT – DALL·E), modificata con Canva Pro



di John Horvat

In chiese di tutto il Paese, i parroci stanno installando nuovamente le balaustre d’altare. Alcune parrocchie le stanno riportando in chiese antiche, dopo che erano state rimosse decenni fa. Altre le stanno aggiungendo a chiese nuove che non le avevano mai avute.

Le balaustre stanno tornando per richiesta popolare. Stanno cambiando il modo in cui i fedeli percepiscono la Santa Eucaristia. E soprattutto, questo ritorno è molto apprezzato e sta risvegliando entusiasmo tra i fedeli.

Dopo il Concilio Vaticano II, molte chiese rimossero le balaustre d’altare, sostenendo che esse separavano “il popolo di Dio” dal sacerdote nel presbiterio. L’idea era trasformare la Messa in “un’esperienza di culto condivisa e comunitaria”. Tuttavia, ciò comportò anche la perdita del senso del sacro che un tempo dominava la chiesa, e la devozione eucaristica ne risentì.

Un catechismo scolpito nella pietra

La rimozione delle balaustre d’altare ha confermato ciò che tutti sanno sull’architettura e il design delle chiese: la chiesa non è uno spazio neutro. Ogni suo aspetto dovrebbe essere carico di significato e simbolismo. La chiesa è un catechismo in pietra che insegna al popolo a conoscere e amare Dio più profondamente.

Quando il Santissimo Sacramento non viene più trattato come qualcosa di sacro e non viene collocato in un luogo centrale e visibile, le persone smettono di credere nella Presenza Reale — una realtà confermata anche dai sondaggi.

Trasformare le parrocchie

In un eccellente articolo pubblicato sul National Catholic Register, il giornalista Joseph Pronechen riferisce come tutto ciò sia cambiato con la diffusione delle balaustre d’altare. Il ritorno delle balaustre sta trasformando le parrocchie ed è accolto con entusiasmo dai cattolici di tutte le età, compresi i giovani che non le avevano mai conosciute.

I fedeli nei banchi citano molte ragioni per cui si sentono attratti da questi semplici divisori. Anche i parroci restano sorpresi dalla rapidità con cui questo gesto apparentemente semplice ha ravvivato la devozione eucaristica.

Ci sono sei ragioni per cui i cattolici accolgono con favore il ritorno delle balaustre d’altare.

Un modo più riverente di ricevere l’Eucaristia

Anzitutto, la balaustra rende la ricezione dell’Eucaristia più riverente. I fedeli apprezzano il tempo supplementare offerto dalla sosta alla balaustra per riflettere su Chi stanno per ricevere. Si crea così un’atmosfera di raccoglimento, in cui chi si accosta alla Comunione non sente fretta di sbrigrasi. La ricezione diventa un momento breve ma intimo tra Cristo e il comunicando.

Quando viene data la possibilità di scegliere, circa il 90% dei fedeli preferisce inginocchiarsi alla balaustra. Molti di coloro che si inginocchiano si sentono anche spinti a ricevere la Comunione sulla lingua.

Un senso di confine e di timore reverenziale


In secondo luogo, la balaustra d’altare trasmette un senso di confine sacro e di timore reverenziale. Padre Matthew Tomeny, dei Marian Fathers e rettore del Santuario Nazionale della Divina Misericordia a Stockbridge, Massachusetts, ha ricordato che la balaustra è “vista come un’estensione dell’altare, talvolta chiamata ‘l’altare del popolo’. È quella soglia tra il cielo e la terra, dove il cielo è rappresentato dal santuario e la terra dalla navata dove si raduna il popolo.”

In terzo luogo, inginocchiarsi per ricevere il Signore è la più grande espressione fisica di umiltà, riverenza e adorazione. Esprimersi in un modo così forte e diverso non può che influenzare il modo in cui si comprende l’Eucaristia. Il corpo manifesta lo stupore e la meraviglia dell’anima davanti a un così grande mistero.

Altre considerazioni

La quarta ragione è che i parroci riferiscono come la balaustra sia di per sé un elemento di bellezza e simbolismo che attira le persone alla parrocchia. I fedeli percepiscono una maggiore devozione verso il Signore presente nel Santissimo Sacramento e si avvicinano alla comunità. In particolare, molte famiglie giovani si sentono attratte e desiderano unirsi a parrocchie dove la Comunione viene ricevuta in modo più riverente. Un parroco ha riferito che il ritorno delle balaustre ha portato a una grande crescita spirituale e a una più profonda comprensione del significato della Presenza Reale.

Un’altra ragione è di ordine più pratico. Alcuni parroci osservano che l’uso della balaustra ha reso più semplice e veloce la distribuzione della Santa Comunione, al punto da rendere superflua la presenza di ministri straordinari. I chierichetti notano inoltre che, con l’area del presbiterio delimitata, ci sono meno distrazioni.

Infine, le balaustre servono anche come luogo di devozione al di fuori della Comunione e della Messa. I fedeli trovano comodo inginocchiarsi alla balaustra per pregare davanti al Santissimo Sacramento. L’assenza della balaustra rappresentava una barriera che impediva alle persone di avvicinarsi all’altare per pregare. Le nuove balaustre, invece, le invitano ad accostarsi per una devozione più intima.

Una proposta vincente rifiutata

Il ritorno della balaustra d’altare dovrebbe essere un modello a livello nazionale per ravvivare la devozione eucaristica. Le storie di successo delle parrocchie che le hanno reintrodotte dovrebbero ispirarne molte altre a fare lo stesso.

Tuttavia, non tutti sono favorevoli a questi cambiamenti — nemmeno in questi tempi “sinodali”, in cui si invita ufficialmente ad ascoltare i parrocchiani.

La rimozione delle balaustre fu una scelta deliberata da parte di cattolici progressisti decisi a “devastare” le chiese dopo il Concilio. Chi ancora oggi aderisce a questa ideologia progressista non nasconde le ragioni della rimozione né mostra alcun rimorso. Sostengono che l’eliminazione delle balaustre contribuisca a creare uno spazio più accogliente e inclusivo per tutti, a prescindere da background o convinzioni. Il loro intento era promuovere una visione più egualitaria — e teologicamente scorretta — di Dio e della Chiesa, e la rimozione della balaustra della Comunione era perfettamente coerente con tale obiettivo.


Fonte





Fonte: Tfp.org, 5 maggio 2025. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.

sabato 10 maggio 2025

Le questioni cruciali che dovrà affrontare Papa Leone XIV


Baldacchino di San Pietro è la monumentale struttura barocca 
che Gian Lorenzo Bernini costruì tra il 1624 e il 1633 
per l’altare maggiore della Basilica di San Pietro a Roma


Di seguito l’articolo scritto da Eduard Pentin, pubblicato sul suo blog. L’articolo che segue è stato pubblicato il 4 maggio scorso, per cui il titolo originale era: “10 questioni cruciali che dovrà affrontare il prossimo Papa”. Ecco l’articolo nella traduzione curata da Sabino Paciolla (10 maggio 2025).



Edward Pentin

Papa Francesco, che notoriamente raccomanda di “fare confusione”, ha applicato questa massima al suo pontificato, rendendolo altamente dirompente, divisivo e tumultuoso.

Il disordine ha generato molto comprensibile disagio, costernazione e, a volte, disgusto, soprattutto perché un approccio così deliberato al governo non è mai stato coerente con la fede cattolica, il bene comune, la Rivelazione divina e la legge naturale.

Tuttavia, il rovescio della medaglia è stato che, come un rimescolamento della pentola, ha portato in superficie molto di ciò che era rimasto nascosto nell’oscurità.

E così facendo, ha il potenziale per fornire al prossimo Papa le informazioni necessarie per correggere, se lo desidera, i problemi che il pontificato di Francesco ha messo in luce.
Quali potrebbero essere le aree critiche che il prossimo Papa dovrà affrontare? Ecco un elenco di 10 possibili priorità:

1 Ritorno a un papato come fonte di sana dottrina e unità

Sebbene Papa Francesco abbia fatto molto per cercare di portare la Chiesa alle periferie, ai poveri e agli emarginati, nel tentativo di renderla accessibile a coloro che avrebbero potuto non degnarla di uno sguardo, nel farlo ha spesso messo da parte i confini dottrinali e i limiti canonici del potere papale. È stato anche spesso criticato per essersi allontanato dalla tradizione apostolica, rilasciando dichiarazioni che almeno in apparenza sembravano contrarie all’insegnamento della Chiesa, soprattutto quello morale, e promuovendo l‘indifferentismo, ossia l’idea che tutte le religioni siano valide vie d’accesso a Dio. 

Insieme alla spinta verso la sinodalità, in cui i fedeli non catechizzati avevano voce in capitolo in un’ampia democratizzazione della Chiesa, questo ha portato a confusione dottrinale in Vaticano e altrove, come la Chiesa in Germania. Insieme all’incapacità di correggere errori ed eresie, una tendenza iniziata prima del pontificato di Francesco, l’integrità della fede è stata minata. Una priorità urgente per il prossimo papa, quindi, sarà quella di ripristinare la chiarezza dottrinale nella fede e nella morale, il buon governo e il rispetto del diritto canonico. In relazione a ciò, il prossimo papa dovrà cessare e sradicare la persecuzione e l’eliminazione di istituzioni, movimenti, vescovi, clero e laici che evidentemente portano buoni e ampi frutti in termini di riverenza, vita spirituale, fedeltà alla dottrina cattolica e vocazioni. Dovrebbe permettere a queste persone o entità di crescere e prosperare piuttosto che essere cancellate – contrariamente a quanto spesso è accaduto sotto Papa Francesco, dove coloro che hanno abusato della dottrina, dell’insegnamento morale e della liturgia sono rimasti impuniti e hanno potuto prosperare.

2 Chiarimento del Vaticano II, riforma dei gesuiti

Strettamente connessa alla prima questione critica è la necessità che il prossimo Papa chiarisca le ambiguità relative al Concilio Vaticano II, o almeno affronti questa preoccupazione che è cresciuta negli ultimi anni. Il Concilio è stato a lungo interpretato in modi che molti sottolineano essere diversi da quelli intesi dai padri conciliari, e questo è diventato particolarmente evidente durante il pontificato di Francesco. L’ambiguità è stata spesso imputata a una mancanza di chiarezza nell’interpretazione degli insegnamenti del Concilio, a loro volta spesso criticati per non essere abbastanza chiari. Parte di questo ritorno alla chiarezza dell’insegnamento potrebbe anche comportare una sorta di riforma dell’Ordine dei Gesuiti. Nel suo Demos Memorandum, il cardinale George Pell ha chiesto una riforma di questo tipo, vista l’eterodossia prevalente nella Compagnia di Gesù e il declino catastrofico in termini di vocazioni all’Ordine. “Il carisma e il contributo dei gesuiti sono stati e sono così importanti per la Chiesa che non si dovrebbe permettere che passino indisturbati alla storia”, si legge nel memorandum.

3 Ripristinare il tradizionale governo papale e la collegialità del collegio episcopale e cardinalizio

Oltre al potere papale, il prossimo Papa dovrà riaffermare una maggiore collegialità con i vescovi e all’interno del Collegio cardinalizio. A causa di una tendenza di lunga data alla centralizzazione e alla prepotenza delle conferenze episcopali, la piena realizzazione della collegialità episcopale prevista dal Concilio Vaticano II non ha avuto luogo e l’autonomia e l’autorità dei vescovi sono state minate. Per quanto riguarda il Collegio cardinalizio, negli ultimi anni e contrariamente al desiderio dichiarato di sinodalità, la maggioranza dei cardinali, ad eccezione di alcuni stretti collaboratori, è stata esclusa dal processo decisionale, anche se uno dei loro ruoli principali è quello di agire come consiglieri del Papa. Inoltre, hanno avuto poche occasioni di incontrarsi perché le riunioni di tutti i cardinali durante i concistori cardinalizi sono state interrotte nel 2014, riducendo anche la collegialità del Sacro Collegio. Questi fattori hanno portato a una diminuzione del ruolo importante dei cardinali, mentre un potere eccessivo e incontrollato è stato messo nelle mani del Papa, contrariamente alle tradizioni del passato. Questo è diventato così evidente sotto Papa Francesco che gli osservatori hanno detto che il papato è diventato tirannico con esercizi arbitrari del potere. Il prossimo pontefice dovrà riaffermare ciò che i papi possono e non possono fare in conformità con la tradizione apostolica, e quanto peso magisteriale debba essere attribuito ai vari pronunciamenti di un papa – tutti argomenti significativi di dibattito durante il pontificato di Francesco.

4 Più riverenza nella liturgia

La divina liturgia è il “culmine verso cui si dirige l’attività della Chiesa” e la “fonte da cui scaturisce tutta la sua potenza”, afferma la Sacrosanctum Concilium, la costituzione del Concilio Vaticano II sulla liturgia. La liturgia protegge anche la Chiesa da falsi insegnamenti e da una teologia imprecisa. Molti, tra cui Benedetto XVI, hanno attribuito l’odierna crisi della Chiesa in gran parte agli abusi della liturgia derivanti dalle riforme liturgiche del 1970, che hanno fatto sì che la Chiesa perdesse la sua enfasi cristocentrica e la sostituisse con una preferenza per l’intrattenimento che si concentra sull’uomo piuttosto che su Dio. Il prossimo Papa dovrà dare priorità al ritorno a un culto più riverente, migliorando la formazione liturgica sia del clero che dei laici, dando priorità al soprannaturale (lo scopo della Chiesa è soprannaturale) e sottolineando il primo comandamento, l’adorazione di Dio.

5 Porre fine alla soppressione della liturgia tradizionale

Collegata alla necessità di superare gli abusi liturgici è la necessità di affrontare la tendenza a sopprimere, e la chiara soppressione da parte di Francesco, la Messa latina tradizionale – una decisione che è stata ampiamente considerata ingiusta, contraria al precedente insegnamento papale, contraria alla legge divina e l’opposto di ciò che molti ritenevano che la liturgia avesse bisogno in questo momento: maggiore sacralità, meno mondanità e più riverenza incentrata su Cristo che riaffermava la Presenza reale di Cristo nell’Eucaristia. Il prossimo Papa dovrà quindi verificare come ripristinare gli sforzi, già iniziati da Benedetto XVI, per permettere alla Chiesa di attingere alle ricchezze della sempre più popolare liturgia tradizionale, senza mettere in pericolo l’unità o esacerbare le “guerre della liturgia”.

6 Distanza dal globalismo, dal secolarismo e dai legami con i finanziamenti governativi

Negli ultimi 60 anni, soprattutto in seguito alla direttiva del Concilio Vaticano II di aprire le porte della Chiesa al mondo, la Santa Sede e la Chiesa in generale si sono alleate con i governi nel tentativo di aiutare i poveri, i vulnerabili e gli emarginati. Ma se da un lato questo ha dato buoni frutti, dall’altro ha fatto germogliare anche le spine. La sua vicinanza alle fazioni politiche, il globalismo e la crescente dipendenza dai finanziamenti statali hanno portato, soprattutto negli ultimi anni, a scendere a compromessi con i valori secolari che hanno portato a un ammutolimento della voce della Chiesa su questioni morali fondamentali e a un conseguente “appiattimento” della sua testimonianza evangelica. Ciò è stato particolarmente visibile quando si è trattato di allearsi con la precedente amministrazione Biden, ma anche nella collaborazione sempre più frequente del Vaticano con gruppi multinazionali i cui valori sono stati diametralmente opposti ai principali insegnamenti morali della Chiesa. Il prossimo Papa dovrà coraggiosamente allontanare la Chiesa da tali gruppi ideologici, dai governi e dagli affari temporali, nonché da questioni su cui ha poca competenza, come il cambiamento climatico, e dai valori secolari di “diversità” e “inclusione” che tendono ad applicarsi realmente solo a coloro che aderiscono alla stessa ideologia secolarista. Il suo compito principale sarà quello di riportare la Chiesa al suo compito principale: servire come strumento del Signore per la salvezza delle anime e propagare la fede.

7 Tolleranza zero sugli abusi sessuali dei chierici

Papa Francesco è stato eletto con il mandato di affrontare la crisi degli abusi sessuali. Ha fatto alcuni progressi, come la pubblicazione del documento Vos estis lux mundi che, sebbene contenesse dei punti deboli, mirava a rendere i vescovi più responsabili. Ha anche rimosso alcuni vescovi per aver coperto gli abusi. Ma la cultura della segretezza permane e lo stesso Francesco ha ripetutamente difeso e protetto i vescovi e gli ecclesiastici di alto rango che hanno commesso abusi, soprattutto quelli a cui era personalmente fedele (ad esempio il vescovo Gustavo Zanchetta, padre Marko Rupnik, Theodore McCarrick e il vescovo Juan Barros Madrid). Una questione critica per il prossimo Papa sarà quella di garantire una maggiore giustizia e coerenza nel trattare il problema, assumendo un ruolo guida nell’affrontare gli abusi e non coprendo gli amici.

8 L’omosessualità nella Chiesa

Spesso definita “l’elefante rosa nella stanza”, l’influenza prevalente di coloro che sostengono che l’omosessualità sia normale è stata dannosa. Ha avuto un’influenza negativa significativa sul governo generale della Chiesa, sulla sua capacità di evangelizzare e di attrarre vocazioni solide. Questo tentativo di normalizzazione all’interno della Chiesa, soprattutto sotto Francesco che si è alleato con gruppi che il Vaticano aveva precedentemente bandito, ha permesso la crescita di cricche, l’aggravarsi di cospirazioni di silenzio e la commissione di grandi ingiustizie, non da ultimo ostacolando cardinali, vescovi, sacerdoti e fedeli non omosessuali nell’essere ascoltati e nell’avere un ruolo nel governo della Chiesa. Ha anche lasciato molti chierici omosessuali vulnerabili al ricatto. Il prossimo Papa dovrà lavorare almeno per identificare le aree problematiche, chiudere questi gruppi omosessuali e mostrare tolleranza zero per gli episodi di pratica omosessuale nel sacerdozio e nella gerarchia della Chiesa.

9 Buona gestione delle finanze vaticane

Nonostante alcune battute d’arresto ben pubblicizzate, il pontificato di Papa Francesco ha registrato alcuni successi nella riforma finanziaria che hanno posto le basi per una migliore gestione e una maggiore trasparenza e responsabilità. Ma le sfide rimangono e il prossimo Papa dovrà attuare pienamente le riforme strutturali avviate da Francesco nel 2014, eliminando i cambiamenti degli anni successivi che ne avevano annacquato gli effetti. Dovrà inoltre nominare laici qualificati per attuare le riforme e avviare una profonda ristrutturazione, soprattutto per quanto riguarda l’APSA, nonché introdurre organi di controllo indipendenti. Il prossimo Papa dovrà anche affrontare problemi irrisolti come lo scandalo delle proprietà di Sloane Avenue, le accuse che i fondi vaticani siano stati usati per comprare testimoni contro il cardinale Pell nel suo processo per impedirgli di scoprire la corruzione finanziaria in Vaticano, e la denuncia dell’ex revisore generale Libero Milone che ha fatto causa al Vaticano per licenziamento illegittimo.

10 Confrontarsi con la minaccia dell’Islam

Dopo le reazioni alla conferenza di Ratisbona del 2006 di Benedetto XVI, e soprattutto durante il pontificato di Francesco, il Vaticano e la Chiesa in generale hanno battuto in ritirata di fronte alla minaccia della diffusione dell’Islam in Occidente, preferendo invece una politica di accomodamento, di dialogo su questioni comuni e di enfasi sulla fraternità, ma senza che Cristo fosse menzionato o messo in chiara evidenza. Questo ha raggiunto il suo apice con il documento di Papa Francesco sulla Fraternità Umana e con il sostegno della Santa Sede a iniziative come la Casa della Famiglia Abramitica. Questo approccio ha spesso eluso questioni come la persecuzione dei cristiani da parte di gruppi islamici o di governi a maggioranza musulmana e l’importanza della reciprocità quando si tratta di libertà religiosa. Ha anche suscitato accuse di sincretismo e indifferentismo. Il prossimo Papa dovrà affrontare questi problemi, ad esempio sottolineando l’evangelizzazione, fornendo una guida teologica più chiara all’Islam, rafforzando la difesa dei cristiani perseguitati e assumendo una posizione più ferma sulla reciprocità.





venerdì 9 maggio 2025

La liturgia tradizionale riempie le chiese, eppure i prelati continuano ad opporvisi



Immagine generata con l’intelligenza artificiale (ChatGPT – DALL·E),
modificata con Canva Pro




di Michael Haynes

Mentre le statistiche vaticane documentano un ulteriore calo del numero di sacerdoti cattolici e seminaristi, molti responsabili della Chiesa sembrano decisi a fare qualsiasi cosa fuorché tornare alle pratiche tradizionali — nonostante gli istituti tradizionali continuino a registrare una crescita costante di vocazioni e partecipazione.

Le ultime statistiche ufficiali rilasciate dal Vaticano sulla Chiesa cattolica non sono affatto rassicuranti. È vero che il numero complessivo dei cattolici è aumentato, ma allo stesso tempo il numero di sacerdoti e seminaristi ha continuato a diminuire. In effetti, il calo del numero di seminaristi prosegue senza interruzione dal 2012.

Nel 2023 ci sono solo 106.495 seminaristi in tutto il mondo, in calo rispetto ai 108.481 del 2022. Il numero più alto degli ultimi anni si registrò nel 2011, con 120.616 uomini in formazione per il sacerdozio.

A partire dal 2021, ogni anno ha segnato un nuovo minimo storico nel numero di seminaristi rispetto all’Anno Giubilare del 2000.

Anche il numero di sacerdoti è in calo, sebbene non in modo così drammatico — ma è solo questione di tempo. Un gran numero di parrocchie — e molti cattolici sapranno pensare a esempi vicini — è servito da sacerdoti anziani, ormai sui settanta o ottant’anni.

Man mano che questi sacerdoti si ritirano o tornano alla casa del Padre, molte parrocchie restano senza parroco, e i dati mostrano che non esiste un ricambio generazionale nei seminari. La Germania — nazione le cui notizie cattoliche sono da anni dominate dal “Cammino Sinodale” altamente eterodosso — è un esempio lampante di questo declino. Statistiche clamorose mostrano che nel 2024 si è toccato un nuovo minimo storico di ordinazioni nelle 27 diocesi tedesche: solo 29 sacerdoti in totale.

Il trend decrescente della Germania è in atto dal 1962, anno in cui si registrarono 557 ordinazioni. Da allora, a parte pochi anni con lievi aumenti, quel numero ha continuato a diminuire fino al nuovo minimo di 29, con alcune diocesi che non hanno avuto neanche un’ordinazione.

Un aumento degno di nota nelle ordinazioni si è verificato in Germania verso la fine degli anni Ottanta, quando i giovani entrati in seminario dopo l’elezione di Papa Giovanni Paolo II arrivarono all’altare. Ma dal 1992, anche quei numeri hanno subito un declino costante.

Nel 2023, i vescovi cattolici irlandesi hanno dato inizio a un anno di preghiera per le vocazioni, poiché l’antico seminario nazionale di Maynooth ospitava solo 21 seminaristi, a fronte delle centinaia per cui era stato costruito. Delle 26 diocesi in Irlanda, 10 non avevano alcun seminarista in formazione, secondo un rapporto di settembre 2022 pubblicato all’epoca dall’Irish Catholic.

L’involuzione delle vocazioni in Irlanda è stata notata da tempo dagli osservatori più attenti. Dal 1993, ben otto seminari diocesani hanno chiuso i battenti sull’isola, a causa dell’erosione costante della fede cattolica e delle vocazioni.

Per quanto riguarda dati più specifici degli Stati Uniti, il quadro è altrettanto allarmante. Uno studio recente ha mostrato che solo 16 delle oltre 150 diocesi americane hanno ordinato un numero sufficiente di sacerdoti per mantenere il livello attuale del clero. Considerando che il numero complessivo dei sacerdoti è già in declino da anni, mantenere lo “status quo” non è affatto un grande risultato.

Per tutte le altre diocesi americane, nemmeno questa parità è stata raggiunta. La situazione peggiorerà presto, come rilevato dallo studio, secondo cui le diocesi intervistate “riportano che circa il 40% dei loro sacerdoti attivi ha più di 60 anni”. Questa media varia ampiamente, con una diocesi che ha dichiarato che circa il 70% dei suoi sacerdoti ha superato i 60 anni.

Di fronte a questa crisi evidente e innegabile, un cattolico di buon senso potrebbe aspettarsi che i responsabili della Chiesa cerchino soluzioni valide, consapevoli dell’urgenza di correggere ciò che ha causato un crollo così drammatico delle vocazioni sacerdotali.

Eppure, così non sembra essere.

Solo pochi giorni fa, l’arcidiocesi di Chicago si è vantata del modernismo liturgico promosso dall’attuale cardinale Blase Cupich, ricordando come una delle sue prime priorità nel 2014 fu quella di introdurre le ministranti nella cattedrale. L’arcidiocesi, che conta poco meno di 2 milioni di cattolici, ha visto un numero costantemente basso di ordinazioni rispetto alla sua dimensione: quattro sacerdoti ordinati nel 2024 e cinque nel 2023 — un dato che diversi commentatori hanno prontamente evidenziato.

Gli storici della Chiesa hanno ampiamente documentato il crollo delle vocazioni sacerdotali e della frequenza alla Messa negli anni successivi al Concilio Vaticano II.

Negli Stati Uniti, mentre nel 1965 c’erano 58.000 sacerdoti, nel 2002 erano solo 45.000, nonostante la crescita della popolazione. Le ordinazioni, che nel 1965 furono 1.575, nel 2002 erano scese a sole 450.

Nel 1955, il 75% dei cattolici americani partecipava alla Messa settimanalmente; questa percentuale era scesa al 50% a metà degli anni Novanta, e ulteriormente ridotta al 39% tra il 2014 e il 2017.

Studiosi di diversi Paesi hanno documentato con competenza questo crollo esplosivo della fede. Numericamente parlando, la Chiesa è in uno stato disastroso.

Uno dei pochissimi segni di speranza per la Chiesa negli ultimi anni — in termini di vitalità — è rappresentato dalla Messa tradizionale, comunemente nota come Messa in latino. Il pellegrinaggio annuale della Messa in latino a Chartres, in Francia, ne è forse la testimonianza più visibile degli ultimi tempi. Frequentato principalmente da giovani sotto i 20 anni, il pellegrinaggio di tre giorni durante la Pentecoste ha continuato a crescere, battendo record di partecipazione negli ultimi anni. L’edizione del 2024 ha visto la presenza di 18.000 persone.

I gruppi sacerdotali legati alla Messa in latino hanno anch’essi registrato anno dopo anno nuovi record di ingressi nei loro seminari, nonostante — e secondo alcuni anche grazie a — le restrizioni imposte dal Papa alla Messa tradizionale.

Giovani sacerdoti tradizionali hanno raccontato che, quando predicano la dottrina cattolica nella sua interezza, sono i liberali deviati a protestare — gli stessi che già, implicitamente, rifiutano gran parte dell’insegnamento cattolico. Eppure, le giovani famiglie desiderose di vivere veramente la loro fede non si lamentano quando il sacerdote proclama la verità dal pulpito.

I giovani attratti da queste comunità e società legate alla Messa in latino tendono a sfidare le norme culturali: sono desiderosi di abbracciare uno stile di vita disciplinato e una formazione rigorosa in ogni aspetto necessario alla vita sacerdotale. Ma, cosa ancor più importante, sono proprio questi sacerdoti ad attrarre attorno a sé un gran numero di famiglie numerose, mentre le abitudini liturgiche eterodosse e svuotate di molte parrocchie moderne continuano a far perdere fedeli — dimostrando visibilmente dove si trova il futuro pratico della Chiesa.

Nonostante ciò, come è ampiamente documentato, i vertici della Chiesa sembrano determinati a fare qualsiasi cosa fuorché promuovere la Messa tradizionale, e dunque ad aprire la strada a molte vocazioni e a giovani famiglie nella Chiesa.

Spiegando perché ha introdotto restrizioni così ampie alla Messa tradizionale, Papa Francesco ha affermato che “non è sano che la liturgia diventi ideologia”. In un’altra occasione ha definito la devozione alla Messa in latino una “malattia nostalgica”.

Eppure, numerosi studiosi, teologi, liturgisti e storici hanno evidenziato come i cambiamenti liturgici e pastorali successivi al Vaticano II abbiano portato a un crollo massiccio della fede cattolica. Papa Francesco, però, ha recentemente ribadito che la Chiesa deve proseguire su quella stessa linea. “Abbiamo ancora bisogno di attuare pienamente il Concilio Vaticano II”, ha scritto nelle sue memorie, Hope.

Il cardinale Gerhard Müller ha celebrato la Messa conclusiva del pellegrinaggio di Chartres 2024 e ha riferito che “un alto rappresentante del Dicastero per il Culto Divino” ha espresso disappunto nell’apprendere l’enorme numero di giovani presenti al pellegrinaggio tradizionale. Il cardinale ha raccontato che il funzionario “ha obiettato che ciò non era affatto motivo di gioia, poiché la Santa Messa era celebrata secondo l’antico rito latino straordinario”.

“La Chiesa è in crisi e le famiglie accorrono a questo pellegrinaggio”, ha osservato l’anno scorso Jean des Tauriers, presidente uscente del Pellegrinaggio di Chartres. “Si avvicinano al rito tradizionale proprio a causa della crisi nella Chiesa, e per trasmettere semplicemente la fede ai loro figli.”

Molti sacerdoti delle parrocchie legate alla Messa in latino lo hanno confermato negli anni successivi al COVID: le loro comunità sono raddoppiate o triplicate, man mano che i fedeli cercavano disperatamente un luogo dove poter ancora assistere alla Messa. Per alcuni, fu proprio il fatto che lì si celebrasse la Messa a colpirli; per altri, fu decisiva la possibilità di ricevere la Comunione in modo riverente, sulla lingua, mentre altrove questo gesto veniva vietato.

Le prove, in ogni epoca, dimostrano che le persone sono attratte dalla tradizione, dalla verità, dalla bellezza e dalla riverenza. E questo lo si sta vedendo ancora una volta, con il ritorno lento ma deciso della Messa tradizionale, a fronte del declino delle liturgie e delle parrocchie eterodosse e conformiste.

Michael Haynes è un giornalista inglese con sede a Roma, membro della Sala Stampa della Santa Sede. Scrive principalmente per LifeSiteNews e PerMariam.



Fonte: Tfp.org, 29 Aprile 2025. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.




La Rerum novarum di Leone XIII e la Civiltà cristiana






Di Germán Masserdotti, 9 Mag 2025

Si può affermare che la Rerum novarum (5 maggio 1891) di Leone XIII sia un documento-modello, una dimostrazione di come dovrebbero essere redatti i documenti sociali della Chiesa. Questo per diversi motivi, uno dei quali vorrei evidenziare in questa nota.

Nella sua enciclica, Leone XIII affronta la “questione sociale” dell’epoca: la questione operaia. Si potrebbe dire, usando un’espressione corrente, che essa è una occasione per la formulazione di una globale proposta di ordine sociale secondo il diritto naturale e cristiano. Riguardo alla questione del lavoro, Papa Pecci esamina i fondamenti naturali di un sano ordine economico, che poi collega all’ordine politico. In questo senso, tenendo conto del rapporto reciproco tra datori di lavoro e lavoratori – potremmo dire, datori di lavoro e dipendenti – il Papa fa riferimento al ruolo che deve svolgere lo Stato. Qui possiamo vedere quello che sarebbe poi stato illustrato più esplicitamente come principio di sussidiarietà, magistralmente affermato nella lettera enciclica Quadragesimo anno (15 maggio 1931) di Pio XI.

Veniamo quindi al punto centrale della questione. Uno dei motivi per cui la Rerum Novarum è un modello di documento sociale è che propone la civiltà cristiana come rimedio alla questione sociale. Si tratta di una costante del Magistero della Chiesa fino a una certa data, che qui non è il caso di precisare. Leone XIII fa riferimento all’argomento almeno due volte.

Dopo aver giustificato la necessità del Magistero o Dottrina Sociale della Chiesa, Leone XIII afferma: «Basterà qui richiamare brevemente gli esempi degli antichi. Ricordiamo cose e fatti che non lasciano adito a dubbi: che la società umana fu rinnovata fin dalle sue fondamenta dai costumi cristiani; che, in virtù di questo rinnovamento, il genere umano fu spinto a cose migliori; anzi, fu tratto dalla morte alla vita e riempito di una perfezione così sublime, che nessun altro eguale esisteva nei tempi antichi né può essercene uno maggiore in futuro. Infine, che Gesù Cristo è il vero principio e il fine di questi benefici e che, poiché sono proceduti da Lui, tutti devono essere riferiti a Lui. Avendo ricevuto la luce del Vangelo e avendo fatto conoscere al mondo intero il grande mistero dell’incarnazione del Verbo e della redenzione degli uomini, la vita di Gesù Cristo, Dio e uomo, penetrò tutte le genti e le permeò tutte con la sua fede, i suoi precetti e le sue leggi. Pertanto, se la società umana deve essere guarita, non può essere guarita che da un ritorno alla vita e ai costumi cristiani, poiché, quando si tratta di restaurare società decadenti, è necessario riportarle ai loro principi. Poiché la perfezione di ogni società risiede nel ricercare e realizzare ciò per cui è stata istituita, cosicché la stessa causa che ha dato origine alla società diventa la causa dei movimenti e delle azioni sociali. Quindi, allontanarsi da ciò che è stabilito è corruzione, ritornare ad esso è guarigione. E in tutta verità, come diciamo di tutta la società umana, lo diciamo anche di quella classe di cittadini che si guadagnano da vivere con il lavoro, i quali sono la stragrande maggioranza» (RN, 21).

Nel testo si possono osservare diversi aspetti. Uno di essi è di estrema attualità per i nostri tempi, caratterizzati dal naturalismo e dal pluralismo religioso: la centralità del Mistero di Cristo: «Gesù Cristo è il principio e il fine di questi benefici, e poiché da Lui procedono, tutti devono essere riferiti a Lui. Avendo ricevuto la luce del Vangelo e avendo fatto conoscere al mondo intero il grande mistero dell’incarnazione del Verbo e della redenzione dell’umanità, la vita di Gesù Cristo, Dio e uomo, ha penetrato tutte le nazioni e le ha permeate tutte con la sua fede, i suoi precetti e le sue leggi». Vale a dire che al centro della civiltà cristiana c’è Gesù Cristo stesso. Non si tratta di un mero ordine giuridico o culturale senza un principio vitale che lo anima. Al contrario: la sorgente della vita della civiltà cristiana è Gesù Cristo stesso, che ha detto di sé: «Io sono la vita» (cfr Gv 14,6).

Nel secondo testo, Leone XIII afferma: “Avete, venerabili fratelli, chi e come debba occuparsi di questa difficile questione. Ciascuno faccia la sua parte, e con la massima sollecitudine, affinché un male di sì grande entità non diventi incurabile per il ritardo nel rimedio. Coloro che governano le nazioni applichino la provvidenza delle leggi e delle istituzioni; i ricchi e i padroni ricordino i loro doveri; i proletari, la cui causa è in gioco, facciano ragionevoli sforzi; e, come abbiamo detto all’inizio, poiché la religione è l’unica che può sanare radicalmente il male, tutti devono adoperarsi per il ripristino dei costumi cristiani, senza i quali anche le stesse misure di prudenza che si ritengono adeguate servirebbero a ben poco alla soluzione. Quanto alla Chiesa, essa non lesinerà mai e in nessun caso i suoi sforzi, prestando tanto maggiore aiuto quanto maggiore è la sua libertà di azione; e coloro che sono incaricati di vegliare sulla salute pubblica ne tengano particolarmente conto. Su questo concentrino i sacri ministri tutte le forze dello spirito e la loro competenza e, preceduti da voi, venerabili fratelli, con la vostra autorità e il vostro esempio, non cessino di inculcare in tutti gli uomini di ogni classe sociale le massime di vita tratte dal Vangelo; combattano con tutte le forze a loro disposizione per la salvezza del popolo e, soprattutto, si sforzino di conservare in sé e di infondere negli altri, dai più grandi ai più piccoli, la carità, signora e regina di tutte le virtù. Poiché la soluzione desiderata si deve attendere anzitutto da una grande effusione di carità, intendiamo la carità cristiana, che riassume in sé tutta la legge del Vangelo e che, pronta in ogni momento a donarsi per il bene degli altri, è l’antidoto più sicuro contro l’egoismo del mondo, e i cui tratti e gradi divini sono stati espressi dall’apostolo san Paolo con queste parole: «La carità è paziente, è benigna, non si attacca al suo interesse; tutto soffre, tutto sopporta» (1 Cor 13,4-7)» (RN, 41).

Si potrebbe distinguere tra i protagonisti della civiltà cristiana con un obbligo comune: «tutti devono impegnarsi a restaurare i costumi cristiani». A seguito della questione sociale sollevata dalla Rerum novarum, si distinguono i datori di lavoro e i lavoratori. L’osservazione di Leone XIII è molto attuale perché fa riferimento a un’idea fondamentale: la vita economica è regolata dalla morale naturale, prima di tutto da quella cristiana. Non esiste alcuna autonomia dell’economia che la ponga “al di là del bene e del male”.

L’esperienza di rileggere i documenti magisteriali in generale e, nel nostro caso, quelli sociali, è estremamente gratificante. Documenti fondamentali come la Rerum novarum di Leone XIII costituiscono una sorta di faro nella lettura e nell’interpretazione dei successivi pronunciamenti magisteriali. Benché affronti un tema specifico come quello del lavoro, la Rerum Novarum lo fa dall’alto del Magistero della Chiesa come depositaria della Rivelazione divina. E ci ricordano che uno degli insegnamenti costanti della Dottrina Sociale è quello della Civiltà Cristiana.



(Foto: Di Philip de László – Galleria nazionale ungherese, wikipedia, Pubblico dominio)




giovedì 8 maggio 2025

Prevost è Papa Leone XIV



Le immagini del nuovo Papa, il 267.mo Successore di Pietro



Robert Francis Prevost, ecco la biografia del nuovo Papa

08 maggio 2025

Primo Papa statunitense, ha quasi 70 anni. Ha scelto il nome di Leone XIV. Già prefetto del Dicastero per i vescovi, è stato eletto alle 18.07, è il 267° Papa della storia

Primo Papa agostiniano, è il secondo Pontefice americano, dopo Francesco, ma a differenza di Bergoglio, il 69.enne statunitense Robert Francis Prevost è nato nel nord del continente ed è stato pastore nel sud dello stesso, prima di essere chiamato dal Predecessore alla guida del Dicastero per i vescovi e della Ponteficia Commissione per l’America Latina.

Il nuovo Vescovo di Roma ha scelto il nome di Leone XIV. Nasce il 14 settembre 1955 a Chicago, nell’Illinois, da Louis Marius Prevost, di origini francesi e italiane, e Mildred Martínez, di origini spagnole. Ha due fratelli, Louis Martín e John Joseph.

Trascorre l'infanzia e l'adolescenza negli Stati Uniti, studiando prima nel Seminario minore dei Padri Agostiniani e poi, alla Villanova University, in Pennsylvania, dove, nel 1977, consegue la laurea in Matematica e studia Filosofia. Il 1° settembre dello stesso anno a Saint Louis entra nel noviziato dell'Ordine di Sant'Agostino (Osa), nella provincia di Nostra Signora del Buon Consiglio di Chicago, ed emette la prima professione il 2 settembre 1978. Il 29 agosto 1981 pronuncia i voti solenni.

Riceve la formazione presso la Catholic Theological Union di Chicago, diplomandosi in Teologia. E all'età di 27 anni viene inviato dai suoi superiori a Roma per studiare Diritto canonico alla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino (Angelicum). Nell’Urbe viene ordinato sacerdote il 19 giugno 1982 nel Collegio agostiniano di Santa Monica da monsignor Jean Jadot, pro-presidente del Pontificio Consiglio per i Non Cristiani, oggi Dicastero per il Dialogo Interreligioso.

Prevost consegue la licenza nel 1984 e l’anno dopo, mentre prepara la tesi di dottorato viene mandato nella missione agostiniana di Chulucanas, a Piura, in Perù (1985-1986). È il 1987 quando discute la tesi dottorale su "Il ruolo del priore locale dell'Ordine di Sant'Agostino" ed è nominato direttore delle vocazioni e direttore delle missioni della Provincia agostiniana “Madre del Buon Consiglio” di Olympia Fields, in Illinois.

L’anno successivo raggiunge la missione di Trujillo, sempre in Perù, come direttore del progetto di formazione comune degli aspiranti agostiniani dei vicariati di Chulucanas, Iquitos e Apurímac. Nell’arco di undici anni ricopre gli incarichi di priore della comunità (1988-1992), direttore della formazione (1988-1998) e insegnante dei professi (1992-1998) e nell'arcidiocesi di Trujillo di vicario giudiziale (1989-1998) e professore di Diritto Canonico, Patristica e Morale nel Seminario maggiore "San Carlos e San Marcelo". Al contempo gli viene anche affidata la cura pastorale di Nostra Signora Madre della Chiesa, eretta successivamente parrocchia con il titolo di Santa Rita (1988-1999), nella periferia povera della città, ed è amministratore parrocchiale di Nostra Signora di Monserrat da 1992 al 1999.

Nel 1999 è eletto priore provinciale della Provincia Agostiniana “Madre del Buon Consiglio” di Chicago, e due anni e mezzo dopo, al Capitolo generale ordinario dell’Ordine di Sant’Agostino, i suoi confratelli lo scelgono come priore generale, confermandolo nel 2007 per un secondo mandato.

Nell'ottobre 2013 torna nella sua Provincia agostiniana, a Chicago, ed è direttore della Formazione nel convento di Sant'Agostino, primo consigliere e vicario provinciale; incarichi che ricopre fino a quando Papa Francesco lo nomina, il 3 novembre 2014, amministratore apostolico della diocesi peruviana di Chiclayo e al contempo vescovo titolare di Sufar. Il 7 novembre fa l’ingresso in diocesi, alla presenza del nunzio apostolico James Patrick Green, che lo ordina vescovo poco più di un mese dopo, il 12 dicembre, festa di Nostra Signora di Guadalupe, nella cattedrale di Santa Maria.

Il suo motto episcopale è “In Illo uno unum”, parole che sant’Agostino ha pronunciato in un sermone, l’Esposizione sul Salmo 127, per spiegare che "sebbene noi cristiani siamo molti, nell'unico Cristo siamo uno".

Il 26 settembre 2015 dal Pontefice argentino è nominato vescovo di Chiclayo e nel marzo 2018 viene eletto secondo vicepresidente del Conferenza episcopale peruviana, all’interno della quale è anche membro del Consiglio economico e presidente della Commissione per la cultura e l'educazione.

Nel 2019 da Francesco è annoverato tra i membri della Congregazione per il Clero e l’anno successivo tra quelli della Congregazione per i Vescovi. Nello stesso 2020, il 15 aprile, arriva la nomina pontificia anche di amministratore apostolico della diocesi peruviana di Callao.

Il 30 gennaio 2023 il Papa lo chiama a Roma come prefetto del Dicastero per i Vescovi e presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, promuovendolo arcivescovo. E nel Concistoro del 30 settembre dello stesso anno lo crea e pubblica cardinale, assegnandogli la diaconia di Santa Monica. Prevost ne prende possesso il 28 gennaio 2024 e come capo dicastero, partecipa agli ultimi viaggi apostolici di Papa Francesco e alla prima e alla seconda sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla sinodalità, svoltesi a Roma rispettivamente dal 4 al 29 ottobre 2023 e dal 2 al 27 ottobre 2024. Un’esperienza nelle assise sinodali già maturata in passato come priore degli agostiniani e rappresentante dell’Unione dei superiori generali (Usg).

Nel frattempo, il 4 ottobre 2023 da Francesco è annoverato tra i membri dei Dicasteri per l'Evangelizzazione, Sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari; per la Dottrina della Fede; per le Chiese Orientali; per il Clero; per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica; per la Cultura e l'Educazione; per i Testi Legislativi; della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano.

Il 6 febbraio di quest’anno, dal Pontefice argentino è promosso all’ordine dei vescovi, ottenendo il Titolo della Chiesa suburbicaria di Albano.

Tre giorni dopo, il 9 febbraio, celebra in piazza San Pietro la Messa - presieduta da Bergoglio - per il Giubileo delle forze armate, secondo grande evento dell'Anno Santo della Speranza.

Durante l’ultimo ricovero del predecessore al Policlinico “Gemelli”, Prevost presiede, il 3 marzo, in piazza San Pietro, il rosario per la salute di Francesco.




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