martedì 15 luglio 2025

MiL: Non Spegneranno La Voce



Il caso “messainlatino.it”: la censura algoritmica e la necessità di una nuova infrastruttura per la trasmissione della Fede integrale



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Simon de Cyrène15 Luglio 2025 

1. Il caso emblematico: un silenzio non neutro

Nel mese di luglio 2025, senza alcun preavviso e con una laconica motivazione legata a una generica “violazione della policy contro l’incitamento all’odio”, il blog messainlatino.it , da anni punto di riferimento per la liturgia tradizionale cattolica, è stato rimosso dalla piattaforma Blogger, di proprietà di Google. Non si tratta di un sito marginale: Messainlatino aveva raggiunto un traffico superiore al milione di visite mensili e raccoglieva contributi di sacerdoti, studiosi e semplici fedeli legati alla Tradizione.

Le reazioni sono state immediate, ma divergenti. Da un lato, diversi giornali e blog hanno denunciato un atto di censura ideologica, segnalando la totale assenza di indicazioni specifiche: quali articoli sarebbero stati “in odio”? Da parte opposta, alcune voci hanno colto l’occasione per accusare il sito di tendenze “reazionarie”, “divisive”, quando non apertamente “antipapali”. Il dibattito si è polarizzato, come quasi sempre accade oggi, lasciando però sullo sfondo la vera domanda: può ancora l’insegnamento cattolico, quello davvero integro e non modernista, trovare spazio stabile negli ambienti digitali di oggi?

2. Censura selettiva e algoritmi: quando l’errore diventa sistema

L’atto censorio non è neutro. Non lo è mai. Ma lo è ancora meno quando il criterio della censura non è dichiarato, o è affidato a formule elastiche e manipolabili come “hate speech”. Chi decide cosa è “odio”? In base a quali parametri? L’annuncio della verità, specie in ambito morale, non è mai indolore. Lo sa bene la Chiesa, che ha proclamato per secoli il peccato dell’aborto, l’oggettiva disordine dell’omosessualità, la regalità sociale di Cristo contro ogni indifferentismo relativista.

In un’epoca in cui la teologia morale cattolica è vista come “discorsivamente violenta” perché rifiuta il dogma laico dell’autodeterminazione assoluta, è “naturale” (sic) che venga letta, o fatta leggere, come espressione d’odio. Ma qui il punto è più profondo: l’algoritmo è un sistema epistemico che non si limita a distribuire contenuti: decide cosa è rilevante, cosa è degno di visibilità, cosa merita di essere cercato e trovato. È, in senso lato, un ordo, un “ordine di significati” che plasma il campo del pensabile. E dove questo ordo non è retto dalla veritas, ma dalla pulsazione dei dati, dal primato dell’emozione, dal diktat del consenso, il Logos si trova espulso.

3. Blogger non è la Chiesa: sulla fragilità dei luoghi digitali prestati


Chi oggi si scandalizza per la chiusura del blog deve anche riconoscere un errore strategico: affidare la trasmissione della Verità a piattaforme gratuite gestite da poteri ostili è un atto di ingenuità. Non si tratta solo di prudenza tecnica, ma di una questione ecclesiologica. Come la liturgia ha bisogno di uno spazio sacro, così l’annuncio della fede integrale ha bisogno di luoghi ordinati al Vero.

La “libertà” concessa da Blogger o YouTube non è che una tregua condizionata. È l’equivalente, in ambito digitale, del diritto di predicare concesso da un potere pagano: tolleranza finché si è irrilevanti o decorativi. Ma appena la parola diventa veramente efficace, cioè quando comincia a mettere in discussione l’ideologia dominante, la porta si richiude. È accaduto mille volte nella storia. Accade oggi con modalità nuove, ma logica identica.

La potestas iurisdictionis, direbbe san Tommaso, è necessaria per il bene comune che, in questo caso, è la visibilità del Vero. Quindi non possiamo pretendere visibilità quando abdichiamo alla nostra giurisdizione sui mezzi.

4. Strategie per il futuro: ricostruire, non solo reagire


a. Costruire infrastrutture proprie

Il primo passo è ovvio: non dipendere da chi ci può spegnere. Ciò significa:
Registrare e gestire direttamente un dominio (es. .org o .catholic).
Evitare piattaforme gratuite o politicamente allineate alla cancel culture.
Usare tecnologie di ridondanza: contenuti duplicati su server propri, copie in IPFS (Internet distribuito), mirroring su siti amici.
Creare canali su piattaforme resilienti (Odysee, Substack, Fediverse/Mastodon), non per “fuggire”, ma per preservare la parola.

b. Federare le voci resistenti

Siamo in tanti, ma divisi. Il mondo tradizionale ha voci brillanti, blog agili, canali video ben fatti. Ma la dispersione li rende facili da spegnere uno ad uno. Serve un Consorzio Veritatis: non una federazione ideologica, ma un’infrastruttura tecnica condivisa: Hosting collettivo.
Condivisione automatica dei contenuti.
Rete di soccorso in caso di attacchi o censura.
Biblioteca digitale comune dei testi fondanti (Encicliche, Padri, Liturgie).

c. Educare alla comunicazione veritativa

Non tutto ciò che è “contro” è “vero”. Non tutto ciò che fa indignare è degno. Serve una teologia della comunicazione, capace di formare autori che siano non solo ortodossi, ma anche ordinati, ieratici, sobri. Come scriveva Romano Guardini:
“La verità si impone con forza solo se rivestita della forma degna di essa. Senza stile, anche la dottrina più alta diventa voce sterile.”
5. Conclusione: il Logos non si lascia bandire

San Giovanni apre il suo Vangelo con una certezza ontologica: “Il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio… la luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno vinta.” (Gv 1,1.5). Nessun algoritmo, nessuna policy, nessuna opacità censoria potrà mai spegnere la forza generativa del Logos. Ma può oscurarlo per milioni di anime se i suoi servitori si rassegnano a delegarne la trasmissione agli strumenti del nemico.

La Tradizione cattolica, quella vera, liturgica, dogmatica, non folklorica, ha sempre saputo che la forma è parte della sostanza. E allora oggi, quando la forma digitale è ostile, non possiamo limitarci a lamentarci della censura ma dobbiamo fondare, come hanno fatto i Benedettini, i Gesuiti, i missionari in terre lontane cioè dobbiamo fondere verità, tecnica e comunità per far vivere la parola della Chiesa anche nell’epoca delle tenebre elettroniche.



Appendice tecnica e teologica

Tecnologie da conoscere:IPFS: rete di contenuti distribuiti, incensurabile.
Fediverse: alternativa decentralizzata ai social.
RSS mutuo: diffusione condivisa di contenuti.
DNS sicuro: server non soggetti a blacklisting.

Riferimenti dottrinali: Inter Mirifica (Conc. Vaticano II): sul dovere dei media cattolici.
Mirari Vos (Gregorio XVI): contro l’errore camuffato da libertà.
Veritatis Splendor (Giovanni Paolo II): verità morale e autorità.
Benedetto XVI, Discorso alla Curia romana, 22 dicembre 2005: sull’ermeneutica della continuità e la comunicazione.





Ddl suicidio assistito illecito: permette la depenalizzazione



L’avvocato Domenico Menorello commenta sul Timone il nostro articolo critico verso il suo intervento a sostegno del Ddl sul suicidio assistito. Ma tace sulla riflessione cardine sul dovere dell’ordinamento di tutelare la vita umana. E dunque sul fatto che la depenalizzazione all'art 2 è moralmente illecita. Una controrisposta, alla luce del Magistero.


Risposta a Menorello


Tommaso Scandroglio, 15-07-2025

Venerdì scorso avevamo censurato in più punti un articolo a firma di Domenico Menorello apparso su Avvenire in appoggio al disegno di legge sul suicidio assistito in esame al Senato. Ieri Menorello ha commentato il nostro articolo sul sito de il Timone.

Rispondiamo a nostra volta a Menorello. Innanzitutto questi sostiene che nel testo del Ddl ci siano aspetti positivi. Ad esempio ci sarebbe il divieto per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) di prestare assistenza al suicidio. Tale aspetto positivo è conforme all’indicazione di Evangelium vitae (EV, 4) che stigmatizza gli interventi delle strutture sanitarie volti a disporre della vita umana. Risposta: con questo Ddl al posto del SSN ci sarà un Comitato nazionale di valutazione che ogni volta che esprimerà un parere positivo al suicidio assistito collaborerà formalmente ad un atto malvagio, rientrando così nella condanna presente nell’EV.

Inoltre, secondo Menorello, qualsiasi atto civile e amministrativo volto ad attentare alla vita sarebbe nullo ex art. 1 comma 2 del Ddl. Ma sempre l’art. 1 c. 2 aggiunge che fanno eccezione quegli atti consoni al contenuto del Ddl, ossia finalizzati all’aiuto al suicidio. Scrive poi il "Nostro": «Né trovo [nel Ddl] norme che permettano, sul piano giuridico, l’aiuto al suicidio». La permissione può avvenire tramite la legittimazione (riconoscimento/assegnazione di un diritto) o la depenalizzazione (nessuna sanzione). L’art. 2 del Ddl depenalizza in alcuni casi il reato di aiuto al suicidio, quindi permette l’aiuto al suicidio.

Considerazione più generale riguardo a quelle disposizioni eticamente lecite contenute nel Ddl: è vero che l’art. 1 afferma che «Il diritto alla vita è diritto fondamentale della persona» e che «La Repubblica assicura la tutela della vita di ogni persona». Ma è uno specchietto per le allodole. L’art. 1 dice di tutelare la vita e poi già all’art. 2 ritira questa tutela permettendo l’aiuto al suicidio. È evidente la contraddizione. Nulla di nuovo, è il ruolo degli artt. 1 delle leggi eticamente sensibili che vengono scritti per quietare le coscienze degli allocchi: vedi l’art. 1 della 194/1978, in cui si afferma di tutelare la maternità e poi vengono indicati gli strumenti per uccidere il figlio, e vedi l'art. 1 della legge 40/2004, in cui si afferma di assicurare i diritti anche del concepito per poi indicare una procedura che attenta al suo diritto alla vita. Insomma, si tratta di mere dichiarazioni di principio sconfessate poi dalla pratica indicata dagli articolati delle stesse leggi.

Inoltre c’è un problema morale per chi vota queste leggi eticamente miste: il voto a favore significa dal punto di vista etico “approvazione”. Chi vota a favore di una legge approva tutti gli articoli di legge, sia quelli moralmente leciti (come l’art. 1 del presente Ddl), sia quelli illeciti (come ad es. l’art. 2). È come la firma a piè di pagina di un contratto: firmando si accettano tutte le clausole in esso contenute. Dunque basta un solo articolo o disposizione contraria a morale naturale per impedire di votare a favore di un’intera legge, perché questa diventerebbe tutta ingiusta. Così l’Aquinate: «Se in qualche cosa [la legge] è contraria alla legge naturale, non è più legge ma corruzione della legge» (Summa Theologiae, I-II, q. 95, a. 2, co.).

Proseguiamo. Menorello sostiene che il Ddl restringerebbe assai il bacino di possibili candidati all’aiuto al suicidio e si spinge a dire che rimarrebbero solo alcune «ipotesi più vicino a casi di accanimento terapeutico». In realtà, in accordo ai criteri indicati dal Ddl che addirittura appaiono di portata più ampia rispetto alla sentenza n. 135/2024 della Corte Costituzionale (clicca qui), il bacino di utenza sarebbe assai vasto: pensiamo solo ai pazienti cardiopatici con bypass coronarico o pazienti in dialisi. Tutti dipendenti da «trattamenti sostitutivi di funzioni vitali» come disciplina la legge.

Menorello poi mette in rilievo un altro aspetto positivo della legge: la condotta dell’aiuto al suicidio rimane un illecito giuridico seppur non sanzionabile. Due riflessioni. La prima: è contraddittorio che il Comitato possa avallare una condotta giuridicamente illecita seppur non meritevole di pena. Quale ente di natura governativa potrebbe eventualmente avallare un illecito? Allora è più ragionevole la seguente conclusione: laddove ci sono criteri, procedure ed enti preposti alla verifica, la condotta volta ad aiutare qualcuno a morire si avvicina più ad essere un diritto che un reato depenalizzato.

Seconda riflessione, che è quella cardine che avevamo già fatto nel precedente articolo e su cui Menorello invece ha taciuto: ogni ordinamento giuridico deve tutelare la vita umana anche dalle aggressioni provenienti dallo stesso titolare del diritto alla vita (altrimenti il poliziotto che strappasse a forza il tentato suicida dal cornicione dovrebbe finire in carcere per violenza privata). Il bene vita, oggetto di tutela, merita una risposta adeguata da parte dello Stato qualora ci fosse un attentato ad esso. Ergo è doveroso vietare il suicidio assistito. Depenalizzarlo è atto immorale. Ce lo ricorda proprio EV: «Larghi strati dell'opinione pubblica giustificano alcuni delitti contro la vita […] e […] ne pretendono non solo l'impunità, ma persino l'autorizzazione da parte dello Stato. […] Il fatto che le legislazioni di molti Paesi […] abbiano acconsentito a non punire o addirittura a riconoscere la piena legittimità di tali pratiche contro la vita è insieme sintomo preoccupante e causa non marginale di un grave crollo morale» (4). Dunque, una norma che legittima la depenalizzazione è una norma ingiusta e quindi non può essere votata. Qui sta il punto eticamente insuperabile.

Il Nostro poi chiama in causa il Magistero. L’EV al n. 18 (e non al n. 19 come scrive Menorello) ricorda che la responsabilità personale in merito ai delitti contro la vita può essere attenuata a motivo di diversi fattori: sofferenza, solitudine, etc. Menorello considera la depenalizzazione del reato di aiuto al suicidio la traduzione giuridica di questo principio morale. Non stanno così le cose. Il Magistero non ci sta dicendo di non punire chi compie un atto contrario al bene comune, dato che al n. 4 dell’EV si afferma esattamente l’opposto, ma semmai potrebbe affermare che è giusto temperare la pena a seconda del grado di responsabilità.

Menorello chiude affermando che questo Ddl, alla luce del n. 73 dell’EV, è eticamente legittimo dato che prevede di limitare i danni (il suo contenuto è migliore rispetto alle indicazioni della Consulta e alla prassi ormai diffusa e previene leggi peggiori) stante lo stato di necessità che rende impossibile non avere una legge su questa materia. Ma l’applicazione del n. 73 dell’EV al presente Ddl è errata. Come già appuntavamo la scorsa volta, la limitazione del danno e lo stato di necessità in effetti esistono, ma ciò non legittima il voto a favore di una norma che è intrinsecamente ingiusta.

Un esempio. Un comandante nazista ha deciso di fucilare 10 innocenti di un paesino. Però il comandante ha aggiunto che, se il plotone di esecuzione sarà formato dagli abitanti di quel borgo, allora gli innocenti da fucilare saranno solo due. Nessun abitante del paesino potrebbe lecitamente premere il grilletto, perché non si può compiere il male (uccidere l’innocente) al fine di evitare un male più grande, al fine di limitare i danni (ridurre il numero di vittime innocenti), anche in stato di necessità (se non verranno uccisi due innocenti ne moriranno dieci). Parimenti non è lecito votare una legge ingiusta al fine di limitare i danni anche se tale legge sarà inevitabile.

A tal proposito: è certo che l’effetto contrario alla morale ci sarà (una legge ingiusta prima o poi ci sarà), ma non è certo chi sarà il soggetto colpevole di quell’effetto. Questo sta alla libertà delle persone. Saranno i nazisti a compiere il male maggiore, non gli abitanti del paesino e a questi non potrà essere rimproverato di non essere intervenuti per evitare la strage, perché l’unico atto possibile per evitarla sarebbe stato esso stesso un illecito morale. Dunque la responsabilità del varo di una legge ancor più ingiusta non graverà sulla coscienza di quei parlamentari che si saranno sottratti dal votare il presente Ddl, bensì su chi la voterà. A volte il maggior bene possibile è l’astensione dal male, non essendoci alternative eticamente lecite.

In sintesi l’azione di limitazione del danno permessa dal n. 73 dell’EV deve essere essa stessa eticamente lecita. Ce lo dice il Magistero. Innanzitutto ricordiamo un altro passaggio del n. 73 in cui viene citata un’affermazione della Congregazione per la Dottrina della Fede presa dal n. 22 della Dichiarazione sull’aborto procurato: «Nel caso quindi di una legge intrinsecamente ingiusta, come è quella che ammette l'aborto o l'eutanasia, non è mai lecito conformarsi ad essa, “né partecipare ad una campagna di opinione in favore di una legge siffatta, né dare ad essa il suffragio del proprio voto”». Poi ricordiamo, della stessa Congregazione, la Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica laddove cita la terza sezione del n. 73 dell’EV: «In questo contesto [quello evocato dal n. 73], è necessario aggiungere che la coscienza cristiana ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l’attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti» (n. 4). Queste due dichiarazioni non fanno cenno alcuno ad eccezioni quali lo stato di necessità o l’intenzione buona di limitare i danni, ciò in aderenza al principio che se un’azione è intrinsecamente ingiusta (ad. esempio votare a favore di una legge ingiusta) tale rimane al di là delle condizioni e dei fini secondi buoni.





Quanti danni fanno i cattolici della riduzione del danno sul fine vita



Ogni volta che si pone un grave problema legislativo su un rilevante tema etico ove sia in ballo qualche principio non negoziabile emerge sempre qualcuno che propone una riduzione del danno. I cattolici fanno una gran fatica ad imparare dal passato: i paletti cadranno uno dopo l'altro.



Stefano Fontana, 15-07-2025

L’intervento di Domenico Menorello sul tema del suicidio assistito, in polemica con la posizione espressa dalla Bussola tramite un articolo di Tommaso Scandroglio, viene ospitato da Il Timone - come si legge nella introduzione del direttore -, data l’importanza del tema e per favorire il dialogo e il confronto. Al dialogo e al confronto nemmeno noi ci sottraiamo, ma non senza osservare che ancora una volta la cosa dimostra la divisione tra i cattolici. Siccome ciò è avvenuto sistematicamente in passato, a cominciare dalla legge sul divorzio, ne deriva che dialogo e confronto sono serviti a ben poco.

Sconforta prevedere che servirà a poco anche questa volta. Anche perché quelle poche volte che ci sembrava di aver trovato un’unità, come al Circo Massimo nel caso del Family Day (12 maggio 2007), si è poi dovuto constatare che le idee di chi era sul palco non collimavano proprio in tutto, come allora sembrava. E pensare che allora la nostra “unità” aveva alle spalle un documento dei vescovi – quello contro le coppie di fatto – molto preciso e deciso, cosa non più ripetutasi in seguito e men che meno oggi, quando da via della Conciliazione arriva solo l’invito al dialogo, appunto.

Ogni volta che si pone un grave problema legislativo e politico su un rilevante tema etico ove sia in ballo qualche principio non negoziabile emerge sempre qualcuno che propone interventi di riduzione del danno. Anche in questo caso è così. Lascio agli esperti chiarire perché il disegno di legge governativo introduca la liceità dell’aiuto al suicidio, dopo che la Corte costituzionale ne ha introdotto la depenalizzazione quando ricorrono quattro casi.

Sottolineo solo che i cattolici fanno una gran fatica ad imparare dal passato e ancora oggi si aggrappano ai primi articoli del disegno di legge nei quali si condanna il suicidio assistito. Ma anche la 194 sull’aborto dice nei suoi primi articoli che la vita va tutelata in modo assoluto. Avere insistito su questa illusione ottica ha prodotto due risultati: ha finito per convertire anche la gerarchia ecclesiastica sulla bontà della legge e ha contribuito ad accettare di fatto la eliminazione di alcuni paletti che la legge prevedeva, sicché ci si è appiattiti sulla necessità di applicarla bene. Con la fine di ogni seria contestazione. Lo stesso capita oggi con il suicidio assistito.

Anche Massimo Gandolfini ha sostenuto – a ragione – che se verrà approvata questa legge, tutti i paletti da essa posti verranno travolti uno dopo l’altro. Tutte le leggi contro la vita e la famiglia, dalla Loris-Fortuna sul divorzio in Italia, alla “loi Veil” sull’aborto in Francia, erano ricche di paletti …ma poi si è arrivati all’aborto generalizzato e immotivato e alle unioni civili anche tra omosessuali. Tutti sanno che la legge è sempre più di un testo scritto e la sua influenza sulla vita civile e politica è più ampia del solo livello giuridico. Su questo abbiamo alle spalle una lunga storia, da cui non abbiamo imparato niente.

Oltre a questo, c’è forse anche una spiegazione più ampia del puntuale arrivo, in casi di questo tipo, dei volonterosi che intendono perseguire il male minore o ridurre i danni di una legge ingiusta, però approvandola. Mi riferisco alla carenza di una visione complessiva della società che dovrebbe essere loro fornita dalla Dottrina sociale della Chiesa. Senza questo si finisce per concentrarsi sul tema circoscritto per trovare delle soluzioni specifiche, perdendo però di vista il quadro generale dei principi in gioco e le influenze reciproche dei vari criteri di giudizio.

Per esempio, si assume senza critica quanto stabilito dalla Corte costituzionale, ossia la depenalizzazione dell’aiuto al suicidio in certi casi, e da lì si parte, mentre la Dottrina sociale della Chiesa fornisce principi sulla legge e sulle istituzioni che richiederebbero altri atteggiamenti, molto più critici e liberi da indebiti ossequi. Non è scritto da nessuna parte che, dopo la sentenza della Consulta, il Parlamento sia obbligato a legiferare sul punto.

Le esigenze della Dottrina sociale, infatti, direbbero piuttosto di non farlo, e quando si tratta di principi non negoziabili, l’appello della gerarchia ecclesiastica al dialogo sempre e comunque non giustifica una posizione condiscendente dei polititi cattolici. Per chiarire questi collegamenti è però necessario condividere il quadro sistemico – la Dottrina sociale è un “corpus dottrinale” e non solo un'applicazione della prudenza in situazione – della dottrina sociale cattolica. Il cattolico impegnato in politica, infatti, non è chiamato a “risolvere il caso” ma a costruire la società cristiana che, proprio perché tale, è anche umana.

Infine, c’è un punto ancora più delicato. Certamente il tema del suicidio assistito è a portata anche della sola ragione e del diritto naturale. I cattolici dovrebbero chiedersi però cosa significhi oggi parlare di diritto naturale ad uno Stato che non ne conosce minimamente la nozione. Essi arrivano al dunque, come in questo caso, senza avere alle spalle un'azione culturale e prepolitica affinché quel concetto, ed altri con esso, penetri nelle menti. Inoltre, con la scusa che l’argomento è di ordine razionale e naturale, scendono essi stessi solo su questo campo, dimenticando il piano della fede considerato inutile nella società laica. Ma senza il sostegno delle verità di fede, anche quelle di ragione vacillano.

Mentre i cattolici continuano così, gli “altri” gongolano, contenti di vederci dialogare tra noi perché divisi. Se questo disegno di legge, in discussione al Senato dal prossimo 17 luglio, dovesse passare, ciò avverrà, ancora una volta, con l’aiuto dei cattolici. Quelli della riduzione del danno, naturalmente.





La bandiera Ue è ispirata alla Madonna ma la presidente Ue la censura





Von der Leyen celebra la bandiera Ue (e dimentica la Madonna)


di Giuliano Guzzo, 1 Luglio 2025

Tu chiamale, se vuoi, figuracce. Una politica che alle gaffe risulta saldamente abbonata – è ormai ai livelli dell’indimenticabile Jean-Claude Juncker e in scia a Joe Biden – è Ursula von der Leyen la quale, essendo presidente della Commissione dell’Unione europea, ha pensato bene di segnalare a tutti che, udite udite, ignora perfino la più recente storia europea. La spettacolare performance si è consumata sui profili social ufficiali della von der Leyen, che due giorni fa ha scritto: «Il 29 giugno 1985, i leader europei scelsero un simbolo che avrebbe resistito alla prova del tempo. Dodici stelle dorate in un cerchio. Un simbolo potente di ciò che siamo e di ciò che rappresentiamo: unità e pace, democrazia e solidarietà. Oggi celebriamo i 40 anni della nostra bandiera comune».

Ora, già accostare allegramente all’Unione europea a parole impegnative quali «unità e pace, democrazia e solidarietà», se non un azzardo, appare comunque un esercizio temerario. Ma, non già da passante bensì da presidente della Commissione europea, pure dimostrare al mondo di non sapere – o censurare volutamente, scegliete cosa sia peggio – il significato delle «dodici stelle dorate in un cerchio» che rappresentano la bandiera europea, ecco, è inqualificabile. Urge pertanto ricordare alla signora von der Leyen, come le «dodici stelle dorate in un cerchio» non siano un omaggio ad «unità e pace, democrazia e solidarietà» – tutte cose importanti, sia chiaro, soprattutto quanto vere e non citate tanto per -, bensì una scelta precisa.

Quale scelta? Quella compiuta da chi la bandiera europea l’ha realizzata, vale a dire il cattolico Arsène Heitz (1908–1989), il quale, da devoto alla Madonna, pensò alle dodici stelle sul blu mariano che tutti conosciamo. Per la precisione, Heitz ammise di essersi ispirato ad un passaggio dell’Apocalisse che per i cattolici anticipa la figura della Madre di Dio: «Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle». Rimane vero che tale interpretazione non è mai stata convalidata dalle istituzioni europee, ma è anche vero che – se era il 29 giugno 1985 quando la Comunità economica maturò la scelta definitiva d’adottare quella che sappiamo come bandiera dell’Europa unita – la bandiera fu per la prima volta adottata dal Consiglio d’Europa proprio l’8 dicembre 1955: la Festa dell’Immacolata. C’è di più.

Sappiamo che Heitz fu molto esplicito nel dichiarare la genesi della sua opera, raccontando a padre Pierre Caillon nel 1987 quanto segue: «Mi sentii ispirato da Dio nel concepire un vessillo tutto azzurro su cui si stagliava un cerchio di stelle, come quello della medaglia miracolosa. Cosicché la bandiera europea è quella di Nostra Signora». Chiaro? Con tutto il rispetto per «unità e pace, democrazia e solidarietà», il senso originale di quella bandiera è questo. Ma, a ben vedere, la gaffe – o la censura – di Ursula von der Leyen non sorprendono. L’Unione europea che la bionda signora tedesca presiede, infatti, è pur sempre la stessa che chiuse le porte in faccia a Papa San Giovanni Paolo II, allorquando chiese il riconoscimento delle radici cristiane del Continente. Un riconoscimento che chiunque di intellettualmente onesto avrebbe dovuto fare all’istante, ma i cervelloni di Bruxelles la pensavano diversamente. Ed oggi Ursula von der Leyen si colloca perfettamente in questa tradizione cristianofobia che pure si presenta come tollerante ed inclusiva. A parole.



(Foto: Imagoeconomica)


lunedì 14 luglio 2025

Mons. Strickland. Quando i lupi indossano i paramenti: L'ASSEDIO SINODALE all'interno della Chiesa





Vescovo Joseph E. Strickland, Vescovo Emerito di Tyler, 10 luglio 2025


Cari fratelli e sorelle in Cristo,

Ci sono momenti nella storia della Chiesa in cui le pecore devono alzare lo sguardo, non a causa delle tempeste che arrivano dal mondo, ma perché gli stessi pastori hanno taciuto... O peggio, si sono uniti ai lupi. San Paolo una volta avvertì la Chiesa di Efeso con chiarezza penetrante: “Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge” (Atti 20, 29).

E quei lupi sono arrivati. Indossano i paramenti. Parlano di misericordia, ma si fanno beffe della verità. Predicano l'inclusione, ma escludono la fedeltà al Deposito della Fede. Benedicono ciò che Dio ha chiamato peccato. Stiamo vivendo da cima a fondo un assedio, non dal di fuori (della Chiesa) ma dall'interno. Questa è l'ora del tradimento, non dissimile dal giardino del Getsemani. Ma questa volta i traditori indossano le mitrie e portano i pastorali.

La Croce è ancora qui. L'Eucaristia è ancora qui. Ma siamo circondati da uomini prezzolati che abbandonano le pecore o, peggio ancora, le sviano tra le spine.

Voglio essere chiaro. Questa crisi non è una semplice confusione, è una rivoluzione calcolata. Una rivoluzione contro la dottrina. Contro l'ordine. Contro la natura stessa della Chiesa come è stata divinamente istituita da Cristo.

E così oggi, voglio portarvi in un percorso suddiviso in tre parti attraverso questa realtà.

Parte I: i lupi dentro le mura


Morgan Scott Peck ha iniziato il suo famoso libro, “La strada meno percorsa” , con tre parole: “La vita è difficile”. Ma anche questa semplice verità è ora rifiutata, non solo dal mondo, ma anche all'interno della Chiesa. Ci viene detto che la Croce è facoltativa. Quella santità è oppressiva. Quella dottrina divide, mentre il dialogo unisce.

Ma Cristo non ha offerto il dialogo. Egli offrì le Sue piaghe. Non ha costruito un centro comunitario, Egli fondò una Chiesa, “edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù” (Efesini 2, 20).

E Lui disse chiaramente: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Matteo 16, 24). Dove sono ora queste parole? Invece, sentiamo sermoni sugli ecosistemi e sulla fratellanza umana. Ci vengono dati slogan sinodali, ma nessun richiamo al pentimento. Ci vengono consegnati documenti, non la dottrina, consultazioni, non i comandamenti.

Il Beato Papa Pio XII aveva avvertito: “Il peccato del secolo è la perdita del senso del peccato” (Messaggio radiofonico al Congresso Catechetico Nazionale degli Stati Uniti a Boston, 26 ottobre 1946). E ora, il peccato non è nemmeno più menzionato. Viene rinominato. Viene “fiancheggiato” . Viene “pastoralmente benedetto”. Ma mai denunciato.

P. James Martin continua a benedire le unioni omosessuali. Il cardinale McElroy minimizza il peccato sessuale in nome di una “inclusione radicale”. La Messa Tradizionale in latino – la Messa dei santi – è stata soppressa. E lo stesso Deposito della Fede è trattato come un pezzo da museo a cui dare una nuova forma.

Ma come ha dichiarato Papa Benedetto XVI: “Ciò che le generazioni precedenti consideravano sacro, rimane sacro e grande anche per noi” (Lettera ai Vescovi, 7 luglio 2007). E Papa San Pio V proclamò solennemente: “Questa presente Costituzione non potrà mai essere revocata o modificata, ma rimarrà per sempre valida e avrà la forza di legge” (Quo Primum, 14 luglio 1570). Crediamo a loro? O seguiamo il “cammino sinodale” promosso dal cosiddetto Sinodo sulla Sinodalità?

Il profeta Isaia vide questo giorno e gridò: “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre” (Isaia 5, 20). E Papa San Pio X avvertiva: “I fautori dell'errore già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista” (Papa San Pio X, Pascendi Dominici Gregis, 8 settembre 1907).

Stiamo vivendo quella profezia. Il Sinodo sulla Sinodalità è diventato una cortina fumogena per la trasformazione ecclesiale. Non rinnovamento, ma reinvenzione. Non la Pentecoste, ma Babele. Ci viene detto di “ascoltare il popolo di Dio”. Ma non quando queste persone si inginocchiano per la Messa in latino. Non quando invitano alla riverenza, alla penitenza o alla purezza. No, allora quelle voci vengono liquidate come troppo rigide, troppo tradizionali. Ma la voce di Cristo parla ancora, attraverso la Scrittura, la Sacra Tradizione e il Magistero della Chiesa giustamente tramandato: “Non vi fate illusioni: non ci si può prendere gioco di Dio” (Galati 6, 7).

Cari amici, questo completa la prima tappa del nostro cammino. Abbiamo dato un nome alle ferite. Nella Parte II, esamineremo il macchinario della rivoluzione; la stessa Struttura Sinodale – il suo linguaggio, i suoi obiettivi e i suoi gravi pericoli. Dobbiamo sapere come si muove il nemico se vogliamo proteggere il gregge. Eppure non dobbiamo disperare. Perché quando i lupi si aggirano, il Pastore rimane. Mentre i mercenari fuggono, i santi sorgono. Mentre gli altari vengono derisi, la Lampada del Santuario arde ancora perché il Tabernacolo non è vuoto. Mantenetevi saldi: ”Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!” (Giovanni 16, 33).

Parte II: l'assedio sinodale

Entriamo ora nella seconda fase di questo avvertimento: I lupi hanno un nome. Anche le loro tattiche hanno un nome: Sinodalità. Non Sinodalità come la Chiesa l'ha sempre intesa – consultazione collegiale sotto l'autorità del papa – ma una ridefinizione. Un “nuovo modo di essere Chiesa”, come lo chiamano oggi.

Ma siamo chiari: ciò che viene proposto all'insegna della Sinodalità non è altro che la decostruzione della Chiesa gerarchica, sacramentale, apostolica e il sorgere di qualcosa di nuovo, indefinito e pericoloso. Secondo l'introduzione ufficiale del Vaticano, il Sinodo sulla Sinodalità è descritto come un “processo di ascolto e discernimento”. Ma ciò che ascolta sono i sentimenti e quello che discerne è il compromesso. Invece di proclamare il Vangelo, questo Sinodo cerca di rifare il Vangelo a immagine dell'uomo caduto. I documenti preparatori del Sinodo parlano di “inclusione” e di “camminare insieme”. 
Ma verso cosa? 

Verso l'accettazione delle relazioni omosessuali;
Verso le benedizioni per i divorziati e i risposati;
Verso l'inversione del sacerdozio maschile attraverso una spinta per le donne diacono;
Verso la soppressione della Messa tradizionale in latino, nell'illusione che sia una minaccia per l'unità.

Questa non è sensibilità pastorale. Questa è sovversione spirituale. Come ha avvertito il cardinale Raymond Burke: “L'idea che la dottrina della Chiesa debba conformarsi alle voci dei fedeli è un grave errore” (Intervista con il cardinale Raymond Burke, The Wanderer, luglio 2023). La Chiesa non è una democrazia. È una monarchia, con Cristo come Re. “Un nuovo modo di essere Chiesa”: questa frase ricorre più volte nei documenti del Sinodo. Ma un nuovo modo implica che il vecchio modo sia incompleto. Questo è falso. La Chiesa fondata da Cristo non è incompleta. I suoi traditori sono incompleti. I suoi lupi sono ciechi.

Papa Leone XIII ci ricordava: “Non ci può essere nulla di più pericoloso di quegli eretici che, pur conservando il nome di cristiani, con subdola astuzia introducono dottrine erronee” (Papa Leone XIII, Satis Cognitum, 29 giugno 1896). E i rivoluzionari sinodali di oggi si adattano perfettamente a questo avvertimento. Nel documento di lavoro del Sinodo, il paragrafo 60 afferma: “Una Chiesa sinodale è una Chiesa in ascolto... pronta a essere messa in discussione dai discorsi del nostro tempo” (Instrumentum laboris per il Sinodo sulla sinodalità, 2023).

Ma il Vangelo non è messo in discussione dal mondo. Mette in discussione il mondo. I santi non ascoltavano i tempi, gridavano contro di essi. Santa Caterina da Siena, la grande riformatrice del papato, una volta scrisse: “Proclama la verità e non tacere per paura” (Lettera a Papa Gregorio XI, 1376).

E ora noi tacciamo, in nome del dialogo. Il cammino sinodale è lastricato con il linguaggio dell'inclusione ma porta all'esclusione: esclusione della Tradizione, del sacrificio, della verità oggettiva. I suoi architetti invocano il “discernimento spirituale” ma rifiutano ogni assoluto morale che Cristo ha insegnato. I suoi apologeti invocano “l'unità” ma spaccano il gregge allontanando i fedeli cattolici. Le autorità della Chiesa ci dicono: Che la Chiesa deve ascoltare le persone più che proclamare a loro;
Che la dottrina deve svilupparsi assorbendo la voce della cultura;
Che la liturgia deve evolversi per adattarsi alle espressioni ecologiche e indigene.

Questo non è cattolicesimo. È relativismo clericalizzato. E gli stessi Apostoli ci danno l'antidoto: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5, 29). “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre! Non lasciatevi sviare da dottrine estranee e peregrine” (Ebrei 13, 8-9). Mentre il Sinodo avanza, calpesta ciò che ha nutrito i santi: La Messa dei Secoli viene etichettata come divisiva;
Il chiaro insegnamento sul peccato sessuale viene dichiarato spietato;
Il sacerdozio di Cristo viene appiattito in burocrazia;
E il Rosario e l'Adorazione Eucaristica sono a malapena menzionati.

Questo non è un rinnovamento. Si tratta di una demolizione controllata. Ma il Signore non viene beffato. Egli vede. Egli aspetta. Ed Egli purificherà il Suo Tempio. Sant'Atanasio una volta dichiarò durante l'eresia ariana: “Loro hanno gli edifici, ma noi abbiamo la fede” (Sant'Atanasio, Lettera al suo gregge durante la crisi ariana). E oggi, anche se i lupi sinodali possono occupare le sale di Roma, la Fede rimane: ovunque Cristo viene adorato, ovunque la Beata Vergine Maria viene onorata, ovunque il Catechismo viene insegnato con chiarezza e coraggio. E la nostra missione rimane la stessa:
Stare in piedi.
Parlare.
Rimanere fedeli.

Perché, come scrisse San Paolo a Timoteo: “Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina” (2 Timoteo 4, 2-3). Quel tempo è adesso. Nella Parte III, passeremo dagli avvertimenti alle armi. Armi spirituali. Esporremo come i fedeli possono resistere a questa rivoluzione, non con amarezza, ma con il Santo Rosario, la riparazione eucaristica, gli atti di fedeltà e il coraggio dei santi.
Noi non siamo orfani.
Noi siamo soldati di Cristo.
E le porte degli inferi non prevarranno.

Parte III: Le Armi dei Fedeli 

Abbiamo dato un nome ai lupi. Abbiamo smascherato l'assedio sinodale. Ora dobbiamo combattere, non con la rabbia, non con la ribellione, ma con la verità, il sacrificio e l'amore che è radicato in Cristo. Questa è l'ora della battaglia. Non contro gli uomini ma contro le tenebre: dentro di noi, dentro la nostra Chiesa, dentro questa mascherata sinodale che ammanta l'eresia con le vesti della misericordia. È tempo di prendere le armi dei fedeli. Le armi spirituali che i santi hanno impugnato, i martiri hanno abbracciato e la Madonna ha messo nelle nostre mani.

1. Il Santo Rosario

Quando la Madonna apparve a Fatima nel 1917, diede un chiaro comando: “Pregate il Rosario ogni giorno, per ottenere la pace per il mondo e la fine della guerra”. Suor Lucia di Fatima in seguito disse: “Non c'è alcun problema, io vi dico, non importa quanto difficile esso sia che non possa essere risolto con la preghiera del Santo Rosario”. Non si tratta di una devozione da poco. Questa è una frombola nelle mani dei nuovi Davide. Mentre i lupi si radunano alle porte, e mentre i documenti sinodali si riversano come inchiostro avvelenato in tutto il globo, noi rispondiamo con i grani nella mano, con le Ave Marie sussurrate da vecchi e giovani, in latino e in inglese, nelle case e nei campi di battaglia.

2. La Santa Eucaristia

Questa è l'ora della riparazione eucaristica. Dobbiamo piangere vicino al tabernacolo. Dobbiamo inginocchiarci dove così tanti ora camminano con disinvoltura. Dobbiamo offrirGli amore dove Egli è più ferito. San Padre Pio disse: “Sarebbe più facile per il mondo sopravvivere senza il sole che senza il Santo Sacrificio della Messa”. Eppure, che cosa ha fatto il Sinodo? Soppresso la Messa in latino;
Marginalizzato l’Adorazione Eucaristica;
Sostituito lo stupore con l'applauso.

Quindi dobbiamo andare da Lui – frequentemente, riverentemente e con la riparazione nei nostri cuori. Ogni Ora Santa è un colpo contro la rivoluzione sinodale. Ogni sussurro, “Mio Signore e Mio Dio”, è uno scudo per la Chiesa: “Gustate e vedete quanto è buono il Signore; beato l'uomo che in lui si rifugia” (Salmo 33, 9).

3. Digiuno e penitenza

I demòni che affrontiamo non sono meramente ideologici. Essi sono infernali. E Nostro Signore ci ha detto chiaramente: “Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera e il digiuno”(Marco 9, 28).

I lupi banchettano con il lusso, con le conferenze, con gli applausi. Noi digiuniamo, per la gloria di Cristo e la purificazione della Sua Chiesa. Imitate Ninive. Imitate San Francesco. Imitate la Madonna Addolorata. Facciamo diventare i venerdì di riparazione una norma nelle nostre vite. Diamoci i primi sabati a molte visite al Santissimo Sacramento e offriamo dei sacrifici che nessuno vede. Nostro Signore vede. E il Cuore Immacolato di Maria attende la nostra risposta.

4. Discorso chiaro

Non dobbiamo tacere. Non ora. San Tommaso d'Aquino insegna: “È meglio essere gettati in mare con una macina da mulino al collo che scandalizzare uno di questi piccoli” (cfr Summa Theologiae, basato su Luca 17, 2). Stiamo assistendo a missioni che sono scandalizzate da pastori in paramenti sinodali confusi, manipolati, ingannati. Quindi dobbiamo parlare con chiarezza: Le benedizioni tra persone dello stesso sesso sono una bestemmia.
Maschio e femmina Li creò.
La Messa in latino non è una minaccia: è un tesoro.
La misericordia senza pentimento è una menzogna.
Papa San Pio X tuonò: “I veri amici del popolo non sono né i rivoluzionari né gli innovatori ma i tradizionalisti” (Notre Charge Apostolique, 25 agosto 1970). Se ci chiamano rigidi, così sia. La verità è rigida. E le spine dei santi erano tenute rigide dalla grazia di Dio. Che ci chiamino farisei, fondamentalisti, reliquie di un'epoca passata. Siamo reliquie, perché siamo eredi. Non siamo pezzi da museo, siamo i custodi del tesoro.

5. Comunità fedeli

Questa battaglia non sarà vinta da soli. Dobbiamo formare comunità forti: famiglie, parrocchie, apostolati, scuole cattoliche e casolari. Che ci siano processioni eucaristiche per le strade.
Che ci siano altari mariani in ogni casa.
Che i genitori cattolici siano innanzitutto cattolici, non mondani.
Che i nostri figli siano catechizzati dai santi, non dagli schermi.
San Giovanni Bosco diceva: “Solo due cose possono salvarci in questa crisi attuale: la devozione a Maria e la Comunione frequente”.
Mio amato gregge, non siamo nati per la tranquillità. Siamo nati per combattere.

I lupi indossano i paramenti. Il sinodo parla con un'eresia mielata.

Ma Cristo regna ancora.
Il Suo Sacro Cuore batte ancora.
Il Cuore Immacolato trionfa ancora.
E la verità è ancora vera, immutata e immutabile.
“Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!” (Ebrei 13, 8).In sintesi, con la voce di un pastore, vi dico questo:

NON LASCIATE LA CHIESA.
Non scappate dalla battaglia.
State sulla breccia.
Inginocchiatevi in Adorazione.
Pregate con le lacrime.
Parlate senza paura.
E combattete con amore.
I lupi sono reali.
Ma l'Agnello è sul trono.
E le porte degli inferi non prevarranno.
Rimanete fedeli.
Rimanete vigili.
E rimanete nel Cuore di Cristo.

Che Dio Onnipotente vi benedica – nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo.





Messa In Latino (MIL): il blog rimosso senza motivazioni






Di Stefano Fontana, 14 lug 2025

Ha giustamente suscitato scalpore, indignazione e preoccupazione la rimozione/soppressione del blog Messa In Latino(MIL) da parte di Blogger, di proprietà Google. Come rivelato dal direttore di MIL, Luigi Casalini, nei giorni scorsi, di punto in bianco, l’usuale homepage del sito è stata sostituita dalla comunicazione dell’avvenuta rimozione del blog in quanto ritenuto contrario alla (non meglio specificata) policy aziendale. Come ha fatto notare Casalini, non si è trattato di una sospensione, ma di una rimozione/soppressione: un patrimonio immenso di informazioni e contenuti non esiste più e una voce del dibattito pubblico è stata spenta. Ciò senza aver dato una motivazione se non quella – come detto sopra – di aver contraddetto la policy aziendale per l’uso di “hate speach”, o espressioni di odio.

Messa In Latino è un blog che si occupa di dottrina della Chiesa e, in particolare, di liturgia. Nella sua storia si è sempre collocato a favore della Messa celebrata secondo il Vetus ordo, e durante il pontificato di Francesco ha criticato le disposizioni da lui stabilite con il motu proprio Traditionis custodes (16 luglio 2021) che limitava drasticamente le aperture disposte in precedenza da Benedetto XVI con il motu proprio Summorum pontificum (7 luglio 2007). Nei giorni precedenti era uscito per i tipi di Fede & Cultura un libro in cui il direttore di MIL intervista l’esperto liturgista mons. Nicola Bux sul tema del giorno: l’emergere di documenti che provano come Francesco avesse distorto la verità sulla presunta preoccupazione dei vescovi sulla messa in latino. Il libro, dal titolo “La liturgia non è uno spettacolo. Il questionario ai vescovi sul rito antico arma di distruzione di Messa?”, riprende e riflette sullo scoop della vaticanista Diane Montagna secondo cui Francesco avrebbe mentito, sostenendo che dall’inchiesta vaticana rivolta ai vescovi sarebbero emerse gravi preoccupazioni sul Vetus ordo, il che lo avrebbe indotto a pubblicare Traditionis custodes. Casalini cita questa cosa cercando nelle recenti attività di Messa In Latino cosa abbia potuto fare da appiglio alla grave misura. Il blog Messa in latino in tutti questi anni ha svolto un ruolo di documentazione approfondito e nessuna delle informazioni su eventi vaticani qui pubblicate sono mai state smentite, e le sue anticipazioni di eventi sono state sempre confermate. Si tratta di un blog che non ha mai nascosto il proprio orientamento di pensiero e che per la chiarezza del dibattito pubblico su temi importanti è una voce autorevole e apprezzata anche da chi la pensa in modo diverso.

La soppressione è un fatto grave, nel suo contenuto e anche nella sua forma, essendo avvenuta come puro atto di imperio che ripristina in grande stile la censua ideologica, peraltro in un mondo di democrazia liberale in cui la mercificazione delle informazioni e la mancanza di criteri etici sono all’ordine del giorno. Una policy aziendale può avere il suo senso, ma le cose si complicano quando l’azienda svolge un servizio in qualità di piattaforma pubblica: in questo caso i criteri di tale policy devono essere chiari, giusti ed esenti da abusi, nello stesso tempo devono garantire con uguale chiarezza la possibilità delle legittime contestazioni a tutela dei diritti degli utenti e del bene sociale. Per quanto riguarda l’abusato motivo della presenza di “hate speach”, quali siano le parole e i discorsi da considerarsi “di odio”, in una morale pubblica ormai completamente babelica, è cosa molto incerta e facilmente strumentalizzabile da visioni e interesse di parte. Capita così che a stabilire quando una parola debba essere considerata tale è il potere di fatto, sia esso operante tramite l’economia, la politica o la nuova tecnologia dell’informazione. Qualcosa pubblicato da Messa In Latino ha dato fastidio a qualcuno, o forse si è preso lo spunto da qualcosa per cancellare un intero blog molto comodo e controcorrente.

Risulta dalle stesse comunicazioni ufficiali del blog soppresso che hanno avuto inizio e troveranno successivo sviluppo nei prossimi giorni iniziative di diffida e di contestazione legale di quanto è avvenuto. Il nostro Osservatorio esprime la propria solidarietà al blog ingiustamente colpito e a quanti l’hanno inventato e vi lavorano, e si augura che i motivi di giustizia finiscano per prevalere e possa riprendere la propria attività.



(Foto tratta da MIL, rielaborazione personale)





domenica 13 luglio 2025

Quei pareri dei vescovi sul rito antico che Francesco proibì di pubblicare. Perché andavano contro la sua volontà



Ai primi di luglio, per vie diverse ma quasi in contemporanea, due esperti vaticanisti, la statunitense Diane Montagna e l’italiano Saverio Gaeta, hanno reso per la prima volta pubblici i principali risultati di una consultazione ordinata da papa Francesco nel 2020 nelle diocesi di tutto il mondo, sulla celebrazione della messa in rito antico.

Montagna l’ha fatto in un documentato articolo su Substack del 1 luglio. E Gaeta in un libro scritto con il liturgista Nicola Bux ed edito da Fede & Cultura, che uscirà in Italia a fine luglio ma può essere da subito acquistato e letto in formato Kindle nel sito di Amazon.

La celebrazione della messa in rito antico era stata autorizzata nel 2007 da Benedetto XVI con il motu proprio “Summorum Pontificum”, con la finalità dichiarata che “le due forme dell’uso del rito romano”, ossia l’antica e la nuova, “avrebbero potuto arricchirsi a vicenda”.

Ma Francesco non faceva mistero di voler abrogare tale autorizzazione. Per lui la celebrazione della messa in rito antico era soltanto fomite di divisione e coincideva con “un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II”. Il 16 luglio 2021, col motu proprio “Traditionis custodes”, restituì al nuovo messale postconciliare la qualifica di “unica espressione della ‘lex orandi’ del rito romano”, lasciando al rito antico solo minimi spazi residuali.

La previa consultazione dei vescovi Francesco la volle proprio per avere anche da loro la richiesta corale di questa inversione di rotta. Richiesta che a suo dire effettivamente sarebbe arrivata, stando a quanto scritto dallo stesso Francesco nella lettera ai vescovi con cui ha accompagnato il motu proprio “Traditionis custodes”:

“Le risposte pervenute hanno rivelato una situazione che mi addolora e mi preoccupa, confermandomi nella necessità di intervenire. […] Rispondendo alle vostre richieste, prendo quindi la ferma decisione di abrogare tutte le norme, le istruzioni, le concessioni e le consuetudini precedenti al presente motu proprio”.

Curiosamente, però, Francesco proibì che i risultati della consultazione fossero resi pubblici. E il motivo di questo suo rifiuto è proprio quello che hanno messo a nudo gli “scoop” di questi giorni.

Il motivo è che se Francesco li avesse resi pubblici non avrebbe più potuto scrivere che anche i vescovi erano d’accordo con lui. Ma avrebbe dovuto dire l’opposto.

Ma c’è di più. A ingigantire la gravità della “fake news” c’è il fatto che a effettuare la consultazione e a redigerne i risultati è stata l’allora congregazione per la dottrina della fede presieduta dal cardinale Luis Ladaria, e che il rapporto finale contiene anche un “Giudizio complessivo” elaborato dalla quarta sezione della congregazione, cioè da quella che in precedenza era la pontificia commissione “Ecclesia Dei” deputata proprio a vigilare sulle celebrazioni in rito antico.

Il testo di questo “Giudizio complessivo” – diffuso da Diane Montagna nell’originale italiano e in traduzione inglese e ampiamente citato nel libro di Saverio Gaeta e Nicola Bux – è riprodotto integralmente più sotto e mostra in pieno l’incompatibilità tra il giudizio espresso dai vescovi e condiviso dalla congregazione per la dottrina della fede, complessivamente molto positivo sugli effetti di “Summorum Pontificum”, e le decisioni di segno opposto adottate da papa Francesco con “Traditionis custodes”.

Ma va detto che il “Giudizio complessivo” è solo una componente del voluminoso rapporto consegnato a papa Francesco nel febbraio del 2021 e da lui fatto sparire.

Nelle sue 224 pagine, in una prima parte il rapporto fornisce le nove domande del questionario con le risposte dei vescovi ordinate continente per continente e paese per paese, mentre in una seconda parte ne offre una sintesi generale, a cui seguono il citato “Giudizio complessivo” e infine un “Florilegio di citazioni” tratte dalle risposte, ciascuna con l’indicazione della diocesi da cui proviene.

Le risposte sono arrivate da circa un terzo delle oltre 3mila diocesi interpellate, ossia in pratica da quelle in cui il rito antico era effettivamente celebrato, con decisamente in testa l’America settentrionale e l’Europa e in coda l’Africa e l’America meridionale.

In Europa è la Francia il paese dove la messa in rito antico è celebrata in quasi tutte le diocesi, con giudizi per lo più favorevoli espressi dai rispettivi vescovi. Mentre in Italia sono poco più della metà le diocesi dove si tengono tali celebrazioni, con non pochi errori nell’applicazione del “Summorum Pontificum” stigmatizzati dai curatori della consultazione.

Nell’America settentrionale sono gli Stati Uniti i più coinvolti, in circa due diocesi su tre, con giudizi anche qui per lo più positivi. Mentre in Asia e in Africa sono pochissime le diocesi dove si celebra in rito antico, ma con l’auspicio espresso da alcuni vescovi che in futuro lo si faccia di più, “per far percepire la ricchezza della tradizione della Chiesa”.

Quanto all’America meridionale, anch’essa con poche diocesi coinvolte, fanno spicco le risposte venute dal Brasile, molto critiche dei fedeli e dei sacerdoti che celebrano in rito antico e “non apprezzano né il Vaticano II né papa Francesco”.

Nel libro di Gaeta e Bux è dato ampio spazio a questa rassegna delle risposte raccolte dalle varie aree geografiche.

Ma tornando alla valutazione complessiva formulata dalla sezione della congregazione per la dottrina della fede incaricata della consultazione, eccone qui di seguito il testo integrale, decisamente agli antipodi di quanto poi deciso da papa Francesco.

*
GIUDIZIO COMPLESSIVO

[Dal rapporto finale inedito dell’inchiesta tra i vescovi sulle celebrazioni in rito antico, 2020–2021]

Dall’importante mole di documenti inviati e trattati si evince che il motu proprio “Summorum Pontificum” svolge oggi un ruolo significativo, seppur relativamente esiguo, nella vita della Chiesa. Concepito da Papa Benedetto XVI dopo anni di scontri talvolta aspri tra i sostenitori della liturgia riformata del 1970 e quelli del “Missale Romanum” nella sua versione del 1962, il MP “Summorum Pontificum” ha saputo affermare l’uguale dignità delle due forme del medesimo rito romano, creando le condizioni favorevoli ad una vera pace liturgica, in vista anche di una eventuale unità delle due forme nel futuro.

L’arricchimento reciproco e l’aggiornamento del “Missale Romanum” ed. 1962, auspicato dal medesimo Papa (cf. Lettera del 7 luglio 2007) si sono realizzati anche con la pubblicazione della istruzione applicativa del suddetto motu proprio: “Universae Ecclesiae” del 30 aprile 2011, e dei due decreti confermati da Papa Francesco il 5 dicembre 2019, dopo il parere favorevole unanime dei Padri Membri della Congregazione per la Dottrina della Fede (decreto “Quo Magis”, circa l’aggiunta di sette nuovi prefazi, e decreto “Cum Sanctissima”, circa l’inserimento di nuovi santi).

La diffusione del rito romano antico dopo il MP “Summorum Pontificum” si attesta intorno al 20% circa delle diocesi latine nel mondo, e la sua applicazione oggi è certamente più serena e pacificata, anche se non dappertutto; rimangono casi residui ancora non risolti. Purtroppo, in talune diocesi, non è stata considerata la “Forma extraordinaria” come una ricchezza per la vita della Chiesa, ma come un elemento inappropriato, disturbante, inutile per la vita pastorale ordinaria e anche “pericoloso” da non soddisfare, o da sopprimere o almeno da controllare strettamente così che non si diffonda, nell’attesa della sua eventuale sparizione o abrogazione.

La maggioranza dei Vescovi coinvolti dal questionario, che hanno generosamente e intelligentemente applicato il MP “Summorum Pontificum”, si dischiara alle fine soddisfatto di esso, in particolare coloro che hanno avuto anche la possibilità di formare una parrocchia personale, nella quale tutti i Sacramenti vengono amministrati nella “Forma extraordinaria” e dove si forma una comunità stabile celebrativa e di attività pastorale. Nei luoghi dove il clero ha collaborato strettamente con il Vescovo la situazione è stata totalmente pacificata.

Una costante, che i Vescovi fanno notare, è quella secondo cui sono i giovani a scoprire e a scegliere questa liturgia antica. La maggior parte dei gruppi stabili presenti nell’orbe cattolico è composta di giovani e di giovani convertiti alle fede cattolica o che vi ritornano dopo un tempo di lontananza dalla Chiesa e dai sacramenti. Essi sono ammirati della sacralità, serietà, solennità della liturgia. Quello che più notano, anche a causa di una società eccessivamente rumorosa e parolaia, è la riscoperta del silenzio nella azione sacra, le parole contenute ed essenziali, una predicazione fedele alla dottrina della Chiesa, la bellezza del canto liturgico, la dignità celebrativa: un tutt’uno che attrae non poco. È proprio Benedetto XVI che scrive nella lettera ai Vescovi che accompagna il MP “Summorum Pontificum”, che questa succitata categoria di persone sono i destinatari privilegiati del suo provvedimento legislativo, oltre, chiaramente, tutti coloro che da decenni chiedevano la liberalizzazione e la legittimazione nella prassi liturgico pastorale della venerabile liturgia latino-gregoriana.

La nascita dei gruppi stabili, come previsto dal MP “Summorum Pontificum” e dall’Istruzione “Universae Ecclesiae,” ha permesso alla Santa Sede di seguire il cammino di pacificazione e di ecclesialità di codeste persone, prima attraverso la Pontifica Commissione “Ecclesia Dei” e adesso con la “Sectio Quarta” della CDF, e per questo i Vescovi manifestano compiacimento e gratitudine. È necessario avere una realtà istituzionale e un interlocutore competente che segue il cammino di questi gruppi e degli istituti clericali da essa dipendenti, e sia di ausilio al ministero dei Vescovi, al fine di evitare forme arbitrarie di autogestione e di anarchia dei gruppi e anche l’abuso di potere di alcuni Vescovi locali. La Santa Sede e il legame col Papa sono una garanzia per tutti, fedeli e pastori. Favorire la comunione ecclesiale tra il Vescovo diocesano e i componenti dei gruppi stabili o degli istituti e di questi con il Papa, è fondamentale per un cammino sereno e apostolicamente fruttuoso. Questi fedeli desiderano essere considerati alla stregua degli altri fedeli che seguono la liturgia nella “Forma ordinaria” e di cui i pastori si prendano cura pastorale senza pregiudizi.

Dopo una prima fase complessa, e con talune situazioni ancora in sospeso, grazie al MP “Summorum Pontificum” questi gruppi di fedeli e gli stessi Vescovi e sacerdoti, hanno trovato la loro stabilità e serenità avendo nella già PCED oggi nella “Sectio Quarta” un punto di riferimento sereno e stabile, nonché autorevole, a garanzia dei loro diritti e anche dei loro doveri. Tant’è che alcuni Vescovi fanno notare che è necessario tutelare i gruppi stabili per evitare fuoriuscite dalla Chiesa verso realtà scismatiche o verso la FSSPX. In tutti i luoghi dove i gruppi stabili sono seguiti e accompagnati dal Vescovo diocesano o da un suo sacerdote delegato, non ci sono quasi più problemi e i fedeli sono felici di essere seguiti, rispettati e trattati come figli dal loro padre Vescovo.

Nel MP “Summorum Pontificum” e nella lettera di accompagnamento allo stesso, si parla della volontà del Papa di adoperarsi per una riconciliazione liturgica interna nella Chiesa. Alla luce del discorso alla Curia Romana del 22 dicembre del 2005, Benedetto XVI, anche in ordine alla sacra liturgia, vedendo necessario procedere non nell’ordine dell’ermeneutica della rottura ma del rinnovamento nella continuità con la tradizione, scrive: “Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere del tutto proibito, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e dar loro il giusto posto” (Benedetto XVI, Lettera di Accompagnamento al MP “Summorum Pontificum”). Questa dimensione ecclesiologica dell’ermeneutica della continuità con la tradizione e con un coerente rinnovamento e sviluppo, non è ancora ben recepita da alcuni Vescovi, ma dove è stata già recepita e applicata sta portando frutti; i più visibili sono nella liturgia. Altri Vescovi fanno notare infatti il bene apportato dal MP “Summorum Pontificum” anche per la “Forma ordinaria” della liturgia e per un recupero di sacralità nella azione liturgica e per un processo di riconciliazione intra ecclesiale.

Alcuni Vescovi affermano che il MP “Summorum Pontificum” avrebbe fallito nel suo intento di riconciliazione e dunque ne chiederebbero la soppressione, sia perché la riconciliazione interna alla Chiesa non è completamente avvenuta, sia perché la Fraternità Sacerdotale San Pio X non è rientrata nella Chiesa. Dall’analisi generale e particolare di dette risposte si comprende che l’occasione di questa indagine ha permesso a taluni Vescovi di leggere e iniziare a conoscere meglio il documento in oggetto dell’inchiesta. Alla prima obiezione si fa notare che questi processi di riconciliazione sono lunghi e lenti nella Chiesa; il MP “Summorum Pontificum” ha messo le basi per questa riconciliazione. Circa la seconda obiezione va ricordato che il MP “Summorum Pontificum” non è stato fatto per la FSSPX, essi avevano già quello che è stato concesso col MP “Summorum Pontificum” e dunque non ne avevano bisogno. (1)

Piuttosto il MP “Summorum Pontificum” si collega in unità e completamento, quale sviluppo organico e coerente, del Motu Proprio “Ecclesia Dei Adflicta” di Giovanni Paolo II, con il quale il Papa polacco ha voluto salvare tanti cattolici, smarriti e confusi, a rischio scisma, dopo le ordinazioni episcopali di Mons. Lefebvre. Benedetto XVI afferma inoltre che il MP “Summorum Pontificum” nasce come strumento per la necessità di una riconciliazione della Chiesa con se stessa (Op. cit.) e per queste ragioni promulgò anche il Motu Proprio “Ecclesiae Unitatem”, inserendo la Pontificia Commissione Ecclesia Dei nella Congregazione per la Dottrina della Fede. Questo cammino si è felicemente concluso col Motu Proprio di Francesco del gennaio 2019, dove nel sopprimere la Pontificia Commissione Ecclesia Dei e costituendo una sezione specifica nella CDF, affermando che le realtà in questione hanno trovato oggi una propria stabilità di numero e di vita, il Papa indirizza questi gruppi e realtà ecclesiali verso una dimensione ordinaria e regolare della vita ecclesiale. Alla nuova sezione della CDF Papa Francesco col suo Motu Proprio, affida il compito di “continuare l’opera di vigilanza, di promozione e di tutela fin qui condotta dalla soppressa PCED”.

I Vescovi più sensibili all’argomento fanno notare che la liturgia antica è un tesoro per la Chiesa da salvaguardare e custodire: è un bene trovare unità col passato, ma anche saper andare avanti in un cammino di sviluppo coerente e di progresso e di venire incontro, nella misura del possibile, a codesti fedeli. Nella misura in cui si crea una pacificazione a livello diocesano, non si corre il rischio delle due chiese, come temono alcuni presuli, i quali a loro volta fanno notare che ciò che distingue alcuni gruppi di fedeli della “Forma extraordinaria” è il rifiuto del Concilio Vaticano II. Questo in parte è vero ma non lo si può generalizzare. Anche per questi casi si nota che la cura pastorale del Vescovo è stata determinante per calmare gli animi esagitati e per chiarire le idee di taluni membri dei gruppi stabili.

I Vescovi fanno notare inoltre la crescita delle vocazioni negli istituti ex “Ecclesia Dei”. Soprattutto nell’area anglofona e francofona, ma anche di lingua spagnola e portoghese. Molti giovani scelgono di andare negli istituti “Ecclesia Dei” per la loro formazione sacerdotale o religiosa, rispetto piuttosto che andare in diocesi, con manifesto dispiacere di taluni Vescovi… Infatti in questi anni la IV Sezione ha registrato un considerevole incremento delle vocazioni negli istituti ad essa soggetti, oltre ad un impegno maggiore degli stessi per la formazione spirituale e intellettuale dei candidati alla vita sacerdotale e religiosa, chiaramente nelle dovute proporzioni, trattandosi di realtà comunque minori ma non minoritarie rispetto al resto della Chiesa.

I Vescovi delle aree ispanofone, in generale, sembrano non manifestare molto interesse al MP “Summorum Pontificum” – anche se non mancano i fedeli che richiedono la liturgia antica nel loro territorio. Anche dalle risposte dei Vescovi italiani, in generale, pare essi non abbiano in grande considerazione la “Forma extraordinaria” e i provvedimenti presi al riguardo, tranne alcune eccezione. I fedeli invece, sono molto grati a Benedetto XVI e a Papa Francesco perché grazie al MP “Summorum Pontificum” sono usciti da una vita ecclesiale di clandestinità, di rifiuto e di derisione e dall’abuso di potere di taluni Vescovi, esercitato anche sui loro sacerdoti. In quanto alle richieste dei fedeli, si sono formati in questi anni vari gruppi stabili, molti di questi si sono costituiti in associazione che richiedono la Santa Messa nella liturgica latino-gregoriana.

Alcuni Vescovi vorrebbero il ritorno ad una situazione da indulto al fine di avere un loro maggiore controllo e gestione della situazione. Ma la maggior parte dei Vescovi che ha risposto al questionario afferma che toccare il MP “Summorum Pontificum”, con cambiamenti legislativi, produrrebbe più danni che benefici. Un cambiamento danneggerebbe gravemente la vita della Chiesa, sia sopprimendo o indebolendo il MP “Summorum Pontificum” perché ricreerebbe le situazioni di contrapposizione da esso pacificate. Così si esprime l’Arcivescovo di Milano: “Ho l’impressione che qualsiasi intervento esplicito possa causare più danni che vantaggi: Se si conferma la linea del MP “Summorum Pontificum” troveranno nuova intensità le reazioni di perplessità del clero (e non solo). Se si nega la linea del MP “Summorum Pontificum” troveranno nuova intensità le reazioni di dissenso e di risentimento dei cultori del rito antico”. Dunque è bene proseguire in questo cammino già intrapreso senza creare ulteriori scossoni.

Altri pensano che con un eventuale cambiamento, la Santa Sede, tra l’altro, favorirebbe la fuoriuscita di fedeli dalla Chiesa, di fedeli delusi, verso la Fraternità San Pio X o in altri gruppi scismatici e questo darebbe forza a chi sostiene l’idea che non si deve mai avere fiducia in “una Roma che dà da una mano e riprende dall’altra”. Cambiare la normativa provocherebbe dunque una ripresa delle guerre liturgiche. Potrebbe anche favorire la nascita di un nuovo scisma. Inoltre delegittimerebbe due Pontefici, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che si erano impegnati per non abbandonare questi fedeli (cf. Motu Proprio “Ecclesia Dei Adflicta” del 1988; MP “Summorum Pontificum” del 2007).

Un’idea che viene ogni tanto nelle risposte, che potrebbe costituire la conclusione di questa sintesi, sarebbe la seguente: pur riaffermando il carattere indiscutibile della riforma nata dolo il Concilio Vatican II, converrebbe sviluppare nei seminari e nelle diverse facoltà ecclesiastiche delle sessioni concernenti lo studio delle due forme dell’unico Rito Romano al fine di farne sentire la ricchezza immensa a servizio della celebrazione dell’intero e unico mistero cristiano in tutta la Chiesa e a creare situazioni pacificanti per la celebrazione di questa liturgia nelle Chiese locali, con sacerdoti idonei alla celebrazione.

Concludendo, un Vescovo delle Filippine ha affermato, nella risposta finale al questionario: “Lasciamo la gente libera di scegliere”. E Benedetto XVI in visita apostolica in Francia nel 2008 alla Conferenza dei Vescovi sul MP “Summorum Pontificum” ha affermato: “Misuro le difficoltà che voi incontrate, ma non dubito che potrete giungere, in tempi ragionevoli, a soluzioni soddisfacenti per tutti, così che la tunica senza cuciture del Cristo non si strappi ulteriormente. Nessuno è di troppo nella Chiesa. Ciascuno, senza eccezioni, in essa deve potersi sentire “a casa sua”, e mai rifiutato. Dio, che ama tutti gli uomini e non vuole che alcuno perisca, ci affida questa missione facendo di noi i pastori delle sue pecore. Non possiamo che rendergli grazie per l’onore e la fiducia che Egli ci riserva. Sforziamoci pertanto di essere sempre servitori dell’unità”. Papa Francesco ha ripreso questa espressione di Benedetto XVI facendola propria, riaffermandola contro ogni forma di divisione ed esclusione nella Chiesa. In fondo, queste parole potrebbero essere una linea di valutazione, di giudizio e di guida oggi per noi.

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(1) Basta dire che nei documenti in oggetto non si parla della FSSPX. Inoltre, bisogna leggere l’interpretazione autentica che ne da lo stesso Legislatore nel libro intervista sulla sua vita rispondendo a Peter Seewald in “Ultime Conversazioni” a pag. 189, il quale dice: “è assolutamente falso affermare” che egli abbia voluto il MP “Summorum Pontificum” per la FSSPX.

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POST SCRIPTUM — Un ulteriore articolo di Diane Montagna su Substack, che confuta quanto detto dal direttore della sala stampa vaticana Matteo Bruni:


Sandro Magister è stato firma storica del settimanale L’Espresso.
Questo è l’attuale indirizzo del suo blog Settimo Cielo, con gli ultimi articoli in lingua italiana: settimocielo.be