lunedì 30 giugno 2025

La statua della Madonna di Vukovar, un inno alla fede



La straordinaria vicenda della statua lignea della Madonna di Fatima oggi presente a Vukovar, in Croazia, nasce da un voto e un’ardita richiesta di un francescano al presidente Tito. Una statua poi rimasta più volte miracolosamente intatta. Il significato per i croati e per tutti noi.


La storia

Ecclesia 


Guido Villa, 30-06-2025

Borovo Naselje è un sobborgo di Vukovar, città martire croata nella Guerra per la Patria degli anni Novanta. Sviluppatosi lungo il Danubio, fiume che in questa zona rappresenta il confine naturale e di Stato tra la Croazia e la Serbia, questo insediamento sorse negli anni Trenta del secolo scorso dopo che vi fu costruita una fabbrica di scarpe che attirò migliaia di operai, molti dei quali cattolici. Si decise quindi di istituire la locale parrocchia di San Giuseppe Lavoratore guidata dai francescani, che a Vukovar già gestivano la parrocchia dei santi Filippo e Giacomo collegata al loro convento.

Come racconta l’ex parroco fra Vjenceslav Janjić, a causa della Seconda Guerra Mondiale e delle restrizioni del regime comunista ateo e filoserbo, solo nel 1967, a 25 anni dalla costituzione della parrocchia, i francescani riuscirono a costruire la chiesa; in precedenza, le funzioni e le altre attività parrocchiali si erano svolte in una casa acquistata dai francescani e riadattata a luogo di culto. L’allora parroco, fra Fabijan Šolc, ormai senza più speranze dopo anni di rifiuti, fece un ultimo, disperato tentativo: dopo aver fatto voto alla Madonna di Fatima che avrebbe intitolato a Lei la chiesa parrocchiale qualora avesse ottenuto il permesso edilizio, scrisse direttamente al presidente jugoslavo Tito, chiedendogli di intervenire presso le autorità locali per la concessione del permesso di costruire la chiesa. La risposta positiva dell’Ufficio del Presidente giunse, guarda caso, il 13 maggio 1967.

Un altro anno importante per questa parrocchia – e fondamentale per la nostra storia – fu il 1988. La chiesa fu ricostruita e ampliata, e il 13 maggio fu benedetta e solennemente portata in chiesa una statua lignea della Madonna di Fatima proveniente direttamente dal Portogallo.

Nel 1991 scoppiò la guerra tra serbi e croati, e proprio Borovo Naselje fu teatro dei primi scontri armati del conflitto: la prima granata serba sparata verso questo sobborgo di Vukovar centrò in pieno la chiesa. Era il 2 agosto, festa della Porziuncola, il tetto crollò ai piedi della statua della Madonna di Fatima che rimase intatta; una vera e propria dichiarazione di guerra dell’Inferno contro Maria Santissima.

Allora i francescani trasferirono la statua nel loro convento affinché fosse protetta, ma anch’esso fu bombardato e, anche in questo caso, le macerie del tetto caddero ai piedi della statua, che rimase ancora una volta intatta.

Così come a Marija Bistrica, santuario mariano nazionale croato, la statua venerata dai fedeli era stata murata nel 1650 affinché fosse protetta dall’invasione dei turchi, i francescani nascosero la statua lignea della Madonna di Fatima nel seminterrato della chiesa di Borovo Naselje, appoggiandola al muro e lasciandola in quel luogo.

Vukovar, e insieme a essa Borovo Naselje, fu ridotta in macerie, e sebbene difesa strenuamente dai croati, cadde il 18 novembre 1991, dopo un assedio di 88 giorni. I pochi croati rimasti vivi sotto i bombardamenti fuggirono dalla città e dall’intera zona, e con loro i frati francescani.

A seguito dell’accordo tra Croazia e Jugoslavia di reintegrazione pacifica di questa regione, all’inizio del 1998 la Slavonia orientale e la Baranja furono restituiti alla Repubblica di Croazia, e a poco a poco iniziò la ricostruzione e il ritorno dei profughi croati sopravvissuti alla guerra. Della chiesa di Borovo Naselje non era rimasto nulla: oltre a essere stata gravemente danneggiata dalle granate, essa era stata minata e rasa al suolo.

Giunse l’anno 2000 e, mentre i soldati croati con le ruspe raccoglievano le macerie, tra di esse fu ritrovata la statua lignea della Madonna di Fatima “scomparsa” durante la guerra, e anche questa volta, del tutto intatta e integra; vi erano solamente dei segni di deterioramento sulla superficie lignea. Al momento del recupero, tuttavia, la statua fu decapitata da una ruspa, ma tale danno fu facilmente riparato. Mantenendo intatta questa statua lignea della Madonna di Fatima dopo mesi di bombardamenti, l'esplosione delle mine e nove anni di esposizione agli agenti atmosferici, sicuramente il Signore ci vuole inviare un messaggio che possiamo interpretare a due livelli.

Il primo è destinato alla popolazione locale e a tutti i croati che in Croazia e Bosnia-Erzegovina hanno sofferto, a causa della guerra, la perdita dei propri cari e di tutto ciò che avevano. Questa statua canta un inno alla vita e alla fede: mentre i parrocchiani sopravvissuti dovettero fuggire, la loro statua rimase lì, intatta nella Casa del Signore distrutta, vivendo, in un certo senso, la loro stessa condizione di dispersa tra i dispersi, e di profuga tra i profughi. Ella attese il loro ritorno affinché, carichi di speranza, tornassero nella loro terra, e dalle macerie dei loro cuori feriti ricostruissero un futuro di pace, serenità e riconciliazione.

Il secondo livello del messaggio riguarda tutti noi. Anzitutto, questo non è l’unico segno di questo tipo presso il popolo croato. Ricordiamo l’icona della Madonna con Bambino rimasta intatta dopo l’incendio, durato per tutta la notte tra il 30 e il 31 maggio 1731 (anche in questo caso una festa mariana), che bruciò la Porta di pietra, una delle porte di ingresso nella città alta di Zagabria; oppure il santuario della Madonna di Šumanovac (Gospa Šumanovačka) in località Gunja, in Slavonia, nel 2014 rimasto intatto e risparmiato dalla furia delle acque del fiume Sava in piena, e davanti al quale esse si fermarono e lo aggirarono; acque che poi, dopo avere risparmiato il santuario, proseguirono nella loro corsa devastatrice nelle campagne della zona.

Il messaggio è forte e chiaro: Satana, qui rappresentato dalle forze devastatrici delle bombe, del fuoco e dell’acqua, nulla può contro Maria Santissima, concepita senza peccato originale, e che anche nel corso della sua vita terrena disse sempre “no” al peccato.

Le macerie di Vukovar sono un simbolo delle macerie nei nostri cuori, che spesso vivono l’odio verso il prossimo, il peccato mortale, la lontananza da Dio, la distruzione delle famiglie, l’ateismo pratico, e che come le macerie di Vukovar sono provocate dall’odio del demonio. Tra queste macerie, rimane, intatta, la presenza di Maria Santissima, che ci invita alla conversione, a ricostruire una casa dove regnino la fede, la speranza e l’amore.

Tuttavia, per essere protetti dal male e dal Maligno, dobbiamo affidarci e stare vicino alla Madonna, meritando con una vita santa la sua protezione e la protezione di Gesù. Anche se noi, al contrario di Maria Santissima, siamo peccatori, quando abbandoniamo la vita nel peccato, e nella nostra vita facciamo un’inversione a U e avanziamo nel cammino di conversione e di santità, quando guardiamo al Cielo e ci stacchiamo dal fango della Terra, diventiamo simili a Lei, e Lei ci protegge col suo manto dalle insidie del Maligno.

E quando comunque dovremo affrontare delle prove, che nella vita sono inevitabili, riusciremo a viverle con Maria nell’Amore, quell’Amore con la “A” maiuscola che ci ha insegnato Gesù dalla Croce, l’Amore di offerta. E uniti al supremo Sacrificio di Gesù sulla Croce diventiamo, come Maria, nostra Corredentrice, anime offerte, cioè eucaristie viventi che si offrono in olocausto nella vita quotidiana vivendo e offrendo le croci quotidiane per la salvezza delle anime, aiutando così chi è debole a diventare forte, chi ha paura ad avere coraggio, chi è lontano a tornare al Signore.





Se questo è un uomo, un bambino o un peso


Sostenitori della campagna contro il suicidio assistito, 
un anno fa, fuori da Westminster (foto Ansa)

Altro che libertà e compassione: Londra ha depenalizzato l’aborto fino alla nascita e il suicidio assistito dei malati “terminali” per consegnare a burocrati e bilanci il potere di decidere inizio e fine vita

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Di Caterina Giojelli, 30 Giugno 2025

Al grido «compassione, non punizione» i parlamentari del Regno Unito hanno votato per depenalizzare l’aborto dopo le 24 settimane. Aborto a domicilio (leggi: pillole abortive), per qualsiasi motivo e in qualsiasi fase della gravidanza. Anche per ragioni non mediche, anche fino al momento del parto. Grazie a un emendamento al disegno di legge su criminalità e polizia, sostenuto da diversi ministri laburisti, gli operatori sanitari continueranno a essere sanzionati se violano le norme vigenti, ma le donne che praticano l’aborto autonomamente no.

Questo il 16 giugno scorso. Il 20 giugno, sempre al grido «compassione», i parlamentari hanno votato per depenalizzare il suicidio assistito per i malati terminali (morte diagnosticata in sei mesi): potranno chiedere e ottenere il farmaco letale per qualunque motivo, senza che nessuno domandi le ragioni di tale scelta. Nessun tempo di attesa o riflessione: troppo impegnativo domandarsi se quelle persone potrebbero essere aiutate con cure palliative, sostegno sociale o la semplice presenza di un volto amico.

Aborto fino alla nascita, suicidio assistito per i malati

Sulla notizia, celebrata da media e politica come passo di civiltà, ha scritto tutto la filosofa femminista Kathleen Stock in un notevole articolo su UnHerd, ribadendo su X alcuni passaggi che andrebbero mandati a mente. Di che cosa parliamo, quando parliamo di aborti tardivi? Parliamo dell’eliminazione di esseri umani:

«I bambini nel terzo trimestre hanno interessi propri, inequivocabili. Non sono semplici estensioni narcisistiche della madre. Non sono parassiti o invasori. Sono esseri umani. Sono esseri umani dipendenti, e trovo inquietante vedere femministe che parlano del valore della cura e della dipendenza diventare psichicamente disconnesse quando si tratta di riconoscere il valore della vita di un bambino dipendente e vitale solo perché la madre non lo vuole. È di una freddezza spaventosa negare gli interessi di questi bambini semplicemente definendoli fuori dall’esistenza o fingendo che non esistano affatto. Se qualcuno mi dicesse: “Sì, con queste pillole abortive usate a casa per motivi non medici verranno uccisi dei bambini, ma è meno grave del fatto che le madri possano subire un processo”, almeno ne apprezzerei l’onestà».
«Perché preoccuparci di “poche” madri perseguite ma non di “pochi” bambini morti?»

Per Stock la norma che vieta l’aborto tardivo serve da deterrente, impedisce che le madri uccidano i propri figli ma conviene «dimenticare» che sia così.

«Se la si elimina, i decessi aumenteranno. Mi si dice: “saranno solo pochi casi”. E questa sarebbe un’argomentazione? Se non dovrei preoccuparmi di “pochi” bambini morti, perché dovrei invece preoccuparmi di “poche” madri perseguite? […] Inoltre: come potete sapere che saranno solo pochi i bambini che moriranno in futuro?».

Come ha ricordato il parlamentare Jim Shannon, dopo la depenalizzazione in Nuova Zelanda gli aborti oltre le 24 settimane sono cresciuti del 43 per cento nel primo anno. E la crescente accettazione della maternità surrogata dimostra quanto l’asticella si sposti rapidamente: più diventa accettabile, più madri surrogate ci sono in circolazione.

Terzo: se per giustificare la morte di un bambino

«dovete dipingere in modo iperbolico l’unico tipo di donna che ricorrerebbe a un aborto tardivo non medico come “disperata” e totalmente senza colpa, allora state ragionando per motivazione ideologica. Esistono molti tipi di donne al mondo, e agiscono per moltissimi motivi diversi. […] L’idea che questa legge debba essere abrogata per via della possibilità di perseguire ingiustamente delle donne è assurda. E ancora una volta: l’uso di immagini teatrali – tipo “donne che hanno avuto aborti spontanei portate via in furgoni della polizia nel cuore della notte sotto gli occhi dei figli piccoli” – è rivelatore: avete bisogno del melodramma per sostenere l’argomento».

Ma soprattutto per nascondere «il morto»:

«Non ci si può affidare, quando si tratta di aborti tardivi, all’ambiguità metafisica della persona; non quando l’argomento è qualcuno che riconosce la voce di sua madre, si succhia il pollice e ha sogni […] Quindi la strategia preferita è il depistaggio emotivo».

«Compassione» e «libertà» sono le stesse parole-chiave impiegate per sdoganare il suicidio assistito e sopprimere chi avrebbe potuto essere aiutato in altri modi. «Quand’è che i nostri parlamentari hanno fondato un culto della morte? – chiede Stock, unendo i puntini – Un libertarismo insensato sta uccidendo la compassione».

Suicidio assistito, «la rivoluzione mortale» del rapporto tra Stato e individuo

Sull’ossessione di Westminster per la morte merita di essere riletto anche l’editoriale di Brendan O’Neill uscito su Spiked il giorno dell’approvazione del suicidio assistito:

«Tutto il chiacchiericcio tecnico sulle “tutele” ci distrae dalle profonde questioni morali sollevate dal disegno di legge. Sia chiaro: questa legge rappresenterebbe una delle revisioni più drammatiche e distruttive del rapporto tra Stato e individuo che abbiamo mai visto. Da un giorno all’altro ci trasformeremmo da una società che cerca di prevenire il suicidio in una che lo facilita. Il servizio sanitario, un tempo orgogliosamente dedito a salvare vite, sarebbe ora incaricato di porre fine a una vita in determinate circostanze. Il grido ippocratico “Prima di tutto, non nuocere” andrebbe in frantumi, sostituito da un nuovo credo funesto: “Non nuocere, a meno che non siano molto malati, nel qual caso forse ucciderli?”. Questa legge autorizzerebbe i funzionari a sanzionare la morte in determinate circostanze. Sarebbe mortalmente ingenuo ignorare la rivoluzione mortale che ciò rappresenterebbe. Lo Stato passerebbe dall’essere una macchina incaricata di difendere la vita dei suoi cittadini a una che a volte gli fa balenare davanti la prospettiva della morte. La legge trasformerebbe alcuni funzionari in piccoli imperatori della morte, con il potere di dare un pollice in su o in giù alla vita dell’individuo in stile Nerone. Stai bene e sei sano? Non devi morire. Sei molto malato o gravemente disabile? Forse dovresti morire. E forse dovremmo aiutarti».

Lo Stato imperatore della morte

Permettere allo Stato di esprimere giudizi così radicali sul valore di una vita significa entrare «in un inferno tecnocratico in cui la vita umana viene privata della sua intrinseca virtù e ridotta a una lista di caratteristiche da spuntare che qualche apparatchik potrebbe poi esaminare attentamente prima di decidere: vale la pena vivere o non vale la pena vivere. Questa legge riorienterebbe le istituzioni della società verso il dare la morte piuttosto che verso il dare la vita».

Perché sulla nascita e la malattia incombe ormai la visione dell’essere umano come “peso” e della vita come potenzialmente “insopportabile” se non addirittura “dannosa”, dunque da estinguere. Dandoci «un taglio» a inizio e fine vita, grazie ai «macabri contabili dell’élite tecnocratica».

Il comune denominatore tra aborto e suicidio assistito


Entrambe le notizie hanno qualcosa in comune: che si parli di depenalizzazione dell’aborto o del suicidio assistito, a stabilire se una vita meriti di essere vissuta è un elenco di «determinate circostanze» o «caratteristiche». A decidere quando si diventa – o si smette di essere – «qualcuno» è un prontuario col timbro dello Stato: non c’è in questo alcuna compassione, né tantomeno libertà. Durante i lavori della Commissione, i parlamentari inglesi sono stati redarguiti dai medici australiani sul criterio dei sei mesi di vita per ottenere il suicidio assistito: portatelo a dodici, hanno insistito, molti pazienti superano previsioni fallibili.






domenica 29 giugno 2025

L’intelligenza artificiale ci «spegne il cervello»?


Immagine generata con l'intelligenza artificiale di ChatGpt


Uno studio sostiene che affidarsi a ChatGpt (e programmi simili) per scrivere testi e saggi riduce creatività, memoria e pensiero. Un problema già molto più diffuso di quanto si pensi


Di Piero Vietti, 29 Giugno 2025

Quanti di noi, oggi adulti (e possibilmente non insegnanti), sanno risolvere una divisione in colonna senza tentennamenti? Quanti ricordano la fatica di trovarsele di fronte, alle elementari, cercare di capirle, provare a risolverle e poi esultare dopo esserci riusciti da soli, solo con l’aiuto della propria intelligenza?

Se fossimo bambini oggi probabilmente apriremmo Google Lens, inquadreremmo l’operazione e riceveremmo la risposta pronta sullo schermo del nostro smartphone. La tecnologia ha reso tutto immediato. E nella misura in cui ci solleva dallo sforzo, ci svuota anche della necessità di pensare. È quello che denuncia Sean Thomas sullo Spectator, raccontando con sarcasmo e una punta di disperazione come abbiamo cominciato a delegare interi quartieri della nostra mente alle macchine: la calcolatrice ha rubato la matematica, il GPS l’orientamento, i suggerimenti musicali il gusto personale, i correttori ortografici la lingua. Ora, con ChatGPT e i suoi fratelli, rischiamo di consegnare all’intelligenza artificiale anche la scrittura, l’argomentazione e — soprattutto — la memoria.

Lo studio del MIT su ChatGpt

Uno studio recente del MIT Media Lab — intitolato Your Brain on ChatGPT — ha acceso un faro proprio su questo fenomeno. I ricercatori hanno preso 54 studenti e li hanno divisi in tre gruppi: uno doveva scrivere dei saggi con il solo uso del proprio cervello; un secondo poteva consultare Google; un terzo aveva a disposizione ChatGpt. Tutti indossavano un casco EEG per monitorare l’attività cerebrale su 32 regioni. I risultati sono stati eloquenti: chi scriveva senza alcun aiuto mostrava un’intensa attività cerebrale nelle bande alpha, theta e delta — quelle associate a creatività, memoria e pensiero semantico. Il gruppo che usava Google mostrava anch’esso un buon livello di attivazione mentale, mentre chi usava ChatGpt si spegneva: le onde cerebrali erano deboli, scarse, e peggioravano con ogni nuovo compito.

Ma non è tutto. I saggi prodotti con l’ausilio dell’IA erano quasi indistinguibili tra loro: frasi simili, idee prevedibili, tono piatto. Due docenti incaricati di valutarli li hanno definiti “senza anima”. E ancora più inquietante: quando è stato chiesto agli studenti di riscrivere, senza ChatGpt, uno dei testi precedentemente composti con l’IA, la maggioranza — tra il 78% e l’83% — non ricordava neanche di cosa avesse parlato. Avevano prodotto un saggio senza assorbirne nulla. Nessuna integrazione nella memoria a lungo termine. Nessun apprendimento.

«Un danno alle nuove generazioni»

Il nome scientifico per questa condizione è cognitive offloading, che suona come qualcosa di efficiente: delegare alla macchina i compiti pesanti, come quando si affida il bucato a una lavatrice. Ma se la lavatrice lava i vestiti, l’intelligenza artificiale non fa solo il lavoro: lo fa al posto nostro. E a forza di non usare il cervello, smettiamo di saperlo usare.


Time Magazine, che ha approfondito i dati con una lunga intervista alla ricercatrice Nataliya Kosmyna, parla senza giri di parole di un danno alla formazione delle nuove generazioni. Non solo mentale, ma anche emotivo e psicologico. Più si usa l’Ai, più si diventa passivi, meno motivati, meno capaci di ricordare e risolvere problemi. Secondo Kosmyna, il rischio è che si prenda una decisione affrettata: introdurre ChatGPT fin dall’infanzia, nelle scuole elementari. «Sarebbe disastroso», dice.
Quasi tutti gli studenti italiani studiano con l’Ai, pochi sanno farlo da soli

Questa realtà è già evidente — anche senza EEG — nei corridoi delle nostre università. Secondo uno studio del portale Planeta Formación, l’89% degli studenti italiani usa regolarmente l’intelligenza artificiale per preparare esami e compiti. Ma solo il 32% dichiara di sentirsi in grado di elaborare in autonomia soluzioni a problemi complessi. Il 65% degli studenti tra i 16 e i 18 anni ammette di usare ChatGPT per fare i compiti, e uno su quattro afferma di utilizzarlo quotidianamente. Non si tratta di una rivoluzione silenziosa, ma di un collasso consapevole.

Solo una minoranza dei docenti ha ricevuto una formazione adeguata sull’uso critico degli strumenti di Ai. E ancora meno sono le scuole che hanno attivato percorsi strutturati per aiutare gli studenti a usarla in modo virtuoso. In Italia, l’uso dell’Ai nell’istruzione è stato adottato in modo entusiasta e disordinato: c’è chi la proibisce del tutto e chi la consente senza filtro.

Tesi di laurea scritte con ChatGpt corrette da professori con ChatGpt

Intelligencer del New York Magazine ha recentemente parlato con studenti di Columbia, Stanford e altri college che ora scaricano regolarmente i loro saggi e compiti su ChatGPT, scrive ancora Thomas sullo Spectator. «Lo fanno perché i professori non riescono più a rilevare in modo affidabile il lavoro generato dall’intelligenza artificiale; gli strumenti di rilevamento non riescono a individuare i falsi il più delle volte. Secondo un professore citato nell’articolo “un numero enorme di studenti uscirà dall’università con una laurea e entrerà nel mondo del lavoro essendo essenzialmente analfabeti”».

Una recente inchiesta del Guardian ha rivelato quasi 7.000 casi confermati di imbrogli tramite intelligenza artificiale nelle università britanniche lo scorso anno: più del doppio rispetto all’anno precedente, e si tratta solo di quelli scoperti. Uno studente ha ammesso di aver presentato un’intera tesi di filosofia scritta da ChatGPT, per poi discuterla in un esame orale senza averla letta.





Festa dei santi Pietro e Paolo




Domenica 28 Giugno 2025


da: dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. – II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 798-807



La risposta dell’amore

“Simone, figlio di Giona, mi ami tu?”. Ecco l’ora in cui si fa sentire la risposta che il Figlio dell’Uomo esigeva dal pescatore di Galilea. Pietro non teme la triplice domanda del Signore. Dalla notte in cui il gallo fu meno pronto a cantare che non il primo fra gli Apostoli a rinnegare il suo Maestro, lacrime senza fine hanno segnato due solchi sulle sue guance; ma è spuntato il giorno in cui cesseranno i pianti. Dal patibolo sul quale l’umile discepolo ha voluto essere inchiodato con il capo in giù, il suo cuore traboccante ripete infine senza timore la protesta che, dalla scena sulle rive del lago di Tiberiade, ha silenziosamente consumato la sua vita: “Sì, o Signore, tu sai che io ti amo!” (Gv 21,17).

L’amore, segno del nuovo sacerdozio

L’amore è il segno che distingue dal ministero della legge di servitù il sacerdozio dei tempi nuovi. Impotente, immerso nel timore, il sacerdote ebreo non sapeva far altro che irrorare l’altare figurativo del sangue di vittime che sostituivano lui stesso. Sacerdote e vittima insieme, Gesù chiede di più a coloro che chiama a partecipare alla prerogativa che lo fa pontefice in eterno secondo l’ordine di Melchisedech (Sal 109,4). “Non vi chiamerò più servi, perché il servo non sa quel che fa il padrone. Ma vi ho chiamati amici perché vi ho comunicato tutto quello che ho udito dal Padre mio (Gv 15,15). “Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi. Perseverate nell’amor mio” (ivi, 9).

Ora, per il sacerdote ammesso in tal modo nella comunità del Pontefice eterno, l’amore è completo solo se si estende all’umanità riscattata nel grande Sacrificio. E, si noti bene: in ciò vi è per lui qualcosa di più dell’obbligo comune a tutti i cristiani di amarsi a vicenda come membra di uno stesso Capo; poiché, con il suo sacerdozio, egli fa parte del Capo, e per questo motivo la carità deve prendere in lui qualcosa del carattere e delle profondità dell’amore che questo Capo ha per le sue membra. Che cosa accadrebbe se, al potere che possiede di immolare Cristo stesso, al dovere di offrirsi insieme con lui nel segreto dei Misteri, la pienezza del pontificato venisse ad aggiungere la missione pubblica di dare alla Chiesa l’appoggio di cui ha bisogno, la fecondità che lo Sposo celeste si aspetta da essa? È allora che, secondo la dottrina espressa fin dalle più remote antichità dai Papi, dai Concili e dai Padri, lo Spirito Santo lo rende atto alla sua sublime missione identificando completamente il suo amore a quello dello Sposo di cui soddisfa gli obblighi e di cui esercita i diritti.

L’amore di san Pietro

Affidando a Simone figlio di Giona l’umanità rigenerata, la prima cura dell’Uomo-Dio era stata quella di assicurarsi che egli sarebbe stato veramente il vicario del suo amore (Sant’Ambrogio, Comm. su san Luca, 10); che, avendo ricevuto più degli altri, avrebbe amato più di tutti (Lc 7,47; Gv 21,15); che, erede dell’amore di Gesù per i suoi che erano nel mondo li avrebbe amati al pari di lui sino alla fine (Gv 13,1). Per questo la costituzione di Pietro al vertice della sacra gerarchia, concorda nel Vangelo con l’annuncio del suo martirio (ivi 21,18): pontefice supremo, doveva seguire fino alla Croce il supremo gerarca (ivi 19,22).

Ora, la santità della creatura, e nello stesso tempo la gloria del Dio creatore e salvatore, non trovano la loro piena espressione che nel Sacrificio che abbraccia pastore e gregge in uno stesso olocausto.

Per questo fine supremo di ogni pontificato e di ogni gerarchia, dall’Ascensione di Gesù in poi Pietro aveva percorso la terra. A Joppe, quando era ancora agli inizi del suo itinerario apostolico, una misteriosa fame si era impadronita di lui: “Alzati, Pietro, uccidi e mangia”, aveva detto lo Spirito; e, nello stesso tempo, una visione simbolica presentava riuniti ai suoi occhi gli animali della terra e gli uccelli del cielo (At 10,9-16). Era la gentilità che egli doveva congiungere, alla tavola del divino banchetto, ai resti d’Israele. Vicario del Verbo, condivideva la sua immensa fame; la sua carità, come un fuoco divoratore, si sarebbe assimilati i popoli; realizzando il suo attributo di capo, sarebbe venuto il giorno i cui, vero capo del mondo, avrebbe fatto di quella umanità offerta in preda alla sua avidità il corpo di Cristo nella sua stessa persona. Allora, nuovo Isacco, o piuttosto vero Cristo, avrebbe visto anche lui innalzarsi davanti a sé il monte dove Dio guarda, aspettando l’offerta (Gen 22,14).

Il martirio di san Pietro

Guardiamo anche noi, poiché quel futuro è divenuto presente, e, come nel grande Venerdì, prendiamo anche noi parte allo spogliamento che si annuncia. Parte beata, tutta di trionfo: qui almeno, il deicidio non unisce la sua lugubre nota all’omaggio del mondo e il profumo d’immolazione che già si eleva dalla terra riempie i cieli della sua soave letizia. Divinizzata dalla virtù dell’adorabile ostia del Calvario, si direbbe infatti che la terra oggi basti a se stessa. Semplice figlio di Adamo per natura, e tuttavia vero pontefice supremo, Pietro avanza portando il mondo: il suo sacrificio completerà quello dell’Uomo-Dio che lo investì della sua grandezza (Col 1,24); inseparabile dal suo capo visibile, anche la Chiesa lo riveste della sua gloria (1Cor 11,7). Per il potere di quella nuova croce che si eleva, Roma oggi diventa la città santa. Mentre Sion rimane maledetta per avere una volta crocifisso il suo Salvatore, Roma avrà un bel rigettare l’Uomo-Dio, versarne il sangue nella persona dei suoi martiri, nessun delitto di Roma potrà prevalere contro il grande fatto che si pone in quest’ora: la croce di Pietro le ha delegato tutti i diritti di quella di Gesù, lasciando ai Giudei la maledizione; essa ora diventa la Gerusalemme.

Il martirio di san Paolo

Essendo dunque tale il significato di questo giorno, non ci si stupirà che l’eterna Sapienza abbia voluto renderlo ancora più sublime, unendo l’immolazione dell’apostolo Paolo al Sacrificio di Simon Pietro. Più di ogni altro, Paolo aveva portato avanti, con le sue predicazioni, l’edificazione del corpo di Cristo (Ef 4,12); se oggi la santa Chiesa è giunta a quel pieno sviluppo che le consente di offrirsi nel suo capo come un’ostia di soavissimo odore, chi meglio di lui potrebbe dunque meritare di completare l’offerta? (Col 1,24; 2Cor 12,15). Essendo giunta l’età perfetta della Sposa (Ef 4,13), anche la sua opera è terminata (2Cor 11,2). Inseparabile da Pietro nelle sue fatiche in ragione della fede e dell’amore, lo accompagna parimenti nella morte (Antifona dell’Ufficio); entrambi lasciano la terra nel gaudio delle nozze divine sigillate con il sangue, e salgono insieme all’eterna dimora dove l’unione è perfetta (2Cor 5).

VITA DI SAN PIETRO

Dopo la Pentecoste, san Pietro organizzò con gli altri Apostoli la chiesa di Gerusalemme, quindi le chiese di Giudea e di Samaria, e infine ricevette nella Chiesa il centurione Cornelio, il primo pagano convertito. Sfuggito miracolosamente alla morte che gli riservava il re Erode Agrippa, lasciò la Palestina e si recò a Roma dove fondò, forse fin dall’anno 42, la Chiesa che doveva essere il centro della Cattolicità. Da Roma intraprese parecchi viaggi apostolici. Verso il 50 è a Gerusalemme per il Concilio che decretò l’ammissione dei Gentili convertiti nella Chiesa, senza obbligarli alle osservanze della legge mosaica. Passò ad Antiochia, nel Ponto, in Galazia, in Cappadocia, in Bitinia e nella provincia dell’Asia. Avendo un incendio distrutto la città di Roma nel 64, si accusarono i cristiani di essere gli autori della catastrofe e Nerone li fece arrestare in massa. Parecchie centinaia, forse anche parecchie migliaia furono condannati a morte mediante vari supplizi: alcuni furono crocifissi, altri bruciati vivi, altri dati in pasto alle belve nell’anfiteatro, altri infine decapitati. San Pietro, dapprima incarcerato secondo una antica tradizione nel carcere Mamertino, fu crocifisso con la testa in giù, negli orti di Nerone, sul colle Vaticano. Qui fu seppellito. La data esatta del suo supplizio è il 29 giugno del 67.

La festa del 29 giugno

Dopo le grandi solennità dell’Anno Liturgico e la festa di san Giovanni Battista, non ve n’è alcun’altra più antica o più universale nella Chiesa di quella dei due Principi degli Apostoli. Molto presto Roma celebrò il loro trionfo nella data stessa del 29 giugno che li vide elevarsi dalla terra al cielo. La sua usanza prevalse subito su quella di alcune regioni, dove si era dapprima deciso di fissare la festa degli Apostoli agli ultimi giorni di dicembre. Certamente, era un nobile pensiero quello di presentare i padri del popolo cristiano al seguito dell’Emmanuele nel suo ingresso nel mondo. Ma come abbiamo visto, gli insegnamenti di questo giorno hanno, per se stessi, una importanza preponderante nell’economia del dogma cristiano; essi formano il complemento dell’intera opera del Figlio di Dio; la croce di Pietro costituisce la Chiesa nella sua stabilità, e assegna al divino Spirito l’immutabile centro delle sue operazioni. Roma era dunque ben ispirata quando, riservando al discepolo prediletto l’onore di vegliare per i suoi fratelli presso la culla del Dio-Bambino, conservava la solenne commemorazione dei Principi dell’apostolato nel giorno scelto da Dio per porre termine alle loro fatiche e coronare, insieme con la loro vita, l’intero ciclo dei misteri.

Il ricordo dei dodici Apostoli

Ma era giusto non dimenticare, in un giorno così solenne, quegli altri messaggeri del padre di famiglia che irrorarono anch’essi dei loro sudori e del loro sangue tutte le strade del mondo, per accelerare il trionfo e radunare gli invitati del banchetto nuziale (Mt 22,8-10). Grazie appunto ad essi, la legge di grazia è ora definitivamente promulgata in mezzo alle genti e la buona novella ha risuonato in tutte le lingue e su tutte le sponde (Sal 18,4-5). Cosicché la festa di san Pietro, particolarmente completata dal ricordo di Paolo che gli fu compagno nella morte, fu tuttavia considerata, fin dai tempi più remoti, come quella dell’intero Collegio Apostolico. Non si sarebbe potuto pensare, nei primi tempi di poter separare dal glorioso capo alcuno di quelli che il Signore aveva riavvicinati così intimamente, nella solidarietà della comune opera. In seguito tuttavia furono consacrate successivamente particolari solennità a ciascuno di essi, e la festa del 29 giugno rimase attribuita più esclusivamente ai due principi il cui martirio aveva reso illustre questo giorno. Avvenne anche presto che la Chiesa romana, non credendo di poterli onorare convenientemente entrambi in uno stesso giorno, rimandò all’indomani la lode più esplicita del Dottore delle genti.

MESSA

EPISTOLA (At 12,1-11)

In quei giorni, il re Erode mise mano a maltrattare alcuni della Chiesa. Fece morir di spada Giacomo, fratello di Giovanni; e, vedendo che ciò era accetto ai Giudei, fece arrestare anche Pietro. Erano i giorni degli azzimi. E, presolo, lo mise in prigione, dandolo in custodia a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, volendo dopo la Pasqua presentarlo al popolo. Pietro adunque era custodito nella prigione, ma dalla Chiesa si faceva continua orazione per lui. Or quando Erode stava per presentarlo al popolo, proprio la notte avanti, Pietro dormiva in mezzo a due soldati, stretto con doppia catena, e le sentinelle, alla porta, custodivano il carcere. Ed ecco presentarsi l’Angelo del Signore, e splendere una luce nella cella. E l’Angelo, percosso il fianco di Pietro, lo svegliò dicendo: Presto, levati. E le catene gli caddero dalle mani. L’Angelo gli disse: Cingiti e legati i sandali. E lo fece. E gli aggiunse: Buttati addosso il mantello e seguimi. E Pietro, uscendo, lo seguiva, e non sapeva essere realtà quel che era fatto dall’Angelo, ma credeva di vedere una visione. E passata la prima e la seconda sentinella, giunsero alla porta di ferro che mette in città, la quale si aprì loro da se medesima. E usciti fuori, si inoltrarono per una strada e d’improvviso l’Angelo sparì da lui. Pietro allora, rientrato in sé, disse: Or veramente riconosco che il Signore ha mandato il suo Angelo e m’ha liberato dalle mani di Erode e dall’attesa del popolo dei Giudei.

La partenza verso Roma

È difficile tornare con maggior insistenza di quanto faccia la Liturgia di questo giorno sull’episodio della prigionia di san Pietro a Gerusalemme. Parecchie Antifone e tutti i Capitoli dell’Ufficio sono tratti da esso; l’Introito lo cantava or ora; ed ecco che l’Epistola ci offre nella sua integrità il racconto che sembra interessare in modo tanto particolare oggi la Chiesa di Dio. Il segreto di tale preferenza è facile a scoprirsi. Questa festa è quella in cui la morte di Pietro conferma la Chiesa nelle sue auguste prerogative di Regina, di Madre e di Sposa; ma quale fu il punto di partenza di tali grandezze, se non il momento solenne fra tutti, in cui il Vicario dell’Uomo-Dio, scuotendo su Gerusalemme la polvere dei suoi calzari (Lc 10,11), volse la faccia verso l’Occidente, e trasferì in Roma i diritti della sinagoga ripudiata? Ora è appunto nell’uscire dalla prigione di Erode, che questo sublime episodio ebbe luogo. E uscendo dalla città se ne andò – dicono gli Atti – in un altro luogo (At 12,17). Questo altro luogo, secondo la testimonianza della storia e di tutta la tradizione, era la città chiamata a diventare la nuova Sion; era Roma, dove qualche settimana dopo giungeva Simon Pietro. Cosicché, riprendendo le parole dell’angelo in uno dei Responsori dell’Ufficio del Mattutino, la gentilità cantava questa notte: “Alzati, Pietro, e indossa i tuoi vestiti: cingiti di forza, per salvare le genti; poiché le catene sono cadute dalle tue mani”.

Il sonno di Pietro

Come un giorno Gesù nella barca vicina ad affondare, Pietro dormiva tranquillamente alla vigilia del giorno in cui doveva morire. La tempesta, i pericoli d’ogni sorta, non saranno risparmiati nel corso dei secoli ai successori di Pietro. Ma non si vedrà più, sulla barca della Chiesa, il panico che si era impadronito dei compagni del Signore nel battello sollevato dall’uragano. Mancava allora ai discepoli la fede, ed era appunto la sua assenza a cagionare il loro spavento (Mc 4,40). Ma dalla discesa dello Spirito divino, quella fede preziosa da cui derivano tutti i doni non può far difetto alla Chiesa. Essa dà ai capi la serenità del Maestro; mantiene nel cuore del popolo fedele la preghiera ininterrotta, la cui umile fiducia vince silenziosamente il mondo, gli elementi e Dio stesso. Se accade che la barca di Pietro rasenti qualche abisso e il pilota sembri addormentato, la Chiesa non imiterà i discepoli nella tempesta del lago di Genezareth. Non si farà giudice del tempo e dei metodi della Provvidenza, né crederà lecito riprendere colui che deve vegliare per noi: ricordando che, per sciogliere senza tumulto le situazioni più difficili, possiede un mezzo migliore e più sicuro; non ignorando che, se non fa difetto l’intercessione, l’angelo del Signore verrà lui stesso a tempo opportuno a ridestare Pietro e a spezzare le sue catene.

Potere della preghiera

Oh, come le poche anime che sanno pregare sono più potenti, nella loro ignorata semplicità, della politica e dei soldati di tutti gli Erodi del mondo! La piccola comunità raccolta nella casa di Maria, madre di Marco (At 12,12) era ben poco numerosa; ma da essa giorno e notte s’innalzava la preghiera. Fortunatamente, non vi si conosceva il fatale naturalismo che, sotto lo specioso pretesto di non tentare Dio, rifiuta di chiedergli l’impossibile quando sono in gioco gli interessi della sua Chiesa. Certo, le precauzioni di Erode Agrippa per non lasciar sfuggire il suo prigioniero facevano onore alla sua prudenza, e certo la Chiesa chiedeva l’impossibile esigendo la liberazione di Pietro: tanto è vero che quelli stessi che allora pregavano, una volta esauditi non riuscivano a credere ai propri occhi. Ma la loro forza era stata appunto quella di sperare contro ogni speranza (Rm 4,18) ciò che essi stessi consideravano come follia (At 12,14-15), di sottomettere nella loro preghiera il giudizio della ragione alle sole vedute della fede.

VANGELO (Mt 16,13-19)

In quei giorni: Venuto Gesù nelle parti di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: La gente che dice mai che sia il Figlio dell’uomo? Ed essi risposero: Chi Giovanni Battista; chi Elia; chi Geremia, od uno dei profeti. Dice loro Gesù: Ma voi chi dite ch’io sia? Rispondendo Simon Pietro disse: Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivente. E Gesù gli replicò: Te beato, o Simone, figlio di Giona, perché non la carne né il sangue te l’ha rivelato; ma il Padre mio che è nei cieli. Ed io ti dico che tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno mai prevarranno contro di lei. E a te darò le chiavi del regno dei cieli: e qualunque cosa avrai legata sulla terra, sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa avrai sciolta sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli.

Confessione di san Pietro

La grata letizia porta Roma a ricordare l’istante beato in cui, per la prima volta, lo Sposo fu salutato col suo divino appellativo dall’umanità: Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivo! L’amore e la fede costituiscono in questo momento Pietro suprema e antichissima sommità dei teologi, come lo chiama san Dionigi nel libro dei Nomi divini. Per primo, infatti, nell’ordine del tempo come per la pienezza del dogma egli risolse il problema la cui formula senza soluzione era stato il supremo sforzo della teologia dei secoli profetici.

Dignità di san Pietro

Sei tu dunque, o Pietro, più sapiente di Salomone? E quanto lo Spirito Santo dichiarava al di sopra di ogni scienza, potrà essere il segreto di un povero pescatore? È così. Nessuno conosce il Figlio se non il Padre (Mt 11,27); ma il Padre stesso ha rivelato a Simone il mistero del Figlio, e le parole che ne fanno fede non sono soggette a critica. Esse infatti non sono una giunta menzognera ai dogmi divini: oracolo dei cieli che passa attraverso una bocca umana, elevano il loro beato interprete al disopra della carne e del sangue. Al pari di Cristo di cui per esse diviene Vicario, egli avrà come unica missione di essere un’eco fedele del cielo quaggiù (Gv 15,15), dando agli uomini ciò che riceve (ivi 17,18): le parole del padre (ivi 14). È tutto il mistero della Chiesa, della terra e del cielo insieme, contro la quale l’inferno non prevarrà.

Il fondamento della Chiesa

O Pietro, noi salutiamo la gloriosa tomba in cui sei disceso! Soprattutto a noi, infatti, figli di quell’Occidente che tu hai voluto scegliere, spetta celebrare nell’amore e nella fede le glorie di questo giorno. È su te che dobbiamo costruire, poiché vogliamo essere gli abitanti della città santa. Seguiremo il consiglio del Signore (Mt 7,24-27), costruendo sulla roccia le nostre case di quaggiù, perché resistano alla tempesta e possano diventare una dimora eterna. O come più viva è la nostra riconoscenza per te, che ti degni di sostenerci così, in questo secolo insensato che, pretendendo di costruire nuovamente l’edificio sociale, volle stabilirlo sulla mobile sabbia delle opinioni umane, e che ha saputo moltiplicare soltanto i crolli e le rovine! La pietra che i moderni architetti hanno rigettata, è forse meno perciò la pietra angolare? E la sua virtù non appare forse appunto nel fatto che, rigettandola, è contro di essa che urtano e s’infrangono? (1Pt 2,6-8).

Devozione verso san Pietro

Ora dunque che l’eterna Sapienza eleva su di te, o Pietro, la sua casa, dove potremmo trovarla altrove? Da parte di Gesù risalito al cielo, non sei forse tu che possiedi ormai le parole di vita eterna? (Gv 6,69). La nostra religione, il nostro amore verso l’Emmanuele sono quindi incompleti, se non arrivano fino a te. E avendo tu stesso raggiunto il Figlio dell’uomo alla destra del Padre, il culto che ti rendiamo per le tue divine prerogative si estende al Pontefice tuo successore, nel quale continui a vivere mediante esse: culto reale che si rivolge a Cristo nel suo Vicario e che, pertanto, non potrebbe accontentarsi della troppo sottile distinzione fra la Sede di Pietro e colui che la occupa. Nel Romano Pontefice tu sei sempre, o Pietro, l’unico pastore e il sostegno del mondo. Se il Signore ha detto: “Nessuno va al Padre se non per me” (ivi 14,6), sappiamo pure che nessuno arriva al Signore se non per tuo mezzo. Come potrebbero i diritti del Figlio di Dio, pastore e vescovo delle anime nostre (1Pt 2,25), subire un detrimento in questi omaggi della terra riconoscente? Non possiamo celebrare le tue grandezze senza che, subito facendoci fissare i pensieri in Colui del quale sei come il segno sensibile, come un augusto sacramento, tu non ci dica, come dicesti ai padri nostri, mediante l’iscrizione posta sulla tua antica statua: Contemplate il Dio Verbo, la pietra divinamente tagliata nell’oro, sulla quale stabilito, io non sono crollato.

PREGHIAMO

O Dio, che hai santificato questo giorno col martirio degli apostoli Pietro e Paolo, concedi alla tua Chiesa di seguire in tutto l’insegnamento di questi due fondatori della nostra religione.






sabato 28 giugno 2025

L'oscurità delle profezie. Un avvertimento da San Pietro



Has Memling (c.1430–1494), Giovanni Evangelista 
a Patmos e Visioni dell'Apocalisse

Nella traduzione a cura di Chiesa e post-concilio da substack.com




Le profezie bibliche, come quelle del segreto di Fatima, hanno dato origine a infiniti dibattiti sul loro significato. Delusi dalla pluralità di interpretazioni e dalle controversie che ne derivano, numerosi cattolici le evitano completamente. La causa principale di tale atteggiamento è la convinzione che comprenderle sia praticamente impossibile. Ho persino incontrato sacerdoti e monaci che, per prudenza (forse esagerata), evitavano qualsiasi discussione sulle profezie. D'altra parte, ci sono altri cattolici che, abbracciando con entusiasmo certe interpretazioni particolari, finiscono per discutere con chiunque non condivida le loro opinioni. Solo le profezie rimangono, impassibili e silenziose, nelle pagine della Sacra Scrittura, a sfidare la nostra capacità di comprensione. Sono oscure e, quando si avverano, le cose non accadono "fotograficamente". Permettetemi di fare solo un esempio.

Nel libro di Isaia troviamo una delle profezie più famose sulla venuta del Messia. La descrizione è davvero maestosa: convogli di persone, carovane di cammelli, tesori e moltitudini di persone stanno arrivando. È come se folle di persone accorressero per vedere il neonato divino, il Messia, per donargli tutte le loro ricchezze. Ecco i versetti più spettacolari:
Volgi i tuoi occhi tutt'intorno e guarda: si radunano tutti e vengono a te; i tuoi figli verranno da lontano e le tue figlie saranno portate in braccio. (…) Una moltitudine di cammelli ti coprirà, dromedari di Madian e di Efah; quelli di Sceba verranno tutti, portando oro e incenso, e proclamando le lodi dell'Eterno. Tutte le greggi di Kedar, si raduneranno presso di te, i montoni di Nebaioth saranno al tuo servizio saliranno sul mio altare come offerta gradita, e io renderò glorioso il tempio, della mia gloria (Isaia 60: 4, 6-7) l.
Ma quando leggiamo l'episodio – in Matteo 2:11 e Luca 2:8-20 – in cui questa profezia si è adempiuta, cosa vediamo? Tre magi e alcuni pastori riuniti nel luogo più povero d'Israele. La profezia si è avverata o no? Una domanda del genere è significativa, poiché la realizzazione della profezia non appare così maestosa come nel libro di Isaia. Allo stesso tempo, sono certo che si sia adempiuta. Ma il suo adempimento non implica una corrispondenza "fotografica" . Posso fornirvi altri esempi simili. Tuttavia, tutti dimostreranno che esiste ciò che santi come Ireneo (c. 130–c. 202), Giovanni Crisostomo (c. 347–407) e Roberto Bellarmino, SJ (1542–1621) chiamano l'"oscurità" delle profezie. Ciò portò il primo Papa della storia, San Pietro, a lanciare un importante monito:
Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio. ì(2 Pietro 1:20-21).(1)
Il significato delle parole di Pietro ci è stato chiarito da diversi Santi e Dottori della Chiesa. Tra questi, Beda il Venerabile (672/3–735) sottolinea che coloro che scrissero i testi profetici erano sotto l'ispirazione dello Spirito Santo. Pertanto, lo stesso Spirito deve essere "ascoltato" da coloro che li interpretano:
I profeti udirono Dio parlare loro nel segreto dei loro cuori. Semplicemente trasmisero quel messaggio al popolo di Dio attraverso la predicazione e gli scritti. (…) Per questo motivo il lettore non può interpretarli da solo, perché rischia di allontanarsi dal vero significato, ma deve attendere di sentire come Colui che ha scritto vuole che le parole siano comprese.(2)
Le parole delle profezie non possono essere interpretate isolatamente, basandosi esclusivamente sulla propria comprensione, da chi non riceve l'interpretazione trasmessa dallo stesso Spirito Santo che ha ispirato la stesura delle parole delle profezie. Questa prospettiva è simile a quella del famoso esegeta ebreo Filone di Alessandria (ca. 20 a.C. - ca. 50 d.C.), che nel De Praemiis et Poenis ( Sui premi e le punizioni ) afferma:
Propheta est interpres Dei dictantis oracula (cioè “Il profeta è interprete degli oracoli dettati da Dio”).
Come potrebbero dunque essere interpretate le profezie senza che il loro autore, Dio stesso, ce ne riveli il significato?


Di conseguenza, se vogliamo comprendere correttamente una profezia, dobbiamo soddisfare le condizioni necessarie di una vita santa per consentire la “comunicazione” con lo Spirito Santo. Tuttavia, dobbiamo anche ricordare che la Sacra Scrittura indica l’esistenza di uno speciale carisma di profezia, come menzionato da San Paolo (1 Corinzi 12: 10). Inoltre, c’è un altro aspetto sottolineato dal celebre commentatore rinascimentale, Cornelio a Lapide SJ (1567-1637), e cioè che l’ultima parola nell’interpretazione delle profezie non appartiene a una singola persona, anche se santa, ma alla Chiesa. Questo insegnamento si basa sul Concilio di Trento dove, nella Quarta Sessione, è stato affermato:
Ecclesiae ergo est judicare de vero sensu et interprete S. Scripturae (cioè “spetta quindi alla Chiesa giudicare sul vero senso e sull'interpretazione della Sacra Scrittura”).
Riassumiamo. Per interpretare autenticamente le profezie della Scrittura, sono necessarie due cose:


a) l'interprete deve avere il dono di interpretare le profezie;


b) questo dono deve essere fecondo, rendendo chi lo porta capace di «ascoltare» la voce dello Spirito Santo che parla nel profondo del cuore di coloro che scrivono le profezie e di coloro che le interpretano.


Quanto a noi, che non possediamo tali qualità, possiamo avere opinioni basate, eventualmente, sulle interpretazioni proposte dai santi. Ma ciò richiede prudenza e, soprattutto, umiltà da parte nostra: dobbiamo riconoscere i nostri limiti e accettare che, come insegnato dal Concilio di Trento, solo la Chiesa può avere l'ultima parola nell'interpretazione di un testo biblico – quindi anche di una profezia. Sottolineo che, per quanto complete e coerenti possano sembrarci certe interpretazioni particolari, una buona dose di prudenza è sempre necessaria.


Tornando alle ragioni dell'oscurità delle profezie, San Roberto Bellarmino propone una spiegazione tratta dal trattato sulle eresie di Sant'Ireneo di Lione. Ecco la sua conclusione:

Capita che sia comune a tutte le profezie dei profeti essere ambigue e oscure finché non si avverano, come giustamente insegna e dimostra Ireneo.
In altre parole, solo dopo il loro compimento possiamo dire con certezza che i “segni” sono stati cristallini. Ma perché Dio non ci offre certezze assolute prima del loro compimento? E perché non si avverano “in modo fotografico”? Nel tempo, sono state proposte diverse risposte a domande così difficili. Tra queste, una delle più importanti mi sembra riferirsi non solo alle profezie, ma alla comprensione della Sacra Scrittura in generale: siamo incoraggiati a crescere spiritualmente per raggiungere la maturità della mente, sostenuti dalla grazia, al fine di comprenderle correttamente sotto la guida dello Spirito Santo. In altre parole, solo coloro che hanno orecchie per ascoltare “il Maestro interiore” (cioè lo Spirito Santo) nel profondo del loro cuore discerneranno il significato autentico delle profezie. Finché non raggiungiamo quella statura spirituale, tuttavia, brancoliamo nel buio. Questa condizione precaria ci invita, da un lato, a riconoscere i nostri umili limiti e, dall'altro, a moltiplicare le nostre preghiere, chiedendo a Dio di illuminarci.


Se ancora non la conoscete, questa piccola preghiera di San Tommaso d'Aquino è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno:
O infinito Creatore, che nelle ricchezze della Tua sapienza hai stabilito tre gerarchie di Angeli e le hai poste in meraviglioso ordine sopra i cieli più alti, e che hai distribuito gli elementi del mondo con grande saggezza: Tu, che sei in verità la fonte di luce e sapienza, degnati di irradiare sulle tenebre della mia comprensione i raggi della Tua infinita luminosità e allontana da me la duplice oscurità in cui sono nato, cioè il peccato e l'ignoranza. Tu, che dai la parola alle lingue dei bambini, istruisci la mia lingua e riversa sulle mie labbra la grazia della Tua benedizione. Dammi acutezza di comprensione, capacità di memoria, metodo e facilità nell'apprendimento, perspicacia nell'interpretazione e copiosa eloquenza nel parlare. Istruisci il mio inizio, dirigi il mio progresso e metti il Tuo sigillo sull'opera compiuta, Tu, che sei vero Dio e vero Uomo, che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.(3)Robert Lazu Kmita 24 giugno
____________________________
1 Ecco la versione latina del testo citato: Hoc primum intelligentes quod omnis Prophetia Scripturae propria interpretazione non adatta. Non enim voluntate humana allata est aliquando Prophetia: sed Spiritu Sancto inspirati, locuti sunt sancti Dei homines.
2 Commentario cristiano antico alle Scritture. Giacomo, 1-2 Pietro, 1-3 Giovanni, Giuda , a cura di Gerald Bray, IVP Academic, 2000, p. 141.
3 Creator ineffabilis, qui de thesauris sapientiae tuae tres Angelorum hierarchias designasti et eas super caelum empyreum miro ordine collocasti atque universi partes elegantissime distribuisti: Tu, inquam, qui verus fons luminis et sapientiae diceris ac supereminens principium, infundere digneris super intellectus mei tenebras tuae radium claritatis, duplices, in quibus natus sum, a me rimuove tenebras, peccatum scilicet et ignorantiam. Tu, qui linguas infantium facis disertas, linguam meam erudias atque in labiis meis gratiam tuae benedictionis infundas. Da mihi intelligendi acumen, retinendi capacitatem, addiscendi modum et facilitam, interpretandi subtilitatem, loquendi gratiam copiosam. Ingressum instruas, progressum dirigas, egressum compleas. Tu, qui es verus Deus et homo, qui vivis et regnas in saecula saeculorum. Amen.


venerdì 27 giugno 2025

«Il Sacro Cuore può guarire ogni ferita»


 

Ha solo 23 anni, ma ha una forza contagiosa e un dono speciale ricevuto prima ancora della sua nascita: la Madonnina che negli anni Novanta pianse a Civitavecchia, proprio in casa dei suoi genitori. L'autore di Fuoco e misericordia racconta alla Bussola il "segreto" dell'amicizia con Gesù.


L'intervista a Mmanuel Gregori


Benedetta Frigerio, 27-06-2025

Un ragazzo di soli 23 anni che parla del Sacro Cuore di Gesù e dei suoi benefici come farebbe un sacerdote di lunghissima esperienza e studi. È Manuel

 

Gregori, autore di Fuoco e misericordia (Ares, Milano 2025), che a prima vista non sembra aver nulla di diverso dai suoi coetanei. Si veste, parla e scherza (con accento romano) come qualsiasi ragazzo della sua età, anche se a distinguerlo dalla media dei giovani di oggi è una forza contagiosa, una simpatia solare, la gioia di vivere, di costruire, di fare, di immaginare una vita grandemente spesa per il bene. Qual è allora il segreto di Manuel che, con occhi luminosi, parla di sofferenza e di redenzione come avesse già vissuto una vita lunghissima? “La Madonnina, lei ci ha educati, ma non solo”. La “Madonnina” è quella di Civitavecchia, che nel 1995 pianse lacrime di sangue in casa dei Gregori, alcuni anni prima della nascita di Manuel. A vederle per prima fu sua sorella Jessica, allora bambina, e l'intera famiglia è stata destinataria anche di mariofanie e messaggi.

Cosa vuol dire che la Madonna ti ha cresciuto, Manuel, e cosa c’entra con il libro che hai scritto?
Volevo dire a tutti che la contemplazione del Sacro Cuore di Gesù può guarire

 

ogni ferita e portare la pace all’uomo di oggi. Lo so perché sono nato in una famiglia che ha avuto il dono di ricevere, ancor prima che io nascessi, la statua di una Madonna che lacrimava sangue, ma che per questo ha anche sofferto molto. Ho sperimentato la forza delle armi che la Madonna ci ha consegnato dicendoci già oltre 20 anni fa come bisognava sventare la guerra nucleare alle porte e le nostre guerre personali: la preghiera del Rosario, l’Adorazione Eucaristica, l’offerta, l’amore di suo Figlio, la consacrazione al suo Cuore.

Cosa accadde in sintesi?
Oltre alle lacrimazioni della statua, la mia famiglia ha ricevuto più di novanta messaggi da Maria e dei segreti, ogni membro della mia famiglia ha visto la Madonna, ha avuto ed ha esperienze mistiche. Abbiamo patito tanto ma, con a fianco Lei, abbiamo capito che la sofferenza offerta al Cuore di Gesù porta gioia. La statua della Madonna qui ha pianto sangue per la Chiesa, che Lei diceva vicina all’apostasia, e per un mondo in guerra.

Come vivi alla luce di questi fatti?

Amo la vita! Ho fatto il cantante lirico, ho studiato per otto anni presso il distaccamento del conservatorio Santa Cecilia, ho cantato in Spagna per la famiglia reale e ho vinto dei concorsi. Sono stato presidente del Consiglio comunale dei giovani di Civitavecchia, organo consultivo del Comune, sono anche andato sui giornali perché ho combattuto contro l’“ideologia gender”che stava entrando nelle nostre scuole. Ora sto per laurearmi in giurisprudenza e faccio parte di un’associazione che si occupa di gestione della cosa pubblica. Lavoro poi per il porto della città, sono il responsabile degli accompagnatori turistici delle navi da crociera. Infine, scrivo.

Cosa hai scritto oltre a questo libro?
Ho autopubblicato un libro sulla Madonna e Oltre le Stelle, che è un cammino spirituale dedicato agli adolescenti con un linguaggio semplice, in cui mostro perché è bello pregare e incontrare Gesù. Il mio professore di teologia morale alla Lumsa, che è anche parroco, mi ha comprato 300 copie per i suoi ragazzi e mi ha detto che sono stati aiutati. Questo mi rende contentissimo.

Non a caso nel tuo ultimo libro dici che il Sacratissimo Cuore ci manda come “apostoli del Suo Amore nel mondo ferito dalla solitudine, dalla divisione, dalla violenza, per portare la luce”.
Dio in una fase di guerre e inquietudine cerca con forza di intercettare i nostri cuori, perché vuole darci il suo Cuore così da donarci la pace. Noi giovani siamo bombardati di tentazioni, viviamo in un mondo che ci convince che tutto quello che ci propone è per la nostra felicità, peccato che sia tutto un insieme di piaceri effimeri che all’inizio appagano ma che poi presentano il conto della delusione e del buio della depressione. È la differenza fra la luce naturale di Dio, inesauribile, e quella artificiale: quando la lampadina si rompe resti nell’oscurità. Ma l’inganno è tale che siamo arrivati ad accettare di essere noi stessi una merce in mano ad un potere che fa soldi sulla nostra pelle. Vogliamo avere, avere, avere e non siamo mai felici. Mentre Gesù dice l’opposto: abbandona tutto e prendi la tua croce, e mica per morire ma per avere salvezza e gloria. Questo voglio comunicare, perché ho visto che è vero.

Ma dove sta la tua sofferenza in tutto questo e cosa c’entra Gesù?
Vengo da una famiglia che si porta dietro una storia molto importante. Io nasco circa sette anni dopo i primi eventi soprannaturali, nonostante ciò sono stato “bullizzato” gravemente come i miei fratelli. Ho subito atti persecutori violenti anche dal punto di vista fisico. Qualsiasi persona ad un certo punto sarebbe scappata, avrebbe risposto al male con il male o sarebbe rimasta fortemente segnata. Per me non è stato così: oggi lavoro con un ragazzo che negli anni delle superiori mi ha fatto davvero molto soffrire e che poco tempo fa mi ha domandato: “Manuel, perché mi sei amico dopo tutto quello che ti ho fatto?”. Io l’ho davvero perdonato di cuore e chi mi ha aiutato a farlo è stata la Madonnina e la sua umiltà infinita, che è quella di Gesù “mite e umile di cuore”. In una apparizione chiese scusa per il tempo e la tranquillità che toglieva alla mia famiglia: avevano contro la magistratura, parte della Chiesa e subivamo continui attacchi dai giornali. La Madonna ci ha educati a essere come Lei e suo Fiiglio, a dare il giusto peso alle cose di questo mondo e a offrire il dolore mostrandoci la meta, il Paradiso, di cui abbiamo potuto fare in parte esperienza vedendola. Noi figli siamo poi stati educati dai genitori a lasciar cadere il male, ad ignorare gli atti di bullismo: i miei genitori per primi hanno sempre perdonato tutti.

Probabilmente anche l’esperienza mistica vissuta li ha aiutati.
Tutti noi in famiglia siamo stati sostenuti da questo. Mio fratello Davide a tre anni era presente alla prima apparizione a Jessica e papà e ha tirato il cordone della veste della Madonna. Papà ha ricevuto un bacio in fronte da Maria, anche mamma è testimone di tanti eventi soprannaturali. Io ho visto la Madonnina quando a mia madre venne il tumore al seno: avevo sette anni, ero in giardino, e Maria apparve sul tetto della stanza dove si trovava mamma. Quel giorno piangevo perché volevo andare a cogliere i finocchi dallo zio e papà mi portò. Tornando sentii l’odore dell’olio della trasudazione della statua che abbiamo in casa, poi vidi un vortice arcobaleno da cui uscirono gli angeli e la Madonnina con in braccio Gesù: era bellissima. Il tempo era come congelato, sembrava di non essere sulla terra, Lei non ha detto nulla ma mi ha sorriso, quel sorriso è stato come vedere il paradiso e sapere dove andremo e come sentirmi dire “stai tranquillo che andrà tutto bene”. Infatti, non avevo più paura. Presi consapevolezza che la meta finale è davvero la risposta a quello che desidera ogni uomo, per cui i problemi e le sofferenze passano in secondo piano. Ricordo quando alle superiori mi spinsero volontariamente addosso ad un calorifero di ghisa appuntito, mi fece malissimo ma rialzandomi mi venne in mente il sorriso di Maria che ripeteva: “Ci sono io”. Poi, tornato a casa livido, vidi lo stesso sorriso sul volto di mia mamma.

Eppure tu hai scritto un libro per il resto del mondo che non ha avuto queste grazie. Perché?
Oggi non vedo più Maria e, anche se spesso viene nei miei sogni, senza la mia preghiera personale e l’aiuto della Chiesa e dei miei genitori non parlerei così. Mia sorella Jessica vede ancora la Madonna e capisce che Lei sta arrivando perché, anche se ha quasi 40 anni, come la prima volta la chiama “piccolo angioletto mio”. Eppure nessuno di noi è santo. Abbiamo, sì, la grazia di aver fatto esperienza della vita eterna ma non basta se non decidi di seguire Cristo.

Cosa vuol dire?
Imitarlo. Scrivo che il Sacro Cuore è “stanco ma sempre accogliente”. La pazienza è l’amore infinito di Dio che ci aspetta, che quando ci pentiamo davvero ci perdona dimenticando tutto. La nostra società vede gli umili come dei falliti invece non è cosi: l’umile chiede, quindi impara, cammina, sa stare con gli altri perché non li vede come antagonisti, sa costruire. L’orgoglioso invece disprezza gli altri e quindi fa la guerra: se oggi il mondo è pieno di conflitti è proprio per via dell’orgoglio che crea guerre nelle famiglie, sul lavoro, fra amici, vicini e quindi fra Stati. Perciò le ferite del Cuore di Cristo, che è andato in croce senza rispondere al male con il male, ma rimettendo la sua causa a Dio, sono una scuola che ci insegna ad amare senza misura, a donare senza riserve.

Oggi la maggioranza degli adulti non sa vivere così nemmeno per i propri figli.
Non siamo migliori di nessuno. Nella mia famiglia abbiamo tutti caratteri forti, vorremmo avere sempre ragione ma il Sacro Cuore ci ha insegnato a deporre le armi, inoltre il dolore che abbiamo vissuto lo abbiamo condiviso e offerto insieme e questo ci ha uniti molto. Sappiamo poi vivere la sofferenza con gioia anche grazie a mamma: sempre quando le fu diagnosticato il tumore al seno all’ultimo stadio nel viaggio di ritorno dal Gemelli chiese a papà di fermarsi per prendere delle paste e lo spumante, poi, arrivata a casa, chiamò noi figli e l’allora fidanzato (oggi marito, ndr) di mia sorella e disse: “Mamma ha un tumore ma si vede che Dio ha bisogno di questa sofferenza, non dobbiamo piangere, perché Dio mi ha dato una carezza d’amore”. Stavo per perderla ma anche questo fatto mi tolse la paura. Ma mia madre è così anche perché è devota al Sacro Cuore da quando è piccola: se suo padre, molto burbero, si arrabbiava con ira, lei andava a nascondersi sotto la statua del Sacro Cuore in Chiesa e lì trovava pace, così ha capito che se nella sofferenza ti nascondi nel Cuore di Gesù, trovi rifugio.

Scrivi che le piaghe di Cristo possono guarirci, come concretamente?
Bisogna prima prendere consapevolezza dei propri peccati, per questo la Chiesa non dovrebbe mai smettere di parlare del peccato e dell’inferno (se non sgridi mai il bambino piccolo, per mostrargli cosa è bene e cosa è male, crescendo farà cose sbagliate senza saperlo e fino a distruggersi), poi ci si deve pentire e rifugiarsi nel Cuore di Gesù. Concretamente si fa attraverso la contemplazione dell’Eucarestia, delle immagini o delle statue del Sacro Cuore. Se vai lì davanti con la consapevolezza del bisogno di perdono, allora Lui ti guarisce.


E’ vero che la statua della Madonna che ha lacrimato sangue arrivò al posto di una statua del Sacro Cuore?

Padre Pablo, amico di famiglia, viaggiava per molti santuari europei, mamma gli chiese di cercare una statua del Sacro Cuore da mettere in casa. Il padre viaggiò a Fatima e non la trovò, poi andò in altri siti mariani ma nulla. Finalmente a Medjugorje pensò di trovarla, ma non fu così. Decise allora di prendere una statua della Madonna e a mamma disse: “Guarda, non ho trovato il Figlio ma ho portato sua Madre”. Però oggi i pellegrini ci portano statue del Sacro Cuore e immagini. Posso dire che sono cresciuto a latte materno e Sacro Cuore.

L’altro esercizio che proponi per guarire dalle ferite del cuore è di trasformare l’ira in preghiera. Come fai?
Padre Pio aveva un temperamento burbero e iroso, però lui diceva che se soffri devi offrire, cioè ha plasmato il suo carattere: prendeva la rabbia derivante dalle ingiustizie che subiva e la metteva dentro il Cuore di Cristo che la trasformava in gioia e carezza. Non si tratta di reprimere la rabbia o di bloccarla e negarla, che poi ti torna contro, ma di donarla a Cristo.

Dedichi il libro a tua madre ma chi sono i tuoi maestri?

La mia famiglia mi è maestra. Non a caso la Madonna è venuta in una famiglia e per la famiglia oggi così attaccata. Poi fin da piccolo ho respirato la Chiesa universale: abbiamo un padre spirituale da 30 anni, che peraltro non credeva alle apparizioni. Quando poi arrivò qui, e invece di una famiglia perfetta vide papà stanco per il lavoro, Jessica e Davide che litigavano e mamma con i capelli "in piedi" perché impegnata a gestire i figli e la stampa, si convinse della veridicità dei fatti. Il padre ci aiuta da allora a vivere la fede e ad affrontare la vita quotidiana e familiare con le sue fatiche e le sue gioie. È in questo alveo che è nata la mia vocazione sacerdotale. La prima volta che sentii questa chiamata era il 2005, ero piccolissimo e il vescovo della città, Girolamo Grillo, stava celebrando la Messa qui a casa. L’amore che ho ricevuto e accolto lo voglio ridonare a chi non lo conosce.





La festa del Sacro Cuore di Gesù, venerdì dopo il Corpus Domini.




Litanie del Sacro Cuore di Gesù [qui]. Vedi anche: Intronizzazione del Sacro Cuore di Gesù: la Sacra Scrittura [qui]; Leone XIII il Sacro Cuore e la Regalità sociale di Cristo [qui]: Leone XIII - Atto di Consacrazione del genere umano a Cristo Re [qui]; In festo SS.mi Corporis Christi. L’Eucaristia: rapporto di Dio con l’uomo e dell’uomo con Dio [qui].


venerdì 27 giugno 2025

Oggi la Chiesa ci propone di onorare con un culto speciale il Cuore sacratissimo di Gesù di cui il sacramento ci ha già rivelato l'immensa tenerezza. E per stimolarci ad onorare quel Cuore divino con maggior rispetto e devozione, Pio XI ha elevato questa festa al rito di doppio di prima classe e messo la sua Ottava alla pari di quelle di Natale e dell'Ascensione [1]. Il culto del Sacro Cuore - scriveva egli ancora Cardinale - è la quintessenza stessa del cristianesimo, il compendio e il sommario di tutta la religione. Il cristianesimo, opera d'amore nel suo inizio, nei suoi progressi e nel suo compimento non potrebbe essere identificato assolutamente con nessuna altra devozione come con quella del Sacro Cuore [2].
Oggetto della devozione al Sacro Cuore.

L'oggetto della devozione al Sacro Cuore è lo stesso Cuore ardente d'amore per Dio e per gli uomini. Dall'Incarnazione infatti Nostro Signor Gesù Cristo è l'oggetto dell'adorazione e dell'amore di ogni creatura, non soltanto come Dio ma come Uomo-Dio. Essendo la divinità e l'umanità unite nell'unica persona del Verbo divino, Egli merita tanto come Uomo che come Dio tutti gli omaggi del nostro culto; e come in Dio tutte le perfezioni sono adorabili, così pure in Cristo tutto è adorabile: il suo corpo, il suo sangue, le sue piaghe, il suo cuore, e per questo la Chiesa ha voluto offrire alla nostra adorazione questi oggetti sacri.

Il cuore di carne dell'Uomo-Dio.

In questo giorno essa ci mostra soprattutto il Cuore del Salvatore e ci chiede di onorarlo sia che lo consideriamo in se stesso sia che lo consideriamo come il simbolo vivente della sua carità.

In se stesso, questo Cuore di Gesù, per quanto sia solo un poco di carne, è già degno del nostro culto. Nella vita naturale del corpo umano, non è forse il cuore l'organo più nobile e più necessario, quello che distribuisce a tutte le membra il sangue che vivifica, che nutre, che rigenera e purifica? Adorare il Cuore di Gesù significa adorare per così dire, nel suo principio, nel suo fulcro, la vita di sacrificio e d'immolazione del nostro Salvatore. Significa adorare il prezioso recettacolo in cui le ultime gocce del sangue divino hanno atteso, per effondersi, che venisse a colpirlo la lancia di Longino. Quel cuore squarciato rimane per sempre come la testimonianza d'una vita che si è data interamente per la salvezza del mondo.

Nell'ordine morale, il cuore di carne occupa un posto altrettanto importante. Da sempre esso è considerato come la sede della vita affettiva dell'uomo, perché è l'organo che ne risente nella maniera più sensibile tutte le fluttuazioni. Le sue pulsazioni battono al ritmo dei nostri sentimenti, delle nostre emozioni, delle nostre passioni. Il linguaggio ha consacrato questo modo di vedere: è il cuore che ama, che compatisce, che soffre, si sacrifica e si dona. E come la bassezza di cuore genera tutti i vizi, così pure il cuore nobile ed elevato è la sorgente da cui s'irradiano insieme con l'amore tutte le virtù. Gesù, vero uomo, ha parlato così di se stesso. Ha offerto il suo cuore umano alla nostra contemplazione, mostrandolo circondato di fiamme ardenti e dicendo: "Ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini", che lo ha portato verso tutte le sofferenze e le miserie dell'umanità, che ha avuto pietà dell'immensa moltitudine delle anime, e che Gli ha ispirato non solo di moltiplicare i miracoli, ma di istituire la Santissima Eucaristia, di fondare la Chiesa, di soffrire e di morire per riscattarci.

Se il cuore è per noi il centro in cui sono raccolte e il focolaio da cui s'irradiano le doti e le virtù, se sappiamo rendere omaggio al cuore delle persone particolarmente benefiche, quanto più non dobbiamo onorare il Cuore di Gesù come l'abisso, il santuario, il tabernacolo di tutte le virtù? Gli Inni dell'Ufficio e le Litanie le descrivono in numerose invocazioni che noi ripeteremo e mediteremo in questi giorni. E onde persuaderci ancor più dell'importanza e dell'utilità della devozione al Sacro Cuore, concludiamo ascoltando quanto scrive un certosino di Treviri morto nel 1461. Le sue parole saranno per noi un'indicazione di quello che dobbiamo fare per entrare nelle intenzioni della Chiesa che sono quelle stesse del suo celeste Sposo: "Se volete completamente e facilmente purificarvi dei vostri peccati, liberarvi delle vostre passioni e arricchirvi di tutti i beni… mettetevi alla scuola dell'eterna carità. Riponete, immergete spesso in ispirito... tutto il vostro cuore e la vostra mente nel Cuore dolcissimo di Nostro Signor Gesù Cristo in croce. Quel Cuore è pieno d'amore... Mediante lui noi abbiamo accesso al Padre nell'unità di spirito; egli abbraccia d'un immenso amore tutti gli eletti... In quel Cuore dolcissimo si trova ogni sorta di virtù, la fonte della vita, la consolazione perfetta, la vera luce che illumina ogni uomo, ma soprattutto chi ha fatto devotamente ricorso a Lui in ogni afflizione e necessità. Tutto il bene che si può desiderare lo si attinge abbondante in lui; ogni salvezza ed ogni grazia ci vengono da quel Cuore dolcissimo, e non da altrove. Esso è il focolare dell'amore divino che brucia sempre del fuoco dello Spirito Santo, che purifica, consuma e trasforma in sé tutti coloro che Gli sono uniti e che desiderano attaccarsi a Lui. Ora come ogni bene ci viene da questo Cuore dolcissimo di Gesù, così pure tutto dovete riferirvi... tutto restituirgli senza nulla attribuire a voi... In quello stesso Cuore confesserete i vostri peccati, domanderete perdono e grazia, loderete e ringrazierete... Per questo bacerete spesso con riconoscenza quel Cuore piissimo di Gesù inseparabilmente unito al Cuore divino, dove sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza di Dio, un'immagine, voglio dire, sia di quel Cuore, sia del Crocifisso. Aspirerete senza posa a contemplarlo faccia a faccia confidandogli le vostre pene; attirerete così nel vostro cuore il suo spirito e il suo amore, le sue grazie e le sue virtù; a Lui ricorrerete nei beni e nei mali, in Lui avrete fiducia, a Lui vi attaccherete, in Lui abiterete, affinché, in cambio, si degni di porre la sua dimora nel vostro cuore; e qui infine dormirete dolcemente e riposerete nella pace. Poiché anche se i cuori di tutti i mortali vi abbandonassero, quel Cuore fedelissimo non vi ingannerà e non vi abbandonerà mai. E non trascurerete di onorare devotamente e di invocare anche la gloriosa Madre di Dio e dolcissima Vergine Maria, perché si degni di impetrarvi dal Cuore dolcissimo del suo Figliolo tutto quanto vi sarà necessario. In cambio, voi offrirete tutto al Cuore di Gesù attraverso le sue mani benedette" [3].

MESSA

EPISTOLA (Ef 3,8-19). - Fratelli: A me, il minimo dei santi, è stata concessa questa grazia di evangelizzare tra i Gentili le incomprensibili ricchezze di Cristo, e di illuminare tutti riguardo all'attuazione del mistero ascoso da secoli in Dio, il quale ha creato ogni cosa, affinché dai principati e dalle potestà sia conosciuta per mezzo della Chiesa la multiforme sapienza di Dio, secondo il disegno eterno che egli ha mandato ad effetto per mezzo di Cristo Gesù Signor nostro, in cui abbiamo la fiducia di poterci avvicinare con tutta confidenza a Dio per mezzo della fede in lui. Quindi vi chiedo di non perdervi d'animo a motivo delle tribolazioni ch'io soffro per voi e che sono la vostra gloria. A questo fine piego le mie ginocchia dinanzi al Padre del Signor nostro Gesù Cristo, da cui ogni famiglia e nei cieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda, secondo le ricchezze della sua gloria, di essere mediante lo Spirito di lui potentemente corroborati nell'uomo inferiore, in modo che Cristo abiti per la fede nei vostri cuori, e voi, radicati nella fede, fondati nella carità, possiate, con tutti i santi, comprendere quale sia la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, anzi possiate conoscere ciò che supera ogni scienza, la stessa carità di Cristo, in modo che siate ripieni di tutta la pienezza di Dio.Il "Mistero di Cristo".

È giusto ricordare questa pagina luminosa in cui san Paolo ci svela in termini sublimi l'amore infinito di Dio per la sua creatura. Da tutta l'eternità è stato concepito da Dio un disegno che è come la ragione, la spiegazione, il motivo della creazione, e tale disegno consiste nel chiamare tutta l'umanità a partecipare alla vita di Cristo. Dio ha tanto amato gli uomini che ha dato loro il suo Figliolo unigenito affinché per lui e in lui diventino a loro volta suoi figli per l'eternità. Cristo con i suoi tesori di sapienza e di scienza; Cristo nel quale sono benedette tutte le genti, nel quale gli uomini sono salvati e fatti simili a lui nell'unità del suo corpo mistico; Cristo che abita in noi e ci fa vivere mediante la fede e l'amore, ecco dunque il mistero appena intravisto dai Patriarchi e dai Profeti e che il Nuovo Testamento ci rivela con incomparabile chiarezza. Ma il mistero di Cristo non si completa veramente che in noi e con la nostra cooperazione. Tutte le ricchezze messe così generosamente da Dio a nostra disposizione e di cui Cristo è la fonte, la Chiesa, i sacramenti, l'Eucaristia, non hanno altro fine che la santificazione di ciascuna delle nostre anime individualmente. Per questo l'Apostolo innalza a Dio una preghiera insistente, chiedendogli che le sue intenzioni di misericordia e d'amore non vengano meno davanti alla nostra ostinazione e alla nostra ribellione e che non sia reso vano in noi lo sforzo compiuto sul Calvario. Solenne si fa la sua supplica perché regni completamente in noi quella vita interiore che ci è stata data nel battesimo, l'uomo nuovo, il cristiano, il figlio di Dio, e questo attraverso la fine dell'uomo vecchio, mediante una costante adesione a Dio, una reale comunione di vita che sottometta a lui tutta la nostra attività. Allora la carità crescerà sovrana in noi, e il piano di Dio pienamente realizzato si compirà per noi fino alla beatitudine eterna.
VANGELO (Gv 19,31-37). - In quel tempo: I Giudei, affinché non restassero in croce i corpi nel sabato (che era Parasceve ed era solenne quel sabato) chiesero a Pilato che fossero ad essi rotte le gambe e fossero tolti via. Andaron quindi i soldati e ruppero le gambe al primo e all'altro che eran con lui crocifissi; ma quando furono a Gesù, come videro che era già morto, non gli ruppero le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli aprì il costato; e subito ne uscì sangue ed acqua. E chi vide lo ha attestato; e la sua testimonianza è vera. Ed egli sa di dire il vero, affinché voi pure crediate. Certamente, questo è avvenuto, affinché s'adempisse la Scrittura: Non gli romperete alcun osso. E un'altra Scrittura dice pure: Volgeranno gli occhi a colui che han trafitto.

"Volgeranno gli occhi a colui che han trafitto"! Ascoltiamo questo testo misterioso con il commosso raccoglimento della nostra santa madre Chiesa. Osserviamo la via donde essa è uscita. È appunto dal Cuore dell'Uomo-Dio che è nata. Non poteva avere altra origine, poiché è l'opera per eccellenza del suo amore, ed è appunto per questa Sposa che egli ha fatto tutte le altre opere. Eva fu tratta dal fianco di Adamo in un modo figurativo; ma non ne doveva restare traccia, perché fosse chiaro che la donna era stata tratta dall'uomo solo per un sublime mistero, e non vi si vedesse per lei inferiorità di natura. Ma nel Signore era giusto che la gloriosa traccia di quella uscita rimanesse, perché è una realtà. Bisogna che la sua Sposa, fondandosi su tale origine, possa continuamente far ricorso al suo amore, e sia sempre aperto davanti a lei il cammino perché raggiunga con sicurezza e con prontezza il suo Cuore in ogni cosa.



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[1] L'ottava del Sacro Cuore è stata recentemente soppressa. Vedi nota per la Festa del Corpus Domini, p. 53.
Nota di Chiesa e post-concilio
Nella bolla del 1264 la Solennità è descritta come memorialis sacramentum in cotidianis missarum sollemnior, festum sanctissimi Corporis Domini nostri Jesu Christi (..."festività del santissimo Corpo di nostro Signore Gesù Cristo) nella quale si afferma la divinità di Gesù e, in particolare, del Suo Corpo (indicato con l'iniziale maiuscola).
Il Messale del 1970 ribattezzò la Solennità col nome latino Sollemnitas Sanctissimi corporis et sanguinis Christi, mai utilizzato nel deposito della fede.
[2] Opere, II, p. 48.
[3] Cfr. Etudes, CXXVII, p. 605.


(da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 413-417)