EDITORIALI
Riccardo Cascioli, 30-01-2021
Da domenica 14 febbraio in Italia potremo di nuovo scambiare il saluto della pace a Messa, seppure solo con sguardo e inchino. Lo ha deciso la CEI che però ignora i problemi veri della liturgia al tempo del Covid, e soprattutto l'adorazione e riverenza che si deve all'Eucarestia.
Evviva! Da domenica 14 febbraio potremo tornare a scambiarci il segno della pace durante la messa, ma sia ben chiaro: bisognerà «guardarsi negli occhi e augurarsi il dono della pace, accompagnandolo con un semplice inchino del capo». Ci è voluta la riunione del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) per arrivare a questa straordinaria concessione a quasi un anno dall’inizio dell’era dei lockdown. Nel comunicato finale, infatti, si riconosce che la faccenda delle «limitazioni alla prassi celebrativa» in funzione anti-Covid sta andando un po’ per le lunghe. Quindi non «potendo prevedere i tempi necessari per una ripresa completa di tutti i gesti rituali», i vescovi hanno deciso che possiamo almeno cominciare dall’occhiolino della pace. Sguardo e inchino, anche nella liturgia vince il modello cinese. Il che, in questo caso, va anche bene se serve per evitare quella specie di mercato che si generava abitualmente allo scambio della pace e che anche papa Francesco aveva censurato (clicca qui).
Eppure la decisione dei vescovi non può che generare un sorriso amaro. Evidentemente non si sono accorti che in molte parrocchie già si fa così, e comunque che senso ha introdurre adesso un gesto che ad ogni buon conto si poteva già fare fin dall’inizio della pandemia? Se è solo per scambiarsi uno sguardo a distanza di sicurezza ci voleva un anno per concederlo?
Piuttosto, volendo proprio ricominciare da qui, si è persa l’occasione per rispiegare il significato di questo gesto che, nella attuale prassi liturgica, è diventato un incomprensibile “volemose bene” subito prima della comunione. Non si capisce infatti perché nel momento in cui tutto deve essere concentrato sul mistero dell’Eucarestia e ogni fedele deve essere aiutato a entrare in uno spirito di adorazione, si inserisce un intervallo ludico che sembra invece pensato apposta per distrarre. In una intervista alla Bussola di alcuni mesi fa, il liturgista don Enrico Finotti aveva invece spiegato che nella liturgia romana quel segno ha il significato di «un dono di pace che scende dall'alto e che il sacerdote attinge dall'altare e comunica ai ministri e al popolo come dono celeste». Quindi si tratta di un gesto sacro che significa «l'aspetto trascendente della pace, che viene dall'alto e che scaturisce dall'immolazione incruenta del Signore», per questo è localizzato «nel contesto della fractio panis e prima della Comunione».
Nulla di tutto questo leggiamo nel comunicato della CEI, per cui i fedeli adesso saranno invitati a “fare i cinesi” ma sempre in una logica esclusivamente orizzontale come se la pace ce la dessimo da soli, o fosse l’esito di una volontà e di uno sforzo personale.
Non è solo questo: ci sono cose ben più importanti nella liturgia che in questo anno sono state distorte e di cui la CEI non sembra troppo preoccuparsi, al punto da far sospettare che si voglia considerare questo come “il nuovo normale”. Tralasciamo pure il fatto che l’Amuchina abbia ormai soppiantato l’acqua santa all’ingresso della chiesa; ciò che dovrebbe maggiormente preoccupare è l’atteggiamento davanti all’Eucarestia.
Tuttora inginocchiarsi durante la Consacrazione è in molti casi sconsigliato o mal tollerato e, anzi, il divieto di inginocchiarsi (per mantenere le distanze di sicurezza) è ancora vigente in molte chiese. Già prima del Covid c’era il malcostume di considerare indifferente inginocchiarsi o stare in piedi durante la Consacrazione, oggi mettersi in ginocchio è ormai l’eccezione anche laddove sarebbe consentito. Eppure inginocchiarsi sarebbe la regola, come segno di adorazione e riverenza per il dono di Cristo che si fa cibo per noi nel Suo Corpo e Sangue. E laddove per motivi di salute o di spazi troppo ristretti non fosse possibile inginocchiarsi, l’Ordinamento Generale del Messale Romano prescrive che i fedeli «facciano un profondo inchino mentre il sacerdote genuflette dopo la consacrazione» (no. 43).
Non è un problema di regole da rispettare, ma di comprendere che cosa avviene durante la liturgia e comportarsi di conseguenza: a questo vorremmo essere educati, a entrare maggiormente nel mistero di Cristo, invece che concentrarci sul mistero delle norme di “Giuseppi” Conte e compagni.
E sempre restando all’Eucarestia, attendiamo anche che ai fedeli sia ridata la libertà di ricevere la comunione in bocca oltre che in mano, stante che - come abbiamo documentato molte volte - non c’è alcun rischio maggiore di contagio. È un fatto che la scusa del Covid sia servita ad alcuni vescovi per imporre la comunione in mano, un vero e proprio abuso di potere stando alle norme della Chiesa; ma è grave che la CEI assecondi questo andazzo non preoccupandosi minimamente del disagio per tanti fedeli e della diseducazione al valore dell’Eucarestia per tanti altri.
L’«occhiolino della pace» sarebbe positivo se almeno segnasse il graduale ritorno alla liturgia corretta o, meglio, se fosse l’occasione per catechizzare i fedeli sul significato della Messa. Ma non pare proprio che la CEI si sia messa su questa strada.
Eppure la decisione dei vescovi non può che generare un sorriso amaro. Evidentemente non si sono accorti che in molte parrocchie già si fa così, e comunque che senso ha introdurre adesso un gesto che ad ogni buon conto si poteva già fare fin dall’inizio della pandemia? Se è solo per scambiarsi uno sguardo a distanza di sicurezza ci voleva un anno per concederlo?
Piuttosto, volendo proprio ricominciare da qui, si è persa l’occasione per rispiegare il significato di questo gesto che, nella attuale prassi liturgica, è diventato un incomprensibile “volemose bene” subito prima della comunione. Non si capisce infatti perché nel momento in cui tutto deve essere concentrato sul mistero dell’Eucarestia e ogni fedele deve essere aiutato a entrare in uno spirito di adorazione, si inserisce un intervallo ludico che sembra invece pensato apposta per distrarre. In una intervista alla Bussola di alcuni mesi fa, il liturgista don Enrico Finotti aveva invece spiegato che nella liturgia romana quel segno ha il significato di «un dono di pace che scende dall'alto e che il sacerdote attinge dall'altare e comunica ai ministri e al popolo come dono celeste». Quindi si tratta di un gesto sacro che significa «l'aspetto trascendente della pace, che viene dall'alto e che scaturisce dall'immolazione incruenta del Signore», per questo è localizzato «nel contesto della fractio panis e prima della Comunione».
Nulla di tutto questo leggiamo nel comunicato della CEI, per cui i fedeli adesso saranno invitati a “fare i cinesi” ma sempre in una logica esclusivamente orizzontale come se la pace ce la dessimo da soli, o fosse l’esito di una volontà e di uno sforzo personale.
Non è solo questo: ci sono cose ben più importanti nella liturgia che in questo anno sono state distorte e di cui la CEI non sembra troppo preoccuparsi, al punto da far sospettare che si voglia considerare questo come “il nuovo normale”. Tralasciamo pure il fatto che l’Amuchina abbia ormai soppiantato l’acqua santa all’ingresso della chiesa; ciò che dovrebbe maggiormente preoccupare è l’atteggiamento davanti all’Eucarestia.
Tuttora inginocchiarsi durante la Consacrazione è in molti casi sconsigliato o mal tollerato e, anzi, il divieto di inginocchiarsi (per mantenere le distanze di sicurezza) è ancora vigente in molte chiese. Già prima del Covid c’era il malcostume di considerare indifferente inginocchiarsi o stare in piedi durante la Consacrazione, oggi mettersi in ginocchio è ormai l’eccezione anche laddove sarebbe consentito. Eppure inginocchiarsi sarebbe la regola, come segno di adorazione e riverenza per il dono di Cristo che si fa cibo per noi nel Suo Corpo e Sangue. E laddove per motivi di salute o di spazi troppo ristretti non fosse possibile inginocchiarsi, l’Ordinamento Generale del Messale Romano prescrive che i fedeli «facciano un profondo inchino mentre il sacerdote genuflette dopo la consacrazione» (no. 43).
Non è un problema di regole da rispettare, ma di comprendere che cosa avviene durante la liturgia e comportarsi di conseguenza: a questo vorremmo essere educati, a entrare maggiormente nel mistero di Cristo, invece che concentrarci sul mistero delle norme di “Giuseppi” Conte e compagni.
E sempre restando all’Eucarestia, attendiamo anche che ai fedeli sia ridata la libertà di ricevere la comunione in bocca oltre che in mano, stante che - come abbiamo documentato molte volte - non c’è alcun rischio maggiore di contagio. È un fatto che la scusa del Covid sia servita ad alcuni vescovi per imporre la comunione in mano, un vero e proprio abuso di potere stando alle norme della Chiesa; ma è grave che la CEI assecondi questo andazzo non preoccupandosi minimamente del disagio per tanti fedeli e della diseducazione al valore dell’Eucarestia per tanti altri.
L’«occhiolino della pace» sarebbe positivo se almeno segnasse il graduale ritorno alla liturgia corretta o, meglio, se fosse l’occasione per catechizzare i fedeli sul significato della Messa. Ma non pare proprio che la CEI si sia messa su questa strada.
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